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Autore: Lady_Firiel    14/03/2010    2 recensioni
Il tempo ha un modo tutto suo di sfumare i bordi ingialliti dei ricordi, lo sapevate?
A volte, cancella le piccole cose, i dettagli.
Altre, non lascia che quelli.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quel che resta di te

Quel che resta di te



Il tempo ha un modo tutto suo di sfumare i bordi ingialliti dei ricordi, lo sapevate?
A volte, cancella le piccole cose, i dettagli.
Altre, non lascia che quelli.
Di quel periodo, ricordo quasi confusamente quel che accadde.
In realtà, fu perché nessuno si curò mai di spiegarmelo, nonostante avessi quattordici anni e non fossi più una bambina.
Morte. Solo questo sapevo per certo.
Il resto, mi toccò inferirlo dai loro discorsi.
Eppure, la mia mente riuscì a ricostruire il puzzle, anche se non oserò mai chiedere quanto di giusto ci sia, in tutto quello. Io ho le mie convinzioni, tanto mi basta.
Una malattia che fa rinsecchire gli organi interni come prugne.
E un tumore polmonare di cui nessuno disse mai nulla.
Credevano che, nascondendolo al diretto interessato, tutto sarebbe andato meglio.
Poveri sciocchi, non avevano capito nulla. E forse non l’hanno capito ancora oggi.
Si sono versate lacrime, tante.
Si sono celebrati i funerali.
E mi sono rifiutata categoricamente di prendervi parte, sputando tutto il mio rancore verso quelle strutture murarie fredde  che denominiamo chiese.
E verso quel mondo che preferiva ascoltare le parole consolatrici di un prete che pensare di propria testa a quanto successo.

Poi venne il periodo d’assestamento: i fiori sulla tomba, le rose, le orchidee, fiori candidi e chiari, quasi puri.
Quelle volte in cui ho acconsentito a prendere dei fiori, però, ho scelto gerbere arancioni e girasoli.
Nei cimiteri c’è sempre poco colore. Stupido, penserete, notare che in un cimitero non ci sia vita.
Infatti. C’è solo morte.
Un’aria quasi baldanzosa si dipinge sui quasi fasulli addolorati che portano fiori sulle tombe.
Io credo solo che sia stupido.
Se posso, evito di andarci, al cimitero.
Però, l’epitaffio sulla lapide beige del loculo… Beh, quello l’ho scritto io.
“Ad ogni domanda che ti sei posto quand’eri tra noi, ora potrai trovare risposta”
Forse. O forse no.
Ma che importa?
Quelli che hanno ordinato la lapide, mi fu riferito, rimasero colpiti da quelle parole.
Certo, non erano le parole di un disperato che si crogiola nel dolore ed esprime la propria sofferenza con versi rubati all’arte, nella speranza di smuovere i cuori dei viaggiatori.
Erano le parole di chi aveva dentro un po’ di veleno, oltre che il desiderio di dimostrare che c’era di meglio che si potesse fare.
Quando leggo quella frase, distrattamente, mi vien da sorridere, quasi con compassione.
Perché gli uomini sono davvero sciocchi.

Perdiamo il nostro tempo a domandarci cose di cui un giorno non c’importerà più.
Abbiamo perso i nostri sogni. Non è triste?
Le giornate sono trascorse, il mondo continuava a vivermi accanto com’era sempre stato.
Forse, c’era solo un po’ più di consapevolezza.
Certe storie non si raccontano alla gente che ti cammina accanto, ci si limita a conservarne un tacito ricordo.
Perché se voi condividete ciò che è vostro col mondo, non è necessario che lo faccia a mia volta, no?
I giorni si sono fatti settimane e le settimane mesi.
Sei, o forse sette, mesi dopo, moriva ciò che restava, dopo venticinque anni di dialisi –e tutti dicevano che era strano un tempo così lungo sotto quella terapia-, dopo sei, o forse sette, mesi in cui il mondo, per qualcuno, aveva iniziato a girare all’incontrario.
Certe volte, il mondo non ha necessità di conoscere gli affari tuoi.
E poi, a te non importa raccontarglieli.
Ma loro non lo considerano –come, del resto, fanno con tante altre cose, tante che oramai neppure ti stupisci più-.
E ti incazzi non poco, ti senti rodere il fegato per il travaso di bile, quando ti dicono che cosa è successo.
Ma, fosse quello.
Te l’hanno detto alle 21; Ed è accaduto alle 11.
Dieci ore.
Persino il vicino l’ha saputo prima di te.
Ma a loro che importa se il mondo conosce i tuoi punti deboli?
Non capiscono –oppure sì, ma allora l’ignorano- che tu hai bisogno di non mostrare i tuoi punti deboli.
Non puoi permettertelo.
Perché già sai che, se li scoprissero, tu diventeresti vulnerabile. E la corazza che hai costruito attorno a te, si sgretolerebbe come cenere.
Ed hai faticato troppo, per permetterlo.

Quando si entra in una casa vuota, nonostante non sia fredda, si ha come l’impressione che sia morta con i suoi inquilini.
Stupido, vero? Già.
Eppure, il brivido che mi ha percorso le braccia, quando sono entrata in quella casa, io l’ho sentito.
Ma forse sono ricordi falsati, del resto è passato del tempo.
E l’abbiamo già detto, il tempo falsa i ricordi come meglio crede, senza chiedere permesso.
Irritante, direi.
Ma forse non sempre.
Erano spariti alcuni mobili, l’avidità dell’uomo s’era fatta valere ancora una volta.
E tutte le Barbie da collezione, impolverate e ordinate –più o meno- sopra l’armadio, erano sparite, certamente finite tra le mani di chi non le avrebbe mai viste come più che bambole.
Ma, su quell’armadio, ne era rimasta una, coperta di polvere e con l’abito sozzo. Era di porcellana, i ricci capelli dorati e i vitrei occhi cerulei, come il grazioso abito lungo.
Per un attimo pensai di lasciarla lì, perché andasse a chi aveva meno anni di me.
Ma poi…
Era bella, la bambola, e aveva qualcosa, negli occhi o nel viso, che m’aveva colpito.
Così, insistetti per portarla con me.
L’abbiamo lavata, le abbiamo sistemato il cappello di piume, ancora un po’ scollato dal capo, le abbiamo pulito la borsetta e l’abito.
L’ho poggiata sul suo piedistallo, ed ora sta lì, sulla scrivania sotto al letto, dietro al computer, poggiata ad un vecchio puzzle incorniciato che non c’è spazio per appendere.
La fisso spesso mentre scrivo.
Sorrido.
Questa bella bambola dagli occhi cerulei, oramai, è quel che resta di te.

Il tempo ha un modo tutto suo di sfumare i bordi ingialliti dei ricordi, lo sapevate?
A volte, cancella le piccole cose, i dettagli.
Altre, non lascia che quelli.
E poi, poi ci sono delle volte in cui ti lascia, come monito alla memoria caduca dell’uomo, un solo oggetto, un solo monile.
Ed è un dono prezioso, sapete?
Ma noi uomini, ahimè, abbiamo l’infelice dono di trasformare l’anima in cenere.



Kon'nichiwa, gente!
Allora, questa storia mi è stata ispirata dalla bambola di porcellana descritta nel finale.
Apparteneva alla mia nonna paterna, morta il 22 marzo del 2008. E' di lei che parlo all'inizio della storia. Nel finale, invece, mi riferoisco a suo marito, mancato il 21 ottobre 2008.
Questa storia è assolutamente autobiografica, nessun dettaglio è stato inventato. A distanza di due anni, non riesco a non pensare a quel periodo con gran cinismo e un pizzico di riprovazione.
Ma si sa, del senno di poi son piene le fosse. Non si può fare nulla per cambiare le cose, quindi non vale la pena prendersela.
Racconta come mi sentivo io in quei momenti abbastanza fedelmente e l'epigrafe sulla tomba l'ho davvero scritta io. Perché leggendo la semplice sctitta "I tuoi cari" sotto le date, ho pensato che fosse disgustosamente patetico e banale. Ho PRETESO che ci fosse una targa con una scritta commemorativa.
E leggendo frasi piene d'un amore artificiosamente commovente, ho preteso di scriverla io. E non ho permesso a nessuno di cambiare neppure un virgola di quella frase.
E sarò sempre convinta che nessun'altra frase potrebbe esprimere meglio le mie convinzioni.
Detto questo, vi saluto.
Commentate, se vi va. Se non vi va non fatelo.
Grazie per aver speso un po' di tempo a leggere la mia fic

Lady_Firiel
   
 
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