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Autore: AkaneTachibana    19/03/2010    1 recensioni
La concezione di amore è pian piano diventata troppo estremizzata. Questa è la semplice storia di un amore durato venti minuti...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un’altra inutile giornata era finita. Quel giorno ero andato all’università soltanto per un paio di ore di lezioni totalmente inutile, purtroppo con l’obbligo di frequenza. Treno diretto fino a casa e poi a lavoro, giornatina niente male in fondo. Attraversai i binari per andare su quello da cui sarebbe partito il mio treno e avvicinandomi al centro della passerella vidi una ragazza che colpì il mio occhio. Cappottino di pelle corto marrone scuro, da cui spunta un cardigan marrone, jeans stretto chiaro sopra ad un paio di converse beige. Al collo una elaborata sciarpa marrone e bordeaux che ai due lembi pendeva ai lati del suo collo dopo essersi avvolta serpentescamente al suo collo; alla spalla portava un’ampia borsa con rifiniture marroni scure, il resto era in sfondo terra di siena con ricami floreali in verdi e arancio. Al viso un paio di occhiali in celluloide, ampi, anch’essi marroni scuri. La ricercatezza dell’abbinamento aveva quasi del maniacale ed era forse quello ad aver attirato la superficialità del mio gusto in fattore di abbigliamento. Mi fermai a distanza, al primo palo utile dove appoggiarmi e scaricare almeno parzialmente le mie membra dall’estenuante peso gravante su di esse. Oltretutto non mi piace la ressa e preferivo sempre andare in fondo o in cima al treno, i luoghi solitamente meno affollati, da vero misantropo quale nel fondo del cuore ero. La osservai a tratti ancora per un po’, mentre il treno veniva annunciato e la voce elencava le decine di fermate che avrebbero seguito il percorso del treno, si muoveva in cerchio, senza mai fermarsi e a volte poneva l’indice fra i suoi capelli, ne allontanava un piccola ciocca dal resto della massa e iniziava ad avvolgerlo velocemente intorno al dito, quasi con una certe isteria nel farlo. Anche i capelli contribuivano a darle un tono, aveva dei lunghi capelli castani, tendenti al biondo scendendo verso le punte; erano lisci, ma non troppo, quasi sembrasse fossero non curati da un verso e ricercati nel loro disporsi dall’altro, ma d’altra parte contribuivano a dare ancora più personalità alla persona.

Vidi il treno arrivare dalla curva prima dell’ingresso alla stazione, alcune persone mi si avvicinavano supponendo che il treno sarebbe andato lungo sul binario e iniziarono a circondarmi, lasciandomi alquanto contrariato al punto di ponderare di allontanarmi ancora di più,  ma desistei vedendo il treno frenare troppo in anticipo. Per fortuna non fu così e una porta mi si parò di fronte e salii sul treno per primo. Entrai nel vagone e tutto vuoto tranne per un unico passeggero, gli altri erano dietro di me. Mi sedetti in uno degli ultimi posti del vagone, riponendo sul sedile di fronte pc, zaino e piumino. Un bel viaggio di relax senza essere disturbato. Da seduto mi allungai verso lo zaino, lo aprii e ne estrassi un libro, un romanzo per adolescenti. Alle volte amavo leggere qualcosa di molto più leggero del solito. Lo aprii e non trovai il segnalibro, imprecai fra me perché non c’è cosa più odiosa di un segnalibro che si muove, casca, va a giro. A cosa serve a quel punto, tanto vale non metterlo del tutto ed ogni volta cercare faticosamente dove si era rimasti o cercare di ricordare la pagina sempre prima di chiuderlo. Avere la sicurezza di un punto salto e poi aprire e niente, il doppio della fatica oltre all’illusione di una certezza. Mi allungai nuovamente e lo trovai nella cartella, finalmente potei accomodarmi e cercare il punto dove ero arrivato nella mia lettura, quando una voce mi si rivolse:

“E’ libero qui?”

Mi voltai, leggermente contrariato perché i posti non mancavano sul treno al punto da venire a disturbare, quando voltandomi per rispondere la vidi. Le parole mi morirono parzialmente in bocca e ne uscì un suono un po’ attutito, anche perché alla fine la misantropia va a braccetto con la timidezza:

“Si, prego”

Era lei. La ragazza che avevo osservato sul binario, una di quelle poche persone che fra decine ti capita di fissare e di ricordarti. Una dei poli di attrazione del proprio senso della vista nei momenti di osservazione. Il primo pensiero fu quello di liberarmi del libro leggermente infantile per non sfigurare e mi lancia sulla lettura di una delle numerose riviste, Sport Week. Subito dopo mi chiedi se era questione di caso oppure no, mi sono sempre chiesto se esiste il destino e non ero mai riuscito a darmi una risposta sicura. Solitamente propendevo verso il no, sarebbe stato un po’ triste e riduttivo non aver possibilità di scelta, tutto servito come deciso da qualcosa di assimilabile ad una divinità; d’altronde certe cose non si riescono nemmeno a spiegare senza un minimo pensiero all’esistenza di un destino scritto. Quindi sicuramente la migliore soluzione sarebbe stata una mediazione fra le due correnti di pensiero. Ma in quel caso non sapevo che rispondermi, tranne di dubitare che fosse una scelta volontaria. Cioè, in fondo, per fare una cosa del genere, avrebbe dovuto ragionare come me, quindi avere tendenze leggermente pazzoidi, in senso buono, e oltretutto mi chiedevo, in un impulso di altissima autostima, come una ragazza del genere avrebbe potuto provare un tale interesse da spingerla ad una tale azione per una persona vista per la prima volta. Iniziai a sfogliare la rivista, scegliendo su cosa fermarmi, già avevo fatto una scelta poco adeguata: una rivista sportiva per un uomo, così banale. Trovai un articolo sul rugby, almeno non era sul calcio, e cominciai a leggerlo. Lei iniziò a cercare qualcosa nella borsa e ne trasse qualcosa come un taccuino e un lapis e iniziò a scrivere, aveva un modo di scrivere nervoso, veloce rapido, un pugnale di grafite che penetra la carne di cellulosa con le sue parole. Ero curioso di sapere cosa scriveva, di che argomento. Non sembrava roba universitaria, supponevo una sorta di diario, il che mi incuriosiva, ma essendo proprio accanto a me, non potevo provare a leggere se non rendere palese il mio idiota tentativo. Continuai a sfogliare il giornale velocemente per liberarmene il prima possibile insieme allo stereotipo delle uomo capace di leggere solo di sport, cosa che era totalmente falsa. Finito, presi un altro giornale, un mensile da uomini del Corriere della Sera, aveva un che di ricercato e artistico, con qualche articolo su vestiario, arredamenti, oggetti di culto. Speravo che per caso il suo occhio cascasse su una immagine, un titolo e introducesse un argomento di conversazione, qualcosa per rompere il ghiaccio. Ma non sembrava distogliersi dai suoi pensieri. Una volta terminato di scrivere ripose tutto nella borsa e continuò a frugare, dall’interno proveniva il rumore di svariate cose che strusciavano, si scontravano, si trascinavano. Ci doveva essere di tutto all’interno. Poi, presa dal caldo, si liberò del giacchetto e alzò gli occhiali sulla fronte. Sarei stato curioso di vederle gli occhi, è una parte che condiziona sempre la mia opinione su una ragazza, mi piace valutare la profondità di essi soprattutto; ma anche questo mi era impossibile. E presto saremmo arrivati.

Mi soffermai a leggere un articolo di interni di una casa di un famoso fotografo. Veniva illustrata una villa in Marocco, favolosa, etnica, poteva essere un possibile punto di approdo, ma niente. E nemmeno un’idea per essere io ad inoltrare un argomento per la paura di una risposta secca, che tronca ogni possibilità, lasciandoti nel baratro del ridicolo e facendoti sprofondare ancora più oltre la riva della mancanza di autostima. Mi arresi alla cosa, non avrei parlato, potevo solo sperare che sul suo block notes avesse scritto il suo numero di telefono e lo lasciasse cadere sul sedile al momento di scendere. Il treno stava per entrare in stazione, lei se ne accorse e si sedette sulla punta della seduta, aspettando alcuni attimi ancora per indossare di nuovo il giacchetto. Le guardai la schiena coperta dal cardigan marrone, era una bella schiena, che dal profilo slanciato andava a terminare in una vita stretta. Anche la schiena era una parte che poteva risultare molto erotica per me, ma non mi feci alcun pensiero erotico. Infine indosso il soprabito e prese la sua roba, l’avrei guardata al momento di scendere in viso, cercando il suo sguardo. Con che fine non lo sapevo, forse per avere una certezza sul motivo per cui si era seduta accanto a me e magari rimpiangere ulteriormente la mia timidezza. Il treno iniziò a frenare più energicamente e lei si alzò, ancora gli occhiali sulla fronte. In piedi si fermò per qualche attimo nel corridoio davanti a me, alzi lo sguardo per guardarla. Guardava verso l’uscita, poi iniziò a camminare lungo il corridoio e in quel momento velocemente si voltò verso di me.

Finì così il mio amore di venti minuti, intenso, passionale. Perché l’amore è un sentimento che si può vivere sotto varie sfaccettature, è la pulsione di un momento che  può non finire mai, ma a volte finisce troppo presto.

  
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