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Autore: JimmyHouse    15/03/2010    5 recensioni
One-shot Tony/Gibbs padre/figlio, Tony rischia la vita per salvare Gibbs. Quali sono le conseguenze?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anthony DiNozzo, Leroy Jethro Gibbs
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ci sono molte opzioni quando si è in una situazione come quella. Tutto accade così velocemente che non c’è davvero il tempo di pensare. Solo un secondo, il tempo di un respiro, di chiudere gli occhi per un attimo. Per poi riaprirli quando si è già a metà dell’opera. Questo accade quando si è nel bel mezzo di una sparatoria. Ci sono due gruppi distinti, i buoni e i cattivi. Ma poi il sangue al suolo si mescola e finiscono per diventare un’unica cosa. Fatto sta che bisogna saper scegliere il momento di agire. Non è mai troppo presto. È sempre troppo tardi. Quando sappiamo che sta per accadere qualcosa di brutto sembra che accada tutto a rallentatore, come nei film. Abbiamo l’eroe che si volta lentamente e, quasi senza pensare, ma dannatamente sicuro di quello che fa, si getta. E poi ovviamente abbiamo il sangue.
Anche in quell’occasione l’appostamento finì in quella maniera. Abbiamo Tony DiNozzo, ventisette anni, comportamento da ragazzino del liceo, vanitoso ed eccentrico. Però nel momento cruciale si buttò come un eroe. Non c’era nient’altro da fare. Ormai il proiettile stava partendo e Gibbs non si sarebbe potuto spostare. Era troppo tardi. Semplicemente, si gettò.
Poi cadde a terra. Fu un urto terribile. Soprattutto perché gli sembrava di non poter più respirare. Era a faccia in giù. Sentiva il sapore del sangue in bocca, fino a che non divenne troppo. Ne sputò un fiotto macchiando tutto l’asfalto davanti a sé. Poi dopo un attimo, nel quale non aveva sentito nessuno rumore, avvertì un certo calore accanto a lui.
Sentì le mani di Gibbs voltarlo finché non si ritrovò a guardarlo in faccia. Non che lo vedesse molto bene. Era come se avesse delle macchie intermittenti che comparivano e sparivano, lasciandogli intravedere a scatti la realtà. Inoltre sentiva poco e niente.
-Capo- disse quasi soffocandosi dopo che Gibbs lo aveva adagiato delicatamente a terra- Ho sbagliato, mi dispiace tanto, ho solo…
Si dovette interrompere. Non riusciva a parlare. Sentiva la mano di Gibbs tra i capelli, probabilmente cercava di rassicurarlo. Stava dicendo qualcosa. Tony si concentrò su quelle parole:
-Non hai sbagliato. Starai bene, e non chiedere scusa, chiaro?
Sentì che gli occhi gli si stavano lentamente chiudendo. Non poté rispondere a Gibbs. Gli sembrò triste, avrebbe voluto dirgli addio. Un addio come si deve. Senza piangere o fare l’idiota. Solo dicendogli tutto quello che sembrava importante. “Per me sei come un padre”.
Quelle parole rimasero non dette. Sospese nella mente di Tony, mentre a stento recepiva quelle del capo, che sembravano sempre più lontane:
-Stanno arrivando. Resisti, figliolo.
E poi fu semplicemente tutto buio. Il buio degli stupidi eroi che si sacrificano per coloro che amano.
Il caso era concluso. Doveva essere tempo di riposo. Non per l’agente speciale Gibbs. Camminava avanti e indietro instancabile, come se tutto il peso del mondo si fosse posato sulle sue spalle.
DiNozzo. Era ancora in sala operatoria. Ancora.. Quante altre volte avrebbe dovuto rimanere lì fuori a pregare perché il suo agente, il suo miglior agente, uscisse vivo anche da quella situazione.
Poi sentiva i sensi di colpa per tutto il corpo. Non c’era modo per farlo stare meglio. Beh, in realtà ce n’era solo uno. DiNozzo.
Nell’ultimo quarto d’ora gli era sembrato che il lieve mal di testa da stress si fosse trasformato in una forte emicrania. In quel momento faticava a tenere gli occhi aperti. Possibile che nessuno potesse andare da lui? Possibile che nessuno potesse dirgli che Tony stava bene? Chiuse gli occhi e li strizzò. Sembravano gonfi e facevano un male terribile. Diede un forte calcio contro qualcosa di duro.
Accidenti. Non era certo giornata. Aprì appena gli occhi, giusto per trovare una sedia dove mettersi per un attimo. Gli faceva male ogni cosa. Avrebbe ucciso per sapere come stava il suo agente.
-Signor Gibbs?
Una voce lo scosse dai suoi pensieri. Si voltò e vide un’infermiera molto giovane guardarlo con preoccupazione.
-Sono io.
-Sì, ehm, bene. Come contatto di emergenza del signor DiNozzo devo dirle le sue condizioni.
-Starà bene, no?
Era chiaramente in cerca di un qualche supporto. La faccia della ragazza però non lo rassicurò per niente.
-Ha perso molto sangue signore. Il primo proiettile ha sfiorato il suo braccio, non una ferita grave, ma il secondo è passato vicino al suo rene. Ora è in chirurgia.
-Ma…qual è la sua situazione? E’ grave?
La sua voce trapelava di preoccupazione. Si potevano perfino udire le parole non dette. Stava diventando pazzo. Non potevano semplicemente dirgli che poteva scambiarsi con il suo agente. Avrebbe affrontato l’operazione al suo posto. Sarebbe morto sotto i ferri.
Certo non pensava che DiNozzo sarebbe stato disperato sapendo di non aver fatto niente per il suo capo. La sua famiglia.
L’infermiera gli porse gentilmente due aspirine e, cercando di fare in modo che non sembrasse un ordine, disse:
-Le prenda e- se posso suggerirlo- faccia una pausa.
DiNozzo non sarà fuori prima di un’ora. Lei può farsi una doccia. Qui in ospedale se vuole, signore.
Alzò lo sguardo verso la ragazza. Doveva aver capito la situazione. Insomma, lavorava in ospedale tutti i giorni, doveva aver già visto padri preoccupati per i loro figli. Mentre si stava facendo gli sovvenne questo pensiero e dopo un attimo si rese conto di quello che aveva appena immaginato. In un certo senso era la persona più vicina a Tony. Era il suo contatto di emergenza. Il suo parente più prossimo. Sapeva che il ragazzo aveva un pessimo rapporto con il padre. Ma lui non poteva pensare certe cose. Lui comunque non era suo padre. O forse sì?
Troppo mal di testa. Quando uscì dalla doccia sembrò che la testa battesse un po’ meno. Probabilmente era per il freddo. Almeno non aveva più tutte le mani ricoperte del sangue del suo agente. Si guardò intorno pensando che non aveva vestiti. Non poteva certo rimettere quelli impregnati di sangue. Dopo un attimo però vide un completo ricambio di suoi vestiti sul lavandino.
Ducky. Chi altri? Solitamente era DiNozzo che si occupava di portargli in ricambio, ormai doveva sapere la precisa conformazione del suo appartamento. Probabilmente frugava in giro per tutta la casa cercando cose interessanti sul suo capo.
Un piccolo sorriso si dipinse sul volto di Gibbs, non poteva perderlo.
Si vestì velocemente per poi controllare per quanto tempo era stato lontano da Tony. Cinquantasette minuti. Doveva sbrigarsi, non poteva arrivare in ritardo nemmeno di un secondo.
Fu piuttosto difficile ritrovare la sala giusta. All’andata aveva così tanto mal di testa che era più che sufficiente non aver sbattuto la testa contro il muro. Quando arrivò scoprì che il suo agente era appena uscito dalla sala operatoria. Sembrava l’unico uomo agitato nei dintorni. Famigliari tranquilli, rassegnati, addormentati. Infermieri e dottori che andavano avanti e indietro. Cercò ovunque la gentile infermiera di poco prima. Quella comparve dopo un attimo davanti a lui e gli indicò la via per la stanza di Tony:
-Adesso sta dormendo, ma credo che vorrà stare con lui comunque, mi sbaglio?
Gibbs si concesse un altro piccolo sorriso: -No, hai ragione e- quello era sempre il momento più difficile- grazie, sei davvero una brava infermiera. Lei gli sorrise di rimando e dopo un attimo, probabilmente indecisa se dire o non quello che stava pensando, rispose: -E lei deve essere un capo molto bravo. Se tutti fossero così paterni…
La frase rimase in sospeso mentre la ragazza si allontanava. Quindi era così. Paterno. Con questo pensiero, quello di non poter lasciare da solo il suo giovane agente, entrò nella stanza.
Rimase per un attimo immobile a fissarlo. Lo aveva già visto ferito, ammalato- anche di peste- però ogni volta era un terribile colpo. Il ragazzo era pallido, bianco come la farina. Era attaccato ad una flebo di sangue ed ad un’altra che lasciava cadere di tanto in tanto un goccia. C’era una sedia già pronta vicino al letto.
Si mise lì e, dopo un attimo, sfiorò il braccio di Tony. DiNozzo. Perchè mi fai questo, figliolo?
Poi per un attimo appoggiò la testa allo schienale della sedia e prese un attimo per riflettere. Finalmente si prese un attimo per pensare cosa sarebbe successo se avesse preso lui il proiettile per salvare Tony.
Probabilmente il ragazzo sarebbe rimasto al suo fianco ogni singolo momento. Avrebbe fatto esattamente quello che stava facendo lui. Probabilmente avrebbe sofferto altrettanto. Cos’era peggio, alla fine? Rimanere svegli e soffrire o dormire per poi svegliarsi pieni di dolore? Si ricordò quando aveva perso la memoria in seguito all’esplosione. In quel casso DiNozzo aveva gestito tutto così bene. Gli aveva davvero insegnato tutto. Però non poteva rischiare che Tony sacrificasse la sua vita per salvare lui. Lui era più vecchio. Meno importante. Se avesse perso anche Tony cosa gli sarebbe rimasto? Aprì gli occhi. Quei pensieri troppo sentimentali non lo facevano sentire a suo agio. Preferiva di gran lunga cadaveri, investigazioni, scene del crimine, caffè, ordini urlati qui e là, scappellotti…
Guardò per un attimo il ragazzo. Quanto ci avrebbe messo ancora per svegliarsi. Gibbs aveva perso la cognizione del tempo. Da quanto era lì? Controllando l’orologio si accorse che erano passate quattro ore. Doveva essersi addormentato.
-Hai qualche altro minuto per svegliarti, dopo di che inizierò a prenderti a scappellotti da qui alla California. Mi hai sentito?
Quelle parole, quelle inutili minacce a vuoto lo fecero sentire molto meglio. Certo non si aspettava una risposta. -Sì- sibilò DiNozzo cercando di aprire gli occhi. La sua voce era debole e rauca. Gibbs gli porse subito un bicchiere di acqua, un gesto automatico. Lo aiutò ad alzarsi per berlo. Ci fu qualche lamento di dolore. Un proiettile gli aveva sfiorato il fianco. La zona vicino al rene aveva detto l’infermiera. Quale dei due reni? Lo rimise delicatamente sul cuscino. Non riusciva più a capire cosa stava facendo. Fatto sta che si ritrovò con la mano tra i capelli del ragazzo.
-Visto? Ti avevo ditto che saresti tornado come nuovo. Ma tu non mi ascolti mai.
-Non è vero, capo- disse lui in un sussurro- Io ti ascolto sempre.
Dopo di che ci furono gli argomenti più seri: -Puoi dirmi perchè lo hai fatto?
Lui fece una faccia strana. Come se lo avessero appena preso a schiaffi. Non si aspettava certo una reazione del genere. Ovviamente non si aspettava nemmeno un grazie, ma perché una predica?
Non rispose, aspettò che Gibbs continuasse a parlare:
-Stupido eroe, posso badare a me stesso.
Tony rimase comunque in silenzio. Non c’era davvero niente da dire. Scosse leggermente la testa. Non poteva essere vero. Lui non voleva fare niente. Era successo e basta. Aveva visto l’arma. Poi aveva visto Gibbs. Era bastato. Sarebbe bastato per fargli sollevare un camion probabilmente.
-Non si possono controllare certe cose, è stat il mio istinto.
Non si era nemmeno accorto che la mano di Gibbs era tra i suoi capelli. Pensava solo che l’uomo fosse molto arrabbiato con lui. Non aveva capito che era solo molto preoccupato. Quello era il metodo Gibbs. Alcuni pregavano, altri piangevano, lui sgridava.
-Potevi morire. Non potevo vivere con la colpa di aver ucciso il mio agente.- poi aggiunse in maniera meno burbera- di aver ucciso te, Tony.
Si guardarono per un attimo. Volevano dirsi qualcosa come “ti voglio bene”, invece- anche se entrambi l’avevano capito- Tony spezzò il silenzio dicendo:
-Semper fidelis, papà
Gibbs annuì. Non poteva dire niente. Tutte le cose importanti erano contenute nelle tre parole appena pronunciate da suo figlio.


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