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Autore: Castiel    17/03/2010    3 recensioni
"Sospirò, chiedendosi come Roy potesse sopportare un peso del genere sapendo che aveva contribuito in larga scala a quel massacro. Le era capitato di vederlo in azione una sola volta, ma le era certamente bastato: quegli occhi inespressivi, quella precisione e quella freddezza nel colpire una volta visti non si potevano dimenticare."
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa fic ha partecipato al contest "In viaggio con me" indetto sul RoyAi Forum ( http://royriza.forumcommunity.net/?t=33901533 )
Ringrazio Akaiko per averla betata e per essere stata così paziente con tutto il lavoro che c'è stato da fare ^^
Dedicata a |patronus|

 

The you reflected in the glass

 

Do you know what's worth fighting for?

When it's not worth dying for?

You're in ruins.

 

[Sai per cosa vale la pena combattere?
Quando non vale la pena morire?

Sei a pezzi.]

[21 guns – Green Day]

 

Si affrettò a salire sul treno senza guardarsi indietro nemmeno per un secondo. Come sempre, senza esitare. Per la sua sicurezza ed il suo sangue freddo, per quello veniva apprezzato dai suoi superiori. Per quegli stessi motivi per cui Mustang si odiava. Per il suo schioccare le dita senza mai un attimo di ripensamento, per la facilità con cui spezzava le vite altrui senza curarsene più di quei pochi decimi di secondo dell'esplosione. Perché in guerra non si ha tempo per pensare, vince il più forte, il più veloce, il più spietato. Chi perde cade. Una regola semplice, la prima e l'unica che andava capita in quella lotta continua per la sopravvivenza. Quella regola, Roy Mustang non l'aveva mai accettata, andava contro i suoi ideali ed i suoi principi. Per questo motivo obbedire gli costava il doppio della fatica rispetto a un uomo normale. Il suo orgoglio ed i suoi valori erano piegati sotto il peso del rancore e dell'obbligo di obbedire a degli ordini a cui era contrario.

Era un cane dell'esercito addestrato per uccidere. Il fatto che fosse contro la sua natura, al governo importava meno che zero. A loro servivano braccia che imbracciassero fucili, mani che disegnassero cerchi alchemici e occhi che mirassero al nemico, non uomini.

Si infilò nel primo scompartimento vuoto che trovò e sedette vicino alla porta. Aveva sempre odiato il posto accanto al finestrino, il vento che da esso entrava  gli scompigliava i capelli, gli entrava nel naso e negli abiti, era come uno sguardo indagatore che lo scrutava internamente. Non gli permetteva di stare chiuso nel suo silenzio carico di sensi di colpa, era freddo ed invadente. Sì, decisamente Mustang odiava il vento, soprattutto in quella stagione così cupa e grigia che era l'inverno. Già, l'inverno. Roy non sopportava nemmeno quello: rigido, desolato e troppo lungo. Prediligeva luoghi caldi, senza vento, forse perché era l'alchimista di fuoco.

Si accorse che stava pensando solamente a cose negative e questo non era certo d'aiuto per il suo umore. Avrebbe pagato per un solo secondo di pace interiore, per smettere di pensare, per poter cadere nell'oblio o rievocare un ricordo felice. "Come se il sollievo fosse in vendita" pensò, dandosi mentalmente dello stupido. Avrebbe dovuto attendere quel momento improvviso in cui le sue sofferenze sarebbero state alleviate. "Dovrei forse attendere la morte?" si chiese, alzando gli occhi al soffitto. La morte dopotutto era la pace dei sensi, qualcosa che leniva tutte le ferite provocate dall'aver vissuto. Quindi, se ci pensava bene aveva solo dato un po' di conforto a tutte quelle persone... No, che arroganza il solo pensare una cosa simile. Era davvero così disperato da dover nascondere la realtà per alleviare le sue pene?

I suoi pensieri furono bruscamente interrotti dallo scorrere della porta. Un soldato incappucciato da testa a piedi stava rigido sulla soglia, quasi fosse caduto in trance. Dopo qualche secondo di silenzio, parlò:

 - Posso sedermi, Signore? -.  

Roy rispose con un cenno della mano ed invitò il soldato a entrare, poi richiuse la porta dello scompartimento e concentrò la sua attenzione sul nuovo arrivato. Il volto era completamente in ombra ed i capelli accuratamente nascosti dal cappuccio, quasi non ci fossero. Probabilmente non conosceva quel soldato ed in quel momento non avrebbe saputo attribuirgli un'identità: aveva visto troppi volti in guerra per poterli ricordare tutti. Decise che per il momento non era così importante conoscere chi aveva di fronte e si concentrò sul paesaggio che si poteva osservare dal finestrino, meravigliandosi di quanto in fretta cambiasse il clima nel deserto: il buio era calato quasi completamente e la temperatura si era notevolmente abbassata. Ora sì che sembrava davvero inverno, come in realtà era. "O almeno credo" pensò, cercando di recuperare coscienza su che giorno fosse. "Dovremmo essere in dicembre inoltrato, e se non fosse per il fatto che siamo a Ishbar non mi stupirei vedendo scendere un po' di neve". Sospirò, pensando al lungo viaggio che li attendeva: quella era davvero una terra ai confini del mondo. Quel treno era l'ultimo che sarebbe partito da quel paese almeno per un po': i soldati si erano preoccupati di distruggere bene la stazione, in modo da rendere inagibili le comunicazioni.

Pensò ai pochi militari che stavano affrontando il suo stesso viaggio: alcuni Alchimisti di Stato, qualche ufficiale ed una decina di tiratori scelti, giusto per finire il lavoro rapidamente giocando le carte migliori, quelle più terribili. I pezzi grossi erano già tornati a casa da un pezzo, la loro vita era preziosa e non poteva essere sprecata. Erano apparsi, una toccata e fuga, in modo da poter dire "io c'ero" ma senza sporcarsi sul serio le mani. Si erano presi tutti i meriti ed avevano lasciato loro, poveri cani, ad occuparsi di tutto. E lui che anelava a diventare Fuhrer. Era sicuro che non sarebbe diventato anche lui una persona corrotta, indifferente ai problemi della gente? Sarebbe davvero stato in grado di cambiare il mondo come si era prefissato?

Un lieve rumore di tessuto spostato lo indusse a girarsi verso il soldato, che dormiva con la testa poggiata contro il vetro. Il cappuccio era scivolato sulle spalle e lasciava scoperto parte del viso.

 - Riza... - mormorò sottovoce, più a se stesso che alla ragazza.

I capelli biondi della ragazza arrivavano alla nuca, ecco perché non aveva potuto notarli prima. Il suo volto mostrava la stanchezza e la fatica di tutti quei giorni al fronte e Roy pensò che fosse più sciupata dell'ultima volta in cui l'aveva intravista durante una battaglia. I suoi impercettibili respiri appannavano il vetro, lasciando un piccolo alone circolare all'altezza della bocca.

Il suo sguardo cadde quasi senza volerlo sulle mani di lei, artefici di tante morti. Erano serrate, chiuse a pugno, quasi lei non volesse accettare nemmeno nel sonno quanto aveva fatto durante quella guerra. Si voltò, frustrato. Aveva promesso al Maestro Hawkeye che si sarebbe preso cura di lei ed invece le aveva permesso di venire in un posto pericoloso come un campo di battaglia.  Non aveva saputo mantenere la parola data, che razza di uomo era quindi?

Il tempo scorreva lento, tanto che ben presto Roy ne perse la percezione. Guardava i paesaggi scorrere davanti ai suoi occhi, con l'immagine di Riza nel suo campo visivo che attirava la sua attenzione pur non facendo nulla. Era strano vederla lì riflessa nel finestrino di uno vagone di un squallido treno. Quando l'aveva vista per la prima volta, giunto a casa Hawkeye, avrebbe giurato senza pensarci due volte che Riza fosse una ragazzina viziata e altezzosa,  destinata ad un matrimonio di convenienza o ad un futuro da zitella acida e scontrosa. Ah, le apparenze! Ben presto Roy aveva mutato opinione sulla giovane, capendo che la sua non era altro che diffidenza dovuta ad un carattere schivo che cercava di cambiare da quando, anni prima, sua madre era venuta a mancare Quando lei dopo qualche tempo capì finalmente che di Roy si poteva fidare tra loro nacque un bel rapporto, di quelli che però  non si potevano definire come "amicizia": Riza non gli aveva mai nemmeno dato del "tu", e si era sempre rivolta a lui come "Signor Mustang". Doveva ammettere però che gli era sempre piaciuto passare quei rari momenti liberi con lei, sotto l'albero di ciliegio a conversare o leggere un libro.

- Hm -.

Riza aprì gli occhi sbattendoli più volte. Doveva essersi addormentata involontariamente, ma, constatò guardando fuori, non dovevano essere partiti da troppo tempo visto che ancora un po' di luce filtrava tra le nubi. Resasi conto dello sguardo dell'uomo puntato su di sé, si volse verso di lui.

- Maggiore Mustang - disse soltanto.

- Riza... Sono contento di vederti viva - rispose, tenendo gli occhi fissi su di lei.

Lei accennò un sorriso tirato nella sua direzione e si sedette in una posizione più composta. Il silenzio che calò dopo quel brevissimo scambio di battute durò per un po' di tempo, fin quando un soldato aprì rumorosamente la porta.

- Sono venuto per identificare i sopravvissuti, ditemi nome, cognome e carica che ricoprite nell'esercito - .

- Riza Hawkeye, tiratore scelto - rispose subito lei, fissando l'uomo dritto negli occhi. Era diventata fredda e distaccata col tempo, constatò Roy: la ragazzina sorridente che gli portava sempre un pezzo di pane di nascosto durante gli allenamenti e che rideva educatamente ogni qualvolta tentava di fare il simpatico era sparita per lasciare posto a una giovane donna chiusa e riservata.

- Lei, invece? Vuole dirmi come si chiama?! - lo incitò il ragazzo poco educatamente. Roy gli diede a malapena attenzione, mentre rispondeva: - Roy Mustang, Flame Alchemist -.

Era talmente abituato a presentarsi ai nuovi generali che aveva ormai imparato a farlo in modo assolutamente neutro. Pronunciare nome e cognome per lui ormai era diventato sinonimo di complimenti non graditi e battute squallide sulla sua potenza d'attacco che accrescevano i suoi sensi di colpa. Notò che lo sguardo del nuovo arrivato indugiava su lui e che questi non accennava minimamente ad andarsene. – Sì? – fece Roy in direzione del soldato, guardandolo solamente quel momento per la prima volta. Aveva circa 25 anni ma già ricopriva la carica di Colonnello, come poteva vedere dalle stelle sulla sua divisa immacolata.

Roy lo inquadrò subito: raccomandato, con parentele o amicizie negli alti ranghi dell'esercito e totalmente incompetente nel suo lavoro. Uno del genere senza una spinta da parte di qualcuno di potente sarebbe finito certamente a distribuire giornali in mezzo a una strada. Sentì un moto di rabbia improvviso verso di lui: come poteva aspirare a diventare Fuhrer con la corruzione che permeava il governo? Come avrebbe potuto realizzare il sogno di cui aveva parlato a Riza anni prima? Si morse la lingua mentre lo sentì mormorare qualcosa come:

- No, niente, l'ho scambiata per qualcun altro -.

Doveva essersi accorto dello sguardo carico di odio di Roy, perché abbandonò in fretta e furia lo scompartimento. Non che ci si potesse aspettare un sorriso da dei soldati di ritorno da una guerra, ma quel ragazzo rimase davvero colpito dagli occhi di Mustang. "Ecco perché lo chiamano Flame Alchemist" pensò, tornando alla cabina di controllo.

Nel frattempo nello scompartimento era sceso nuovamente un imbarazzato silenzio. D'altronde il disagio tra i due era comprensibile. Entrambi non trovavano niente di intelligente da dire e dopo tanti giorni passati con il solo rumore di spari e esplosioni nelle orecchie, quello era davvero un piacevole cambiamento.

 - Sento il bisogno di prendere una boccata d'aria... ti dispiace se apro il finestrino, Riza? - .

 - No di certo, anche a me quest'aria comincia a darmi la nausea -.

Lui si alzò e raggiunse il posto di fronte a quello di lei, aprì il finestrino e si sedette in quella nuova postazione. Da quell'angolazione le occhiaie di Riza sembravano ancora più profonde e i suoi occhi ambrati erano spenti e privi di vitalità. Si chiese se la sua espressione fosse la stessa della ragazza. Probabilmente sì, visto che condividevano il fatto di essere assassini. Sarebbe mai riuscito a sopportare questo peso?

Le due ore successive passarono senza particolari conversazioni, solo frasi di circostanza e di cortesia ma nulla più. Si stavano trattando come due estranei, come due semplici passeggeri dello stesso treno che si scambiano un paio di parole prima di dividersi e tornare alle proprie case. I ricordi di quel tempo passato insieme a Casa Hawkeye, le ore in biblioteca e quelle in giardino, tutto dimenticato, portato via  dagli orrori della guerra prima ed ora da quel vento gelido.

Improvvisamente Roy non riuscì a trattenersi e le chiese:

 - Quante persone hai ucciso, Riza..? -.

Era una domanda stupida, insensibile e sgarbata, ma non riusciva a smettere di pensarci. L'idea che lei potesse essersi sporcata le mani quanto lui lo stava divorando interiormente. La ragazza abbassò lo sguardo restando zitta. Inspirò profondamente, poi rispose:

 - Troppe -.

Non poteva esistere risposta migliore, pensò lui: che avesse ucciso 10 oppure 1000 persone, aveva comunque spezzato troppe vite umane. Chissà quante persone avevano perso la vita per mano delle sue esplosioni. Sentì una stretta allo stomaco e strinse con forza i pugni. Non voleva farsi vedere debole, non davanti a lei.

 - Scusa, non avrei dovuto chiederlo - disse, vedendo che lo sguardo di lei continuava a rimanere basso.

 - Non si deve scusare. Sapevo a cosa sarei andata incontro, firmando il foglio per l'arruolamento - .

 - Perché sei venuta al fronte? Avevi ricevuto un'ottima educazione da tuo padre, potevi puntare davvero in alto... Saresti cresciuta in un posto che si conviene a una donna e non avresti mai visto tutto questo – disse, accorgendosi subito di quanto il suo tono fosse sembrato troppo duro.

Lei non si lasciò intimidire, ma prontamente rispose:

- Volevo dare una mano al mio paese. Ho un ideale da portare avanti e voglio aiutare una persona a realizzare il suo sogno - concluse, come se la questione fosse chiusa una volta per tutte.

Roy si stupì di quell'affermazione. Riza era davvero venuta a Ishbar per lui?

Un suono metallico richiamò l'attenzione dei due soldati: era arrivata l'ora di cena e la campanella avvisava tutti di recarsi nel vagone ristorante. I due si alzarono in contemporanea evitando accuratamente di guardarsi negli occhi e si diressero dalla parte opposta del treno seguendo la scia delle altre casacche grigie.

I tavoli in quella "mensa improvvisata" potevano ospitare al massimo quattro persone e Roy e Riza essendo tra gli ultimi ad arrivare dovettero dividersi e sedere in posti differenti. La ragazza si mise di fianco ad altre tre donne al centro della sala, mentre lui prese a posto vicino a Dean Medley, un tizio mingherlino occhialuto sempre desideroso di mettere in mostra le sue conoscenze, ed i suoi due seguaci, Garrett e Clark. Roy finì presto la sua minestra e si diresse velocemente al suo scompartimento, deciso ad andare a letto. Le chiacchiere dei suoi tre compagni gli avevano fatto venire un gran mal di testa, non era riuscito nemmeno a sentirsi pensare. Certo che quel ragazzo valeva tutte le dicerie messe in giro, non si poteva star vicino a lui senza imparare qualcosa: sì, che bisognava stargli lontano. Gettò un'occhiata al tavolo di Riza, notando però che il posto era vuoto. Sperando di trovarla ad aspettarlo in quella che sarebbe stata la loro stanza quella notte, si avviò a grandi passi fuori da tutto quel rumore.

 

Osservò la sua corta frangia mossa dal vento, serrando le braccia in modo più forte. Il vento gelido le sferzava la faccia, ma non aveva assolutamente voglia di rientrare. Seduta per terra fuori dall'ultima carrozza del treno, Riza riuscì a rilassarsi e a mettere in ordine quel turbinio di pensieri che l'aveva accompagnata per tutto il giorno. Quando aveva visto salire Roy sul treno quella mattina aveva sorriso involontariamente, sapendolo finalmente al sicuro. Aveva sempre saputo che la carriera che Roy si era scelto prevedeva l'esercito, d'altronde si era arruolata per rivederlo e per lottare insieme a lui per lo stesso sogno, però doveva ammettere che ciò non le piaceva. Aveva infatti preso in considerazione l'opportunità di trovarlo lì al fronte ma aveva sperato fino all'ultimo che avesse cambiato idea e avesse richiesto lavoro d'ufficio. Era sempre stata sicura però che questo non se lo sarebbe potuto aspettare da un tipo come Roy Mustang, quell'Alchimista di Stato fin da bambino aveva sempre manifestato una strana avversione per lo stare con le mani in mano. Ricordava ancora le ore che passava a studiare sui libri di suo padre, e come lei sgattaiolava fuori dalle coperte e scendeva in cucina cercando di non far rumore per preparare uno spuntino al "giovane allievo venuto da lontano". A volte era rimasta sveglia con lui, giusto per avere un po' di compagnia: la solitudine era un peso che la opprimeva e aveva sempre cercato l'affetto che non le veniva dimostrato dal padre nelle persone che la circondavano. Com'era cambiata, da allora. Aveva perso tutta l'ingenuità e la debolezza che si poteva attribuire ad una bambina orfana di madre ed era diventata una giovane donna matura e determinata. Aveva imparato a sparare , aveva seguito un duro addestramento fisico e psicologico, terminato con la decisione di fare la sua parte nel sogno di quel ragazzo che le aveva allietato la vita durante la sua permanenza a casa Hawkeye.

 - Parto, padre. Vado a fare ciò che ritengo giusto - aveva mormorato guardando la lapide del maestro Hawkeye il giorno prima della partenza per Ishbar.

Non un attimo di incertezza o di cedimento, nella sua voce: era cresciuta e maturata, proprio come aveva sempre voluto suo padre. Le era sembrato di vederlo sorridere in quella vecchia foto scolorita, prima di lasciarsi alle spalle il suo passato e cambiare il suo destino per sempre.

Da quando aveva visto Roy ad Ishbar, quel giorno afoso di cui non riusciva a ricordare la data, aveva cercato di essere la sua ombra, proteggerlo era diventata la sua priorità che era andata però a scontrarsi con gli ordini dei superiori: la vita di Mustang aveva la precedenza e lei sarebbe morta se questo sarebbe equivalso a salvarlo. Purtroppo però le complicazioni dell'ultimo periodo non le avevano permesso di seguirlo come avrebbe voluto ed aveva finito per perderlo di vista completamente. Quella mattina, con l'annuncio ufficiale della fine della guerra la sua gioia era stata tale che, vedendo l'uomo che aveva promesso di proteggere  entrare da solo in quello scompartimento non aveva resistito e dopo poco l'aveva raggiunto, curandosi però di non essere riconosciuta tenendo il cappuccio in testa e lo sguardo basso rivolto verso il pavimento. Quel travestimento improvvisato aveva funzionato, perché Roy non aveva dato segno di averla riconosciuta e poco dopo il suo arrivo era tornato a curarsi degli affari propri. Lei aveva appoggiato la testa al vetro, guardandolo. Il volto era pallido ed emaciato, le labbra screpolate probabilmente dal sole incessante del deserto; sembrava tormentato da qualcosa che non sapeva ma che poteva facilmente intuire: sembrava fosse attanagliato dai rimorsi per quello che aveva appena fatto.

Aveva distolto lo sguardo, non sopportando la vista di lui in quelle condizioni, e si era costretta a guardare il paesaggio che scorreva rapido accanto a lei. Quel cielo grigio che andava rabbuiandosi, tanto in contrasto con il rosso scarlatto che era ormai abituata a vedere attorno a sé, le aveva dato un senso di angoscia così forte che era stata costretta a voltarsi. Strano a dirsi, lei ormai nel buio aveva imparato a muoversi bene, dopo tutti quelle ronde notturne e quei turni di guardia passati seduta accanto al suo prezioso fucile. Aveva scosso la testa, cacciando quel pensiero molesto dalla mente,  si era sistemata meglio sul sedile ed aveva ripreso a guardare Roy, sfruttando però la superficie riflettente del vetro: esso rimandava l'immagine sfocata del ragazzo quasi gli passasse attraverso, come una lama che lo trafiggeva dalla testa allo stomaco. Avrebbe pagato per sapere cosa gli stesse passando per la mente in quel momento, e per la seconda volta aveva sentito il bisogno di guardare altrove, incapace di continuare a fissarlo mentre soffriva internamente in quel modo. Aveva chiuso gli occhi per porre fine a tutto e senza accorgersene la stanchezza di tutti quei giorni l'aveva fatta cadere in un sonno profondo. Quando si era svegliata, poco più tardi, aveva trovato Roy che la fissava a metà tra lo stupito e l'incredulo. Solo allora si era accorta che il cappuccio le era scivolato giù mentre dormiva, e si era limitata a dire nel tono più distaccato che era riuscita a produrre:

- Maggiore Mustang - .

Da quel momento le cose erano cambiate: era stata "scoperta", ma non poteva permettersi di far capire a Roy il vero motivo per cui si trovava lì. Per tutto il resto del viaggio aveva parlato il meno possibile ed a cena si era seduta al tavolo con le tre donne più sgradevoli del reggimento perché era il posto disponibile più lontano da quello preso dal moro . Ed ora, appoggiata alla ringhiera del treno, si era messa a pensare a quanto era stato difficile fingere, sia quel giorno sia in quei mesi passati a premere il grilletto su gente indifesa e ribelli dagli occhi rossi.

Sospirò, chiedendosi come Roy potesse sopportare un peso del genere sapendo che aveva contribuito in larga scala a quel massacro. Le era capitato di vederlo in azione una sola volta, ma le era certamente bastato: quegli occhi inespressivi, quella precisione e quella freddezza nel colpire una volta visti non si potevano dimenticare. Si era chiesta molte volte se non fosse completamente cambiato e se fosse ancora il ragazzo che aveva conosciuto lei durante la sua fanciullezza. Poche ore con lui avevano fugato ogni dubbio: dietro quella corazza di freddezza e quello sguardo serio, Riza era sicura che ci fossero ancora quel cuore buono che aveva imparato ad amare e quei sogni utopistici che l'avevano spinta a questa nuova vita. Rivolse gli occhi ai piccoli monti che si scorgevano in lontananza. Il viaggio era ancora lungo, ma poteva già iniziare a vedere qualche accenno di vegetazione, segno che presto sarebbero usciti da quel territorio arido e avrebbero viaggiato verso East City. Si alzò, scuotendo via la polvere dalla giacca e dai capelli e dando un'occhiata al cielo ormai completamente buio sopra la sua testa: da quanto tempo non vedeva le stelle. Si disse che le sarebbe piaciuto ammirarle almeno un'altra volta, prima di morire, e che quando quel giorno sarebbe arrivato avrebbe espresso un desiderio. Sorrise amaramente e tornò all'interno del treno, diretta verso lo scompartimento dove Roy sicuramente la stava aspettando.

 

Roy rientrò e chiuse la porta alle sue spalle, accorgendosi subito della mancanza della ragazza. Si chiese dove potesse essere e si propose di andare a cercarla, ma la stanchezza gli fece chiaramente capire che sarebbe stato meglio attenderla nello scompartimento. Rabbrividì, sentendo una folata di vento penetrargli nelle ossa. Si girò alla ricerca della fonte di quella sgradevole sensazione e notò che il finestrino era rimasto aperto per tutto il tempo e l'aria che era entrata era riuscita ad abbassare  rapidamente la temperatura. Prese la maniglia per tentare di chiudere il finestrino, ma  non volle saperne di spostarsi nemmeno di un millimetro. La forzò verso il basso, col solo risultato che si staccò completamente e gli rimase in mano: la gettò sul sedile accanto e provò a chiudere il vetro manualmente, ma la patina di ghiaccio che si era formata durante quelle ore di viaggio l'aveva bloccato e non vi era modo di sistemarlo. In quel momento entrò Riza, che ebbe un tremito involontario al sentire l'atmosfera polare dello scompartimento. Notandolo, Roy la informò in tono triste:

 - Il finestrino si è rotto, temo che dovremo dormire con questo freddo - .

Riza annuì, sedendosi vicino alla porta e sfregandosi le mani sulle braccia cercando di produrre un po' di calore. Roy prese una coperta un po' sgualcita dallo zaino e lo indicò alla ragazza.

 - Prendi - disse, lanciandogliela - Ti scalderà - aggiunse, sorridendo.

 - Ma lei come farà? Non ha un'altra coperta, non vorrà dormire con questo freddo -.

 - Oh, io posso farne a meno, non preoccuparti, sono un uomo forte che non ha paura di una brezza invernale qualsiasi! - esclamò, tremando un poco.

 -Certo, ma il Suo corpo la contraddice. Venga, possiamo dividerla. E' abbastanza grande, dovremmo starci tutti e due -.

Il ragazzo la fissò un attimo negli occhi. Ricevere un invito del genere da Riza, benché non nel più romantico dei contesti, faceva comunque uno strano effetto. Una stretta allo stomaco che non provocava dolore, un formicolio alla gola che non dava alcun fastidio. Era qualcosa di nuovo, a cui non sapeva dare un nome e che, a dirla tutta, lo spaventava un poco. Si sedette accanto a lei, cercando di non dare a vedere il suo imbarazzo. Con scarso successo, dato che la ragazza gli disse:

 - Si rilassi, non stiamo facendo nulla di male -.

Roy notò che era arrossita un poco e si convinse che anche lei non si trovava a proprio agio. Rassicurato, si sistemò meglio contro lo schienale e prese a guardare il soffitto.

 - Che ne sarà di noi, Riza? -.

Lei lo fissò stupefatta. L'uso di quel "noi" per parlare del futuro le provocò un sorriso involontario, che Roy non mancò di notare.

 - Perché sorridi? - chiese lui, rispondendo e sorridendo di riflesso.

 - Niente - disse lei cercando di riprendersi.

 - In ogni caso, non so cosa ci riservi il futuro, è tutto molto incerto -.

Lui si avvicinò a un palmo dal naso di Riza.

 - Sai, avrei voluto un futuro diverso per te - disse, guardandola con occhi malinconici.

 - Non è colpa sua, la scelta di entrare nell'esercito è stata mia e non deve colpevolizzarsi anche per questo -.

Roy si scostò, piccato da quella frase. - E questo che vorrebbe dire? -.

 - Beh, glielo si legge negli occhi che si sente in colpa per quanto successo in questi mesi... -. Stava forse parlando troppo?

- Io... sì mi sento in colpa. Anche perché so di averne, io e la mia stupida alchimia siamo state una delle cause principali di questa tragedia -.

 - Lei non è l'unico ad avere ucciso, credo che qui nessuno sia meritevole di scusanti o di essere santificato per le proprie gesta... - .

 -  Riza, tu non capisci! - sbottò lui, alzando il tono di voce - Non eri tu a schioccare le dita e creare esplosioni, non eri tu quella che veniva lodata in base al numero di morti prodotte, non eri tu a vedere la gente morire bruciata dal fuoco della tua rabbia contro un governo corrotto e uno sterminio ingiusto! -.

Ecco, si era lasciato andare fin troppo e aveva mancato di rispetto a Riza, urlandole contro e prendendosela con lei per errori che invece poteva imputare solamente a se stesso. Se lei avesse reagito schiaffeggiandolo e urlando a sua volta non l'avrebbe biasimata nemmeno per un secondo.

Ma l'altra non fece nulla del genere, anzi, fece un gesto che spiazzò completamente Roy: lo abbracciò, facendogli poggiare la testa contro la sua spalla.

 - Anche io ho ucciso molte persone, Maggiore. Non ho utilizzato l'alchimia, ma il mio fucile ha saputo lo stesso sostituire il suo fuoco spezzando centinaia di vite umane. I miei superiori non mi hanno mai presa in considerazione, essendo un bravo cecchino ma non meritevole di particolari attenzioni. Questo non vuol dire che mi sia sentita meno male rispetto a lei vedendo gli occhi privi di vita di tutta quella gente. Ho pensato tante volte di scappare, di abbandonare il fronte e diventare una disertrice, volevo andare via da quegli orrori e quelle trincee che odiavo con tutto il mio cuore, ma non l'ho fatto, perché mi sono detta che dovevo andare avanti e guardare al futuro. Siamo entrambi pieni di colpe e non penso che non le espieremo. Già il fatto di essere sopravvissuti credo sia una punizione, perché verremo mangiati dai nostri sensi di colpa ogni secondo che passa. Non dobbiamo arrenderci però, lei ha un sogno ed io voglio che lei lo realizzi, lo faccia affinché non ci siano più guerre e nessuno debba più vedere quello che i nostri occhi hanno visto - .

Roy si strinse a lei un po' di più, riflettendo sulle sue parole. Aveva ragione, non doveva mollare. Il desiderio di creare un mondo dove ognuno potesse vivere felice non era così irrealizzabile, forse. Un giorno di certo avrebbe pagato caro per le sue azioni, ma fino a quel momento avrebbe potuto cercare di "scontare" il suo peccato facendo del bene agli altri. Sarebbe rimasto nell'esercito e si sarebbe impegnato per quell'ideale, il loro. Saperla accanto a lui gli dava uno stimolo in più, una speranza per l'avvenire. "Posso farcela, se sono con lei".

 - Grazie - sussurrò al suo orecchio.

Alzò lo sguardo e si accorse che Riza si era addormentata. Sorrise, stampandole un bacio sulla fronte.

 - Sono contento che tu sia qui - pronunciò a voce alta, tornando a stringerla. "Grazie, Riza".

 

Riza aprì gli occhi improvvisamente, attratta da una luce che brillava alta nel cielo. Sorrise, passando una mano nei capelli dell'uomo che dormiva abbracciato a lei.

"Che possa raggiungere il suo obiettivo".

 

You ask are all my dreams fulfilled.

They made me a heart of steal, the kind them bullets

cannot see.

 

[Mi chiedi se i miei sogni si sono realizzati.
Mi hanno costruito un cuore di acciaio, di quelli che le pallottole del nemico non possono scalfire]

 

[Replica – Sonata Artica]



  
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