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Autore: nightswimming    19/03/2010    2 recensioni
Sì, perché sai qual’è l’unica cosa divertente in questa sfiancante odissea di scoppi di pianto, sfoghi, rabbie, atti vandalici sui sentimenti, parole “fine” e “mi dispiace”?
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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You are really good food, and I am full.

-You Had Time-, Ani Di Franco

 

 

Sarebbe molto più sano se, una volta riusciti ad essere sinceri con sé stessi, anche i ricordi si comportassero  nella stessa  maniera. Aiuterebbe sapere che la parte più irrazionale e capricciosa della mente sia capace di elaborare il dolore in sincronia con la volontà, con i buoni ed immancabili propositi di andare avanti.
Non è così. Ogni memoria è un agguato alle spalle: prima ancora di aver tentato di non pensarci, il coltello è già affondato fino al cuore.
Dover scegliere con nitidezza cosa manca di più, in quale parte del corpo si avverte più intensamente il vuoto… Nemmeno questo è concesso. “Tutto, dovunque, sempre”, parole così fastidiosamente assolute da acuire il sapore amaro che invade la bocca come un veleno, sono le uniche parole che si riesce a tirar fuori con la fila di amici e persone care che intasano il tuo telefono e la tua posta da giorni.
“Ma come”, sussurrano.
“Non è possibile”, postulano.
“Sei sicura?”, chiedono.
Le risposte sono così sconnesse e nervose da sembrare poco credibili persino a sé stessi. Limitarsi a imperativi monosillabi stringe lo stomaco con la morsa terribile del senso di colpa; e il silenzio è talmente intollerabile nella propria camera, in bagno, in cucina, che pensare di utilizzarlo per scappare a simili domande è fuori discussione.
Ma il silenzio è tutto ciò che segue, la voce muta dell’astrazione e del fallimento, il pungolo della sicurezza e dell’autostima. L’inevitabile, indagatore silenzio.
Cosa significa piangere pensando agli oggetti che teneva sulla scrivania? Che senso ha? C’è qualche simbolismo psicologico e religioso che sappia spiegare questa ridicola implosione di lacrime e singhiozzi?!
Perché i ricordi di mani, viso, cappotti, maglioni e schiena sono così dannatamente irraggiungibili ed estranei? Cosa li ha cristalizzati? Cosa li ha fatti assurgere a pallidi simulacri di malinconia?
Ma è così. E’ illecito pretendere lealtà persino da sé stessi. Chiedere di poter affrontare tutto subito, come si è stati costretti a mettere tutte le carte in tavola e a redigere un goffo epitaffio per un pezzo di vita, supplicare di essere invasati dal dolore per un lasso prestabilito di tempo e poi voltare pagina, è chiedere troppo. Servono giorni e sopportazione, e pietà verso la voce che malignamente ti sussurra all’orecchio che c’è chi sta peggio e che non hai alcun diritto di soffrire così.
Sì, perché sai qual’è l’unica cosa divertente in questa sfiancante odissea di scoppi di pianto, sfoghi, rabbie, atti vandalici sui sentimenti, parole “fine” e “mi dispiace”?
E’ che l’hai lasciato tu.

 

 

 

 

Dall’autrice: piccolo, necessario, insensato documentino di Word. Neanche una pagina.
Io lo posto perché è stato un parto, ma non ho sinceramente cognizione di un qualche suo (ipotetico) valore di sorta.
La canzone di Ani Di Franco è bellissima ed è stata eletta all’unanimità “the break-up song” XD
*Tu sei cibo veramente ottimo, e io sono piena.
 

 

   
 
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