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Autore: sango_79    22/03/2010    2 recensioni
L'avventura di Aligi, giovane ragazzo sardo, non molto sveglio, in un Paese davvero strano. Forse...
Guida d'eccezione, un agnellino parlante e alla moda.
[Parodia di Alice nel Paese delle Meraviglie]
Genere: Parodia, Demenziale, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia scritta per la Caccia alle Uova di FanWorld.
Prompt: Uovo 11 - Scrivi una storia di quasiasi tipo dove ci sia o un coniglio parlante o un agnellino parlante.

È una parodia di Alice nel Paese delle Meraviglie, quindi l'idea di base non è mia. Come non sono miei Johnny Depp e tutti i personaggi che ha interpretato.
Alice e i gatti, invece, sono di Francesco De Gregori.
Tutto il resto appartiene alla mia fantasia deviata. ^_^


Aligi nel Paese degli Spanti 1

In una bella giornata di sole, Aligi si stava annoiando.
Aveva accompagnato Zi’Anita in cortile, sperando di riuscire a farsi raccontare qualche storia di cent’anni prima per finire la ricerca per il Prof di storia, ma lei aveva iniziato a sgranare il rosario e lui si stava facendo due palle quadre. Insomma, a quell’ora avrebbe potuto essere davanti alla Playstation, invece che a fianco ad una vecchia che recitava litanie senza mai riprendere fiato.
Proprio quando stava pensano di tirare fuori il cellulare per mandare qualche messaggino, gli capitò di vedere una cosa strana. Una cosa strana davvero! Perché, insomma, mica si vedevano tutti i giorni degli agnellini vestiti Dolce & Gabbana e con un palmare in mano. Aligi si avvicinò, lasciando la zia concentrata sui grani della sua catenina di plastica.
“Scusa?” chiese allo strano agnellino. “Tu sei…?”
“Io sono in ritardo” gli rispose quello, annoiato.
“Se sei in ritardo, perché non ti affretti, invece di prendertela comoda?”
L’agnellino lo guardò impietosito.
“Non lo sai che arrivare in ritardo va molto di moda?” poi si girò e si incamminò verso la campagna, sempre molto tranquillo.
Aligi lo seguì, curioso di capire dove stava andando e, soprattutto, cos’era quell’agnello.
“Mi stai seguendo?” gli chiese la bestiola, lanciandogli un’occhiata da sopra una spalla.
“Sono curioso” rispose Aligi, con una scrollata di spalle. Lui era davvero un ragazzo molto curioso, non poteva resistere alle cose strane, figurarsi se era strana come quella, poi.
“Guarda che se vuoi venire con me basta dirlo. Nessuno fa storie se c’è qualche imbucato.”
“Figo! Io mi chiamo Aligi” si presentò, allungando la mano per stringere… la sua zampetta.
“Io sono Angiò.”
“Che nome è Angiò?” e fece una risatina divertita.
“Primo” rispose l’agnellino, decisamente irritato “questa domanda, fatta da uno che si chiama Aligi, fa ridere i polli. Secondo, è il diminutivo di Angioneddu De Latte2, Marchese di Coili Becciu3. Non azzardarti mai a chiamarmi col mio nome completo” lo avvisò minaccioso.
Nel frattempo, erano arrivati davanti a un montacarichi, che scendeva in una profonda fenditura del terreno.
“Che cos’è questo crepaccio?” chiese Aligi.
“Hai presente il Golgo4?”
“No. È un nuovo reality?”
“Braccia rubate all’agricoltura” e, scuotendo la testa, Angiò azionò il montacarichi.
“Dove stiamo andando?” chiese ancora Aligi.
“Nel Paese degli Spanti.”
“Oh, capito! Il Paese delle Meraviglie.”
“Cosa?!”
“Come Alice, hai presente?”
“Chi?!”
In quel momento, però, il montacarichi toccò terra e Aligi si dimenticò di rispondere, troppo impegnato a guardarsi intorno. Recuperò il pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni e se ne accese una, mentre continuava a osservare tutto quello che lo circondava. Quella stanza sembrava un museo di roba antica.
“Il fumo nuoce gravemente alla salute” gli fece notare Angiò.
“Che palle” rispose Aligi.
Poi si fermarono davanti a un tavolino. Sopra c’erano una scodellina con della crema e una bottiglia piena d’acqua; sulla scodella era poggiato un cartellino con la scritta MANGIAMI, mentre quello poggiato sulla bottiglia diceva BEVIMI.
“Oh, questi servono per ingrossarsi e rimpicciolirsi, vero?”
“E chi sei, Maradona? Comunque” disse Angiò, col suo solito tono annoiato “io li lascerei dove sono.”
Peccato che Aligi avesse già messo in bocca una cucchiaiata di crema.
“Che cos’è?” chiese ad Angiò, con la bocca in fiamme.
“Casu marsu” rispose lui, guardandolo come si guarderebbe un bambino molto stupido.
Aligi osservò meglio la scodellina e quando vide degli allegri vermicelli5, che prima non aveva notato, fargli ciao ciao con la manina, impallidì nauseato.
“Acqua!” urlò, e afferrò la bottiglietta poggiata lì davanti.
“No!” urlò Angiò. “Quello è Fil’e Ferru6 a 70°.”
Ma ormai era troppo tardi.
Dopo, successe tutto molto velocemente. Aligi lasciò andare la bottiglia, che si rovesciò sul tavolo. Troppo preso dal fuoco che aveva in gola, si era dimenticato di un altro fuoco, quello della sigaretta, che si era consumata fino a sbruciacchiargli le dita. Aligi la lasciò cadere con un urletto, senza far caso a dove finiva. Quella, però, decise che voleva una fine in grande stile e planò proprio sopra il liquido che stava già colando dal tavolo, appiccando un incendio di proporzioni bibliche.
Angiò si batté una zampetta sulla fronte e afferrò Aligi per un passante dei pantaloni, tirandolo verso un angolo della stanza. Fecero appena in tempo ad arrivare davanti a un gommone che iniziò a diluviare.
“Come fa a piovere al chiuso?” chiese Aligi, con la voce ancora rauca.
“Impianto antincendio” spiegò Angiò. “Salta su.”
“Perché dobbiamo salire su un gommone?”
Angiò non rispose, troppo occupato ad accendere il motore, e si limitò a indicargli il pavimento. Aligi abbassò gli occhi e sobbalzò, affrettandosi a raggiungere l’agnellino: il livello dell’acqua stava salendo a vista d’occhio.
“Ma cosa succede?”
“È guasto” si limitò a dire Angiò, guidando l’imbarcazione oltre una porta scorrevole.
Aligi sgranò gli occhi, quando si ritrovò in mare aperto. Il gommone stava costeggiando scogliere a picco sull’acqua e spiagge dalla sabbia candida. Quando si sporse in fuori, riuscì a vedere il fondale e i banchi di pesciolini che lo salutavano con le pinne.
“Figo!” esclamò deliziato, tirando fuori il cellulare per scattare delle foto.
“Per forza, è il mare più bello del mondo!” gli fece sapere Angiò, tutto orgoglioso.
A quel punto, però, erano arrivati in vista di un piccolo molo, dal quale li salutava un uomo vestito da marinaio.
“Quello è Capitan Libeccio?” chiese Aligi, che quasi saltellava dalla contentezza.
“Chi?! Quello è Cumpari7 Severinu, pescatore a ventola.”
“A ventola?”
“Vedrai” disse Angiò, mentre attraccava.
Appena misero piede sul molo, Cumpari Severinu iniziò a urlare, facendo fare ad Aligi, che non se lo aspettava, un salto dallo spavento.
“Pisci friscu! Aria calda! Pisci buddiu!8 Aria fresca!”
Poi si rivolse ad Angiò, abbassando un po’ il volume.
“Cosa vi do, oggi?”
“Una ventola grande, grazie” rispose all’uomo che si allontanò in fretta. Poi si girò verso Aligi, per dargli una spiegazione “Come pescatore fa schifo, ma la sua pescheria è in un punto strategico, e lui si sa arrangiare.”
Cumpari Severinu, infatti, era tornato con un condizionatore alto due metri e un paio di funi, che legò alla vita dei suoi clienti.
“Per non farvi portare via” spiegò ad Aligi e, prima ancora che il ragazzo potesse fare altre domande, si allontanò e accese l’enorme ventola con il telecomando.
I due viaggiatori vennero investiti da un potente getto di aria calda, forte come la Bora quando le gira male. Dopo cinque minuti i due erano asciugati e di nuovo con i piedi per terra. Pagarono Cumpari Severinu con le foto, scattate poco prima da Aligi, di una coppia di muggini maschi che ci davano dentro alla grande e ripresero il loro cammino.
A un certo punto, Aligi vide delle lampade di carta appese ai rami degli alberi e, dopo l’ultima curva, si ritrovò davanti quello che sembrava… un negozio di cinesi. Angiò lo arpionò, ancora una volta, a uno dei passanti dei pantaloni e accelerò il passo tirandoselo dietro, ma non fu abbastanza svelto. Dalla porta del negozio sbucarono fuori due piccoli… cinesi, come se si fossero appostati per fare un agguato.
“Buongiolno Signoli” li salutò il più basso, di circa tre centimetri, dei due.
“Voi avele bisogno di qualcosa? Vestiti? Scalpe? Bolsoni?”
“Ehm… veramente…” iniziò Aligi, in seria difficoltà.
“Oh, voi volele folse cintula? O copelta? O folse stlofinaccio pel cucina? Pinco Pal-Lo” e si batté una mano sul petto “e Pallo Rin-Co” e indicò il compagno “tlova tutto quello che voi volele.”
“Mi scusi” disse Aligi, con la fronte aggrottata, ignorando i segnali che gli faceva Angiò perché se ne andassero di lì alla svelta. “Perché ha pronunciato bene la erre solo quando ha detto il suo nome?” chiese, indicando Pallo Rin-Co.
“Pelché suo nome essele in cinese e noi essele cinesi e pallale cinese. Altle palole essele in italiano e noi non pallale bene italiano.”
Pallo Rin-Co annuì in segno di approvazione, Aligi li guardò a bocca aperta e Angiò sospirò affranto.
“Allola” riprese l’omino “voi cosa celcale? Noi avele tutto!”
“Ecco…” iniziò Aligi “non è che mi serva qualcosa, però sono curioso di sapere perché il vostro negozio è qui in mezzo al bosco, invece che in paese.”
“Oh, questa essele stlana stolia” disse Pinco Pal-Lo, annuendo con forza.
“Stlana stolia” ripeté Pallo Rin-Co.
“Laccontiamo lui nostla stolia?” chiese Pinco Pal-Lo al suo compagno.
“Quale stolia?”
“Slana stolia.”
“Ah, quella stolia” disse Pallo Rin-Co, che iniziò a raccontare. “Stolia di Patelle!”
“Patelle?” chiese Aligi.
“Patelle?” gli fece eco Pinco Pal-Lo.
Angiò si batté una zampetta sugli occhi, disperato.
“Stolia di Patelle” confermò Pallo Rin-Co. “Di Patelle e Dottole e Mulatole.”
“Ma non erano le Ostrichette, il Tricheco e il Carpentiere?” chiese Aligi, perplesso.
“Chi?!” gli risposero in coro i due cinesi.
“Stolia di Patelle e Dottole e Mulatole” confermò Pallo Rin-Co. “C’ela una volta, anno scolso, Dottole che voleva fale villetta in liva di male. Chiamò Mulatole e andalono nella spiaggia. Su scogli c’elano tante belle Patelle e Dottole e Mulatole volele mangiale. Allola Dottole si avvicina a Patelle e dice: ‘Belle Patelle, venile voi mangiale con noi?’. Ma Patelle gualdano lolo male e più piccola tila fuoli faccina e dice: ‘Noi non essele fesse e col cavolo che ci fale mangiale da voi!’, poi tila su ditino medio e si attacca di nuovo a scoglio. Allola Dottole e Mulatole celcale di staccale lolo, ma Patelle azzeccate a scoglio come pallone ai piedi di Pelè, e Dottole e Mulatole quel giolno mangiale pastasciutta.”
Alla fine del racconto, sul gruppo scese il silenzio. Fu Pinco Pal-Lo a interromperlo.
“Che c’entlale questa stolia con nostla stolia?” chiese.
“Quale stolia?”
“Stlana stolia.”
“Tu lacconta stlana stolia?”
“No, tu laccontato stolia di Patelle.”
“Che c’entlale stolia di Patelle con stlana stolia?”
Aligi non riuscì a sentire la risposta perché Angiò aveva approfittato della distrazione dei due cinesi, tutti impegnati nella loro discussione, e lo aveva trascinato via.
Camminarono in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri, fino a quando giunsero di fronte a una villa enorme, con tanto di giardino all’italiana e piscina olimpionica.
“Dove siamo?” chiese Aligi, curioso.
“A casa mia” rispose Angiò.
“Porca miseria!” fece notare Aligi.
“Te l’avevo detto che sono un Marchese” si difese Angiò, entrando in salotto.
I due, però, furono accolti da un forte odore di fumo, e l’agnellino si rabbuiò.
“Ma porca… quel cavolo di camino tira di nuovo male. Bisogna ricontrollarlo.”
“Ora arriva Biagio Lucertola lo Spazzacamino, vero?” chiese Aligi, che quasi saltellava dalla contentezza.
“Chi?! No, mi basterà farlo fare a Nikita.”
“Chi è Nikita?”
“Nikita Badescu, la badante rumena.”
Come se il solo nominarla l’avesse evocata, Nikita Badescu entrò in salotto. Era una giovane donna non molto alta, con capelli neri, lunghi e lucenti, due labbra che sembravano un canotto e una quinta di reggiseno, almeno almeno. Indossava un vestitino nero che le arrivava appena sotto l’ombelico e un grembiulino bianco che copriva a malapena l’isola del tesoro. Aligi restò a guardarla imbambolato, a bocca aperta e bandiera a mezz’asta. Angiò gli pestò un piede.
“Signorino chiamato? Signorino vuole mangiare? Io porto merenda per Signorino e amico di Signorino, così Signorino cresce forte. E in fretta!”
“Guarda che te l’ho già detto: posso anche diventare un marcantonio, ma resto sempre minorenne” le fece notare Angiò. “Non ti potrei sposare nemmeno se lo volessi e, per inciso, non voglio. Avresti fatto meglio a cercarti un vecchio babbione. Piuttosto, controlla il camino, che ha smesso di nuovo di tirare.”
Nikita si avvicinò ad Aligi, con gli occhi lucidi e il labbro inferiore che sporgeva in fuori di almeno mezzo metro.
“Signorino cattivo, vero? Amico di Signorino dice lui di non essere così cattivo con Nikita, vero?”
Aligi continuò a guardarla imbambolato, a bocca aperta e lancia in resta. Angiò gli diede un calcio sullo stinco che quasi gli spezzò la gamba.
“Perché l’hai fatto?” gli chiese Aligi, che stava per mettersi a piangere per il dolore.
“Stavi crescendo troppo. Guarda che da questa altezza certe cose non passano inosservate” e gli fece notare che i suoi occhi erano allo stesso livello della patta dei suoi pantaloni.
Aligi arrossì, ma continuò a guardare la badante con due occhi da pesce lesso.
“Va bene, ho capito. Andiamo!” sbottò Angiò e, arpionandolo al solito passante dei pantaloni, lo trascinò fuori di casa, ignorando tutte le sue proteste.
Camminarono in silenzio, offesi l’uno con l’altro, fino a quando arrivarono in uno strano giardino.
“Cosa sono… quelli?” chiese Aligi allibito, indicando delle cose verdi che, a prima vista, sembravano cardi e cicorie troppo cresciuti.
Angiò si batté una zampetta sugli occhi, a quella vista.
“Lascia perdere, andiamo.”
“Ma quello è uno stereo? E quello è fumo? Ma sta bruciando qualcosa?” insistette Aligi.
“Andiamo, poi ti spiego.”
Ancora una volta, però, l’agnellino non fu abbastanza svelto a fuggire.
“Cosa vi porta qui, fratelli?” chiese il Cardo più vicino a loro, ondeggiando pericolosamente a tempo di musica.
“Abbiamo sbagliato strada” si affrettò a dire Angiò. “Ora andiamo via.”
“Non c’è bisogno di avere fretta. Prendi la vita come viene, fratellino, e vivi felice” disse una Cicoria, muovendo la testa in cerchi lenti.
“Giusto!” le diede man forte un altro Cardo. “No woman no cry, fratello.”
“Cosa c’entra Bob Marley adesso?” chiese Aligi perplesso.
“E che ne so, io. Lo sta cantando lo stereo” gli rispose il Cardo con un sorrisone ebete.
“Ma si può sapere dove siamo capitati?” chiese Aligi all’agnellino, senza perdere di vista quei cosi verdi, per evitare che facessero scherzi.
“È l’orto sperimentale e quelli sono i Cardi e le Cicorie Transgenici. Di norma sono personcine serie e anche piuttosto intelligenti, la loro sfortuna è che qui a fianco c’è il giardino del Califfo.”
“Il giardino di chi?” chiese Aligi, che a dire il vero non aveva capito molto di quella spiegazione.
“Titino Pani, detto il Califfo” gli rispose Angiò.
“Perché il Califfo?”
“Perché fuma come un turco.”
“Oh, capito, ma perché è un problema? Voglio dire, non è possibile che tutto quel fumo sia delle sue sigarette.”
“Primo, non ho mai detto che fuma sigarette. Secondo, il Califfo, ogni tanto, brucia le sterpaglie.”
Aligi rimase in silenzio per una manciata di secondi, annuendo come se la situazione, a quel punto, fosse chiara.
“Ma lo sai che non ho capito?” disse, infine, ad Angiò. “Voglio dire, come è possibile che il fumo di qualche sterpaglia bruciata faccia questo effetto? Sembrano fatti!” esclamò, indicando i Cardi e le Cicorie Tras… Trang… Tres… troppo cresciuti!
Sono fatti, tonto! Nel suo giardino il Califfo coltiva marijuana, e questo è il risultato” disse Angiò, ormai esasperato.
All’improvviso, arrivò una jeep della Guardia Forestale. I due uomini che ne scesero si diressero verso il giardino del Califfo e lo costrinsero a spegnere il fuoco, perché non era ancora stagione per bruciare le sterpaglie, subissati dai fischi e dalle lamentele vivaci di Cardi e Cicorie.
A quel punto, però Angiò ne aveva avuto abbastanza e trascinò via Aligi. I due camminarono per un po’, ciascuno perso ancora una volta nei propri pensieri, e giunsero in una grande piazzola attrezzata per il pic-nic. Intorno a un barbecue enorme si affaccendavano due uomini corpulenti e amanti del vino, a giudicare da quanti bicchieri si riempivano e si scolavano.
“Quelli non sembrano il Cappellaio Matto e la Lepre Marzolina” fece notare Aligi, piuttosto deluso.
“Chi?!” chiese Angiò.
“Chi?!” chiesero i due, che si erano avvicinati a loro e avevano sentito le parole di Aligi.
“Io sono Giuanniccu Pirasa, Allevatore Porcino,” si presentò il più anziano e in carne dei due “e lui è Antoni Ibba.”
“Coetanei 19609” aggiunse l’altro, con un gran sorriso.
“Ma i funghi non si allevano, si coltivano, e senza offesa,” fece notare Aligi, rivolgendosi al signor Pirasa “mi sembra che lei abbia un po’ più di cinquant’anni.”
“Io sono del ‘44” rispose lui. “E cosa c’entrano i funghi? Io allevo porci!”
“Ma… ma… lei ha detto porcino… e lui ha detto coetanei” cercò di difendersi Aligi.
“Io sono il Coetaneo 1960. L’unico, tra l’altro, quindi mi tocca occuparmi di tutte le feste da solo. È brutto essere soli” spiegò il signor Ibba, con le lacrime agli occhi.
L’Allevatore Porcino gli batté una mano sulla spalla, solidale. Aligi lo guardò comprensivo, intristito per la sua solitudine. Angiò scosse la testa, decisamente seccato.
“E cosa state facendo, qui?” chiese ancora Aligi, nel tentativo di stemperare l’atmosfera.
“La Sagra del Porchetto!” rispose l’Allevatore Porcino, tutto orgoglioso.
“Volete un piatto?” chiese il Coetaneo 1960, di nuovo felice e contento.
“Ehm… ecco…” tergiversò Aligi.
“Io sono vegetariano” fece sapere Angiò, beccandosi un’occhiataccia da parte dell’Allevatore Porcino.
“Allora un bicchiere di buon Cannonau, eh?” propose ancora il Coetaneo 1960, speranzoso.
“Siamo minorenni” rispose ancora Angiò “e, tra l’altro, andiamo di fretta. Alla prossima” e, afferrato Aligi sempre allo stesso passante, iniziò ad allontanarsi.
Alle loro spalle, i due sentirono l’Allevatore Porcino e il Coetaneo 1960 iniziare a litigare per stabilire di chi fosse la colpa della loro fuga e del conseguente fallimento della Sagra del Porchetto, ma Aligi e Angiò li ignorarono, almeno fino al momento in cui giunsero alle loro orecchie degli strani rumori metallici. A quel punto la curiosità ebbe la meglio e si girarono, giusto in tempo per vedere i due, che stavano duellando a colpi di spiedo e insulti ai rispettivi antenati e discendenti, voltarsi verso di loro, all’improvviso e contemporaneamente, con delle espressioni truci in faccia. Aligi e Angiò si guardarono per un istante e, senza bisogno di dirsi nulla, iniziarono a correre più veloce che potevano.
Corsero e corsero e corsero. E poi corsero ancora, perché nessuno dei due voleva rischiare di essere infilzato con uno spiedo, come un porchetto qualsiasi. Si fermarono solo quando si ritrovarono nel bel mezzo di un querceto secolare.
Il tempo di riprendere fiato e Angiò iniziò a guardarsi intorno, come se stesse cercando qualcosa. Dopo qualche secondo, evidentemente, lo trovò, perché si girò verso Aligi con un’espressione soddisfatta.
“Senti,” gli disse “ero passato da casa per fare una commissione, ma tra una cosa e un’altra non ci sono riuscito, quindi ne approfitto ora. Tu puoi aspettarmi qui, se non devi appartarti.”
“Scusa,” lo fermò Aligi “ma che commissione puoi fare in un bosco? E con chi mi dovrei appartare, io?”
Angiò fece un respiro profondo, per cercare di mantenere la calma.
“Mi riferivo all’espletamento di impellenti necessità fisiologiche” gli spiegò.
“Eh?” fu la risposta di Aligi.
“Devo pisciare, tonto!” sbottò Angiò “Tu fai quello che vuoi, con chi vuoi, ma non muoverti di qui” e si allontanò, borbottando qualcosa che assomigliava molto a un “Braccia rubate all’agricoltura”.
Aligi si ritrovò solo soletto in quella piccola radura, senza necessità impr… impl… filol… senza dover pisciare! Solo che si annoiava, senza la compagnia di Angiò. Si sedette sulla radice sporgente di una quercia, indeciso se tirare fuori il cellulare per mandare qualche messaggino o accendersi una sigaretta, quando vide qualcosa che lo esaltò.
“Lo Stregatto!” urlò, saltando di nuovo in piedi e indicando con un dito una cosa tonda a strisce, ferma sul ramo di un albero.
“Chi?!” chiese un volpacchiotto, vestito Gas dalla testa ai piedi, che fece capolino da dietro il tronco di una quercia.
Aligi guarda il volpacchiotto e il volpacchiotto guarda nel sole, mentre il mondo sta girando senza fretta…10 Ops, quella è un’altra storia. Riproviamo…
Aligi guardò il volpacchiotto e il volpacchiotto guardò Aligi.
“Quello…” cominciò il ragazzo, col dito sempre puntato verso la cosa tonda a strisce.
“Quello è il mio pallone, lo stavo cercando da un po’” gli rispose il volpacchiotto.
Aligi si afflosciò deluso e si sedette di nuovo sulla radice sporgente.
“Io sono Aligi” si presentò, mogio “e tu?”
“Io sono Ned.”
“Che razza di nome è Ned?”
“Che razza di nome è Aligi?” gli rispose la volpetta, offesa. “Comunque, Ned è l’abbreviazione di Margianeddu, Margianeddu Mazzone11, PR Comunale.”
“I comuni non hanno un PR” gli fece notare Aligi.
“Il Comune del Paese degli Spanti c’e l’ha!” disse Ned, battendosi una zampetta sul petto. Poi si avvicinò ad Aligi, con uno sguardo calcolatore. “E a questo proposito, che cosa ci fa un bel ragazzo come te tutto triste e solitario in questo ospizio per querce arteriosclerotiche? Dovresti essere a divertirti! Dovresti essere ad assistere ai Grandi Eventi offerti giornalmente dal Comune del Paese degli Spanti! Mica si chiama così per sport, sai?”
Aligi fu costretto a socchiudere gli occhi, per evitare di essere accecato dal riflesso abbagliante dei denti di Ned che, in quel momento, più che una volpe sembrava una iena.
“Sto aspettando un amico” spiegò Aligi. “Ma dove dovrei andare per assistere a questi grandi eventi?”
“Grandi Eventi” lo corresse Ned “e non c’è problema, ti ci porto io, e ci porto anche il tuo amico, con la mia Ape Cross ecologica a olio di semi.”
“Giri ancora su quel catorcio?” giunse inaspettata, e irritata, la voce di Angiò.
All’improvviso, l’atmosfera nella piccola radura si raggelò.
“Angioneddu” salutò Ned.
“Margianeddu” ricambiò Angiò.
Dopo queste sentite formalità, sui tre cadde il silenzio. Il problema era che non sembrava volersi rialzare, quel silenzio. Ned e Angiò si guardavano assorti, ma nessuno dei due spiccicava parola e Aligi iniziò a sentirsi a disagio. Detestava non capire le cose ed era chiaro anche a lui che lì c’era qualcosa da capire grande come il San Siro.
“Ehm… grandi eventi…” disse, per cercare di distogliere quei due l’uno dall’altro.
“Grandi Eventi” lo corresse ancora Ned, anche se, a dire il vero, ad Aligi sembrò che avesse aperto la bocca in automatico, senza nemmeno capire quello che stava dicendo. Poi, però, Ned parve riprendersi, tutto d’un colpo.
“I Grandi Eventi, giusto! Se… Angioneddu… è d’accordo” disse fin troppo gentile “vi ci porto con l’Ape Cross.”
“Chiamami ancora così e ti castro” gli ringhiò contro Angiò. “Dov’è quel botto12?” chiese più calmo, con l’aria di un re che fa una concessione al più misero dei suoi sudditi.
Aligi vide chiaramente che Ned si mordeva la lingua per non rispondere e, quando fece loro cenno di seguirlo, gli andò dietro senza dire nulla, troppo concentrato a fare ipotesi su quale potesse essere il motivo della lite tra i due. Perché, ed era una cosa che lo rendeva molto fiero di se stesso, Aligi aveva capito che, in passato, Ned e Angiò dovevano aver litigato.
L’Ape Cross di Ned era molto diversa da quelle che Aligi aveva visto fino a quel momento. Nel cassone, al posto di legna e attrezzi, c’erano un comodo divano a due posti di pelle rossa e un frigobar, nemmeno troppo piccolo, nero metallizzato. Ned li fece accomodare, poggiando una mano sulla schiena di Angiò per aiutarlo a salire, e dopo essersi assicurato che la ribalta fosse chiusa bene partì sgommando.
Durante il viaggio, che a dire il vero fu piuttosto breve, Aligi fu talmente impegnato a esplorare il frigobar da non avere il tempo di chiacchierare con Angiò, tanto impegnato che un po’ si dispiacque quando Ned fermò l’Ape Cross in un parcheggio già pieno di veicoli, perché gli mancava ancora da scoprire cosa contenessero le ultime due o tre bottigliette. Ned scese di corsa e, col suo sorriso più abbagliate, apri la ribalta per farli scendere, mettendo una mano sulla vita di Angiò per aiutarlo, e Aligi si chiese, un po’ seccato, perché Ned aiutasse sempre e solo lui. L’agnellino lo guardò a lungo, senza dire nulla, e Aligi capì di nuovo, sempre più fiero di se stesso, che era successo qualcosa, ancora una volta. Peccato che lui non avesse proprio capito cosa.
La sua attenzione, però, fu attratta da tre ragazzi, che sembravano poco più grandi di lui, tutti intenti a lucidare degli aspirapolvere, facendogli dimenticare in fretta tutto quello che riguardava lo strano comportamento dell’agnellino e del volpacchiotto.
“Cosa fanno?” chiese, indicando ad Angiò i tre ragazzi.
“I furbi” rispose lui, che lanciò loro solo una breve occhiata, troppo concentrato a guardare Ned che si allontanava facendogli ciao ciao con la zampetta.
Senza dar tempo ad Aligi di fare altre domande, Angiò lo arpionò al solito passante, che a quel punto ne aveva le scatole piene di essere strattonato in continuazione, e lo guidò per le vie del Paese. Appena giunsero in piazza, Aligi vide che il suo amico aveva iniziato a guardarsi intorno, come alla ricerca di qualcosa.
“Ti scappa di nuovo?” gli chiese, iniziando a pensare che l’agnellino soffrisse di incontinenza.
“Cos…? No!” gli rispose lui, indignato “Non sono mica un bambino!”
“Certo che no!” confermò una vocina stridula e potente, accompagnata dal suono di alcune launeddas13 “È già ora che ti sistemi, Angiò.”
La proprietaria di quella voce fastidiosa era una donna vestita a festa, con un seno a balcone che faceva quasi scoppiare la camiciola bianca e un fondoschiena immenso coperto da una fardetta14 del diametro di due metri. Aligi la vide piombare su Angiò, allungare le mani verso la sua faccia e dargli due pizzicotti stritolaguance, per salutarlo.
“Cattivo, ché ti sei fatto aspettare così tanto. Stavamo pensando di dover iniziare senza di te” e, sempre con le guance dell’agnellino strette in quelle morse che erano le sue dita, si girò a guardare Aligi. “Ma chi è questo bel ragazzo, eh? Hai amici così bellini e non me li presenti? Cattivo!”
Angiò riuscì a staccare le dita dalla sua faccia e iniziò a fare le presentazioni.
“Lui è Aligi” disse, senza aggiungere altro, e Aligi ci restò un po’ male per il fatto che non lo avesse presentato come un suo amico.
“Lei è Sci’Elisa” disse presentandogli la donna “e lui è suo marito, il Sindaco” aggiunse indicando l’ometto al suo fianco, vestito di velluto nero e con la berritta15 in testa, che Aligi non aveva notato fino a quel momento.
La donna non gli diede nemmeno il tempo di aprire bocca per salutare e si attaccò alle sue guance come prima aveva fatto con quelle di Angiò.
“Ma che bellino che sei! Hai anche un bel nome” gli disse tutta contenta.
Angiò fece una smorfia scettica e il Sindacò sollevò gli occhi al cielo.
Quando lo lasciò andare, Aligi aveva le lacrime agli occhi per il dolore, ma lei non gli diede nemmeno il tempo di massaggiarsi le guance arrossate. Lo prese a braccetto e si rivolse al marito e ad Angiò, con il cipiglio di un generale dell’esercito con le emorroidi.
“È ora di iniziare! Muovetevi e chiamate i concorrenti” poi si girò, allegra e sorridente, verso Aligi. “È la prima volta che assisti, vero? Vedrai che ti divertirai” gli assicurò, battendogli una mano sul braccio con un po’ troppa forza.
“Mi scusi, ma che cosa succede ora?” chiese Aligi, sfidando la buona sorte per soddisfare la sua curiosità.
“Oh, ma non ti hanno detto niente?” gli chiese affranta, mentre gli stringeva in una morsa il braccio già martoriato. “Oggi c’è il Palio! A dire il vero, c’è il Palio tutti i giorni, ma è sempre divertente” gli confidò, battendogli ancora dei poderosi colpetti sul braccio.
“Oh” disse Aligi, troppo impegnato a cercare di sfilare il suo arto maltrattato dalle grinfie di quel lottatore di sumo travestito da donnina, per pensare a qualcosa di più intelligente da dire. Solo quando riuscì a riprendersi il suo braccio si guardò intorno e ricominciò a far domande.
“Mi scusi, dove sono le rose rosse? E i fenicotteri” e indicò i volatili seduti sulle gradinate, che sembravano divertirsi in compagnia di un gregge di mufloni “non dovrebbero essere le mazze per le partite di cricket?”
“Io sono allergica alle rose” gli spiegò Sci’Elisa “e non era cricket, era golf. Ché non siamo mica damerini inglesi, noi.”
“Oh, allora giocavate a golf con i fenicotteri. Sembra divertente” disse Aligi, con un sorriso incoraggiante.
“È divertente!” rispose secca Sci’Elisa.
“E perché avete smesso?” si informò Aligi, interessato, senza far caso al tono di voce della donna.
“Tutta colpa di quei rompiscatole di animalisti” sbottò Sci’Elisa. “Con la scusa che i fenicotteri sono specie protetta ci hanno costretto a smettere e a cercare un altro sport nazionale.”
“Oh, capisco. È per questo che avete scelto l’equitazione.”
“Macché,” rispose lei sempre più seccata “ti pare che quelli se ne stavano buoni a guardare, se usavamo dei cavalli? Figurati! Non gli andavano bene nemmeno la Discesa Libera con Muflone, il Tiro al Falchetto in Movimento, il Volteggio su Cavallino della Giara con Serrature e il Sollevamento del Cinghiale16. Eravamo arrivati a pensare alla Caccia alla Volpe, con la scusa che era per tenerne sotto controllo il numero, visto che ultimamente stavano figliando troppo, ma poi qualcuno ha suggerito il Palio e io ho pensato che fosse proprio una bella idea” concluse, evidentemente orgogliosa della sua decisione.
“E chi ha suggerito l’idea del Palio?” chiese ancora Aligi.
“Il nostro PR. È un ragazzo che sa fare il suo lavoro, quello” rispose Sci’Elisa, convinta.
Aligi aveva la sensazione che a Ned non piacesse molto l’idea della Caccia alla Volpe, per ovvi motivi, ma evitò di dirlo alla donna.
“Ma se non usate i cavalli, che Palio è il vostro?” chiese invece.
“È quella l’idea geniale” strillò Sci’Elisa, evidentemente impaziente di far sapere quanto fosse furba la loro trovata. “È un Palio a Quadd’e Perr’e Canna!17
“Un… cosa?” chiese Aligi perplesso.
“Un Palio a Quadd’e Perr’e Canna” ripeté lei. “Non sai cos’è?” chiese, delusa, e al segno di diniego di Aligi cominciò a spiegare. “Visto che non possiamo usare animali, usiamo le canne. In pratica, i fantini cavalcano le canne, capito?”
“Ma certo, ora ho capito!” rispose Aligi.
Poi, però, vide i fantini avvicinarsi alla linea di partenza, compresi i ragazzi che poco prima stavano lucidando gli aspirapolvere, e si girò di nuovo verso Sci’Elisa.
“Però non hanno delle canne” le fece notare.
“C’è stata l’evoluzione dei materiali” gli spiegò lei, come se fosse una cosa ovvia.
“Oh, adesso è chiaro. Ecco perché quelli hanno degli aspirapolvere…”
“Cosa? Dove?” urlò Sci’Elisa, interrompendolo, per poi partire come una furia verso i tre ragazzi che Aligi gli aveva indicato.
Le sue grida, probabilmente, si sentirono anche a chilometri di distanza, insieme ai fischi degli spettatori. Aligi non aveva capito granché di quello che stava strillando, a dire il vero, a parte che se l’era presa per qualcosa che aveva a che fare con il doping delle cavalcature, anche se lui, di cavalli, non ne aveva visto nemmeno l’ombra. Quando la situazione si fu calmata, e i tre con gli aspirapolvere vennero allontanati dalla piazza, salutati dallo sventolio di fazzoletti di alcune ragazzine e dagli insulti degli altri concorrenti, Sci’Elisa tornò da lui, di nuovo sorridente, e Aligi vide Angiò dare finalmente il via al Palio. I fantini si misero i loro bastoni tra le gambe e partirono saltellando per fare il giro della piazza, incitati dal tifo delle persone e degli animali seduti sugli spalti. Aligi, per essere sinceri, non capiva cosa ci fosse di così divertente, ma pensò, in un raro lampo di furbizia, che fosse meglio non dire nulla.
Angiò e il Sindaco, espletate le loro funzioni – istituzionali! Che avevate capito? – tornarono da loro, ma Sci’Elisa li ignorò allegramente.
“Non so davvero come ringraziarti. Se non fosse stato per te, quei disgraziati sarebbero riusciti a farcela sotto il naso.”
“Ma non ho fatto nulla” si schermì Aligi, che non riusciva davvero a capire il perché di tutte quelle moine.
“Ah, ma un ragazzo bellino e onesto come te sarà l’orgoglio dei suoi genitori” continuò lei, ignorando le sue parole. “E dimmi, e dimmi, che lavoro fa tuo padre?”
Angiò iniziò a scuotere la testa, il Sindaco sollevò gli occhi al cielo e Aligi non riuscì a capire, di nuovo, cosa stava succedendo.
“Mio padre ha un’impresa edile” rispose comunque, educato.
“Ooohhh, un costruttore!” strillò Sci’Elisa, al settimo cielo. “E dimmi, e dimmi, ce l’hai la fidanzata, eh? Ce l’hai?”
“Ehm… veramente no…” rispose Aligi, imbarazzato, senza capire – e chi l’avrebbe mai detto? – perché volesse saperlo.
“Ma come?” urlò ancora Sci’Elisa, oltraggiata. “Un così buon partito come te! No no, dobbiamo rimediare. Ora ci penso io!” e partì in quarta verso un gruppo di donne di diverse età.
Aligi vide che in molti si giravano a guardarlo, qualcuno molto interessato, qualcuno solo curioso e qualcun altro decisamente irritato. Visto che non aveva ovviamente idea di quello che stava succedendo, si girò verso Angiò, perché gli desse qualche spiegazione, e solo allora notò che Ned si era di nuovo avvicinato a loro e stava guardando concentrato il fondoschiena dell’agnellino.
“Non te l’avevano detto?” gli chiese il volpacchiotto, senza sollevare lo sguardo.
“Detto cosa?” gli rispose Aligi che, a quel punto, era sinceramente stanco di non capire mai nulla di quello che gli succedeva intorno.
“Sci’Elisa è la Paraninfa Ufficiale del Paese degli Spanti” annunciò Ned, col suo sorriso più brillante.
“Para… che?” chiese Aligi, con la mano davanti agli occhi per ripararsi da quella luce abbagliante.
Il Sindaco sollevò gli occhi al cielo, Ned allargò ancora di più il suo sorriso e Angiò sbuffò.
“Paraninfa, significa che è una persona che organizza matrimoni” gli spiegò l’agnellino “e quegli imbecilli a cavallo dei bastoni sono gli scapoli del Paese, che si prestano a questa idiozia solo perché sperano che lei gli trovi moglie.”
Aligi si prese il suo tempo per cercare di capire le parole di Angiò. Gli ci vollero almeno dieci minuti di doloroso sforzo intellettuale, che lasciò i suoi poveri neuroni più morti che vivi, ma alla fine gli sembrò di essere riuscito ad afferrare il concetto. Gli servivano solo alcuni piccoli chiarimenti.
“Ma allora, mi ha chiesto se avevo una ragazza perché…”
“Perché voleva sapere se poteva fare la mezzana senza problemi” concluse per lui Angiò.
“E quelle donne mi guardano come se fossi un gelato al cioccolato perché…”
“Perché sono tutte madri che cercano di accasare le figlie e figlie che cercano un pollo da sposare” gli confermò il Sindaco.
“E quegli uomini mi fanno tutti quei gesti poco carini perché…”
“Perché loro sono costretti a fare i cretini, per trovarsi una moglie, mentre tu che sei l’ultimo arrivato ne recuperi subito una. Non credo che siano molto contenti di questa cosa” gli fece sapere Ned.
“Oh” disse Aligi.
Si fermò a pensare ancora qualche minuto, chiedendo l’ultimo sforzo ai suoi neuroni moribondi.
“Ma cerca di organizzare matrimoni per tutti?” fu il massimo che riuscì a tirar fuori.
“Basta che respirino” assicurò Ned.
“Ci ha provato anche con te?” chiese Aligi ad Angiò.
“No, con me no.”
“Ma anche tu respiri” gli fece notare Aligi.
“Ma lui è un agnellino gaio” gli spiegò Ned, stranamente soddisfatto.
“Perché, se fosse stato infelice, invece, gli avrebbe già trovato una fidanzata?” chiese ancora Aligi, sempre più confuso.
“No, Aligi, no” gli spiegò Angiò, con una buona dose di pazienza. “Gaio nel senso di gay. Mi piacciono i maschi, quindi non può cercarmi nessuna fidanzata. Al massimo, dovrebbe cercarmi un fidanzato, ma quello non è il suo campo.”
“Ma dai?” esclamò Aligi, decisamente stupito. “Ma tu non ci hai mai provato con me!”
“Non sono così disperato” gli rispose l’agnellino con una smorfia schifata.
“E vorrei vedere!” disse in contemporanea Ned, passando un braccio intorno alla vita di Angiò, possessivo, e quasi ringhiando contro Aligi.
“Ehm, non per voler interrompere le vostre interessanti discussioni,” si intromise il Sindaco, tra un colpo di tosse allusivo e l’altro “ ma qui mi sa che la situazione sta precipitando.”
In effetti, Aligi scoprì che molte persone si stavano avvicinando a loro. Sci’Elisa era alla testa di un gruppo di giovani donne e mature madri di famiglia che lo guardavano con occhi sognanti e calcolatori, gli scapoli avevano interrotto il Palio e andavano verso di lui brandendo i bastoni con delle espressioni poco rassicuranti, c’erano persino l’Allevatore Porcino e il Coetaneo 1960 che impugnavano ancora i loro spiedi, Pinco Pal-Lo e Pallo Rin-Co che continuavano a parlare senza quasi prendere fiato e i tre esclusi che roteavano torvi i tubi dei loro aspirapolvere. Il tutto accompagnato dall’incoraggiamento, il tifo e le scommesse degli spettatori.
Aligi iniziò ad avere un po’ di paura.
“Corri” gli consigliò Angiò, che aveva messo le braccia intorno al collo del suo ex-non-più-ex volpacchiotto.
“Da quella parte” gli suggerì Ned, indicandogli una stradina alle sue spalle con una zampetta, mentre con l’altra accarezzava il fondoschiena del suo-e-soltanto-suo-alla-faccia-di-tutti-quelli-che-ci-provavano agnellino.
“Adiosu18” lo salutò il sindaco, sventolando la berritta e osservando con interesse i due animaletti che avevano iniziato a sfranellare19.
Aligi non si preoccupò nemmeno di ringraziare, anche perché nessuno se ne sarebbe accorto visto che erano tutti troppo presi da attività decisamente più soddisfacenti. Si limitò a girare sui tacchi e iniziò a correre.
Corse e corse e corse, addentrandosi sempre di più all’interno del Paese, con la quasi totalità degli abitanti che gli andava dietro e quei bastardi di fenicotteri che lo seguivano dall’alto per assicurarsi che non potesse nascondersi e scappare, perché quello spettacolo era molto più divertente di quella scemenza di Palio.
Dopo quelli che gli sembrarono chilometri, Aligi si ritrovò davanti alla stessa porta scorrevole che aveva attraversato in gommone con Angiò. Senza nemmeno chiedersi come avesse fatto ad arrivare lì, si spiaccicò sui vetri e aspettò che si aprisse, ma quella non si mosse di un millimetro. Sull’orlo della disperazione, perché i suoi inseguitori erano ancora sulle sue tracce, Aligi prese a battere i pugni contro quella stupida porta e a gridarle “Apriti!”, ma lei continuò a restare perfettamente immobile.
“Non serve a nulla prenderla a pugni. E nemmeno a calci, se mai avessi avuto l’idea di fare una prova.”
Aligi fece un salto per lo spavento, a sentire quella voce che lo aveva colto di sorpresa.
“Tu che sei?” chiese.
“Il Cappellaio Matto, naturalmente.”
“E perché sei vestito come Jack Sparrow?”
“Disturbi della personalità” tagliò corto quello.
Aligi decise di non indagare oltre, anche perché non gli restava molto tempo.
“Sai come si apre?” chiese, indicando la porta.
“Allontanati di un passo e mezzo e mettiti proprio al centro della porta. Le Fotocellule sono orbe e ti vedono solo se sei in quel punto preciso.”
Aligi seguì le istruzioni e osservò le Fotocellule provare ad aguzzare la vista, per capire chi ci fosse, e soprattutto se ci fosse davvero qualcuno, davanti alla loro porta.
“Comunque è inutile che ti affanni tanto per uscire” gli disse ancora il Cappellaio Matto Sparrow.
“Ma sono inseguito da tutta quella gente!” si disperò Aligi.
“E allora? Tanto tu sei già fuori.”
“Cosa vuol dire che sono già fuori?” chiese Aligi perplesso.
“Vuol dire che sei lì che russi come un trombone” gli spiegò il Jack Sparrow Matto.
E in effetti, oltre la porta a vetri, Aligi vide se stesso che ronfava allegramente, ancora sdraiato vicino a Zi’Anita nel cortile della sua casa.
“Ma… ma…” balbettò Aligi.
“Non sei un ragazzo molto sveglio, vero?”
“Certo che no, sono lì che dormo!” gli fece notare Aligi.
“Mi sa che tu ci sei nato addormentato” commentò lo Sparrow Matto Jack. “Ti basta svegliarti e quelli non possono più raggiungerti” gli rivelò magnanimo.
“E come faccio a svegliarmi?” piagnucolò Aligi.
“Oh, ti aiuto io!” si offrì Sweeny Todd con un sorrisino poco rassicurante e, prima che Aligi capisse quello che stava succedendo, estrasse con tutta calma la sua spada dal fodero e gli infilzò il didietro.
Aligi si risvegliò di soprassalto, guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Zi’Anita, perché il suo urlo le aveva fatto perdere il filo del rosario, che si era tutto sgranato, e adesso era costretta ad andare a prenderne un altro e a ricominciare da capo. Aligi la seguì, nella speranza di riuscire a farsi raccontare finalmente qualche vecchia storia per finire la sua ricerca, e si chiese che cosa avesse sognato che lo aveva spaventato tanto. E si domandò anche perché, all’improvviso, avesse tanta voglia di vedere Queer As Folk mentre mangiava un bel cosciotto di agnello arrosto.



Note:

1. Spantu significa meraviglia, sorpresa, ma anche gran divertimento
2. Letterlamente, Agnellino Da Latte
3. Ovile Vecchio
4. Il Golgo è una vallata, nelle campagne del paese di Baunei, in Ogliastra, nel quale si apre una profonda voragine che si diceva fosse l’ingresso per l’Inferno
5. Il casu marsu, che letteralmente significa formaggio marcio, è un formaggio fatto andare a male, che mette dei particolari tipi di vermi e diventa molto piccante. Se si lascia stagionare molto, i vermi scompaiono e il formaggio diventa una crema. Dicono sia buono, ma io mi guardo bene dall’assaggiarlo ^_^
6. Acqua vite; a settanta gradi è quasi alcool puro -_-
7. Compare
8. Nell’ordine, pesce fresco e pesce caldo
9. È usanza, in molti paesi, che dell’organizzazione delle feste si occupino i cinquantenni
10. Personale rivisitazione di una strofa della canzone Alice di Francesco De Gregori: Alice guarda i gatti e i gatti guardano nel sole, mentre il mondo sta girando senza fretta
11. Letteralmente, Volpacchiotto Volpe; nel mio dialetto volpe si dice margiani, in quello logudorese mazzone
12. Da bottu, qualcosa che non vale nulla, riferito principalmente a automezzi e elettrodomestici, qui inteso come catorcio
13. Strumento musicale a fiato, formato da varie canne di diversa lunghezza
14. Tipica gonna sarda, lunga fino alle caviglie, tutta a pieghettine
15. Tipico cappello sardo, nero e dalla forma allungata
16. A parte il cinghiale, sono tutte specie più o meno protette
17. Può voler dire sia “a cavallo di una canna spaccata a metà” che “a cavallo di una canna messa tra le gambe”, ma non ha grande importanza perché, in realtà, è solo un modo molto colorito per dire “a piedi”
18. Addio
19. Pomiciare
   
 
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