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Autore: JimmyHouse    20/03/2010    3 recensioni
Storia AU e OOC. Voldemort è davvero morto dopo aver ucciso i Potter. Qualcuno dovrà prendere il suo posto, così la storia si ripete.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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Prima fan fiction di Harry Potter, siate clementi

Nel 1987 Lord Voldemort è veramente morto dopo aver ucciso i Potter. Il loro unico figlio Harry è stato adottato dagli zii babbani. Il mondo vive in pace e tranquillità.

1991
Tanti bambini stavano giocano allegramente in un campo fiorito. La primavera era giunta anche quell’anno. Gli insetti svolazzano qua e là e le risate dei bambini riempivano l’aria.
Tutti stavano giocando. Tutti tranne uno. Riley non amava la compagnia altrui. Era all’ombra di un albero che leggeva un libro nero, senza copertina. Circolava sempre avvolto nel mistero: vestiti neri, libri foderati di nero, nessun accenno a voler socializzare.
Le maestre non capivano perché, e come loro neanche psicologi e psichiatri.
Era ovviamente diverso dagli altri. Non urlava mai. Già era raro sentirlo parlare.
I bambini solitamente hanno, nell’età tra i sette e i nove anni una voce acuta, Riley no . Aveva una voce seria e da grande. Anche il suo aspetto era diverso. Tutti i ragazzini dell’orfanotrofio avevano un’aria patita, sporca, da malfattori o pigri. Lui aveva un aspetto aristocratico. Era sempre ordinato e pulito. Stranamente i suoi vestiti erano sempre i più moderni e lui sempre il più bello. Parecchie ragazzine si erano invaghite di lui, che le aveva traumatizzate a tal punto da farle impazzire. Non si sa come non si sa perché.
Di lui non si sa nulla. Lui è il mistero, solo un nome senza aspetto o pensiero.
Nessuno l’aveva mai visto ridere. Alcuni ragazzetti di lì però raccontavano storie di paura, per spaventare gli altri e lui era sempre protagonista.
Si narrava che i bambini e le bambine lo avessero visto ridere, per questo non fossero mai più stati gli stessi. Ora, in una calda giornata di fine agosto lui stava leggendo, come al solito.
Non sapeva esattamente come ma aveva imparato il greco, infatti stava leggendo l’Iliade in lingua originale. Quei personaggi lo condizionavano molto. Voleva essere forte e terribile come Achille, astuto e intelligente come Ulisse e bello come Paride. Già, quel giorno voleva sfiorare la perfezione. Finito il tomo si alzò in piedi e rimase immobile a guardarsi attorno per circa un quarto d’ora.
Quando lui guardava non vedeva come vediamo noi. Oltre ai tradizionali colori, forme e strutture al centro del corpo umano lui vedeva una luce. La luce variava di grandezza e colore a seconda di alcuni criteri.
Le persone assolutamente non interessanti erano semplice color rosso opaco. La grandezza determinava la potenza spirituale, che al massimo in un adulto arrivava alla grandezza di un melone.
Alcune persone “speciali” che vedeva passare per strada però avevano colori diversi e luci più grandi e intense. Poteva però anche semplicemente guardare come noi, diciamo che quello era un optional.
La maestra non lo aveva mai visto alzarsi, così si mise a fissarlo. Lui non avrebbe voluto attirare attenzione su di sé, non per una mancanza di autostima, bensì perché altrimenti avrebbero cominciato la loro lenta e incomprensibile tortura psicologica. Consisteva nel martellarlo fino all’esaurimento, invitandolo continuamente a giocare con loro. Arricciò il naso, il solo pensiero era molesto.
Lui, che aveva un bagaglio culturale immenso, che poteva ferire senza nemmeno muoversi, doveva rimanere bloccato, imprigionato.
Nulla di quello aveva senso. Aveva scoperto di recente di poter realmente parlare con i serpenti, perciò negli ultimi tempi aveva socializzato con la loro specie. Da lì nacque il suo desiderio di essere anche lui un serpente. Nel loro regno vinceva il più forte, non il più stupido. Non esisteva la giustizia, solo perché non c’erano ingiustizie.
Si risedette come se nulla fosse, continuando la lettura senza produrre il minimo rumore. Non c’era giornata che non fosse così. al chiuso e all’aperto, seduto o in piedi riusciva sempre ad evitare il contatto umano.
Venne quel giorno. Il giorno in cui dalla sua porta, o per meglio dire dalla porta dell’orfanotrofio entrò una donna. Una donna attempata, non più giovane. Squadrò attentamente la figura dalla finestra. Vestiva in una maniera particolare, con quella tunica particolare che le arrivava fino ai piedi. Una buffa tunica verde accompagnata da un ancora più insolito cappello a punta in tinta. Riley trovò la cosa strana, ma in qualche modo sapeva che tutto quello che stava accadendo lo riguardava.
Dopo poco, il tempo in cui l’anziano padrone dell’orfanotrofio utilizzava per salire le scale, sentì bussare alla sua porta.
Invitò molto educatamente chiunque fosse ad entrare, finché non si trovò davanti la particolare donna che aveva spiato dalla finestra.
Era alta e vestita in maniera inconsueta, ma non sembrava sentirsi a disagio per quel motivo. Aveva un naso lungo, sul quale erano adagiati degli occhialini. I suoi capelli legati in una crocchia dietro la testa, il suo cipiglio severo si abbinava perfettamente. Chiese con cortesia se poteva parlare da sola con il ragazzino. Non doveva essere una donna di molte parole e Riley apprezzò silenziosamente questo fatto.
-Signorino Somber, giusto?
Chiese guardandolo senza espressione sopra i suoi occhialetti. Il ragazzino si limitò ad annuire, afferrando la lettera che lei gli porgeva gentilmente.

Signor Somber,
lei è stato ammesso alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Le preghiamo di recarsi il giorno 1 settembre al binario 9 e tra quarti,
alla stazione di King’s Cross.
Distinti saluti,
Albus Silente


Il ragazzino lesse più e più volte la lettera, controllando anche l’allegato che gli doveva spiegare come arrivare fino ad un posto di nome Diagon Alley e comprare tutto il necessario per questa scuola di magia. Inutile dire che non ci credeva. Non ci poteva credere.
Una speranza di abbandonare quel posto deprimente e squallido, che lo avrebbe condannato ad una vita terribilmente limitata. Alzò lo sguardo verso la donna seria che si stava guardando intorno senza mutare espressione.
-Non mancherò-
Le disse semplicemente, senza chiedere chi fosse quella donna, cosa volesse da lui, se la scuola esisteva realmente. Non le chiese nemmeno informazioni su quel luogo dove avrebbe dovuto acquistare tutto il materiale. Semplicemente sembrò congedarla con lo sguardo.


Allora vi piace? Lasciatemi qualche commento, per farmi sapere se conviene continuare, ok?? Vi aspetto e, fino a che non riceverò almeno un commento, non posterò più nessun capitolo.
  
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