“Solo la
morte mi ha portato in collina”
Sepolto al
fianco di chissà quanti altri, il mio corpo continua a liberare fosforo
all’aria, bivaccando con le sue fiammate fatue che non lasciano cenere sul
terreno, e non sciolgono la brina sulla lapide. Solo la morte mi ha portato qui,
su in collina, perché non ho mai voluto piangere nessuno, per cui non avevo
motivo di salire fin quassù da vivo.
La mia
storia comincia presto, quando abbandonai il mondo umano, quello comunemente
inteso, per studiare intensamente un altro mondo, infinitamente più grande e
completo. E in questo meraviglioso mondo gli abitanti non si evitavano correndo
a testa bassa per le strade, non si guardavano in malo modo quando vedevano
qualcuno diverso da loro, non si aggregavano in classi, ne sceglievano di
emarginare. Studiai chimica.
Poiché
chimico, avevo dunque il potere di Dio, potendo scegliere di sposare determinati
elementi, affidando l’incontro al catalizzatore, in grado di preparare il letto
d’amore generatore di nuove molecole, più forti, più complete. E la passione
folle era in grado di spaccare il mondo, con le sue esplosioni dai colori
sgargianti. Con prepotenza si opponevano ai recipienti, perché loro seguivano le
loro regole anche davanti al loro Dio, ribellandosi ad
esso.
Ho detto
loro … beh, in realtà ci sono degli elementi particolari. Ma si sbaglia la gente
che li classifica come “nobili”. D’altronde che ne possono capire loro, che
vivono solo nel mondo degli uomini …
Sono solo
un po’ pigri, nulla di più, e sfruttano la possibilità di restare stravaccati
nell’acqua calda, ignorando anche se stessi. E i loro elettroni girano felici
nei loro orbitali, contenti di avere ciascuno il suo compagno, e allo stesso
tempo tutto lo spazio necessario a vorticare anche in
solitudine.
Poiché
chimico, avevo dunque difficoltà a capire gli uomini. Non capivo le loro
reazioni, non riuscivo a immaginare quale solvente riuscisse a disciogliere le
loro menti, facendo affidare le loro emozioni al gioco che spesso chiamavano
amore.
Studiai le
espressioni matematiche che conducevano al combinarsi di due persone, e le
confrontai all’amore incondizionato tra due molecole, che in un secondo di
passione riescono a creare un legame forte, a volte indissolubile, mentre la
cinetica di una relazione umana è lenta e frustrante, e la barriera energetica è
incredibilmente alta, necessitando quindi numerosi tentativi, prima di
raggiungere un prodotto più o meno accettabile.
Pensai al
carbonio, in grado di amare tutti, e creare infinite catene in infiniti modi
diversi, mentre l’uomo, monogamo, tende a scartare spesso una serie di suoi
simili.
Pensai al
calore liberato da una sostituzione nucleofila, in cui, con estrema facilità e
senza inutili litigi, un atomo è in grado di lasciare un amante per legarsi ad
un altro, in un solo momento concertato, e lo comparai al freddo che due persone
possono sentire quando il legame, troppo debole, si rompe.
Eppure vidi
qualcosa di meraviglioso, tra l’affannosa ricerca di amore e la noia del
rapporto ormai stabile, che ancor di più mi confuse le idee, e ancor di più mi
incuriosì. Era un istante solo, un qualcosa di inafferrabile, che mandava in
estasi entrambi i loro volti, accendendoli e colorandoli di un calore nuovo.
Rimasi anni a fissare il sorriso e
il colore che giocavano sui visi delle persone colte da questa improvvisa
malattia benevola. E per anni rimasi sconcertato a guardare la luce nei loro
occhi appassire in breve tempo, il sorriso sfumare via
inesorabilmente.
Capii che
era qualcosa di prepotente, come la primavera, che non bussa, ma entra sicura,
come molecole gassose che penetrano in ogni fessura, allargandosi in ogni dove,
per poter essere liberi da qualsiasi restrizione, da qualsiasi legge. Capii che
era qualcosa di lussurioso, come labbra carnose o capelli di grano che seducenti
ti invitano a seguirle lontano.
Si! Era ciò
che di più simile l’uomo avesse con la natura microscopica che lo circondava. E
dunque decisi che anch’io dovevo provarlo!
Ma come
riuscire a creare una reazione di cui non conoscevo né i reagenti né tantomeno i
prodotti?
L’unica
cosa che sapevo era che io facevo parte di quella reazione. Tuttavia non
conoscevo la mia valenza, la mia reattività, la mia affinità con il recipiente
di reazione. Per la prima volta in tutta la mia carriera procedevo con gli occhi
completamente bendati in un laboratorio nuovo e dall’aspetto
enorme.
E si sa che
i passi dei ciechi sono incerti, e non si allontanano mai di molto dall’origine.
Così io cominciai a cercare nel mio stesso laboratorio, nel mio stesso
dipartimento, tra le poche conoscenze che avevo. Arrancai lentamente, ma
inesorabilmente riuscii, non so in quanto tempo, ad avvicinarmi a una soluzione.
E la soluzione era lei …
Lei che era
sempre stata accanto a me, mentre io ero immerso nel mondo delle sintesi. Lei,
che quando le rivolgevo uno sguardo il sorriso le si accendeva e il viso le si
colorava. Lei, che già era innamorata di me.
Ora, io
sapevo benissimo che due reagenti possono essere incredibilmente affini, ma che
per problemi cinetici possono essere estremamente lenti nella reazione, che in
questo caso deve essere innescata da qualcosa, un catalizzatore, un solvente
particolare, o una scintilla. Come per l’idrogeno e l’ossigeno, che l’uno in
presenza dell’altro sono assopiti, taciturni, quasi intimiditi l’uno dall’altro,
ma che con un piccolo innesco formano un’orgia esplosiva cadendo poi sotto forma
di pioggia e inondando così il mondo d’acqua pura e limpida. Ma il mondo degli
uomini era così complesso con tutte quelle contraddizioni e quelle assurde
regole fatte solo per essere aggirate. Così strano, che mi risultava addirittura
assurdo cercare delle leggi per creare un innesco adatto alla reazione che
avrebbe così riempito la mia sete di curiosità. Così feci ciò che mi sembrò più
giusto fare in quella situazione: chiesi a chi ne sapeva più di me. Dovevo
dunque chiedere a chi già soffrisse d’amore … per cui chiesi direttamente a
lei.
Non so bene
cosa accadde.
Il
meccanismo di quella reazione rimane per me tutt’ora un mistero indecifrabile,
tuttavia mi accorsi che anch’io, a un certo punto, cominciai a sorridere al suo
sorriso e sentivo che lentamente un legame si andava formando. Capii che
l’energia tra noi stava salendo, e che prima o poi avrebbe raggiunto il suo
massimo.
E quel
momento lo raggiungemmo una sera, al tramonto, senza che nessuno dei due chiese
promesse allo sguardo dell’altro, senza parole, solo con i nostri sorrisi. Il
mio e il suo.
Raggiungemmo
lo stato a più elevata energia, e i nostri corpi accumularono tutto il calore
del nuovo legame, si caricarono di una fantastica vitalità, disordinando la mia
mente come la legge dell’entropia vuole.
Fu
bellissimo …
Ma subito
dopo quell’istante, quel breve momento passato in quello stadio, mi soffermai
sul suo sorriso, che a differenza dell’istante prima sembrò vacillare quasi
impercettibilmente. E allora capii. Quando due molecole si scontrano l’urto che
ne deriva deforma la loro conformazione per un istante, e si crea un momento in
cui entrambe sono l’una allacciata all’altra, mantenendo allo stesso tempo la
loro natura originaria. E in quel momento l’energia è elevata, il massimo
possibile, e quel duo è capace di tutto. Ma quel tutto si risolve sempre in due
soli modi: o il nuovo legame è particolarmente stabile, più di quelli
precedenti, e i due componenti utilizzano tutta la loro energia per
stabilizzarsi l’uno con l’altro raggiungendo il potente legame, divenendo quindi
inerti, e dunque morte, oppure ci ripensano, e si allontanano così come si sono
avvicinate.
E io capii
che volevo conservare la mia energia, per poter vivere un altro momento come
quello.
Poiché
chimico, mi risultò difficile comprendere la sua reazione, le sue lacrime, la
sua fuga. Mi risultò difficile capire la sua morte, in cui la malattia che
l’aveva colpita sembrava aver trovato la strada spianata verso il suo respiro,
stroncandolo per sempre. E mi risultò difficile ancor di più capire le accuse
della gente, che puntavano come un indice i loro sguardi su di me, aggrottando
le sopracciglia come se io stesso avessi spremuto il suo cuore fino a farlo
scoppiare.
Eppure non
avevo fatto nulla di male … semplicemente non mi volli sposare. Non sapevo con
chi e chi avrei generato! E tutto questo perché il mondo degli uomini è per me
del tutto misterioso.
Non salii
in collina neanche quella volta, per piangerla, perché sapevo che la morte non è
che un’invenzione dell’uomo, ed ero consapevole che nulla viene creato e nulla
viene distrutto, ma ogni cosa viene inesorabilmente trasformata in qualcosa di
nuovo, sempre diverso, ma sempre uguale a se stesso.
Morii nel
mio laboratorio, con quell’ultimo esperimento, che anche quella volta funzionò.
E io ero tanto preso da quella gioia immensa, che restai a fissare ciò che avevo
prodotto con il mio potere, dimenticandomi di quanto fosse tossico il fumo che
ne usciva. Son morto esattamente come lei morì, come gli idioti che muoiono per
amore.
È strano
andarsene senza soffrire, senza avere nessuno, né sposa né amico da dover
ricordare? È forse diverso il vostro morire per quel piccolo amore vissuto in
aprile?
"Cosa
c’è di diverso nel vostro morire?"
Solo la
morte mi ha portato in collina, e visto che io qui non sono mai salito per
piangere nessuno, nessuno salì mai per piangere me. E laggiù quegli uomini sono
tutti pronti a raccontarvi questa storia descrivendovi la mia meschinità, la mia
insensibilità … e qualcuno dirà che c’è un modo migliore
…