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Autore: Leo    10/03/2010    5 recensioni
A partire dalla canzone di Fabrizio De André, e dai miei studi universitari nasce così la storia di un chimico, che amò a modo suo rendendo conto solo della sua coerenza e dalla curiosità che lo spinge a inventare sempre nuove reazioni. "Che strano andarsene senza soffrire, senza un volto di donna da dover ricordare. Ma è forse diverso il vostro morire? Voi che uscite all'amore, che cedete all'aprile. Cosa c'è di diverso nel vostro morire?"
Genere: Song-fic, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Solo la morte mi ha portato in collina”

 

Sepolto al fianco di chissà quanti altri, il mio corpo continua a liberare fosforo all’aria, bivaccando con le sue fiammate fatue che non lasciano cenere sul terreno, e non sciolgono la brina sulla lapide. Solo la morte mi ha portato qui, su in collina, perché non ho mai voluto piangere nessuno, per cui non avevo motivo di salire fin quassù da vivo.

 

La mia storia comincia presto, quando abbandonai il mondo umano, quello comunemente inteso, per studiare intensamente un altro mondo, infinitamente più grande e completo. E in questo meraviglioso mondo gli abitanti non si evitavano correndo a testa bassa per le strade, non si guardavano in malo modo quando vedevano qualcuno diverso da loro, non si aggregavano in classi, ne sceglievano di emarginare. Studiai chimica.

Poiché chimico, avevo dunque il potere di Dio, potendo scegliere di sposare determinati elementi, affidando l’incontro al catalizzatore, in grado di preparare il letto d’amore generatore di nuove molecole, più forti, più complete. E la passione folle era in grado di spaccare il mondo, con le sue esplosioni dai colori sgargianti. Con prepotenza si opponevano ai recipienti, perché loro seguivano le loro regole anche davanti al loro Dio, ribellandosi ad esso.

Ho detto loro … beh, in realtà ci sono degli elementi particolari. Ma si sbaglia la gente che li classifica come “nobili”. D’altronde che ne possono capire loro, che vivono solo nel mondo degli uomini …

Sono solo un po’ pigri, nulla di più, e sfruttano la possibilità di restare stravaccati nell’acqua calda, ignorando anche se stessi. E i loro elettroni girano felici nei loro orbitali, contenti di avere ciascuno il suo compagno, e allo stesso tempo tutto lo spazio necessario a vorticare anche in solitudine.

Poiché chimico, avevo dunque difficoltà a capire gli uomini. Non capivo le loro reazioni, non riuscivo a immaginare quale solvente riuscisse a disciogliere le loro menti, facendo affidare le loro emozioni al gioco che spesso chiamavano amore.

 

Studiai le espressioni matematiche che conducevano al combinarsi di due persone, e le confrontai all’amore incondizionato tra due molecole, che in un secondo di passione riescono a creare un legame forte, a volte indissolubile, mentre la cinetica di una relazione umana è lenta e frustrante, e la barriera energetica è incredibilmente alta, necessitando quindi numerosi tentativi, prima di raggiungere un prodotto più o meno accettabile.

Pensai al carbonio, in grado di amare tutti, e creare infinite catene in infiniti modi diversi, mentre l’uomo, monogamo, tende a scartare spesso una serie di suoi simili.

Pensai al calore liberato da una sostituzione nucleofila, in cui, con estrema facilità e senza inutili litigi, un atomo è in grado di lasciare un amante per legarsi ad un altro, in un solo momento concertato, e lo comparai al freddo che due persone possono sentire quando il legame, troppo debole, si rompe.

 

Eppure vidi qualcosa di meraviglioso, tra l’affannosa ricerca di amore e la noia del rapporto ormai stabile, che ancor di più mi confuse le idee, e ancor di più mi incuriosì. Era un istante solo, un qualcosa di inafferrabile, che mandava in estasi entrambi i loro volti, accendendoli e colorandoli di un calore nuovo. Rimasi anni a fissare il sorriso e  il colore che giocavano sui visi delle persone colte da questa improvvisa malattia benevola. E per anni rimasi sconcertato a guardare la luce nei loro occhi appassire in breve tempo, il sorriso sfumare via inesorabilmente.

Capii che era qualcosa di prepotente, come la primavera, che non bussa, ma entra sicura, come molecole gassose che penetrano in ogni fessura, allargandosi in ogni dove, per poter essere liberi da qualsiasi restrizione, da qualsiasi legge. Capii che era qualcosa di lussurioso, come labbra carnose o capelli di grano che seducenti ti invitano a seguirle lontano.

 

Si! Era ciò che di più simile l’uomo avesse con la natura microscopica che lo circondava. E dunque decisi che anch’io dovevo provarlo!

Ma come riuscire a creare una reazione di cui non conoscevo né i reagenti né tantomeno i prodotti?

L’unica cosa che sapevo era che io facevo parte di quella reazione. Tuttavia non conoscevo la mia valenza, la mia reattività, la mia affinità con il recipiente di reazione. Per la prima volta in tutta la mia carriera procedevo con gli occhi completamente bendati in un laboratorio nuovo e dall’aspetto enorme.

E si sa che i passi dei ciechi sono incerti, e non si allontanano mai di molto dall’origine. Così io cominciai a cercare nel mio stesso laboratorio, nel mio stesso dipartimento, tra le poche conoscenze che avevo. Arrancai lentamente, ma inesorabilmente riuscii, non so in quanto tempo, ad avvicinarmi a una soluzione. E la soluzione era lei …

Lei che era sempre stata accanto a me, mentre io ero immerso nel mondo delle sintesi. Lei, che quando le rivolgevo uno sguardo il sorriso le si accendeva e il viso le si colorava. Lei, che già era innamorata di me.

 

Ora, io sapevo benissimo che due reagenti possono essere incredibilmente affini, ma che per problemi cinetici possono essere estremamente lenti nella reazione, che in questo caso deve essere innescata da qualcosa, un catalizzatore, un solvente particolare, o una scintilla. Come per l’idrogeno e l’ossigeno, che l’uno in presenza dell’altro sono assopiti, taciturni, quasi intimiditi l’uno dall’altro, ma che con un piccolo innesco formano un’orgia esplosiva cadendo poi sotto forma di pioggia e inondando così il mondo d’acqua pura e limpida. Ma il mondo degli uomini era così complesso con tutte quelle contraddizioni e quelle assurde regole fatte solo per essere aggirate. Così strano, che mi risultava addirittura assurdo cercare delle leggi per creare un innesco adatto alla reazione che avrebbe così riempito la mia sete di curiosità. Così feci ciò che mi sembrò più giusto fare in quella situazione: chiesi a chi ne sapeva più di me. Dovevo dunque chiedere a chi già soffrisse d’amore … per cui chiesi direttamente a lei.

 

Non so bene cosa accadde.

Il meccanismo di quella reazione rimane per me tutt’ora un mistero indecifrabile, tuttavia mi accorsi che anch’io, a un certo punto, cominciai a sorridere al suo sorriso e sentivo che lentamente un legame si andava formando. Capii che l’energia tra noi stava salendo, e che prima o poi avrebbe raggiunto il suo massimo.

E quel momento lo raggiungemmo una sera, al tramonto, senza che nessuno dei due chiese promesse allo sguardo dell’altro, senza parole, solo con i nostri sorrisi. Il mio e il suo.

Raggiungemmo lo stato a più elevata energia, e i nostri corpi accumularono tutto il calore del nuovo legame, si caricarono di una fantastica vitalità, disordinando la mia mente come la legge dell’entropia vuole.

Fu bellissimo …

Ma subito dopo quell’istante, quel breve momento passato in quello stadio, mi soffermai sul suo sorriso, che a differenza dell’istante prima sembrò vacillare quasi impercettibilmente. E allora capii. Quando due molecole si scontrano l’urto che ne deriva deforma la loro conformazione per un istante, e si crea un momento in cui entrambe sono l’una allacciata all’altra, mantenendo allo stesso tempo la loro natura originaria. E in quel momento l’energia è elevata, il massimo possibile, e quel duo è capace di tutto. Ma quel tutto si risolve sempre in due soli modi: o il nuovo legame è particolarmente stabile, più di quelli precedenti, e i due componenti utilizzano tutta la loro energia per stabilizzarsi l’uno con l’altro raggiungendo il potente legame, divenendo quindi inerti, e dunque morte, oppure ci ripensano, e si allontanano così come si sono avvicinate.

E io capii che volevo conservare la mia energia, per poter vivere un altro momento come quello.

 

Poiché chimico, mi risultò difficile comprendere la sua reazione, le sue lacrime, la sua fuga. Mi risultò difficile capire la sua morte, in cui la malattia che l’aveva colpita sembrava aver trovato la strada spianata verso il suo respiro, stroncandolo per sempre. E mi risultò difficile ancor di più capire le accuse della gente, che puntavano come un indice i loro sguardi su di me, aggrottando le sopracciglia come se io stesso avessi spremuto il suo cuore fino a farlo scoppiare.

Eppure non avevo fatto nulla di male … semplicemente non mi volli sposare. Non sapevo con chi e chi avrei generato! E tutto questo perché il mondo degli uomini è per me del tutto misterioso.

Non salii in collina neanche quella volta, per piangerla, perché sapevo che la morte non è che un’invenzione dell’uomo, ed ero consapevole che nulla viene creato e nulla viene distrutto, ma ogni cosa viene inesorabilmente trasformata in qualcosa di nuovo, sempre diverso, ma sempre uguale a se stesso.

 

Morii nel mio laboratorio, con quell’ultimo esperimento, che anche quella volta funzionò. E io ero tanto preso da quella gioia immensa, che restai a fissare ciò che avevo prodotto con il mio potere, dimenticandomi di quanto fosse tossico il fumo che ne usciva. Son morto esattamente come lei morì, come gli idioti che muoiono per amore.

 

È strano andarsene senza soffrire, senza avere nessuno, né sposa né amico da dover ricordare? È forse diverso il vostro morire per quel piccolo amore vissuto in aprile?

 

"Cosa c’è di diverso nel vostro morire?"

 

Solo la morte mi ha portato in collina, e visto che io qui non sono mai salito per piangere nessuno, nessuno salì mai per piangere me. E laggiù quegli uomini sono tutti pronti a raccontarvi questa storia descrivendovi la mia meschinità, la mia insensibilità … e qualcuno dirà che c’è un modo migliore …

  
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