Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Ricorda la storia  |      
Autore: Sundy    12/03/2010    2 recensioni
Era solo un bambino la prima volta che si sono incontrati, ma ricorda, adesso, la sua sagoma rigida nel fuoco e nel ghiaccio del tramonto di quella nazione, ricorda i suoi denti bianchissimi che brillavano sotto le labbra scure, dal taglio netto.
Genere: Introspettivo, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Canada/Matthew Williams, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La riconosce solo quando la vede muovere una mano verso di lui, nella prima neve che frantuma i contorni rigidi delle strade di Ottawa, ed è come se la vedesse per la prima volta, anche se sa che lei è sempre stata lì, al fianco del condottiero che ha conosciuto i re degli Inglesi.

L’uomo è bronzo immobile, funereo come tutte le statue, ma la donna è viva.

Ha gli stessi occhi di metallo reso ancora più scuro dalle intemperie, ma le sue pupille si muovono, lo individuano, lo fissano, e quando riconosce negli occhi grigi di nuvole della nazione il bambino che ha osservato crescere fino a quel giorno, solleva il mantello di lana e gli porge la sua mano dalle lunghe dita brune.

Canada muove un passo verso di lei, e la donna gli parla in una lingua che non conosce, ma che sente di poter imparare. La sua voce è profonda, fatta di suoni scuri e bassi, come il mormorio di un grande fiume; gli parla lungamente, e Canada ascolta, pur non essendo capace di processare le sue parole.
Qualcosa dentro di lui riconosce e comprende ciò che la donna gli sta dicendo. Istintivamente, si sfila i guanti prima di raccogliere l’invito delle palme di lei.
Quando le tocca la mano sente che hanno camminato insieme per un tempo lunghissimo. Non ne ha memoria diretta, ma sente che è così.

La neve cade più forte sulle ampie strade di Ottawa, sui suoi palazzi di governo, i suoi pennoni, i suoi cavalcavia e i suoi prati all’inglese; altera la forma di quei luoghi familiari, trasforma le colonne in tronchi, i tetti in altipiani, i complessi di grattacieli in montagne, ma quella trasformazione, quel sovvertimento mite e silenzioso dell’ordine stabilito della città non spaventa Canada, tutt’altro. Gli occhi del bambino si dilatano per adattarsi a quella nuova vista, la sua mano stringe ancora quella della nazione indigena, le sue orecchie non percepiscono altro rumore che quello delle sue parole arcane, e Canada capisce di essersi fatto distrarre tropppo dalle lingue che altri bisbigliavano nelle sue orecchie, urlavano alle sue spalle, scrivevano lungo tutto il suo corpo, per troppo, davvero troppo tempo.
Capisce anche che lei, adesso, è venuta a prenderlo con la sua neve per fargli il dono prezioso di quella lingua, di quei gesti, di quelle parole, e tenerle la mano e seguirla senza domandarle direzioni è semplice come discendere il corso di un fiume.

Scivolano mano nella mano lasciandosi alle spalle le città, i villaggi, le autostrade coperte dalla coltre, il vento freddo li spinge come le vele delle navi che portarono i predecessori di lui sulle rive gelate della terra delle madri di lei, iniziando una storia di sangue, malattie e dolore che non ha ancora finito di affliggere le due nazioni, ma che in quel silenzio nuovo, appena caduto sembra lontana mille anni, e pronta ad essere dimenticata. Senza smettere di parlare, lei lo conduce sulle soglie del bosco; senza smettere di ascoltare, lui la segue, e non le chiede dove stanno andando, perché sa di conoscere già la risposta. Seguono il volo degli stormi di oche bianco panna, virgole sfuggenti nel cielo grigio amianto, e discendono mano nella mano, nel profondo del cuore della nazione, dove tutto diventa roccia, alberi, e neve, lontano dai laghi, lontano dalle coste, lontano dalla lingue degli altri, lontano da America…

Non sa se la donna abbia mai conosciuto America, ma l’impressione che riceve dal modo in cui lo guarda è che non sia così, o forse non le importa.
Era solo un bambino la prima volta che si sono incontrati, ma ricorda, adesso, la sua sagoma rigida nel fuoco e nel ghiaccio del tramonto di quella nazione, ricorda i suoi denti bianchissimi che brillavano sotto le labbra scure, dal taglio netto. Ricorda di averla sentita parlare ad Inghilterra come si parla a un pari, anche se le parole che ha usato si perdono nei suoi ricordi di bambino e non riesce a ricomporle attraverso quei suoni incomprensibili che le labbra scure della donna non cesssano di emettere, come se fosse un unico lungo respiro.

La neve, adesso, ha cambiato colore; ha perso il riverbero freddo di foglio da disegno mai usato che aveva tra le strade e sui tetti delle città, prima di sporcarsi di grigio fumo, per assumere una sfumatura che sa di latte, di pelliccia, come se la carnagione bruna della terra tralucesse attraverso quell’epidermide di ghiaccio. I tronchi gelati, nel crepuscolo, sembrano le ossa enormi di antichi animali sulle cui spoglie si è generata quella foresta immensa, e Canada vede con chiarezza che al fondo del suo cuore non ci sono città, mausolei, pennoni o bandiere, ma il corpo immortale di un grande animale di legno, terra, avorio e neve.
La bocca della bestia semiaddormentata è la capanna di legno in cui la nazione indigena lo invita ad entrare, il suo sangue è il riflesso del fuoco che ne colora le travi, il suo respiro è il calore sprigionato dalle fiamme. I suoi denti sono i denti della nazione indigena brillano nella semioscurità, bianchi come quelli di animale che porta appesi intorno al collo. Sorride, e solo allora Canada si accorge che lei ha smesso di parlare e che le sue mani hanno iniziato a farlo per lei.

Lo tocca sulle tempie e il profumo di resina del bosco e della Lunga Casa entra ancora più forte nelle sue narici, gli sfila gli occhiali e Canada non fa nulla per impedirgilelo, posa il taglio secco, che sembra appena inciso nel legno, delle sue labbra asciutte e affilate sulle sue, e Canada chiude gli occhi per ascoltarle meglio, quelle parole mute, che non capisce se non con un innato sesto senso, lo stesso sesto senso che gli fa trovare, a tentoni, il collo forte e le mani asciutte di quella nazione, tanto esotica quanto familiare, madre e compagna al tempo stesso, che tiene lontano dala sua mente tutti i dubbi e tutte le paure mentre lei si libera, come un insetto che esce dalla crisalide, del suo mantello di pelliccia e della sua cotta di lana variopinta, finchè non le restano addosso che la sua pelle scura, i suoi denti bianchi, e le sue collane di zanne, conchiglie e ossa.
Anche l’altra nazione deve uscire dal suo involucro, e le mani di argilla scura di lei lo aiutano a liberarsi di quel guscio inappropriato, sintetico, come una scoria. La sua pelle bianchissima è adesso, lo scheletro dell’Animale, così quanto quella bruna della nazione indigena ne è la carne, e quando la carne e le ossasi fondono insieme di nuovo, l’Animale si sveglia dal suo sonno, si riscopre completo, integro, e pare che quel lungo letargo non sia mai esistito…

Quando lei riprende a parlare, Canada fa fatica a comprendere quello che le sta dicendo, i suoi sensi sono ancora ottenebrati dalle resina, dal calore, dal fuoco, dall’odore della pelliccia su cui poggia la testa, e allora la ferma, le appogia due dita sulle labbra, e le dice semplicemente:

“Torna.


Torna ancora nelle mie città, e parlami.

Un altro giorno, un’altra volta, parliamoci ancora.

Voglio imparare la tua lingua, e capirti davvero, e darti io qualcosa in cambio di quello che oggi mi hai fatto scoprire.”


Poi tace, perché vorrebbe poterle parlare in una lingua che sia loro soltanto, ma quella di America è tutto quello che ha, sul momento, e non vuole abusarne. Lascia che siano i suoi occhi e la stretta della sua mano a convincere la nazione della sua sincerità. La donna sorride e con un cenno del capo, da segno di accettare la sua promessa. Si siede sulla pelliccia chiare e lentamente si sfila un pendente dal collo, e li appoggia sul torace di lui.

Una conchiglia, un sasso azzurro, e il dente candido di un animale sconosciuto, ma che ha qualcosa di familiare.



Note: (potrei andare avanti ore a parlare del niente ma la finisco qui. ) Anti-fuffa disclaimer: sì, sì, Sììì……!!! :D in quanto a visione stereotipica dei nativi americani, gli autori di Pocahontas erano dei dilettanti e IO VE LO STO DIMOSTRANDO!! –leggasi, non voglio sentire cazzate sul fatto che la storia non è ben documentata bla bla blah. Lo è quanto basta per quello che pretende di essere, un racconto di fantasia in disimpegno. Ma passiamo a cose piu serie...
“Lei” è la personificazione delle Sei Nazioni Irochesi. Per saperne di più, c’è sempre Wikia. Ha potenzialmente moltissimi nomi, cosa che non è affatto strana per la cultura dei nativi americani, quindi ho preferito non specificarne nessuno. E’ femmina perché sono un’irriducibile het-shipper di merda anche per gli Irochesi i clan sono organizzati secondo una discendenza matriarcale. E sì, i canadesi hanno un Indian Act molto più civile e si sono comportati in media in modo molto più civile con la loro popolazione indigena. Si potrebbe argomentare per ore sul perché e il percome, ma ad essere onesti tutto questo nella storia ci entra molto di straforo. La statua a cui si fa riferimento è il ritratto in bronzo di Joseph Brant, incluso nel Valiants Memorial di Ottawa.
Non ho altre osservazioni se non ribadire il concetto “andate a leggere Manituana, tutti, subito.”
Ah sì invece, dedicato a Kim, perché lei e Aleen sono *il mio* fandom di Hetalia, LOL! <3
  
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: Sundy