Eternità e Sconfitta
Non
riesco a muovermi.
Ho
una fugace visione di un volto molto vicino al mio, prima che il freddo
giunga
alla gola. Non sono sicuro di urlare. Non capisco cosa sta succedendo.
Le
pietre che circondano la fontana sono ruvide, e graffiano la pelle
scoperta.
Sento l’unica cosa che indosso scivolare via e per un attimo
mi sembra quasi
che tutto avvenga al rallentatore. Gli istanti si dilatano, e si
rincorrono, ma
quando comincio a capire è troppo tardi.
Mi
rialzo, ma cado. Sento il ginocchio bagnato e non capisco se
è acqua o sangue.
Forse entrambe le cose. Riesco a mettermi a carponi, ma le gambe
tremano e non
è facile alzarsi. Non ho tempo per voltarmi. Ho paura di
farlo.
Mosso
dall’istinto, riesco a mettermi in piedi, ma faccio a
malapena un paio di passi
prima di sbattere contro qualcosa di duro e freddo. Rovino ancora a
terra.
Stavolta sento distintamente i palmi delle mani bruciare.
Non
faccio in tempo a voltarmi per riuscire ad alzarmi. Mi sento pressare a
terra.
Urlo. Di dolore e paura. Non riesco a muovermi. Non riesco a muovermi.
Rabbrividisco,
quando sento distintamente il gelo scostarmi quasi gentilmente i
capelli dalla
nuca. Delle dita corrono sulla spina dorsale. Tremo. Sto tremando.
D’improvviso,
il peso sparisce.
Mi
riesce difficile realizzare la cosa. Riesco ad alzare il busto dalla
pietra
grazie alle braccia, ma sento che il mio petto è
praticamente scorticato e
brucia da morire. Mettermi anche solo in ginocchio mi appare
un’impresa.
Il
dolore allo scalpo è lancinante. Urlo di nuovo, prima che
qualcosa mi tappi la
bocca. Cerco di artigliare quella che ho capito essere una mano, ma a
quanto
pare non serve a niente. Mi sta tenendo per i capelli. È
orribile. Sto per
morire.
Stavolta,
mi sento atterrare sul morbido e sul fresco. Ma i gracili fili
d’erba sulla
pelle rovinata mi causano un inferno bruciante nella testa.
Di
nuovo, quel peso sembra quasi bloccarmi il respiro.
Non
posso crederci. Cerco di urlare, per attirare l’attenzione e
chiedere aiuto. Ma
sembra avermi letto nel pensiero. Mi sento così debole...
Ancora mi chiude la
bocca con una mano. Chiudo gli occhi. Devo placare il respiro. Devo
calmarmi.
Devo ricordarmi che ho anche un naso e posso usare quello per
respirare.
Inspiro, espiro. Ancora. E ancora.
Ma
il cuore mi batte furioso nel petto. Lo sento rimbombare contro la
cassa
toracica come se volesse romperla. Me lo sento in gola, nella testa.
Non riesco
a muovermi.
Tento
un’altra, debole, inutile resistenza. La tenue risata che mi
si infrange contro
la nuca mi fa spalancare gli occhi e rabbrividire da capo a piedi.
Strattono le
spalle, ma ottengo solo un nuovo fiatone e
l’impossibilità di riprendere fiato.
Aiuto.
Non riesco a...
Sento
la pelle della spalla lacerarsi. Sento freddo. Ho freddo. Sto per
morire. La
ferita brucia, sembra essere l’unica parte del mio corpo a
conservare un minimo
di calore. Non capisco. Non capisco. Sento qualcosa di bagnato, freddo
e
appiccicoso scivolarmi lungo il braccio. È troppo buio, non
riesco a vedere
nulla.
Il
battito frenetico e irregolare nelle tempie ritarda il suono che
però in breve
tempo riconosco come un ansimare ritmico, soffocato. Ma non sono io. Io
non sto
respirando. Non ci riesco. Mi divincolo ancora. Comprendo che
è completamente
inutile. Scalcio, strattono, urlo. Non serve a niente.
Mi
sento voltare sulla schiena. E, finalmente, riesco a vedere in faccia
questo
essere che fino ad un secondo fa stava bevendo il mio sangue. Ma
conoscere la
fisionomia del suo viso non mi concede alcun giovamento. Ora so
soltanto che
viso ha il mio assassino. Morirò. Non ha tolto la sua mano
dalla mia bocca. Ma
vedo che non fa nulla, per il momento. Riesco a calmarmi.
Resto
immobile per parecchi minuti. Lui anche. Sembra quasi che non stia
nemmeno
respirando. Riprendo fiato, anche se il cuore continua a martellarmi
nel petto.
Finalmente, mi permette di respirare anche con la bocca.
«Io... io ti darò qualunque cosa. Qualunque
cosa. Ti prego... ti prego, non...». Mi posa
l’indice sulle labbra. Poi
compie lo stesso gesto su di sé. Mi sorride e ammicca.
Quello
che vedo nella sua bocca mi lascia terrorizzato e stupito allo stesso
tempo. È
un demone. Un demone, giunto dai meandri della notte. Quando ero
piccolo,
pensavo che le storie che mi raccontava mia madre per scoraggiarmi ad
uscire di
casa dopo il tramonto fossero solamente leggende.
Ma
quell’incubo infantile ha preso vita. Ed è venuto
ad uccidermi.
«La tua pelle è chiara». La sua voce
è una sorta di sibilo roco. Mi fa rizzare i peli sulla nuca,
neanche fossi
stato immerso nell’acqua gelida. E ha un modo strano di
pronunciare le parole.
Fa delle strane pause fra le sillabe. L’indice posato sulle
mie labbra va ad
accarezzarmi il viso, dalla tempia al mento.
Rabbrividisco.«Molto chiara» ripete, guardandomi.
Vedo quei denti assurdi scoprirsi e il battito del mio cuore aumenta a
dismisura.
«Ti prego...» mormoro, ansimando. Non
voglio morire. Non voglio morire. Chi si prenderà cura di
mia madre? Come farà
Adel, il mio Adel, a sopportare per tutta la vita ciò che io
ho passato nei sei
mesi più lunghi della mia esistenza?
L’essere
non pare avermi sentito. «E sei
bello. Sì. Molto bello. Bellissimo» dice. Vedo la
sua lingua rossa
passare sui canini e istintivamente distolgo lo sguardo.
«Io... vuoi il mio corpo? È tuo. Ma ti prego, non...».
Mi
interrompe di nuovo. Sento gli occhi colmarsi di lacrime mentre
percepisco il
suo alito freddo a contatto con la pelle. Tremo.
E
poi torna il dolore. È una lama che trapassa la pelle e la
carne. Brucia. Mi fa
piangere. Mi fa singhiozzare. Non riesco nemmeno ad alzare le braccia
per
spingerlo via. È come se fossi paralizzato. Non voglio, non
voglio, non voglio morire.
Lo
sento respirare piano contro il mio collo. Sento le sue labbra gelide
che si
portano via la mia gioventù e la mia vita. Tutto insieme.
È
bizzarro come adesso mi tornino alla mente ricordi che non pensavo
nemmeno di
avere. Prima sepolti nella mia mente, e ora alla luce, come se
volessero vivere
il loro momento di gloria. O deridermi, passandomi davanti agli occhi.
Mia
madre che mi accarezza la fronte prima di coricarsi accanto a mio
padre,
convinta che stia dormendo. Le corse nel bosco oltre il fiume con Adel
e gli
altri, le arance rubate al mercato e i rimproveri mai ricevuti. E
l’oro del
palazzo, i mosaici, gli occhi del Kiyan. Le labbra di Adel. Il dolore
di mia
madre.
Non
posso lasciare tutto questo.
«Fammi diventare come te» riesco a
dire. E spero che mi abbia sentito, perché sto morendo e
parlare è difficile.
Non riuscirei ad alzare la voce nemmeno se non ci fosse questo gelo ad
attanagliarmi le viscere.
Lo
sento fermarsi.
Sorride,
e non riesco nemmeno a trovare orribili e spaventosi i suoi canini.
Sento le
palpebre abbassarsi. Ho sonno. Tanto sonno. Ma non riaprirò
mai più gli occhi.
No.
Di
nuovo, il suo fiato e le sue labbra.
Ma
nessun dolore.
«Yashar».
Dunque.
Eccoci qui.
"Vita" è conclusa ma, come ho accennato in una risposta in uno dei passati capitoli, probabilmente avrà il suo seguito. Anche se probabilmente finirete per l'essere indecisi sull'odiare Kamal alla follia o di amarlo perdutamente (e una non esclude l'altra, parlo per esperienza personale... XD)
Beh. Grazie a tutti coloro che hanno seguito questa storia fino alla fine! *afferra i fazzoletti* Sarei immensamente felice di vedere un commento finale all'intera storia, ora che è conclusa, anche da coloro che non hanno mai recensito. ^^
Detto questo, vi saluto! *si inchina* Con affetto,
Sammael