Suoni
soffocati, bollori, cupi tonfi all’interno dei flaconi e
delle bottiglie che
distillavano, ormai da troppi giorni, gli stessi liquidi che conosceva
fin
troppo bene. Uno sfrigolio tenue lo avvertì che
un’altra dose degli ingredienti
era pronta, e andava rimossa dal fuoco dove stava cuocendo. Ogni cosa
ha una
sua funzione, ma è solo il tempo a poter decidere
l’esito di tutte quelle
azioni.
Hohenheim
conosceva a memoria il testo che stava consultando. Ripetere ogni
operazione
meticolosamente, seguendolo riga per riga, però, gli
sembrava una sorta di rito
necessario al corretto svolgimento di ciò che si accingeva a
compiere. E aveva
bisogno soprattutto di coraggio, di qualcosa che lo spingesse a
perseverare
senza arrendersi, per portare avanti sé stesso.
Si ripulì
il sudore dalla fronte, osservando il tavolo ingombro dei suoi
strumenti di
lavoro. Ogni giorno aggiungeva un tassello a quel puzzle complicato che
era la
sua opera, togliendo e rifinendo ciò che era imperfetto,
aggiungendo quanto
mancava, confortato dalla sensazione di essere sulla buona
strada. Erano soltanto i sogni, a sorreggerlo, ormai, e ad
impedirgli che cadesse in disgrazia… il fragile combustibile
che alimentava la
sua testardaggine.
Un tempo,
neanche tanto lontano, il nome di Van Hohenheim non poteva essere
pronunciato senza
portare con sé un’aura di rispetto timoroso, se
non di paura: la fama di abile
alchimista lo precedeva in ognuno dei villaggi che visitava.
Fin da
quando era ancora un ragazzino, allievo del suo maestro e pieno di
entusiasmo,
l’alchimia lo aveva sempre profondamente affascinato:
trasmutare, indagare la
materia nei suoi aspetti più nascosti, rendersi partecipe
dei suoi segreti lo
rendevano veramente felice.
Girovagando
per il continente, spinto dalla sete di conoscenza e dalla meraviglia
per ciò
che gli si presentava agli occhi, proseguiva nei suoi studi, annotando
ogni
giorno qualcosa di nuovo sui suoi quaderni. Per quanto potesse
studiare, era
cosciente del fatto che l’uomo non avrebbe potuto mai
conoscere in pieno le
leggi che regolano la natura… ma non gli importava. Ogni
passo in avanti che
compiva significava qualcosa, e per quanto piccolo era molto importante.
Ogni
viaggio, però, è destinato a finire. E il suo non
aveva fatto eccezione…
Il giorno
in cui aveva varcato l’ingresso al villaggio di Resembool,
qualcosa nella sua
vita di silenzioso studioso aveva volto irrimediabilmente a cambiare.
Trisha
Elric era una delle ragazze più belle del villaggio:
più graziosa di un fiore
appena sbocciato, fresca e delicata come la brezza estiva, portava un
po’ della
sua essenza ovunque andasse. Se n’era innamorato quasi
subito, e dagli sguardi che
lei gli rivolgeva, aveva capito di essere ricambiato. Era stato un
incontro inevitabile,
uno di quelli che ti cambiano l’esistenza, tanto da lasciare
un segno profondo
lì dove non c’era niente prima, dove si credeva
che nulla avrebbe potuto
nascere.
Nessuna
delle donne che lo avevano circondato fino a quel momento avevano mai
acceso
interesse in lui, e ora Trisha occupava i suoi pensieri, e gli portava
una
visione totalmente nuova della vita… forse era semplicemente
nell’ordine delle
cose incontrarla, e lui lo aveva seguito.
Fatto sta
che pochi anni dopo l’aveva sposata, nonostante
l’evidente differenza di età e
le malelingue che, purtroppo, non smettevano mai di mormorare.
Seduti sulle colline tiepide di
erba scaldata dal sole, lo spettacolo del tramonto sul villaggio si
offre ai
loro occhi in tutta la sua meraviglia. Trisha è distesa a
braccia aperte, un
piccolo bouquet di fiori di campo intrecciati in grembo, e lo guarda,
dedicandogli uno dei suoi sorrisi più radiosi.
Lui non sa se considerarlo un
complimento o un rimprovero. Rimane ad osservarla, pensieroso.
“L’ho capito dal primo momento in
cui ti ho conosciuto. Sei una persona buona… sono passati
tanti alchimisti per
di qua, ma nessuno si è mai interessato a noi abitanti, se
non per sottrarci
del denaro. Tu invece ci hai aiutati… me, mia madre, e tanta
altra gente che te
ne è infinitamente riconoscente. Non so quasi nulla di te,
ma sento
profondamente di potermi fidare..”
Quella confessione è così sincera
da lasciarlo attonito: nessun essere umano prima d’ora gli ha
mostrato tanto
affetto, tanto trasporto. Trisha è girata verso di lui,
stagliata contro il
sole che tenta di rubare un po’ della sua luce, e gli si
avvicina, posando una
mano soffice tra le sue, eliminando qualsiasi tipo di barriera posta,
anche
involontariamente, fino a quel momento.
“Rimani sempre come sei, ti prego.
Non lasciare che ti cambino… non lasciare che portino via la
tua anima”.
Butta le braccia al collo di
Hohenheim, con la solita spontanea tenerezza, mischiando per un attimo
il suo
inconfondibile profumo a quello, altrettanto delicato, dei fiori. Si
lascia
cadere all’indietro, ridendo assieme a lei, troppo felice per
soppesare (anche
solo per un istante) idee come la dannazione dell’anima, il
male, la perdita di
qualcosa…
Poco dopo
il matrimonio Trisha si era ammalata. Nessun medico riusciva a capire
cosa
avesse: i sintomi erano insoliti, e al villaggio non c’era
una grande varietà
di medicinali. Deperiva giorno dopo giorno, indebolendosi, mentre il
marito
tentava, disperato, di contattare quanti più colleghi e
dottori conoscesse per
trovare una cura.
Ma una
cura definitiva non esisteva. Dopo tanti tentativi, lei se
n’era andata, il
respiro affannoso, le dita strette alle sue, spaventata. Se
n’era andata in un
pomeriggio autunnale, senza lasciargli il tempo di rendersene conto;
non erano
sue le gambe che lo portavano fuori, a buttarsi nel prato, gridare,
urlare a
chi non avrebbe mai potuto sentirlo, a chi non avrebbe mai compreso la
sua
sofferenza, a cui non poteva dare forma.
Ora era
solo, e aveva bisogno di riflettere.
Non vuole più tornare nella stanza
in cui Trisha è morta. È come se sentisse la sua
presenza ovunque, impressa
negli oggetti che ha amato e che le sono appartenuti… uno
dei primi giorni dopo
il suo funerale l’ha percepita così fortemente da
restarne turbato, tanto da non
recarcisi più nemmeno per dormire. Il giaciglio dello studio
andrà più che
bene… se solo il sonno si deciderà a tornargli.
Circondato dai suoi strumenti, sa
che solo riflettendo a lungo, e da solo, potrà trovare una
soluzione.
Aveva
sempre considerato la trasmutazione umana come qualcosa di pericoloso e
inavvicinabile, che nessun alchimista doveva assolutamente tentare:
cercare di
ridare la vita ad un essere deceduto, benché potesse
sembrare un gesto caritatevole, giusto, costituiva la più
grande delle infrazioni alle Leggi
dell’Alchimia. Un tabù.
Avendo
studiato in profondità l’alchimia, conosceva la
formula proibita che lo avrebbe
portato a raggiungere il suo obiettivo, e continuare a sfiorarne
l’idea lo
inorridiva e riempiva d’audacia al tempo stesso. Il prezzo da
pagare era alto,
troppo alto, ma era il sorriso di sua moglie a convincerlo ad andare
avanti con
le ricerche, gli occhi chiari di lei che sembravano brillare ancora nei
recessi
bui della sua mente.
E così, il
suo lavoro era iniziato, il lavoro che gli toglieva notti e giorni, che
consumava la sua anima al pari del suo corpo. Nei rari momenti in cui
si
staccava dai libri e dagli ingredienti, una fastidiosa voce interiore
gli
ripeteva che tutto era inutile, che i suoi sforzi non avrebbero portato
a
nulla, se non ad una totale rovina… ma la metteva a tacere
immediatamente, soffocandola
con la testardaggine di chi ama e non vuole perdere ciò che
di più prezioso
possiede.
Certo,
esisteva un modo per limitare al massimo il sacrificio richiesto dalla
trasmutazione. Ma si trattava, forse, di un abominio ancora peggiore.
La sua
esistenza, rifletté, lo aveva portato di fronte ad un bivio.
Come se avesse
camminato fin dalla nascita solo per raggiungere quel punto incerto, si
era
incamminato verso la strada più dura e dolorosa, consapevole
che sarebbe stata
l’unica percorribile. Ciò che per i suoi amici e
colleghi aveva significato
splendore, onore, fortuna, l’alchimia che tanto amavano, per
lui era diventata
solamente un percorso costretto verso la desolazione, la distruzione.
Tutto era
pronto. Gli ingredienti sul tavolo, il cerchio alchemico creato sul
pavimento
che brillava debolmente, e lui, fermo, i pugni stretti, a confermare la
sua
decisione.
Non
poteva e non voleva tornare
indietro.
Trisha…
Et qui toujours m'intimidas,
Tu me rends l'égal de Midas,
Le plus triste des alchimistes..
Par toi je change l'or en fer
Et le paradis en enfer.
Dans le suaire des nuages
Je découvre un cadavre cher,
Et sur les célestes rivages
Je bâtis de grands sarcophages.]
Lei sorride, bellissima come la
ricordava, seduta sull’altalena sulla quale l’ha
vista giocare tanto spesso da
bambina, e anche successivamente, dondolarsi senza peso, senza
pensieri. Sempre
felice.
Tende le braccia verso di lui,
accogliendolo nella sua stretta.
“Hohenheim.”
Le parole, che fino a quel momento
premevano per uscire dalle sue labbra, ora sembrano morirgli in gola.
Si limita
a posare lo sguardo su di lei, tristemente consapevole del significato
di
quella visione, e di cosa accadrà dopo. Nonostante tutto,
però, non è
spaventato. Solo terribilmente triste.
“Trisha… ti avevo promesso che non
avrei mai lasciato che portassero via la mia anima, e invece ho
compiuto delle
pratiche proibite per tentare di riaverti… non ho pensato
neppure per un attimo
ai tuoi sentimenti, a quello che avresti voluto da me. E ora che sei
qui, sento
che ho davvero sbagliato tutto, e non so neppure come chiederti
perdono…”
Cade in ginocchio davanti a lei,
una lacrima silenziosa che gli solca il viso e cade lentamente nel
vuoto
luminoso che li circonda. Lei lo stringe, confortandolo, con la
dolcezza di chi
prova dolore ma non vuole causarlo in un altro.
“Non
hai fatto niente di male,
Hohenheim. Come posso provare rancore verso l’uomo che ho
amato, e che amo
ancora? Non era necessario che sacrificassi anche la tua
vita… io sono sempre
con te, ovunque, in ogni momento. Ti basta cercarmi in ciò
che ti circonda, e
lì mi ritroveresti.”
Tiene il suo viso tra le mani,
fissandolo negli occhi dorati. Quelli di lei, limpidi come il cielo,
sono
rimasti sempre uguali.
“A
volte pensiamo di poterci
riprendere ciò che la vita ci ha sottratto nei modi
più estremi. La realtà è
molto più semplice… ma non posso biasimarti per
questo. Non l’ho mai capito
nemmeno io, e penso che in pochi lo capiscano davvero. Non sentirti in
colpa.
Il mio amore per te non cambierà… e non
è cambiato”.
Ho dimenticato per un attimo di
essere un uomo come gli altri. L’Alchimia non porta a
sostituirsi ad un disegno
più grande… qualcosa che nessun’arte
magica potrà mai controllare. Qualcosa di
superiore a tutti noi. ]
Allungò
la mano verso quel corpo informe, che la trasmutazione spacciava per un
essere
umano, sfiorandolo per cercare una sicurezza che non poteva trovare da
nessun
altra parte, in quel momento. Non era Trisha, non poteva essere lei. Ma
nella
follia di quegli ultimi attimi, desiderava almeno fingere di riaverla.
La
carezza di lei distese il suo corpo stanco, portandogli un
po’ di sollievo.
Silenzio.
Davanti
ai suoi occhi, le rive celesti del piccolo lago vicino al quale Trisha
era
seduta brillavano quasi di luce propria.
Che dire.. intanto, che non mi aspettavo veramente questo quarto
piazzamento. Dico sul serio: rileggendo anche mille volte la storia, ho
avuto paura di aver scritto delle stupidaggini, o di aver mandato OOC i
personaggi in maniera ingiustificata. Ma non potevo lasciarmi scappare
l'occasione di unire le poesie di Baudelaire (il mio poeta preferito)
con Fullmetal Alchemist, e in particolare con la HohoTri, coppia che
apprezzo molto ma che viene troppo poco trattata.
Sapere che non solo è piaciuta, ma ha anche "trasmesso
qualcosa", mi ha resa profondamente felice, e mi ha dato "la spinta"
necessaria a pubblicarla!
Ringrazio ancora di cuore Pagliaccio di Dio, la giudice, per averci
seguite con pazienza e valutate in maniera precisa e assolutamente
rapida (*w*).. e complimenti a tutte le vincitrici e partecipanti! Sono
curiosa di leggere le vostre storie :3