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Autore: dublino    15/03/2010    15 recensioni
Via del campo c'è una graziosa, gli occhi grandi color di foglia, tutte le notti sta sulla soglia... vende a tutti la stessa rosa
Pansy la dominatrice, libertina e sensuale.
Pansy la ragazza incompresa e sola.
Pansy la donna bella e complicata così vuota, così colma di sentimenti incerti e ignoti a coloro che le stanno intorno.
Una vita inizia e si conclude nello spazio di un feroce incrocio di sguardi.
Non tutti riescono a sopravvivere alla vita, molti ne escono con le ali spezzate e altri con la consapevolezza di essere soli.
Solo pochi, gli eletti, i possessori dei propri paradisi veri splenderanno alla fine?
Pansy una ragazza come molte.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Pansy Parkinson | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Stelle cadenti - Pansy Parkinson: Storia di una graziosa, di una bambina, di una puttana

   


 

 

 

 

 

"Via del campo c'è una graziosa
gli occhi grandi color di foglia
tutte le notti sta sulla soglia
vende a tutti la stessa rosa

Via del campo c'è una bambina
con le labbra color rugiada
gli occhi grigi come la strada
nascono  fiori dove cammina




Via del campo c'è una puttana
gli occhi grandi color di foglia
se di amarla ti vien la voglia

basta prenderla per la mano"





 

 



Fatto primo - Una puttana


Si svegliava al mattino, musa di una sola notte, nel letto stropicciato di qualcuno che non  aveva mai visto veramente.
Si alzava, svogliatamente, prendeva le sue cose... neanche un biglietto lasciava, neanche un bacio d'addio riceveva.
Pansy la libertina.
Ammaliatrice. Sensuale. Libera.
Completamente schiava.
Ritornava in camera sua, niente ad aspettarla, solo un letto vuoto e freddo.

"Ah Pansy, la passione consumata nei letti altrui raffredda il proprio" le diceva Blaise Zabini sorridendole sensuale e distaccato come sempre.
E lei? Lei sbuffava, lei non gli dava retta, lei non capiva.
Pansy non aveva mai compreso nemmeno parzialmente le parole profetiche e autobiografiche di Blaise, emblema della sua solitudine, immagine della sua vita.
Vita comoda, vita grigia.
Finché… finché quella mattina era tornata in camera sua: silenzio irreale e irreale spazio avvolgevano il suo corpo fresco.
Pansy si sentiva scomoda, come un’ eroina imperfetta in un mondo troppo stretto.
Non una voce l' aveva accolta quando era entrata nella sua camera, nella camera della sua solitudine apparente, non esibita, nascosta, personale.
Daphne non c'era, era ancora con Blaise, un'altra volta con Blaise a perdere gli ultimi sprazzi di sincerità con se stessa.
Daphne era la sua migliore amica, condividevano la vita frenetica e pesante, la noia e la crudele ansia di essere prole di vili assassini e fanatici senza carattere.
Quella mattina, appena tornata, Pansy Parkinson si era lasciata andare sul pavimento della sua camera, per terra.
Non sarebbe mai riuscita a sedere sul letto, morbido e setoso giaciglio, quante lacrime aveva accolto. Nel suo letto, di seta, di coperte delicate e fatte a mano si sentiva sola, si sentiva fredda.
Si sedette quindi per terra, le gambe nude, senza calze, stese a riposare, per dimenticare la notte di falsa e bruciante passione che avevano sopportato.
Sembravano urlare, mentre lei le guardava, tremando sul gelido marmo:
Perché ci maltratti in questo modo?
Perché non hai la decenza di tenerci chiuse, al sicuro e all'asciutto?
Il capo si scuoteva, rafforzando il suo diniego forzato, il cuore batteva con sprezzo.


“Solo una scopata”

Una scopata come le altre.
Muoversi sul letto sotto quel corpo sconosciuto e pesante, quel corpo che non era suo e che mai avrebbe potuto diventarlo.
Tremava Pansy, per un motivo sconosciuto anche alla sua anima mentre l'amante la usava per il suo piacere, un momento di effimera passione.
Passione?
La passione bruciava e lei lo sapeva bene.

Quello invece era solo movimento, movimento che immobilizzava e piegava, che le tarpava le ali, che le chiedeva qualcosa che lei non poteva dare.
Pansy sapeva bene cosa voleva: dimenticare, non pensare, non accettare.
Aveva messo il freno e mai lo avrebbe levato.

“Sei una puttana Pansy”

Quattro parole. Solo parole, solo sillabe, lettere messe l'una dietro l'altra.
Se Pansy si concentrava poteva sciogliere il significato, poteva abbatterlo, anagrammarlo, eliminarlo, confonderlo e dimenticarlo.
Quante volte lo aveva fatto?
Con i suoi genitori.
Con Daphne.
Con i suoi insegnanti.
Con gli amici.
Tante, tante volte. Era un’ esperta ormai, niente, assolutamente niente che lei non volesse poteva colpirla. Nessuna parola, positiva o negativa che fosse, riusciva a penetrare attraverso il suo guscio forte, la sua barriera.
Nessuna parola tranne le sue.
In quel momento, quando quelle quattro parole erano uscite dalle sue labbra ed erano entrate dentro di lei, non era più riuscita ad eliminarle. Il gelo in cui l’avevano murata non si era sciolto.
Le lettere erano rimaste al loro posto, il significato aveva attaccato e cominciato a corrodere piano i suoi organi vitali.

“Noi siamo come ci vedono gli altri?”




"Ci sono individui composti unicamente da una facciata, come case non finite per mancanza di denaro. Hanno ingressi degni di un gran palazzo, ma le stanze interne sono paragonabili a squallide capanne."
(Gracian)

 


Non ne aveva mai avuto dubbi:
Era l'apparenza quello che contava; la forma, non la sostanza; il freddo involucro, non il caldo e sensibile contenuto.
Un gioiello dal meraviglioso rivestimento di diamanti ma desolatamente vuoto al suo interno.

 



"Non ha niente, ma dall'aspetto sembra tutto. Che cosa si potrebbe desiderare di più?"
(O.Wilde)

 

 


Sua madre: decisa, fredda, elegante.
Di lei ricordava il gradevole e raffinato profumo di orchidee, lo sguardo arguto e severo, il cipiglio degno di un generale.
Ricorda Pansy non mostrare mai quello che sei ad un uomo, accontentati di quello che sembri. Basterà anche a lui.”
Aveva torto.
Eccome se ne aveva… ma oramai era troppo tardi per fare marcia indietro. Era sempre stato tardi.

Le parole di Draco: gelide come il ghiaccio; appuntite come frecce; falsamente dolci, mascherate di mellifluo e scontato garbo.
Quelle parole le avevano perforato l'anima, scavato profondamente nell' involucro debole e contaminato il contenuto finora quietamente sopito di Pansy.
La ragazza aveva fissato le labbra di Draco, quelle labbra… così belle:morbide, delicate, con il sapore così unico di lui: alcol, menta, piacere.
Un mix capace di farle girare la testa, surriscaldare l’animo, incendiarle il cuore, rompere la barriera forte.
Come potevano, ora, quelle labbra ferirla ed ucciderla così?
Gli occhi, forti e pesanti lamine grigie affondavano perigliose e quiete nei suoi occhi verdi che inesorabilmente si inumidivano.
“Non capisco… Cosa ti ho fatto?... Io, io... non capisco…", aveva balbettato respirando la sua aria
“Finiscila Pansy” gelido ordine, scuro e cupo come il fumo.
Bruciava gli occhi come il fumo.
“Draco…” l'aveva chiamato fra i singhiozzi. “Aspetta..io..” la bocca asciutta, gli occhi appannati, le gambe fresche strette fra loro, braccia che si protendevano in avanti, invano.
“Perché non vuoi capire Pansy? Sei così vuota...”
Era andato via.
Andato via, come il fumo.
Draco Malfoy era come il fumo.
Occhi grigi come il fumo, inondavano i suoi con tempestoso fervore, parole che ottenebravano e soffocavano come la nube più cupa.
Una scia, non restava altro del suo passaggio.
Come il fumo Draco Malfoy aveva impregnato la sua anima, l'aveva marchiata.
Era scivolata sul pavimento, luogo adatto ad una come lei, pensava.
Rifletteva, stringendosi le gambe fredde con le braccia, tentando di non affogare nella lontananza.
Che sciocca era stata.
Lontananza… lui non era mai stato suo, mai l'aveva avuto veramente: neanche quando passava le notti con lui; neanche quando lo accarezzava mentre dormiva.
Lui invece l'aveva avuta subito, con un battito di ciglia, con uno schiocco di dita.
Era stata sua e sua sarebbe stata.
Dal primo momento che aveva posato i suo occhi su di lui aveva sentito un battito, un brivido, aveva sentito, sognato, capito.
Lo voleva, lo amava.
Voleva essere sua, doveva essere suo.
Niente di tutto questo si era realizzato.
Con lui era stata un illusione! Perdita nel trovare; dolore nella felicità; preoccupazione nella spensieratezza.
Era stata sola e non se ne era accorta, era diventata il suo passatempo, ne era stata orgogliosa.

“Sei una puttana”

Non aveva mai dimenticato il suo tono di voce mentre lo diceva.
Quella voce...sottile, strascicata, vellutata, roca, sua.
Era stata fredda, era stata pregna di tutto il disprezzo che lui realmente provava nei suoi confronti.
Per un attimo, infinitesimale ma sconvolgente, Pansy era stata orgogliosa, aveva quasi provato soddisfazione nel sentirsi al centro dei suoi pensieri seppur per un momento.
Come era comparsa la soddisfazione, l’illusione e l’amarezza, era scivolata via.
I suoi occhi avevano incontrato quelli di Draco.
Nella sua voce, in quella voce:
cupo risentimento... “Perché non la finisci?”
noia… “Sappiamo entrambi cosa sei, Pansy”.
Aveva persino sorriso dell'espressione sbalordita di lei e le aveva accarezzato una guancia.
“Sei così vuota...” aveva sussurrato come una voce nel vento, melliflua e carezzevole, acuminata e forte.
“Aiutami allora”.
Aveva scosso il capo, scuotendo anche i biondi capelli.
Lui, il più dolce e perfetto fra i miti su cui riversare la sua idolatria... la disprezzava.
Aveva urlato, parlato, implorato e infine pianto.
Lui era andato via e non era più tornato, non era mai tornato perché mai ci era stato.
Aveva visto solo il suo riflesso, non aveva mai carezzato e annusato la sua essenza.
E ricordava, pigramente stesa sul tappeto della sua camera vuota: sospiri solitari, abbracci spezzati, baci inutili e senza sapore.
I baci dell'unico uomo che aveva mai amato erano senza vita.
Cosa era che le faceva più male?
Non ci pensava allora, troppo presa a godersi la sua presenza evanescente.
I baci, quei baci, i suoi baci. Di Draco, dell'uomo che amava... scivolavano via come un fiume.
Draco bagnava il suo corpo, feriva la sua anima, la privava della sua essenza.



“Tu sei vuota”



La verità era che non si era curato della sua anima.
Perché doveva farlo, dopotutto?
Lui non aveva mai pensato a lei come una persona: lei era solo una bambola priva di vita, una pedina, un pallido riflesso di quello che lui voleva, ma non da lei.
Era stata mite; era stata sensuale; era stata sua.
Si era concessa a lui con tutta l'anima, ma il loro non era stato un incontro, figuriamoci amore.
Pansy aveva concesso a Draco tutto ciò che aveva: la sua prima volta; il suo corpo ogni volta che lui aveva voluto; la sua anima, la sua forza, le sue braccia, le sue labbra… ed infine la sua essenza.
Pansy si era persa, aveva donato tutta se stessa all'uomo che amava ma che era l'uomo sbagliato, l'uomo che non la voleva e che non dava certo importanza ai suoi doni.
Sola, senza più la sua essenza, senza la sicurezza a battere appassionata nel suo cuore, l'orgoglio che aveva ostentato per anni, piangeva per terra.
Draco aveva preteso e ottenuto tutto senza chiedere. Con la sola forza del suo sguardo di mare in tempesta, con le sue labbra di menta e il suo corpo.
Draco non aveva chiesto ma aveva avuto… le sue mani, tante volte si erano mosse nella disperata ricerca di qualcosa di introvabile sul corpo di Pansy, le sue mani non avevano colmato ne amato, ma scavato un profondo baratro in cui era caduta e da cui non riusciva più a risalire.
Le sue labbra avevano pronunciato un nome che Pansy aveva cercato di arginare, escludere, ma che riusciva solo a ricordare meglio, a conoscere  e odiare sempre di più, con un ardore che contrastava la cupa sostanza dei suo occhi.



"Il peccato più grande è quello che si commette uccidendo in una creatura la vita d'amore"
(Ibsen)

 



Draco l'aveva uccisa dentro, aveva condannato silenziosamente il suo amore tracciandolo come falso con una scusa.
Aveva spento il suo animo sensibile - "Sei così vuota...”
Aveva plasmato il suo corpo, marchiato il suo cuore. - "Sei la mia puttana."

 

 




Fatto secondo - La bambina


E poi li aveva visti..
il suo cuore aveva cessato di battere per un tempo impossibile da cronometrare; i suoi occhi, verdi specchi, riflettevano una scena che non avrebbe mai voluto vedere.

Loro!

I loro corpi intrecciati, uniti, scambiati, purificati, sporcati.
L'uno dentro l'altra.

Loro!

Sospiri, passione, amore delirante.
Contrasto. Emozioni. Opposti. Completamento di anime.
Lui.
l'unico del suo corpo, della sua anima e del suo cuore era lì con...
Lei.
Grifondoro, mezzosangue, l'amica di Potter, la so-tutto-io .
Abbracciati, innamorati, fusi insieme.
Completi, eccitati, desiderosi, caldi.
Si riscaldavano di quel calore che lei non aveva mai provato.
Si libravano in aria nel movimento intenso e spasmodico dei loro corpi.
Si vedeva, non conoscevano l'immobilità, l'orrore delle sue inutili scopate.
Loro.
Sospiri, passione, amore delirante
Sospiri: Erano l'uno per l'altra; passione: legati nel profondo; amore delirante: Pansy non lo conosceva.
Pansy non conosceva il risveglio del cuore, il riverbero dell'anima, il respiro acceso del loro spirito.
Non aveva mai sentito la perfezione dilagante, il piacere potente e le lacrime assolutamente estatiche della mezzosangue. Neanche quando gli aveva concesso il suo corpo vergine; neanche quando aveva accettato di essere solo la sua puttana.
Era scappata dopo avere ascoltato il loro amore intenso, le parole sussurrate da entrambi, gli sguardi che lui rivolgeva alla mezzosangue. Era innamorato di lei, dipendente da lei, suo.
Gli occhi grigi erano venati d'argento, labbra perfette sorridevano insieme a lei. Braccia, gambe, erano solo un prolungamento del suo cuore che batteva intenso e forte contro quello della sua donna.
La sua donna, il suo amore. La sua mezzosangue.
Corse via quella notte, incespicando spesso con le sue gambe fresche.
Il bagno l'accolse...
Bile trasparente si riversava sul pavimento freddo.
Pansy rabbrividiva ignorando il dolore alle ginocchia sbattute con forza contro il gelido marmo.
Da quel giorno aveva lasciato l'idea di lui e aveva abbracciato la vita libera, sporca, carceraria, malata.
Sesso e fumo.
Sonno e incubi.
Desiderio di nulla



"La giovinezza già dilegua ed io nel mio letto resto sola"
(Saffo)




Era tornata, trascinandosi, in camera sua.
Capelli neri arruffati, avevano dimenticato la setosa consistenza di un tempo; occhi verdi spenti, specchi di foglie ormai accartocciate.
Si era stesa per terra, oramai era quello il suo rifugio, voleva dormire e forse nel sonno avrebbe dimenticato la visione di loro.
LORO. Sospiri, amore delirante, libertà.
Tutto quello che aveva sempre voluto e che non aveva mai potuto avere.
Si era accovacciata in quel misero angolo di solitudine oramai vivida, chiusa fra le proprie braccia, il corpo sottile imprigionato su se stesso.



Sola come un corpo chiuso, un pugno che si tende nel momento della furia più gonfia.
Sola come una farfalla priva di ali.
Sola come una carezza data ad una bambina nascosta nel corpo di una puttana.


“ Così vuota... Pansy, sei così vuota”
Vuota
Vuota
Vuota
Riecheggiavano parole nel corpo scontrandosi audaci contro i timori mai repressi della sua mente danneggiata, del suo caldo e tenero involucro da bambina.

“Pansy, mia piccola Pansy, mia graziosa bimba...” cinguettava Blaise, mani delicate e occhi perforanti, maliziosamente blu.
“ Sei la donna di tutti e la bimba di nessuno…” ripeteva ridendo sommessamente mentre fumo, denso, perfetto e nebbioso, univa le loro labbra di un unico e febbricitante sapore.
Adoravano scontrarsi, di labbra dense di fuoco e di alcol si perdevano nei loro paradisi artificiali, falsi ma non meno esaltanti di quelli che non avrebbero mai potuto avere.


 



“Sono vuota Blaise?..” chiedeva innocente, lui era l'unico che riusciva a cogliere e coccolare la bambina.
“Solo se tu vuoi esserlo” rispondeva, corpo perfetto, delicate e sode sinfonie di cioccolata.
La risposta di Blaise, enigmatica come il suo sorriso sensuale, pericoloso, lontano e vicino allo stesso tempo.
“Grazie Blaise..” sussurrava fra i suoi capelli mentre ancora condividevano i loro corpi
“Quando vuoi mia bimba...”
E sorrideva, amara e cupa consapevolezza.
Non era suo, non era sua. Andava bene così.


Il tempo, muto silenzio e medico dei dolori, passava lento, tiepido, imbarazzato dagli avvenimenti.
Avvenimenti scontati: Sola, inutile, invidiosa.
Avvenimenti reali: bambole rotte.
Avvenimenti.
Li osservava ancora, di nascosto, scambiarsi baci di fuoco fra le colonne, nei corridoi, in classe, nel cortile.
Ovunque. L'aria sembrava gravida del loro fuoco mai consumato.
Il fuoco dell'amore, arde, divampa, ma non si consuma se quello che lo alimenta è vero sentimento e non precario e inutile squallore di corpi che si inseguono.
Chiudeva gli occhi, li abbassava e guardava altrove.
Non bastava mai.
Occhi bassi, sguardi spenti, mani che si stringevano per darsi forza.
Calore freddo.
E il loro profumo passava oltre, loro così chiusi e liberi nel loro vero paradiso.
Seguiva le lezioni con la sola presenza del suo corpo, dimentica dei doveri della sua vita.
Ignorava chiunque non fosse Blaise, chiunque non fosse Daphne.
Daphne, musa ispiratrice delle sue notti di risate.
Come le sembravano lontane quelle notti, colme di giochi e piume di cuscini bianchi.
Erano lontane e non sarebbero più tornate, pensava, piegandosi sul banco alla ricerca di una posizione comoda per dormire.
“Ehi  Pansy...” Theodor Nott  la chiamava, irritato dalla sua sonnolenza.
Aveva alzato il viso e incontrato quegli occhi verdi, quelle labbra così sue, così lontane da quelle alla menta di lui.
Pronunciare il suo nome le era diventato impossibile e molto doloroso, se riusciva a fare a meno di dirlo, non frenava la dolcezza dolorosa che sprigionava il suo nome nella mente.
“Andiamo un po’ fuori, ti va?” Aveva chiesto il giovane guardandola implorante
“Perché no...” aveva sussurrato lei lanciandogli uno sguardo etichettato.
Daphne aveva scosso il capo, lei l'aveva zittita con un occhiata  quando aveva notato lo sguardo morboso e ossessivo che lui rivolgeva  alla mezzosangue.
Theodor aveva sorriso, realmente felice, quella ragazza nonostante tutto le piaceva.
“Sei bella Pansy, così bella...”sussurrava il ragazzo portandola velocemente nello sgabuzzino più vicino alla classe.
Pansy chinava il capo, scoprendo il collo sottile, il collo fragile, accogliendo le labbra umide e desiderose del giovane.
Non aveva sentito niente mentre lui la reclamava in quello stanzino umido, solo movimento e rumori imbarazzanti da parte di lui.
Pansy non aveva sentito le parole di lui, la sua estasi non condivisa.
“Sei meravigliosa Pans...” sussurrava stringendola a lui, ignorando l'assenza della sua anima.
E ricordava momenti colorati della sua infanzia, piccole corse e sole negli occhi, pensieri delicati, ingenui e inutili, per questo tanto importanti e consolatori.
Non era più tornata a lezione quella mattina, aveva fumato con Theo in camera sua.
Ah... L'estasi falsa e pesante sprigionata da quel fumo così avvolgente.
Sentiva il suo corpo raccogliersi in una bolla di colore, rideva e le labbra si piegavano in sorrisi così dolci.
Il suo mondo era di nuovo aperto e lei leggera come una farfalla capace di volare saltava di ricordo in ricordo, di sogno in sogno.
“Ti piace Pansy?..” chiedeva Theo, soddisfatto di se, sicuro di farla stare bene.
“Uhm..si Theo..si..è da estasi..”
“Già, una favola..” le fece eco lui carezzandole dolcemente una guancia, vedendola scostarsi inorridita. “Cosa hai piccola?..” le aveva chiesto avvicinandosi, la canna in una mano, l'altra mano fredda sulla sua guancia.
“Tu..non..non toccarmi..”.Era scoppiata in un pianto ininterrotto, aveva urlato ai suoi tentativi di abbracciarla.
Theo si era allontanato lasciandola cadere per terra, dove lei voleva stare, sul tappeto.
Sagome, erano entrate in quella camera, si muovevano urlando con le loro voci storpiate echeggiavano nella testa di Pansy, spaventandola.
Non vedeva che sagome, sfocate, spaventose, animate da voci pesanti e brutte.
I colori della pelle, dei capelli, persino degli occhi si mescolavano muovendosi al rallentatore e legandosi al colore delicato delle pareti.
Pansy cominciava ad arretrare osservando le sagome urlanti avvicinarsi e piegarsi verso di lei.
Gli occhi verdi, rossi, stanchi, lacrimavano instancabilmente; le mani deboli si aggrappavano al tappeto insieme alle gambe.
"Cosa credevi di fare Theo?! Pensi forse che scopartela in questo modo le faccia bene?! Non capisci che ha bisogno di riposo...", urlava Daphne, la sagoma bionda e azzurra.
Theo, la sagoma, verde e castana, retrocedeva spaventata di fronte al fulgore dirompente della sagoma di Daphne.
"Lei voleva stare con me, non l'ho costretta...!" si difendeva il ragazzo, guardando verso la sagoma blu e nera di Blaise, immobile e particolarmente severa sulla porta.
"Idiota non capisci che lei non si negherebbe neanche ad un ippogrifo in calore?"esclamava Daphne, gli occhi, sfocate macchie azzurre correvano verso la ragazza accovacciata sul tappeto. Pansy si stringeva la testa con le mani, si cullava in un movimento frenetico e insensato.
"E ora che tu ti faccia i cazzi tuoi Daphne!"diceva Theodor, la sua sagoma cresceva riprendendo forma accanto a quella della ragazza bionda.
"vattene Theo prima che ti schianti.."disse fermo Blaise
"Cosa dici Bla..tu sai che.."
"Si, si... Ma ora non è il momento di parlare di sentimenti, Pansy non può capirti ora.." diceva piano, diplomatico e convincente.
Theodor Nott era uscito dalla camera di Pansy sbattendo la porta. Le sagome avevano sussultato simultaneamente.
"Pans... Tesoro! Pans stai bene? Mi senti?"la voce di Daphne era normale, Pansy la sentiva sicura nella sua preoccupazione.
"Blaise non mi sente, dobbiamo portarla in infermeria!"
"No Daphne, si metterebbe nei guai"
"Ma cosa le succede?"Daphne tremava
"Hanno solo fumato troppo, ci vuole tempo, deve solo dormire." Le parole di Blaise avevano riscosso Daphne che si stese sul tappeto accanto a Pansy.
"Pans, sei solo una bambina, non sai quello che potrebbe succederti..." sussurrava Daphne, lamentandosi accanto al viso appiccicoso e rilassato della ragazza.
"Pans, io lo so è tutta colpa sua.. Solo sua, tesoro..."sussurrava in una litania senza calma cullando la sua migliore amica.


La solitudine: bolla ovattata, spaventosa cupola invisibile, delirio cupo dei proprio orrori.
La solitudine di Pansy: “Sei così vuota, sei la mia puttana”
La solitudine di Daphne: “Aiutami Blaise, resta con me”
La solitudine di Blaise: “Sei così dolce, una bimba, la mia bimba”
La solitudine: aggrovigliato esempio di dolore squassante, di paura e dolce sgomento.
Ditemi ombre, mi abbandonerete?
Non possiamo, di te facciamo parte, come il sangue e l'anima.


 

 


Fatto terzo - Una graziosa

 



Un tempo era stata bellissima, forte, sicura, l'emblema della serpeverde perfetta.
Pansy Parkinson, una donna dal carattere deciso, una persona necessaria a se stessa e agli altri.


"La bellezza ha molti significati così come l'uomo ha molti stati d'animo . La bellezza rivela tutto, perché non esprime niente. Quando si mostra a noi, ci rivela l'intero mondo dei colori fiammeggianti"
(O.Wilde)

 


Era stata bellissima, colma di una fiamma che riusciva a scaldare coloro che le stavano accanto: la fiamma dell'orgoglio, della superbia, della passione, della sicurezza.
Brillava impetuosa caparbietà negli occhi verdi e grandi, splendeva spavalda convinzione mentre parlava sicura, esplodeva consapevolezza di successo durante i suoi anni migliori, i primi.
Attirava su di se sguardi concitati, ammiccanti, occhi di mille colori.

Pansy era stata egoista, aveva costretto i suoi spasimanti, muti cavalieri serventi dei suoi desideri ad essere come lei voleva.
Camminava ridacchiando con Daphne, ignorando coloro che avevano più bisogno di uno sguardo.



"Egoismo non è vivere come si desidera vivere, ma è chiedere agli altri di vivere come noi desideriamo vivere"
(O.Wilde)

 


“Per favore Pansy, ho bisogno di te…” sussurrava il giovane innamorato
“Non è il momento Justin, va via, ho da fare ora…” diceva crudele, egoista, astiosa.
L'inopportuno sentimento del ragazzo l'annoiava.
“Pans, devo dirti una cosa...”
“Me la dirai domani...”
Era uscita gettandosi alle spalle il desiderio di ascoltare, piccola parte nel suo egoismo in crescita.
E cresceva, cresceva, nutrito dai mille occhi innamorati e servili. Cresceva e lambiva con lingue di fuoco l'animo sensibile della ragazza di verde.
Cresceva pingue di vizi e capricci.
Era cresciuto, l'aveva infettata.


Pansy era stata una peccatrice, nel piacere aveva riversato il suo ingegno.

"Una passione smodata per il piacere è il segreto per rimanere giovani"

Le sussurrava Blaise il colto durante i loro incontri proibiti e sensuali.
Era stata amica, desiderata amante, ricca fanciulla discendente di decadenti vizi, viziata principessa, regina dei capricci del suo re.
E adesso...
Giaceva, sola e afflitta in un angolo squallido della sua camera da letto.
Lontana dal mondo che in una vita passata aveva dominato; lontana dalla persona che amava e che la disprezzava con freddezza; lontana da quella che era stata e che mai più avrebbe potuto essere.

Si era alzata, lavata con l'aiuto delle mani di Daphne ed aveva ripreso a camminare nei corridoi bui della scuola, nei giardini scuri.



"Triste mio spirito, un tempo innamorato della lotta, la speranza il cui sperone attizzava i tuoi ardori, non vuole più cavalcarti! Giaci dunque senza pudore, vecchio cavallo il cui zoccolo incespica ad ogni ostacolo.


Rassegnati, cuor mio: dormi il tuo sonno di bruto!

Spirito vinto e stremato! Per te, vecchio predone, l'amore ha perduto il suo gusto, e l'ha perduto la disputa; addio canti di ottoni e sospiri di flauto! Piaceri, desistete dal tentare un cuore cupo e corrucciato!

L'adorabile primavera ha perduto il suo profumo.


Il tempo mi inghiotte minuto per minuto come fa la neve immensa d'un corpo irrigidito; io contemplo dall'alto il globo in tutta la sua circonferenza e non vi cerco più l'asilo di una capanna.

Valanga, vuoi tu portarmi via nella tua caduta?"
(C.Baudelaire)

 





Camminava con passo sicuro che risuonava nei corridoi di dura pietra.
Il bellissimo viso di Daphne splendeva di ira, decisione e cupi sentimenti.
Al suo passaggio si voltavano in molti osservandola con ammirazione, riverenza si leggeva nei volti assorti.
La porta della camera di Draco Malfoy si spalancò con forza.
Beatitudine, dolce e leggera si coglieva sul volto angelico e perfetto di Draco.
Era steso, con la ragazza che amava sul letto sfatto; le braccia unite alle spalle di lei, le gambe intrecciate a quelle di lei.
I visi dei due giovani amanti erano dolcemente vicini, le loro labbra si sfioravano nell'appagato sonno dopo l'amore.
Daphne percorse con lo sguardo bramoso di vendetta, di odio e disgusto, i corpi uniti nel sonno, la delicatezza con cui entrambi si stringevano.


Felicità si aggiungeva al dolore della vista, sogni si univano agli incubi colmi di odio, baci e carezze languivano all'oscuro della realtà.


Draco aprì gli occhi, stringendo con possessione di miele il corpo della ragazza ancora assopito; lo sguardo soddisfatto si mutò presto in orrore vedendo Daphne in camera sua.
"Cosa fai qui?" chiese, cercando di non svegliare la mezzosangue, coprendola con il lenzuolo.
"Mi fai schifo Draco Malfoy.." sussurrò Daphne ,delicatamente, avvicinandosi
"Cosa dici Greengrass?" disse Draco, il tono calmo ma seccato, le mani ancora strette attorno alla vita di Hermione.
"Vergognati vile bastardo... tu e la tua puttana mezzosangue, fate schifo!" esclamò la bionda  osservandolo scostare piano la ragazza addormentata e alzarsi.
"Cosa cazzo vuoi eh Greengrass... vi rode forse a te e alla tua amica?" sibilò velenoso.
"Maledetto..."
"Non permetterti mai più... Hai capito Greengrass ad usare quel termine nei confronti di Hermione! O giuro che..."
"Che?! Cosa fai eh? Stronzo!"
"Vattene e lasciaci in pace." disse Draco prendendola per un braccio e portandola verso la porta.
"Bastardo, sei un bastardo Draco Malfoy, spero con tutto il cuore che tu faccia una brutta fine! Tu e la tua puttana mezzosangue" disse Daphne.
Si sentiva talmente colma di odio che avrebbe potuto avvelenarlo solo con un morso.
"Ora basta, vattene..."sussurrò Draco osservando Hermione dormire ancora.
Con una mano veloce prese il braccio della ragazza bionda e la sbatté fuori la porta.
"Ricordati che non me ne frega un cazzo di quello che pensate tu e la Parkinson" sibilò vicino al suo orecchio, la voce delicata, melliflua, dolce. "Ora sparisci" disse infine chiudendo la porta con un incantesimo.
Fuori dalla camera da prefetto di Draco, Daphne piangeva lacrime di odio.
Nella sua camera Draco abbracciava ancora il suo unico amore.



La fine dell'anno scolastico arrivò così velocemente che colse di sorpresa gli alunni e gli insegnanti.
Pansy aveva deciso di non tornare a casa per le vacanze, almeno non per il momento. Aveva chiesto una dispensa speciale al preside, che stranamente l'aveva accolta.
“Potrai rimanere ad Hogwarts per tutto il tempo necessario...” aveva detto Silente, osservandola con quei suoi azzurri occhi penetranti.
Pansy si era sentita capita per la prima volta da quasi un anno.
Le lacrime erano state accolte con un malinconico sorriso da parte dell'anziano uomo che aveva aspettato con pazienza, aveva rispettato il suo sfogo.
Era rimasta sola, ad Hogwarts, con l'unico compito di catalogare i libri della biblioteca della scuola.

“Albus, non credo sia la scelta giusta... Lasciare sola quella povera ragazza...” aveva obbiettato con delicatezza la professoressa McGranitt.
“Non preoccuparti Minerva. Ha bisogno di stare sola, da troppo tempo è sommersa da voci che la disturbano.”
“Dici che tornerà come prima?” aveva chiesto un po' in ansia, molto scettica.
“Questo non lo so neanche io ma credo che troverà la sua luce. La situazione cambierà Minerva.”.
La donna aveva annuito, accogliendo le parole del suo preside come un balsamo.
Il tono conciliante e sicuro di Albus Silente l'aveva sempre tranquillizzata.
L'ultimo giorno di scuola Pansy aveva salutato i suoi compagni, aveva visto la mezzosangue e lui baciarsi prima di salire sul treno.
Era entrata a scuola, non ne sarebbe mai uscita con le sue gambe.


Le giornate passavano lente, estenuanti, pesanti.
Pansy si svegliava al mattino sempre più stanca, il suo corpo non rispondeva più agli stimoli, il suo viso un tempo roseo e delicato era diventato molto pallido, un ombra di malattia vi si leggeva.
La sera cenava sempre con qualcuno, il professor Silente, Gazza, la professoressa McGranitt.
Catalogava i libri, camminava, faceva tutto senza parlare, respirando appena.
Non viveva più.
Ci pensava da mesi ormai ma non aveva mai avuto il coraggio...
Da una parte durante i mesi scolastici aveva pensato di non volere dare dimostrazione del suo tormento, dall'altra parte aveva paura.
Ora però scuoteva leggermente il capo in ricordo dei suoi sciocchi timori.
Che senso aveva vivere se doveva farlo senza di lui?
Che senso aveva continuare a trascinarsi su questa terra sapendo di essere disprezzata così duramente?
Era già morta da quasi un anno, la sua anima prima annebbiata e poi marchiata era stata uccisa.
Voleva in quel momento che anche il suo corpo macilento e stressato finisse la sua vita terrena.
Aveva deciso.
Aveva vissuto un anno senza vivere davvero, ora sarebbe morta, il suo ultimo spiraglio di luce, quello che lei aveva lottato per preservare dalla distruzione della sua anima prosciugata, lo avrebbe usato per consegnarsi alla morte con dignità.
La notte si San Lorenzo giunse presto, molto presto...
Ogni giorno che passava Pansy si sentiva più leggera, quasi come se il suo corpo insieme alla sua anima stesse affrontando un periodo propedeutico alla vita eterna.
Camminava per i corridoi della scuola, quella notte senza sentire i suoi passi, ascoltava l'aria fresca, estiva, dolce, che la spingeva verso la torre di Astronomia.
Quando giunse in cima alla torre, con indosso solo il suo vestito nero di voile, sentì di essere giunta al momento culminante della sua vita.
La mente, libera dal dolore della perdita si accingeva ormai pronta ad accettare quello che sarebbe stato...
Il dolore?
Pansy non ci aveva nemmeno pensato, semplicemente non credeva di potere provare nel corpo più di quanto non avesse già sentito nello spirito.
Aveva assaporato in quel lunghissimo anno, il suo ultimo anno di vita, un dolore forte e totalizzante, ogni mattina era aumentato per raggiungere poi il culmine ed espandersi nel suo corpo, come sangue, come olio, come morte.
Si avvicinò, delicatamente, accarezzando l'aria fredda con le labbra secche e screpolate dischiuse nel respiro forzato, alla balaustra della torre di Astronomia.
Quella notte, fresca e serena era quanto di meglio si potesse aspettare per la sua uscita di scena. Sentiva la leggerezza del suo abito amalgamarsi al tocco delicato dell'aria estiva.
Aveva dimenticato negli ultimi periodi il potere dei ricordi ed in un soffio sparì la sua mente riportandola negli anni passati.


Era la notte di san Lorenzo di dieci anni prima, aveva appena 7 anni e piangeva, sola e inerme sul balcone di casa sua.
“Perché piangi?...” aveva sussurrato suo padre, osservandola severo
“La mia bambola si è rotta”
“Perché non hai chiesto ad un elfo di aggiustarla?” chiese lui con tono ovvio e colmo di pazienza
“La mamma me lo ha impedito... dice che devo avere cura delle mie cose...” spiegò lei, le lacrime che annebbiavano la vista.
“E tu cosa pensi?Secondo te ha ragione?” aveva chiesto suo padre, un ombra di curiosità sul viso tanto severo
“Si... si... ma io sono triste per la mia bambola...”
“Ti racconterò una storia. Così non ci pensi più... Va bene?”
Pansy aveva annuito sconvolta dal modo tenero con cui il padre le stava parlando. Non aveva osato abbracciarlo ed aveva ricominciato a piangere, sommessamente, quando lui l'aveva presa in braccio.
“Una notte di venti anni fa Pansy, tuo padre era molto triste... Era la notte di san Lorenzo, il dieci agosto, proprio come questa sera. Tuo nonno allora mi raccontò che se tu desideri qualcosa, mia cara, e durante questa notte ti affidi al cielo e guardi le stelle, allora il tuo desiderio un giorno si avvererà...” disse il padre, osservando il cielo
“Quindi espressi un desiderio”
“Si avverò?” chiese Pansy curiosa, gli occhi verdi di nuovo sorridenti
“Si dieci anni dopo, proprio la notte del 10 agosto incontrai tua madre...” rivelò il signor Parkinson sorridendole garbato.
“Oh... Quindi io se desidero questa notte che la mia bambola si aggiusti... Fra dieci anni la ritroverò?!” aveva esclamato vittoriosa
“Più o meno cara…” il padre l'aveva fatta scendere “Ora pensa a qualcosa che vuoi fortemente e non dirlo a nessuno.”
Pansy aveva annuito.


La bambola non si era più aggiustata ma  Pansy aveva aggiunto un appuntamento sul suo calendario. Ogni notte del dieci agosto avrebbe espresso il suo desiderio più grande e avrebbe aspettato ogni anno di vederlo realizzato.
Da quando aveva cominciato la scuola Pansy aveva espresso un solo desiderio.
Non si era avverato.
Quella notte del dieci agosto, l'ultimo san Lorenzo della sua vita infelice, Pansy scavalcò agilmente la balaustra che separava l'interno dallo spiovente esterno della torre di Astronomia.
Annusò l'aria, non aveva sapore.


"Come gli angeli dall'occhio fulvo tornerò nella tua alcova e scivolerò silenzioso verso di te come le ombre della notte;

e ti darò, o mia bruna, baci freddi come la luna e ti darò le carezze del serpente che striscia attorno alla fossa.

Nel mattino livido troverai il mio posto vuoto  e freddo sino a sera.

Come altri con la tenerezza, io voglio regnare sulla tua giovinezza e la tua vita con il terrore."
(C.Baudelaire)



Ultime parole furono queste pronunciate dalle sue labbra, le ricordavano il freddo che lui le aveva dato, le rimembravano il dolore che aveva provato.
Quella notte una bambola già rotta, vestita di voile nero, volò dalla torre di Astronomia...
Non sentì più niente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note finali

Ringrazio Fabrizio De Andrè per avermi ispirato con la sua poesia.

Ringrazio la mia cara amica mollicadipane per avermi dato coraggio.

Ringrazio tutti voi per avere letto e spero che abbiate gradito!

Aspetto con ansia i vostri commenti

bacioni dublino ^ ^

   
 
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