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Autore: beesp    18/03/2010    1 recensioni
Mamma una volta mi raccontò che quando non volevo piangere ed ero sul punto di scoppiare mi lisciavo le gonne e massaggiavo tra le dita il tessuto, mi rilassavo e subito dopo ero pronta a sorridere di nuovo. Ho voglia di tentare, e provo.
Soltanto il bisogno. Puro scottante e lacerante.
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Amore andato terribilmente male
Amore andato terribilmente male
[Prompt: Abito bianco e leggero; 1'236 parole]

 

 

Sono un’aquila quest’oggi.

Ho scelto d’indossare un abito bianco e leggero, sventola assieme alla brezza primaverile, ai capelli che volano all’indietro e sferzano con morbidezza la schiena. Mi sento perfino io eterea, senza alcun peso; mi guardo allo specchio e il mio viso pulito mi fa stare male. C’è un piccolo solco più scuro sulla guancia destra, è quel dannato occhio lacrimoso… si lascia andare nei momenti peggiori e non so come fermarlo.
Continua a svolazzare l’orlo di pizzo. Le gambe nude, le braccia scoperte. Un tempo adoravo i mesi caldi, mi piaceva sentire il sapore del sole sulla faccia, non bastava neanche la più pesante goccia d’acqua per cancellarlo dopo. Ora non sappiamo più prenderlo tra le mani.
« Abbiamo quasi finito »
Annuisco. Sono un’aquila quest’oggi. La mia mente viaggerà lontana mentre osserverò loro, poggiati gli uni sugli altri, accovacciati nei loro colori cupi. Mi guadagno un’espressione contrariata da parte di mia madre, vorrebbe che indossassi abiti “consoni”. « Ma io devo volare oggi, mamma » vorrei dirle. Ma lei non ascolterebbe, ha le orecchie tappate di quella stessa sostanza che le impastocchia il completo elegante e gli occhi e i capelli. È sempre la stessa cianfrusaglia chimica puzzolente e intensa, arriva fin sotto la pelle e intossica il sangue e l’ossigeno. La riconosco: è ciò che ci trascina sul fondo, che ci fa perire ogni giorno.

Ci sono tante parole e un prato verde ed enorme, fin troppo. Qualche monumento di pietra e troppe persone. Se non fossi qui davanti, se ci fosse qualcun altro a bloccare il passaggio, mi sentirei soffocata.
Sono un’aquila. È necessario ricordarlo, affinché non mi lasci abbindolare dalle passioni umane che mi sottraggono la possibilità di spiccare in alto e lanciarmi a capofitto nel blu… no, oggi il cielo è nero. (Sarebbe stato stupido, altrimenti, tutto questo. Se c’è un Dio da qualche parte lassù ha preferito non rendere vani gli sforzi di chi ha consumato una minima parte delle proprie energie per organizzare la celebrazione). È necessario ricordarlo perché se non dovessi tenerlo a mente rischierei di ritrovarmi aggrappata a una qualche colonna portante, senza riuscirmi a staccare.
La voce di chi apre bocca è sempre la stessa, si muove di labbra in labbra, le osservo e cerco di cogliere dei movimenti differenti, che non siano le inutili commiserazioni e false pene. Qualcun altro ripete il mio nome, forse è lo stesso che mi scuote la spalla e domanda se ho voglia di “qualche parola”. Il mio essere altrove avrebbe dovuto essere sufficiente da settimane: non parlare è, di per sé, una voglia di non farlo. Avrebbero bisogno di usare il cervello, almeno un altro po’. Ci dicevano che eravamo noi a dover ragionare.

Un ultimo coro di “avrebbe dovuto cambiare il mondo” e poi siamo pronti a ignorarci per il resto dei nostri giorni. Io non dovrò guardare loro, loro non dovranno invitarmi in casa né salutarmi. Come se non ci fossimo mai stretti la mano, non avessero mai sacrificato i loro sentimenti per il figlio unico che avevano.
C’è una voce nella mia testa che da sta mattina mi tormenta… ripete che questa è una canzone che parla di un amore andato terribilmente male. Se solo l’ascoltassi, forse, ci sarebbe un’onda d’urto spaventosa e io sarei catapultata tanti anni indietro, alla mia nascita – se fossi fortunata. Potrei distruggere tutto ciò che faceva parte di me, annientarmi, annullarmi e rifugiarmi nel limbo, dove dimenticare e ricordare, respirare l’aria delle anime o ciò di cui si nutrono – e se fosse la sofferenza degli esseri umani il loro cibo?
« So che hai paura, che è una situazione nuova per te, che è difficile… ma ci siamo passati tutti, e tutti siamo stati costretti ad andare avanti perché- » Se solo si accorgessero di quanto sfiorino la perfezione certi giorni! Basterebbe fermarsi e riascoltare ciò che si ha detto. Si ammirerebbero le poche frasi intelligenti esposte dal cervello, come quella appena pronunciata “e tutti siamo stati costretti”: è esatto. Costretti, non “abbiamo deciso”, “abbiamo voluto”. Costrizione, obbligo, l’unica alternativa. L’altra? Morire. Troppo semplice, dicono loro. Io sono dell’idea che sia complicato, invece. Ed è per questo che non scelgo la via dell’abbandonare tutto, non potrei tornare indietro e se non esistesse alcunché cosa accadrebbe?
Rimango qui, correggo le loro affermazioni nella mia mente e volo.

Quello che ho addosso è davvero un ottimo tessuto. Mamma una volta mi raccontò che quando non volevo piangere ed ero sul punto di scoppiare mi lisciavo le gonne e massaggiavo tra le dita il tessuto, mi rilassavo e subito dopo ero pronta a sorridere di nuovo. Ho voglia di tentare, e provo. Strizzo perfino le palpebre e si formano quelle fastidiose sfere di luce. Ma nulla, non c’è altro che una sala ghermita di persone. Qualche ragazzo mi sembra più familiare di quella zia di secondo grado, e la nonna meno triste che mai.
« Per favore, potresti prendere dell’altro ponch? »
Con piacere, vorrei rispondere. Ma non so più articolare voce, non c’è alcun suono che abbia voglia di spuntare fuori da chissà quale nascondiglio. Li sento, gli organi, le emozioni, le sensazioni e i ricordi, sono tutti stipati in confusione nel mio corpo, come se fosse una scatola disordinata e stracolma che non aspetta altro che essere aperta e vomitare fuori tutto il suo contenuto – e sporcare i giorni e le ore e il mio vestito.
Nel frattempo, vi lego un nastro attorno e spero che regga – almeno con qualche ritocco di tanto in tanto.
Con un cenno della testa sono di nuovo tra di loro e porgo le caraffe di liquido rosso a chi me le ha chieste. Forse una cugina…

È la canzone di un amore finito terribilmente male.
C’è perfino la musica di sottofondo, si prendono gioco di me, dovrei concentrarmi a fissare nella mente ciò che il parroco ci sta comunicando, riguarda lui. Ma no, c’è la vocina che mi incita a uscire fuori.
« Guarda, c’è la pioggia » E c’è il sole, contemporaneamente. Si riflette sulle gocce e quelle sembrano diamanti. Ed è impossibile, ora, che io li segua.
Dove? Sul tetto. Potrei sfiorare le stelle e carezzare le aquile come me. Volare con le mie ali, dimenticare tutto ciò che non sia l’aria ad alta quota e il nome dell’amore andato a male e marcito. Soltanto l’istinto di sopravvivenza ed io, che lottiamo l’uno contro l’altro – e spero che alla fine l’abbia vinta lui, anche se lo credo difficile. E poi tornare qui, tra tanti anni, riguardare il giardino e scoprire che ciò che è accaduto non è altro che frutto di immagini raccolte in precedenza, ritrovarlo seduto sulla panchina del parco più rumoroso e allegro, a riscaldarsi con una tazza di caffè tra le mani e aspettare l’ispirazione. Magari si sarebbe voltato verso di me e le mie piume marroni, mi avrebbe accarezzato e domandato da dove provenissi. Gli avrei risposto silenziosamente, come sono costretta oggi a esprimermi, ma lui avrebbe compreso che il luogo da cui nasciamo è sempre lo stesso, lo avrebbe ascoltato anche se non vi fosse stato modo.

Piove ancora di più. Il cotone è fradicio e le scarpe sono simili a un acquario, qualcuno è aggrappato alle finestre della propria casa e gli automobilisti che sfrecciano sull’asfalto suonano il clackson. Ma io… io non sento nulla. C’è soltanto la pioggia con la canzone dell’amore andato terribilmente male.

 

 

 

Angolo dell’autrice: Questa storia è stata ideata per i compiti d’italiano. La persona della quale m’interessava di più il parere mi ha confessato che lo stile non le piaceva (come già mi aveva detto in precedenza, lo vedeva troppo “pomposo”), però altre, come mio padre e una mia compagna di classe, mi hanno assicurato che è piaciuta. Quindi, spero che a voi piaccia. Per me è come se l’avessi ripudiata.

   
 
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