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Autore: GaH_90    22/03/2010    4 recensioni
{Io ci voglio credere …e tu?
Io ci voglio credere…convivendo
Io ti voglio vivere…e tu?
Io ti voglio vivere….convivendo }
Lei è Vittoria, Viky, una tranquilla studentessa di Economia appena uscita da una storia burrascosa, lui è Mattia, Matt, bellissimo, tenebroso e chissà cos'altro...
E se Viky si trovasse costretta ad ospitare Matt per qualche giorno, per fare un favore alla sua più cara amica?
E se la differenza di carattere fra i due si facesse sempre più intensa fino a scoppiare in una sconvolgente passione?... E chissà, forse non soltanto?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 “Cazzo”, pronunciai la parola con enfasi marcata, osservando dritto negli occhi la mia amica Steffy, che mi stava fissando dall’altro lato del tavolo.

“Si tratta solo di cinque, sei, dieci giorni al massimo!” rispose lei ricambiando il mio sguardo altrettanto intensamente con i suoi bellissimi occhi azzurro cielo.

“Sì ma Steffy, amore, mi stai dicendo di ospitare un tuo amico che nemmeno conosco, per tutto questo tempo a casa mia, e, primo, chi glielo dice ai miei, secondo, non ho posto dove metterlo!” esclamai alzando un po’la voce, tanto che Sissy, la mia dolce gattina che si stava rotolando allegramente sul divano nell’altra stanza, miagolò in modo rabbioso.

“Ma ti dico che Mattia è davvero un personaggio fantastico, un amore di ragazzo. Ordinato, gentile, dà una mano in casa… Non potresti desiderare di meglio. Giusto il tempo di permettergli di fare quel colloquio di lavoro e poi se ne andrà. Te lo assicuro. E dai amore!” Steffy mi guardò con aria adorante e con due occhioni da cucciola ed io mi ritrovai a sospirare. Lo sapevo, stavo cedendo alla mia migliore amica, come sempre ero incapace di dirle di no. “E poi…” aggiunse lei con un’improvvisa aria da cospiratrice e strizzandomi appena un occhio. “E’ davvero un gran figo, credimi. Nel tempo libero fa l’istruttore di palestra.”

 

“Steffy!!!” , esclamai senza distogliere i miei occhi dai suoi, sbarrati per la sorpresa causata dalla solita impertinenza di quella scema della mia amica, che continuava a squadrarmi sorridente e ammiccando, con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia.

Era sempre la solita, e nelle sue pupille rividi tutti i momenti della nostra amicizia, che ormai durava da tempo immemorabile. Quanti momenti passati insieme alla mia cara Steffy, quante gioie, quanti segreti, quanti sguardi in cui a nessuna parola era concesso di accedere, perché avrebbe espresso soltanto quello che già avevamo capito. All’anagrafe Vanessa Bigoli, era stata poi cresciuta fin dalla più tenera età da una dolcissima, pazza, fantasiosa nonna, che per lei era come una madre, se non molto di più. Sua nonna avrebbe voluto chiamarla Stefania, proprio come lei, ma i suoi genitori non avevano raccolto la sua semplice richiesta. E così si era limitata a rinnegare quel nome a lei tanto sgradito, Vanessa, e per lei la sua nipotina era sempre stata Steffy. Poiché la mia amica adorava sua nonna, ancora adesso, a vent’anni, si faceva chiamare così dagli intimi. Ed io sicuramente ero una delle persone a lei più vicine.

Occhi azzurro mare,  una boccuccia di fragola e lunghi capelli lisci perennemente piastrati  e castani scuri. Danza, flauto e discoteca. Queste erano le tre parole con cui si poteva riassumere la vita della mia amica del cuore. Oltre a, ovviamente, ragazzi. Steffy non era certo una tipa da mettere facilmente la testa a posto, ogni sera aveva un ragazzo diverso, e con quel fisico da modella, se lo poteva anche permettere. L’unica eccezione era il suo grande amore di sempre, con cui però non riusciva mai ad avere una relazione stabile, a causa del carattere tempestoso di entrambi:  Simo.

La cosa che più adoravo e che allo stesso tempo mi faceva arrabbiare della dolce Steffy, era che non riuscivo mai a dirle di no. Così anche quel giorno, sedute l’una di fronte all’altra a casa mia, nella mia cucina, i nostri sorrisi iniziarono ad allargarsi simultaneamente, i nostri sguardi a riempirsi di quella luce particolare che parlava da sola dicendo “Ok amica mia, ci sto”. E fu così che mi ritrovai a dire “E va bene, ma solo per qualche giorno!”.

L’abbraccio con cui mi ricompensò la mia amica valeva ogni sforzo pensabile, per cui mi feci spiegare tutto su questo Mattia, che sarebbe arrivato in serata ad occupare un posto importante del mio appartamento, e anche dei miei pensieri. Questo perché se lui si fosse comportato male in qualche modo mi sarei trovata nei guai fino al collo con i miei… E non me ne sarebbe importato, solo che non me la sentivo proprio di deluderli.

C’è chi mi chiama perfezionista, perfettina, brava ragazza… Io non sono niente di questo in realtà. Sono una semplice ragazza che ama la vita semplice e che trova stupendo pascersi delle poche cose di tutti i giorni: un giro in macchina a fare shopping, un aperitivo fra amiche, una serata a ballare ridendo… Non ho bisogno di grosse novità per stare bene.

Poi certo, amo studiare è vero. Ma lo dice anche il grande Vasco, no? “Ti piace studiare, non te ne devi vergognare”. Credo nel mio futuro e per questo studio Economia, per il resto sono davvero una ragazza come tutte le altre.

“Allora, Mattia è il figlio del cugino di mio padre… Un bravissimo ragazzo, ventitre anni, già laureato in ingegneria, nel tempo libero fa l’insegnante di fitness e sta cercando lavoro come informatico qua da queste parti…”

“Ottimo, un nerd.” Considerai io, spostandomi un ciuffo di capelli dietro all’orecchio sinistro e fissandola negli occhi. “Bene, meglio, così non mi creerà problemi. Lo sai che non è il caso adesso…”

Una lacrima prese a rigare il mio volto e Steffy spalancò la bocca, disperata per avermi fatta intristire.

“No, ehi amore, amore smettila eh!” prese a ripetermi freneticamente lei battendomi le mani davanti. In quel momento, anche se offuscata dalle lacrime e dal dolore del ricordo, ebbi uno spontaneo moto di affetto incondizionato nei confronti della mia cara amica. Lei mi era stata molto vicina negli ultimi tempi, molto duri per me. Una settimana fa, infatti, avevo ricevuto la batosta più grande della mia vita. Dany, mio compagno di vita, di crescita e di esperienze da ormai 7 stupendi mesi e mezzo, aveva deciso così, di punto in bianco, senza darmi troppe spiegazioni, di lasciarmi, il tutto con una chiacchierata di mezzora e la promessa di approfondire la cosa a breve, cosa che naturalmente non era successa. Lì per lì avevo dato la colpa all’università, alle vite che cambiano, che non sono più le stesse, che non era tutto come quando eravamo alle scuole superiori, ma poi ho dovuto affrontare la realtà. Non c’era altra spiegazione a ciò che era successo, se non la possibilità che lui potesse avere un’altra. All’inizio la realizzazione mi aveva oltrepassato il cuore come una lancia nella carne del toro, ma piano piano il dolore era andato attenuandosi, facendomi respirare di nuovo aria di vita. Ma, per qualche motivo, la chiacchierata con la mia amica aveva riaperto la ferita, che stava ricominciando a buttare il sangue che speravo di non dover più asciugare.

“D’accordo, basta pensare a Daniele. Ormai è un capitolo chiuso della mia vita”. Replicai frettolosamente e con un gesto rapido delle mani. ”Allora, puoi dire a questo Mattia che da stasera alle nove può venire, vedrò di preparargli la stanza degli ospiti, tanto i miei vanno via per questo weekend. “

“Perfetto  Viky! Sei un tesoro! Adesso scappo a riferirglielo… Ci sentiamo più tardi! ”

Steffy si sporse per darmi tre baci sulle guance, e poi uscì dalla stanza come un fiume in piena, lasciandomi di nuovo con una strana sensazione di vuoto addosso.

 

 

Perfetto, l’aereo era in ritardo. Come sempre, del resto. Tirai un sospiro e, appena sceso dal velivolo, mi guardai attorno. Le luci di Roma rischiaravano il cielo buio sopra di me. Mi tolsi gli occhiali da sole, che ormai non servivano più, per ovvie ragioni, e mi incamminai verso il nastro dei bagagli. Valigie, zaini, strani contenitori si susseguivano, e i rispettivi proprietari si affannavano minuziosamente per riconoscere il proprio bagaglio e fare in tempo a tirarlo via dall’azione traente del nastro. In quel momento mi ritrovai a chiedermi dove finisse quel nastro, dopo che scompariva alla vista. Me l’ero sempre chiesto, e la cosa mi divertì. Mi ritrovai a pensare alla mia vita. In fondo era stata tutto un nastro trasportatore di bagagli, senza arte né parte, avevo fatto il lavoro per gli altri, che si erano limitati soltanto a raccoglierne i frutti affannosamente.

Mattia Sbariani, ventitre anni, una laurea in ingegneria informatica ed un brevetto per maestro di fitness. Qualche amico, pochi ma buoni, tante storielle fugaci e innumerevoli notti passate come un nomade da un letto all’altro senza mai provare una vera sensazione di calore e di intimità. Questa era la mia esistenza, che cercavo di soffocare fra i rumori di una facciata sicura, forte e determinata.

Per gli amici Matt, per le tante ragazzine che mi giravano intorno e che ogni tanto risucivano ad avere qualche grazia da me Matty, per i miei Tia, per i clienti Sig. Sbariani. Non risucivo più a capire nemmeno io chi fossi.

Ero arrivato a Roma perché mi avevano proposto un ottimo lavoro come programmatore, e non me l’ero sentita di rifiutare. E se questo comportava cambiare vita, città, amicizie, per un’anima solitaria come me non era assolutamente un problema, quanto, piuttosto, una liberazione. Avevo già trovato un lavoretto nella Capitale come istruttore di palestra, per mantenermi i primi tempi, adesso non mi restava che fare centro nel lavoro della mia vita.

Il telefono iniziò a squillare prima che me ne rendessi conto e mi affrettai a rispondere con un gesto secco.

“Pronto, chi è?” risposi, parlando lentamente.

“MATT!” una voce concitata e squillante si insinuò nelle mie orecchie, facendomi trasalire immediatamente. Riconobbi senza esitazione l’interlocutrice dall’altro capo della linea. Era la mia cara vecchia amica Steffy. Probabilmente eravamo parenti, ma sinceramente non ci avevo mai capito nulla e per semplicità avevo lasciato perdere.

“Ehi Steffy, bellissima, come stai? Ti stavo per chiamare adesso!” mentii. Ero un tipo solitario e meno mi si facevano pressioni, meglio era; la vita è troppo breve per non poter decidere in ogni momento cosa farne.

“Tutto a posto Matt! Allora, tutto organizzato per il tuo alloggio, ti ho sistemato a casa di una mia carissima amica, anzi in realtà sarebbe la mia migliore amica, si chiama Viky, credo proprio che vi troverete benissimo insieme! Ti aspetta per le otto e mezza, è contentissima di averti come ospite!”

Mentre ascoltavo piazzavo qua e là qualche “sì” che facesse vedere che stavo seguendo con interesse. Ascoltai passivamente e annotai mentalmente l’indirizzo dove dovevo andare e poi salutai la mia “amica” calorosamente. C’era qualcosa di strano nella sua voce, come se volesse organizzare un qualsivoglia che di strano e sospettoso. Ma lasciai perdere queste congetture appena mi accorsi che sul rullo dei bagagli non c’era più niente. Niente. Vuoto. Cazzo. Cazzo. CAZZO. Non poteva essere, non era possibile. Ma era successo. Mi avevano perso il bagaglio. Passai l’ora successiva imprecando e cercando aiuto, che mi fu negato da tutti. Niente, nessuno voleva saperne niente delle mie valigie.  Ma si era fatto tardi e questa qua, che non ricordavo nemmeno come si chiamasse, mi stava aspettando. Avrei trovato qualcos’altro da mettermi all’infuori di qualche camicia nera che tenevo nel bagaglio a mano e del mio cappotto Armani, quello che lo zio Maro mi aveva regalato per il mio ventiduesimo. Ci tenevo molto, era più di un cappotto, era il legame più stretto che avevo con un essere umano. Era vita.

Così, imprecando e bestemmiando, chiamai rabbiosamente e bruscamente un taxi, e vi entrai come una folata gelida di vento. Se non mi stavo sbagliando la via dove si trovava la casa dell'amica di Steffy doveva essere proprio quella. Una semplice strada di periferia, interessante ma non troppo, con tutto il grigio intorno a ricordare la freddezza che spesso può albergare in un quartiere.. e purtroppo non solo. Sulla mia agenda avevo scribacchiato a lettere disordinate un nome, che avrei dovuto cercare sul campanello. Cipollini. Mi guardai attorno, indeciso fra l'essere confuso o irritato. Quella zona sinceramente non mi piaceva proprio. Non sembrava avere niente di che. Vita zero. Ed era lontanissima dal quartiere dove avrei dovuto sostenere il mio colloquio... E, speravo, dove avrei trovato il lavoro della mia vita. Ma tanto, tempo massimo dieci giorni e avrei trovato un appartamento tutto per me, se mi avessero tenuto. E ne ero abbastanza certo. Sì, avrei avuto quel posto. Ad un certo punto individui il portone esatto. Tanti nomi più o meno importanti... E alla fine lo vidi: Cipollini, terzo piano. Salii rapido le scale, appena sorpassato l'angusto androne, e poco dopo mi trovai davanti alla casa che mi avrebbe ospitato per chissà quanto. Cipollini, esatto. Suonai, deciso, e rimasi in attesa per qualche istante. Non avrei saputo dire dopo quanto tempo la porta si spalancò, timidamente, lasciando intravedere una figura paradisiaca. Davanti a me stava una splendida ragazza, improvvisamente rossa in volto, ma sinceramente non mi preoccupai di badare a quello. La tipa in questione era ancora bagnata, probabilmente fresca di doccia, aveva i lunghi capelli scuri bagnati e lasciati liberi sulle spalle e un corpo da favola - e dio, che corpo, ed io ne avevo visti tanti eppure - avvolto soltanto da un misero asciugamano che le copriva a malapena il seno e l'inizio delle cosce. Riuscii a sollevare lo sguardo soltanto forse troppi istanti dopo, quando sentii una strana tensione all'interno della parte superiore miei pantaloni. Beh, mi stavo eccitando. "Penso che mi divertirò qua", fu l'unica cosa che riuscii a pensare prima di guardarla in viso e porgerle cordialmente la mano. Wow, aveva ANCHE un viso carino.

  

 

Era fatta, tra un po’avrei conosciuto questo Mattia. Mentre fantasticavo su di esso il telefono squillò e dall’altro capo della linea sentii la dolce voce della mia cara nonna  Tonia.

“Tesoro, Viky, sono la nonna! Come stai, bella mia?” chiese senza indugio.

“Nonnina! Ciao! Sto bene, cosa c’è che posso fare per te nonna?” chiesi altrettanto dolcemente. La nonna era una donna adorabile, era la migliore nonna del mondo. Con lei potevo parlare di tutto. Come quella volta che quasi mi costrinse a farle conoscere Dany e a portarglielo per pranzo. E che imbarazzo quando gli chiese tutte le cose sul nostro, ehm…. Privato! Ma la nonna ci sapeva fare e l’aveva messo subito a suo agio. Che bei ricordi. Per un attimo sentii una fitta di disperazione nel cuore, ma mi feci forza.

“Mi servirebbe l’Andaresol, glien’è rimasto un po’a mamma? So che lo prende anche lei” ribatté la cara vecchietta.

“Sì l’ho visto stamani, adesso mamma non c’è ma se passi tra una mezzoretta ci sono io nonna, non ti preoccupare!” la rassicurai gentilmente io.

“Sì va bene, passo tra poco allora, tanto sto qua di fronte!” disse gioiosa lei.

Ci salutammo e andai in bagno per controllare che ci fosse quello che la cara nonna Tonia mi aveva chiesto. Non ci misi molto a trovare l’Andaresol, e, dando un’occhiata distratta alla doccia, mi venne voglia di rinfrescarmi un po’. Questa decisione  avrebbe cambiato per sempre la mia vita, ma ancora non lo sapevo.

Lasciai che l’acqua lavasse via i miei tormenti e si confondesse alle mie lacrime e poi mi avvolsi in un asciugamano. “Accidenti, sono rimasti solo quelli medi… più piccoli di questi ci sono quelli per il bidet!” pensai seccata.

In quel momento sentii il campanello suonare. Era arrivata la nonna. A questo pensiero sorrisi e danzai fino alla porta, pronta ad abbracciare la cara nonna Tonia. Quando aprii la porta mi trovai però davanti ad una specie di dio greco, tanto che per un lungo periodo devo essergli sembrata proprio una cerebrolesa... Non riuscii a fare altro che stargli davanti e fissarlo con aria sconvolta: non avevo mai visto un ragazzo così bello! Un concentrato di muscoli, occhi scuri e capelli castani, aria perennemente tormentata...

Fu soltanto dopo queste considerazioni che mi ricordai improvvisamente di come ero "scoperta". Il ragazzo mi stava infatti fissando come se fossi una squilibrata e non articolava nessuna parola, ed io iniziai ad arrossire violentemente, incapace ancora di proferire qualsiasi parola, fino a quando lui, cordiale e con una voce così profonda e vellutata che mi provocò subito dei lunghi brividi sulla schiena, non mi porse la mano, e disse con gentilezza: "Ciao, tu devi essere Vittoria, io sono Mattia. Ti sto disturbando, giusto?".

Ancora più impacciata feci per coprirmi meglio con la mano sinistra e per porgergli la destra, almeno per presentarmi, ma l'asciugamano mi scivolava inesorabilmente sempre più di dosso, senza alcun rimedio.. che terribile imbarazzo!

Alla fine mi limitai a sospirare rumorosamente e a farlo entrare in casa con un cenno del capo, mentre lui si chiudeva la porta dietro le sue ampie spalle ed io lo facevo accomodare in salotto. Ottimo, ero ancora mezza svestita e non avevo ancora aperto bocca. "Ecco io sono... Dannazione!" imprecai, mentre l'asciugamano mi scivolava sempre più di dosso ed io tentavo invano ti tenerlo stretto a me, paonazza in volto.

"Non ti preoccupare, per me va benissimo così." replicò lui con aria sfrontatamente sicura. In una situazione normale mi sarei infuriata e gliene avrei detto quanto, ma in effetti era davvero una scena comica e mi rendevo conto di essere piuttosto assurda... Quindi mi limitai a chinare il capo. "No, scusa, ero convinta fosse mia nonna e... Adesso vado a vestirmi, aspettami un attimo che arrivo subito." "Ehi ma non ce n'è bisogno, tranquilla" continuò lui. "E dai, smettila!" sbuffai io, lasciandomelo alle spalle senza aggiungere altro.

 

 

 

  
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