Anime & Manga > Inuyasha
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Autore: Chamelion_    11/03/2010    3 recensioni
Una raccolta di varianti, aggiunte, modifiche agli episodi dell’anime di “Inuyasha”. Scene e dialoghi ispirati a determinati momenti della trama o, più semplicemente, le mie personali speculazioni su questa storia.
Rating, genere e personaggi sono indicati di volta in volta.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Corto #1: Alternativa all’episodio che segue il n. 124 “Addio, mia amata Kikyo”.

Personaggi: Inuyasha, Kagome

Genere: Triste, Introspettivo

Rating: Giallo

Contesto: Dopo aver cercato segni del corpo di Kikyo per tutta la notte, Inuyasha torna dagli altri e trova Kagome sveglia ad aspettarlo, ma la tratta con freddezza. Questo è il vero inizio dell’episodio n. 125. In questa variante, però, nei giorni che seguono, Inuyasha è molto più assente, chiuso in se stesso, succube di un dolore muto che non manifesta in alcun modo. Se ne sta in disparte, visibilmente addolorato; parla a malapena con Miroku ed evita Kagome regolarmente, facendo in modo di starle sempre lontano. Lei ne soffre molto, ma non dice nulla.
Un giorno, Kagome si allontana dal gruppo per riflettere. Infine prende una decisione: ritorna quindi dagli altri.





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Kagome camminava con passi svelti e decisi per non permettere a se stessa di esitare, ingoiando sorsate di una forza fittizia che si era imposta; temeva che avrebbe vacillato, che non sarebbe stata capace di realizzare il suo proposito con la risolutezza che richiedeva. Ma sentiva quell’energia, seppur fasulla, ribollirle nel sangue, e tenendosi stretta la sua decisione raggiunse il luogo al margine della foresta dove il gruppo si era fermato a pranzare.
Davanti a lei, vide i suoi compagni di viaggio intenti a rilassarsi, ognuno impegnato nelle proprie occupazioni: Sango dormiva appoggiata ad Hiraikotsu, con in braccio la piccola Kirara; Shippo, visibilmente annoiato, giocherellava distrattamente con la sua trottola; il monaco Miroku stava invece facendo qualcosa, che Kagome non distinse, con i propri sigilli magici. Inuyasha, come faceva per la maggior parte del tempo in quegli ultimi giorni di dolore, sedeva in disparte, con gli occhi rivolti verso il cielo, alla ricerca di chissà che cosa.
Naturalmente, fu lui il primo a udire Kagome arrivare, e dopo aver osato non più che una breve occhiata nella sua direzione per averne conferma, si alzò da terra con apparente casualità e cominciò ad allontanarsi. Accorgendosene, Miroku si guardò intorno finché non scorse la ragazza che si avvicinava. Era stata molto tempo lontana dagli altri, e ormai da un po’ ognuno di loro aveva segretamente cominciato a preoccuparsi.
– Divina Kagome! – esclamò il monaco. La sua voce svegliò Sango, che guardò Kagome con aria indagatrice.
– Kagome, dov’eri finita? – domandò Shippo.
Lei non li guardò neppure, gli occhi fissi sul mezzodemone intento ad andarsene. Direttamente a lui, con un tono deciso, imperioso, scoccò: – Inuyasha, sta’ fermo dove sei.
A quel comando così diretto, Inuyasha si fermò; ma fu come se qualcuno l’avesse all’improvviso immobilizzato con un incantesimo, senza dargli una ragione per voltarsi verso chi l’aveva scagliato. Un secondo ordine lo colse di sorpresa: – Vieni con me.
Miroku, Sango e Shippo guardarono stupiti alternativamente Inuyasha, fermo sul posto come cristallizzato, e Kagome, che parlava rivolta alla sua schiena. La videro stringere i pugni – ma in realtà ogni muscolo del suo corpo già era contratto – quando esclamò: – Maledizione, ti sto parlando! Non fare finta di niente.
Inuyasha girò la testa di lato, ma senza davvero rivolgere gli occhi verso la ragazza, e impiegò qualche secondo a mormorare, con un tono così poco convinto da risultare non credibile: – Non faccio finta di niente.
– Allora guardami!
Lentamente, Inuyasha si volse, e infine la guardò. Da giorni non lo faceva veramente.
– Seguimi nella foresta – disse lei, con lo stesso tono deciso.
Il mezzodemone guardò Miroku, Shippo e Sango alla ricerca di una spiegazione, ma i compagni recavano in volto uno stupore pari al suo. Tornò a guardare Kagome e chiese: – Perché?
– Perché voglio restare da sola con te – rispose lei, e senza attendere risposta, si mise a camminare verso la foresta, addentrandovisi.
Di nuovo, Inuyasha guardò interrogativamente i compagni di viaggio, e di nuovo questi non seppero dirgli nulla. Comprendendo di esservi costretto, ma con una riluttanza che denunciava una sorta di malcelato timore, entrò anche lui nella foresta, seguendo la ragazza. Gli altri lo guardavano mentre spariva dalla loro vista.
– Che cos’avrà in mente Kagome? – domandò il piccolo demone volpe.
– Non lo so, Shippo – rispose Sango, prima di rivolgersi al monaco: – Tu, Miroku, sai qualcosa?
– No, non so nulla – disse questi; ma dentro di sé pensò: “Ma credo di poter indovinare.”


Kagome camminava senza guardarsi alla spalle econ la decisione di chi ha una meta precisa, ma in realtà non c’era un punto in particolare della foresta verso cui volesse guidare Inuyasha, che la seguiva a distanza, cercando di capire le sue intenzioni. Non essendo la pazienza una delle più spiccate qualità del ragazzo, non lasciò passare molto tempo prima di chiederle dove stessero andando. Kagome voltò la testa solo per un momento, rispondendo seccamente: – Dove non possono sentirci.
– ! – si stupì ulteriormente Inuyasha. “Kagome” pensò. “Che cosa vuoi fare?”
La ragazza proseguì verso il cuore della foresta per quello che ad Inuyasha parve un tempo interminabile, fino a che, giunti in una piccola radura circondata da molti alberi di diverse dimensioni, non lontano dalla quale si poteva sentire il suono dello scorrere dell’acqua di un fiume, Kagome si arrestò. Anche Inuyasha, che non aveva perso di vista ogni suo movimento, smise di camminare e restò in attesa. Dopo una breve pausa, Kagome di voltò piantandogli addosso uno sguardo risoluto.
– Va bene, Inuyasha. Adesso falla finita.
– ? – fece il ragazzo, rimasto attonito.
– È arrivato il momento di affrontare ciò da cui stai scappando.
Sempre più confuso, Inuyasha mormorò: – Io non sto scappando da niente.
Kagome, i nervi da cui era attanagliata che affioravano nella sua voce facendola tremare, ribatté: – Sì, stai scappando, stai scappando… come un ragazzino terrorizzato.
Inuyasha era sbalordito.
– Stai scappando da me, tanto per cominciare – affermò ancora lei.
A questo, Inuyasha si riscosse, recuperando un po’ del suo consono vigore. – Ma che scemenze dici? Per quale motivo dovrei scappare da te?
La tensione crescente strappò a Kagome un sorriso sconfortato. – Per un milione di motivi – rispose. Dovette prendere del coraggio per proseguire. – Molto semplicemente, perché il mio viso assomiglia a quello di Kikyo…
Benché lo avesse previsto, vedere Inuyasha trasalire udendo quel nome la ferì, ma si costrinse a continuare.
– E perché sai che, essendo io la sua reincarnazione, una parte di lei vive dentro di me. In parte, io sono Kikyo. E tu non riesci neppure a guardarmi, per questo.
Anche Inuyasha appariva visibilmente ferito, pieno di paura per l’argomento che, come aveva temuto, Kagome intendeva affrontare. La ragazza deglutì parecchie volte prima di proseguire. – Poi stai scappando… perché, ora che lei è morta, non sai più neanche quello che provi per me. Stai scappando perché senti che stare insieme a me sia un insulto alla sua memoria. E, soprattutto, stai scappando perché ti senti in colpa per quello che le è successo, e hai paura che possa succedere anche a me.
– ! – trasalì lui.
Kagome addolcì il proprio tono. – Non è forse così, Inuyasha?
Per qualche istante, guardandolo sforzarsi di resistere alla forza di quelle accuse, Kagome temette che avrebbe negato. Invece si arrese, il suo sguardo crollò a terra.
– Ma la cosa peggiore – riprese Kagome. – è che tu non stai scappando soltanto da me, ma da te stesso.
Nuovamente colpito, Inuyasha alzò il viso di scatto.
– Stai negando a te stesso il dolore che provi, stai cercando di evitarlo – Il tono di Kagome tornò arrabbiato e deciso quando esclamò: – Ma così non vivi, Inuyasha! Devi fare i conti con quello che è successo, e con il fatto che ne stai soffrendo. Soltanto affrontandolo potrai tornare a vivere! Devi capire e accettare che… Kikyo – prese fiato, cercando di ricucire insieme i frammenti della sua voce che si spezzava a tradimento. – è morta, e che è morta per sempre.
Inuyasha mostrava segni di un reale, tangibile dolore, che gli artigliò le membra facendole tremare. Abbasò di nuovo lo sguardo, non volendola più guardare. Ciononostante, lei continuò, e senza accorgersene alzò la voce quasi fino a gridare.
– Non c’è speranza che torni, perché non può essere resuscitata una seconda volta! Kikyo è morta, Inuyasha! Kikyo non tornerà mai più!
– Smettila – mormorò Inuyasha tra i denti, scoperti in una sorta di ringhio. Lo sguardo inchiodato al suolo, stringeva i pugni così forte che si potevano vedere i muscoli delle braccia intere contratti. A quella vista, Kagome vacillò. Era ciò che aveva temuto nel momento in cui aveva preso quella decisione: di non avere la forza di andare fino in fondo, di non riuscire ad affondare, benché consapevole che fosse necessario per il bene di lui, la lama in profondità nella carne dolente di Inuyasha. Lo vedeva perduto, disarmato; la sua Tessaiga, appesa al suo fianco tremante, non poteva essergli utile in quell’occasione, e lei si sentì disgustata al pensiero di infierire ancora sul suo spirito martoriato.
Si conficcò le unghie nella pelle delle cosce ricordando a se stessa le considerazioni che poco prima aveva fatto, da sola, che l’avevano portata a decidere di inchiodare il cuore sfuggente del mezzodemone per obbligarlo a riprendersi. Ingoiando la pena per il dolore di lui, così evidente davanti ai suoi occhi, disobbedì al suo comando.
– Perdonami – implorò. – Lo so, ti sto facendo del male. Ma devi affrontare e sconfiggere questo dolore, o resterà sempre in agguato, non ti abbandonerà mai! – Si interruppe e infuse la sua voce di una nuova decisione. – Ora puoi farlo, Inuyasha. Qui non ti sentirà nessuno.
Con incredibile lentezza, Inuyasha riportò lo sguardo su di lei, ancora una volta stupito, quando finalmente capì che cosa esattamente Kagome si aspettasse da lui. – Kagome, tu vuoi… che io mi disperi per Kikyo… Vuoi che lo faccia proprio davanti a te?
La pena era percepibile anche nella sua voce. La ragazza inspirò profondamente e rispose a quella domanda, a cui aveva già dato una risposta lei stessa in precedenza. – Sì. Perché a me servi vivo, Inuyasha. E felice, per quanto possibile. Perché tu ritrovi la felicità ci vorrà comunque del tempo, ma non succederà mai se non sconfiggi la tua sofferenza. Se è necessario che sia io a costringerti a farlo, lo farò. Per quanto mostruoso possa essere per me ferirti in questo modo.
Inuyasha si era ulteriormente irrigidito dopo le prime parole di Kagome: strinse i denti e spostò lo sguardo altrove. Le rispose masticando le parole tanto da renderle a malapena distinguibili: – Kagome. Come puoi pensare che io ritrovi la felicità? Con che diritto potrei essere di nuovo felice?
La ragazza comprese di aver raggiunto il nervo che doleva maggiormente, e misurò con cura le parole e il tono di voce.
– Inuyasha, non è stata colpa tua.
– Invece sì.
Fu un ringhio, più che una risposta.
– No! No – esclamò Kagome con il cuore gonfio di intenzione e compassione. – È stato Naraku a ucciderla.
E, finalmente, Inuyasha urlò.
– Io dovevo proteggerla!
Scattò in avanti, il pugno stretto davanti a sé, il corpo pronto a slanciarsi in un attacco. Seppure soltanto per un attimo, Kagome dovette fare violenza su se stessa per non indietreggiare, ma riuscì a rimanere immobile mentre Inuyasha le gridava contro.
– Toccava a me! È stato perché sapeva che non ne sarei stato capace che ha affrontato Naraku da sola. Sapeva che non avrei saputo mantenere la promessa che le avevo fatto di prendermi cura di lei…
Con una voce controllata che pareva poter essere inghiottita da quella feroce di lui, Kagome ribatté: – Tu non sai che cosa avesse intenzione di fare, non sai davvero come sia andata. Non c’eri quando è successo…
– Esatto!
Il pugno che Inuyasha aveva tenuto fermo davanti al proprio volto scattò a terra a colpire con forza una pietra. Il ragazzo investì le proprie nocche di uno sguardo carico d’odio.
– Dovevo essere lì con lei, invece ho lasciato che morisse da sola, ancora una volta…
La sua voce si ruppe sulle ultime parole. Riprese a tremare con una violenza incontrollabile.
Kagome fece qualche cauto passo verso di lui, e vedendo che non reagiva, gli si avvicinò.
– Tu hai mantenuto la tua promessa molte volte – gli disse. – Ma non sei infallibile, Inuyasha. Non puoi essere ovunque in qualunque momento, nonostante qualunque complicazione. Anche se fossi stato lì… Io temo che ormai Naraku sia troppo potente per chiunque. Sarebbe come se ti rimproverassi per non essere riuscito a spostare una montagna.
– Tu non capisci, Kagome. Non si trattava di un’impresa astratta, ma di una promessa. Proprio come quella che ho fatto a te! – sollevò il viso verso l’alto per guardarla. – Come posso proteggerti se con Kikyo non ci sono riuscito? Come posso pretendere di salvarti se lei è morta?
Kagome prese un profondo respiro e caricò la propria voce di tutta la fermezza che poté trovare dentro di sé.
– Io mi fido di te, Inuyasha.
– E perché dovresti? Hai davanti agli occhi la prova del mio fallimento!
– Io mi fido di te. Come si è sempre fidata Kikyo. Nessuna delle due ha mai preteso che potessi salvarci da tutto: nessuno potrebbe! Io so che non hai colpa di quello che è successo a Kikyo. E lo sa anche lei.
Inuyasha, ora inerme, rilasciò i pugni.
– Noi lo sappiamo, Inuyasha.
Il ragazzo la guardò come se da quello sguardo dipendesse la sua stessa vita, come se vi fosse attaccato senza possibilità di scampo. Mentre Kagome restituiva lo sguardo, si rese conto di quanto fosse vero ciò che gli stava dicendo. Infine, l’espressione di Inuyasha divenne una maschera di dolore.
– E tanto non serve a niente, vero? – mormorò. – Perché lei non torna più.
Kagome gli restituì uno sguardo accorato.
– È come hai detto tu: non può in alcun modo tornare come ha fatto una volta. Se anche rimanessi sigillato al Goshinboku per altri cinquanta anni, al mio risveglio non la ritroverei.
Dopo una pausa, Kagome scosse lentamente la testa. – No.
– Ma questo…
Inuyasha chiuse gli occhi di scatto, si slanciò i piedi. – …Io non posso accettarlo! – urlò.
Kagome trasalì. Il mezzodemone si voltò e colpì un tronco di piccole dimensioni, poco dietro di lui; quando lo colpì una seconda volta, questo si spaccò. Allora Inuyasha si gettò su altri alberi, sulle rocce, su tutto quello che gli capitò sotto le unghie. Si dimenticò di estrarre Tessaiga e non si servì neppure del Sangon Tessou, ferendosi le mani e le braccia senza pietà.
Kagome catturava ogni suo movimento senza mai perderlo di vista, atterrita dalla preoccupazione, ma ancora una volta si costrinse a rimanere ferma lasciandolo fare.
A lungo, Inuyasha fece a pezzi tronchi e rami, gridando irato. Per ultimo, si accanì contro un albero particolarmente grande, colpendolo e graffiandolo con le mani contuse, schizzando sangue; questo era più resistente degli altri alberi, e dopo decine di colpi, piano piano, il ritmo delle percosse rallentò, i pugni si fecero più deboli. Con prudenza, Kagome gli si avvicinò da dietro.
Infine, il mezzodemone si fermò. Sanguinava copiosamente da più parti del corpo, le sue mani erano scorticate e una era ancora ferma sulla corteccia. A un certo punto, questa mano si contrasse. – No… – fece lui con voce strozzata. – Dio, no!
E si lasciò cadere in ginocchio.
Kagome colmò la distanza tra di loro con pochi passi decisi e si inginocchiò dietro di lui. Con dolcezza, esitante, poggiò la punta delle dita sulle sue spalle; Inuyasha tremò, ma non la scostò. Allora lei fece scivolare le mani sulle sue spalle fino a congiungerle sul suo petto. Il ragazzo nascose il viso tra le mani e cominciò a piangere. Kagome lo strinse forte, come desiderosa di assorbire l’impatto di ogni singhiozzo che scuoteva il corpo di lui che, stremato, respirava a fatica.
E lei si chiese se lui non si stesse illudendo che fosse Kikyo ad abbracciarlo. Dopo uno spasmo di dolore causato da questo pensiero, fece tacere il nodo che le stringeva la bocca dello stomaco e realizzò mentalmente che il suo intento, di obbligarlo a fare fronte alla sofferenza che lo divorava, implicava necessariamente che lei fosse disposta a qualunque cosa gli fosse utile. Perciò si risolse che, qualunque cosa stesse pensando in quel momento, se ne aveva bisogno, gliel’avrebbe concessa. Il pianto di Inuyasha sembrò inarrestabile per molto tempo, ma infine Kagome poté sentire il suo respiro più regolare e i suoi singhiozzi farsi più deboli. Gradualmente, il ragazzo abbandonò, esausto, il capo in avanti fino ad appoggiarlo al tronco dell’albero su cui si era accanito: il suo corpo sfinito dal dolore, dalla rabbia e dalla fatica stava cedendo.
Kagome sciolse la stretta sul suo petto e gli afferrò delicatamente le spalle; si scostò un poco e lo fece sdraiare su un fianco: sentire la resa con cui si lasciava manovrare da lei, come un fantoccio, la riempì di commozione. Gli occhi di lui erano chiusi oramai, gli spasmi sempre più radi.
Kagome si sedette accanto a lui e lo accarezzò finché gli spasmi cessarono: capì che si era addormentato.
A questo punto, ripensando alla sua disperazione, non poté evitare i sentirsi in colpa. Questo, in aggiunta alla consapevolezza che quel suo dolore fosse per un’altra donna, le strappò lacrime silenziose.
Si sdraiò anche lei accanto a lui, rannicchiandosi contro la sua schiena. Rimase ad ascoltare il respiro di lui, a lasciar scorrere quelle lacrime mute, finché il sonno non vinse anche lei.


“Inuyasha…”
Quando Kagome si risvegliò, al tramonto, era sola. Tiratasi su a sedere, si guardò intorno cercando il mezzodemone, ma non c’era segno di lui nella radura, che ora appariva come una macchia, martoriata da una forza devastatrice, nel cuore della foresta, e nella quale non si udiva alcun suono a parte il fischio lontano di qualche uccello e lo scroscio dell’acqua che scorreva poco distante da lì.
“Che sia andato al fiume?”, pensò.
Kagome si alzò in piedi e, guidata dal rumore dell’acqua, riuscì a raggiungere il fiume. Non si era sbagliata: Inuyasha era in piedi a riva, con l’acqua che gli raggiungeva le ginocchia, e le dava le spalle. Si stava sciacquando il viso e le braccia, lavando via i sangue e lo sporco – e, probabilmente, i segni del pianto.
Udendo i passi di qualcuno, si volse e guardò Kagome, che non si mosse. Il viso di lui appariva nient’altro che stanco.
– Inuyasha…
Il mezzodemone uscì dall’acqua e avanzò verso la ragazza, fermandosi quando le fu vicinissimo.
– Come stai? Ti senti meglio? – gli domandò lei.
Lui non le rispose. La guardò con grande attenzione, poi si chinò e la strinse a sé.
Kagome rimase immobile, come ancora ferma in quel ruolo passivo che le aveva imposto la sua decisione di adeguarsi a ciò di cui lui aveva bisogno.
– Kagome – disse Inuyasha con voce roca. – Tu sei la persona più forte che abbia mai conosciuto.
La ragazza si ritrovò suo malgrado con gli occhi umidi, a causa di quale emozione, non sapeva dire.
Inuyasha scostò il proprio viso dai suoi capelli, appoggiò la fronte sulla sua.
– Sarei perso senza di te.










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Naturalmente, quando ho scritto questo brano, non ero ancora arrivata alla puntata in cui si scopre che Kikyo in realtà non era morta. Non potevo sapere di aver ideato questa tragica scena basandomi su un evento che poi si rivela falso. Si può facilmente immaginare la mia reazione a quella scoperta pensando - volendo rimanere in tema - ai disegni dei manga, e a quella simpatica ed espressiva gocciolina che compare sulla testa di un personaggio quando è sconvolto.
Shit happens.

  
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