Rullo di tamburi, siore e siori: state
per leggere l’ultimo capitolo.
Mi scuso subito per due motivi. Il primo è il nuovo
spaventevole ritardo; ma vi prego di credere che, accademia a parte, la vera
responsabile è la mia baka connessione che se
n’è andata allegramente a farsi friggere (in questo momento sto
aggiornando dal pc di mia cugina: ringraziate lei se
mi sto facendo viva xD). Il secondo è il ‘riciclaggio’
di entrambi i personaggi coinvolti in questa shot,
che ho già utilizzato altrove. ç__ç Mi dispiace per la
mancanza d’originalità; ma questo pairing
mi piaceva tanto – ebbene sì, proprio nel senso romantico – che non ho potuto in
alcun modo escluderlo. Avrei voluto cimentarmi in qualcosa che riguardasse
Matt, ma è così difficile restare nell’IC di una sorta di
comparsa che alla fine ci ho rinunciato. Perdono, perdono, perdono. u///u
Passo ora a ringraziarvi. Vi ringrazio tutti, uno per uno, voi che
avete letto o recensito o inserito la raccolta tra le storie preferite e/o seguite
[Dany92, dragon ball z, kymyit, Nearina93, Rein94, Selhin]. Vi ringrazio di vero
cuore. E mi auguro profondamente di meritare almeno un infinitesimo del vostro
interesse. ^^
Rein94: Ho
paura di non saperti dimostrare quanto ti sono grata di tutto. È a
partire da questa raccolta che hai iniziato a seguirmi, se non sbaglio. Da
allora ho sempre cercato inutilmente le parole migliori per ringraziarti.
Lasciami soltanto dire che, non fosse stato per il tuo entusiasmo,
probabilmente questa cosa non l’avrei neppure conclusa. Grazie, sul serio. (Hai ragione riguardo
Kairi, l’ho decisamente strausata ^^’ Il
fatto è che Misa, per quanto possa risultare
frivola e leggera, non ce la vedevo nel contesto di dare buca ad un’amica.
Non chiedermi perché, non ne ho idea! o__ò xD)
Dany92: Anche
tu sei sempre stata dolcissima con me, Dany-chan.
Come sempre mi ritrovo qui a ringraziarti rischiando di sembrare monotona nel
risponderti che tu non sei mai
monotona e che anzi apprezzo ogni volta di più i tuoi complimenti e il
tuo sostegno. Ok, mi sono un po’ incartata ma sono certa che tu abbia
capito. xD Un milione di grazie anche a te, di nuovo
e ancora.
Kymyit: Sono
onorata per le tue recensioni ai prompt 5 e 6 *////*
Ho letto la tua Sky High, ho adorato
la tua inventiva e il tuo stile, e vederti tra quelli che seguivano questa
storia è stato per me un colpo al cuore. Mi sento lusingata, dico
davvero. ^////^ Ringrazio anche te all’infinito.
Che altro dire, se non che siete tutti meravigliosi? <3
Un abbraccio forte e… si spera, un
appuntamento alla prossima raccolta ^^ Perché state certi che le
7_crossovers mi ispirano parecchio; dunque, chissà…
(Della serie: non vi libererete di me tanto facilmente xD)
Sayonara!
[Credits: La citazione a proposito della
curiosità è una frase di Carlo Collodi.]
* * *
*A few simple fairytales*
Prompt: #4. Sleeping Beauty
Personaggi: Near [Death Note],
Naminè [Kingdom
Hearts]
Genere: Malinconico,
Drammatico
Rating: Giallo
Note: AU (vale solo per Naminè)
Nate River non aveva niente.
Non aveva amici, non
aveva sogni. Non aveva famiglia. Non aveva paure. Non aveva neppure una casa,
perché il posto in cui viveva, aveva sentito, si chiamava istituto.
Persino il suo nome gli era stato dato da estranei. Anche quello, non era suo.
Lui non aveva niente.
Soltanto un’unica,
piccola, insignificante ossessione.
«Questa
è la tua stanza. Spero che ti piaccia.»
«…»
[ Il più
delle volte, per comprendere l’origine di un malessere occorre risalire
alle radici. ]
C’è
tanta luce, nella stanza. È di un bel colore azzurro chiaro. Ed è
piena di giocattoli e di cose pulite e ordinate. Cose non sue, cose che forse
lo diventeranno; ma non è detto che sia così.
Cammina
lentamente su un tappeto che sembra troppo morbido per pensare di camminarci
sopra con le scarpe.
C’è
una finestra, davanti a lui, ma non si vede il cielo. Solo il giardino e la
strada.
«Qualcosa
non va?»
Il
signore anziano che lo ha accompagnato non lo segue; la sua voce non è
infastidita. Curiosa, forse. Ma infastidita no. È gentile, il signore
anziano.
Il
bambino si volta a guardarlo senza espressione. Spera segretamente di non
sembrargli maleducato.
«Non
è molto in alto.»
Il
giorno in cui era arrivato, l’istituto gli era piaciuto. Sembrava una
casetta delle favole, di quelle col tetto spiovente e la finestra ovale
nell’abbaino.
La prima cosa che aveva pensato era che da
lassù, di notte, si potevano toccare le stelle.
Non gli ha mai dato
una giustificazione esaustiva, ma da quel giorno gli ha proibito di salire le
scale che portano alla soffitta.
Lui
non ha voluto chiedergli perché. Però ci pensa continuamente.
Soprattutto
da quando ha notato la finestra dell’abbaino.
«C’è
qualcuno lassù?»
«No.»
«Ci
sono delle tende.»
«Le
tende non vogliono dire che la stanza sia abitata. Prendiamo la tua, ad
esempio.»
Ha
ragione, è innegabile. Alla sua stanza non ci sono tende. Eppure là ci dorme
lui, ci vive lui.
«C’è
qualcuno lassù.»
Il
signore anziano sospira mentre il bambino cancella con sicurezza il punto
interrogativo.
Ma il
divieto rimane. Lontano dalle scale.
Non
osava muoversi.
Ora che aveva l’occasione di scoprire
il segreto dell’abbaino, qualcosa lo bloccava.
Crescendo aveva imparato a fare cose utili
come i calcoli e cose inutili come sentirsi in colpa.
C’era un 85% di possibilità
che quel blocco fosse dovuto al suo senso di rispetto nei confronti del signore
anziano. Utile a sapersi. Inutile a sapersi.
E i gradini restavano lì, ad
aspettare davanti al suo sguardo – per la prima volta – esitante.
«Sarò
assente per qualche ora» gli aveva detto. «C’è bisogno
di me altrove.»
Lui aveva annuito, lo sguardo fisso sul gioco
di memoria, e si era tirato una ciocca di capelli. L’uomo aveva notato il
gesto.
«Stai lontano
dalle scale.»
Stai
lontano dalle scale.
A volte sentiva di odiarsi. Lui sapeva riconoscere quel gesto,
quell’attorcigliarsi i capelli che stava a significare che stava pensando
[progettando qualcosa]. Lui lo
conosceva troppo bene, e l’altro dimenticava sempre di quanto fosse
attento ai suoi atteggiamenti.
Stai
lontano dalle scale.
Sarebbe stato più facile ignorare il
senso di colpa, se non si fosse sentito ripetere quelle parole anche quel
giorno.
Com’era quella frase che aveva letto una
volta? La curiosità (…)
spesso e volentieri ci porta addosso qualche malanno.
Ma la curiosità è anche un
fattore assolutamente naturale.
Nate River era un
genio adolescente. Compensava la sua vuotezza di cose concrete con un
sorprendente acume ed un Q.I. pari a 186.
Ma in fondo Nate
River era anche – essenzialmente – un ragazzo.
[ E si sa che,
più un frutto è proibito, più si ha voglia di assaggiarlo.
]
Stai
lontano dalle scale.
Si lasciò sfuggire un solo, lieve
sospiro, mentre il suo piede nudo si posava lentamente sul primo gradino.
«Che cosa
c’è al piano di sopra?»
Gli
altri bambini scrollano le spalle.
«Roger
non ci ha mai lasciato salire, e neanche il signor Wammy»
dice distratto quello con i capelli rossi, concentrato sulla consolle portatile
di un videogioco troppo rumoroso.
«Perché
t’interessa tanto?» aggiunge il bambino biondo, scartando una
barretta di cioccolato troppo fondente.
Non
risponde, e guarda il robot che ha in mano. Preme un pulsante sul suo petto
meccanico e freddo e le lenti colorate al posto degli occhi emettono luci rosse
e verdi.
Nei
suoi pensieri, l’immagine di una casa antica ed imponente, con un balcone
affacciato ad ovest, sul mare.
Era
una bella casa, quella. Ma quasi non riesce più a ricordarla.
I gradini si interruppero su un breve
pianerottolo. Di fronte, una porta di legno scuro.
Si fermò. Non avrebbe dovuto essere
lì. Non era giusto, non era bello nei confronti delle persone buone che
lo avevano aiutato e cresciuto e in cambio non gli avevano chiesto che questo.
Torna
indietro.
Forse era perché i suoi piedi nudi
non emettevano suono sul pavimento di legno…
Torna
indietro.
Forse era perché la porta poteva
essere chiusa a chiave e la sua coscienza messa a tacere…
Torna
indietro.
Forse era perché, ad ogni passo
avanti, la voce della razionalità si affievoliva.
Torna…
Si ritrovò senza sapere come con la
mano sulla maniglia.
Non era chiusa a
chiave.
Quando il battente
si aprì, la prima cosa che vide furono quelle stesse tende bianche alla
finestra che aveva guardato tante volte dal giardino. I vetri erano aperti e il
vento le gonfiava, tendendole all’interno, facendole posare come una
carezza sulla sponda di un letto illuminato soltanto dalla falce di luce
proveniente dalla porta alle sue spalle.
Ancora una volta, l’istinto mosse i
suoi passi. Non era mai successo. Era sempre stato bravo a sopprimere gli
istinti.
Ma poi vide la figurina distesa nel letto,
e capì cosa fosse stato ad attirarlo lassù, sfilandogli di dosso
ogni rimorso, ogni vergogna e ogni buonsenso.
Nel
letto c’era un angelo.
Nate River aveva
creduto in Dio, al tempo in cui aveva ancora sogni e paure.
Se lo ricordava
perché aveva chiaro nella mente il libro che qualcuno [una donna?]
gli leggeva tutte le sere, con voce dolce, quando lui si addormentava pensando
a giardini incantati e frutti proibiti.
Per questo motivo
seppe che la ragazzina addormentata nel letto era un angelo caduto dal cielo.
Rimase lì a guardarla, senza respirare.
Per la prima volta da che aveva deciso di disobbedire, il cuore gli diede un
colpo più forte degli altri.
L’angelo aveva la pelle bianca come
la neve, capelli biondi come la luna, mani piccole e abbandonate sulle coperte
che le fasciavano il corpo. Nate pensò solo che era bellissima, che
splendeva nella penombra, tanto da rendergli invisibili le macchine ronzanti
dall’altro lato del letto. E si rammaricò soltanto di non poter
vedere il colore dei suoi occhi, chiusi nel sonno.
La mano che per tutto il tempo aveva
attorcigliato la stessa ciocca di capelli era ricaduta giù, sul fianco.
Segno che ormai lui non pensava più.
«C’è
qualcuno là dentro.»
Si avvicinò ancora, senza un rumore.
Tese una mano, impacciato, senza riconoscerla come sua. Sfiorò una
guancia pallida e morbida.
La pelle dell’angelo era fredda e il
suo respiro debole.
Solo allora osservò le
apparecchiature, e vide che molte si perdevano come inquietanti tentacoli nelle
braccia minute dell’angelo, e si accorse dello schermo che mostrava una
linea verde frammentata e irregolare e suonava un suono che sembrava tanto una
sentenza.
Il genio adolescente
sapeva cosa fossero le macchine.
Il ragazzo si rifiutò di accettare la loro
presenza al cospetto dell’angelo.
Come se avesse sentito la forza di quel
pensiero, l’angelo si mosse senza svegliarsi; voltò il capo,
spargendo i capelli sul cuscino e sulle spalle esili. Il dito che aveva
incontrato la sua guancia si ritrovò ora sospeso sulle sue labbra
schiuse.
Ritrasse la mano, con lentezza, ma non
poté impedirsi di chinarsi ancora sul letto.
L’angelo respirava piano sotto di
lui.
Si fermò ancora. Incerto. Imbarazzato. Che brutta sensazione,
l’imbarazzo. Proprio come gli avevano detto.
L’angelo non si muoveva. Sembrava
quasi che aspettasse.
Bip. Bip. Bip. Bip.
Non riusciva a spiegare il desiderio
assurdo che lo stava assalendo da dentro. Non c’era nulla di sensato,
nulla di logico in quella voglia di respirare il suo respiro e premere la bocca
sulla sua e verificare se fosse davvero un sapore dolce come immaginava che
fosse.
Bip. Bip. Bip. Bip.
Che cosa inutile.
Che cosa stupidamente inutile.
Che…
…
I capelli dell’angelo lambirono i
suoi, le fronti si avvicinarono.
Il respiro dell’angelo si confuse con
il suo.
Le labbra dell’angelo erano molto più
dolci di quanto avesse immaginato.
[ Dopotutto, aveva smesso
di pensare. ]
Rimase così per qualche istante, poi
si sollevò lentamente e aprì gli occhi che non si era accorto di
aver chiuso.
L’angelo si mosse di nuovo,
impercettibilmente.
Bip.
Le palpebre si strinsero, poi si
socchiusero.
Bip.
Due iridi azzurre come il mare [il mare
che ricordava] lo guardarono assonnate.
Bip.
Le labbra si tesero in un sorriso timido.
Bip.
Per qualche secondo eterno, Nate River vide
il riflesso del se stesso ragazzino negli occhi dell’angelo sorridente.
Poi sentì un suo respiro più profondo, e la vide –
apparentemente – assopirsi.
Bip. Bip. Bip.
Il tempo passò e lui non se ne
accorse.
L’unico segnale dal mondo esterno gli
arrivò quando una porta si chiuse in lontananza, mentre una linea verde
continua si disegnava sullo schermo.
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...
«Perché
sei andato lassù?»
«Perché
la tenevate chiusa là dentro?»
«…»
«…»
«Non
c’è motivo per cui tu debba saperlo.»
«Era
lei, l’erede. Non è così?»
«…
Sì. È così.»
«…»
«…»
«Non
siete riusciti a salvarla.»
«Abbiamo
tentato, Nate. Per molti anni. Ma a volte la vita è semplicemente
più forte di noi.»
Una casa col balcone
sul mare fu bruciata per la seconda volta davanti a lui da mille fuochi accesi
dal ricordo.
[ La
curiosità (…) spesso e volentieri ci porta addosso qualche
malanno.
E a volte qualche
dolore nuovo.
]
Nate River non aveva niente.
Neanche
più quell’unica, piccola, insignificante ossessione.