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Autore: soarez    25/03/2010    8 recensioni
Il suo capo, Teresa, era morta perché…lui si era comportato da egoista come al solito? Era seriamente sul punto di picchiarlo.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Pensieri di una bambola'
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Alla fine i ringraziamenti alle recensioni.

 

 

 

 

Teresa Lisbon era morta.

Morta sotto i suoi occhi.

 

Avevano arrestato Hardy. Cho e Rigsby se n’erano appena andati.

Lisbon stava parlando con la ragazza salvata.

Patrick Jane uscì dalla casa dove fino a poche ore prima era stato Red John.

Era avvilito e frustrato, perché ancora una volta il killer si era dimostrato più sveglio di lui.

Pensando a queste cose notò che Hardy si stava liberando dalle manette.

Senza ragionare prese un fucile appoggiato in un angolo da qualche poliziotto.

Vide lo sceriffo assalire un agente, sottrargli la pistola ed ucciderlo.

Jane imbracciò il fucile, mirando su di lui.

Lo vide puntare la pistola verso Lisbon.

Jane esitò.

Hardy sparò alla donna, che cadde a terra colpita al petto. Un altro poliziotto colpì lo sceriffo uccidendolo.

Patrick Jane lasciò cadere il fucile, correndo da Lisbon e inginocchiandosi al suo fianco.

Era paralizzato, non riusciva neppure a parlare.

Premette le mani sulla ferita; sentiva il suo sangue caldo fluirgli tra le dita..

Fissava la donna spaventato, senza sapere cosa dire. Lui, che aveva sempre la risposta pronta.

Lisbon lo guardava agonizzando; uno sguardo che racchiudeva la paura, il terrore di chi sa che sta per morire. Sembrava anche incredula, come se tutto quello non potesse succedere, non proprio a lei.

Qualcuno chiamò un’ambulanza, ma ormai era troppo tardi.

Lisbon spirò. Era morta, ma i suoi occhi vuoti continuarono a fissare Jane fino a quando il corpo non fu coperto.

Patrick Jane non seppe dire come si ritrovò al CBI. Forse qualche agente l’aveva accompagnato.

Ma ricordava una Van Pelt in lacrime quando diede la notizia alla squadra.

Minelli era distrutto; aveva l’aria di chi ha vissuto dieci anni in due minuti.

La reazione di Rigsby era un tragico controsenso: tentava di consolare Grace, benché anche lui stesse piangendo.

Cho era semplicemente sbiancato; sembrava quasi che se avesse aperto bocca avrebbe vomitato anche l’anima.

Jane si diresse come un automa verso il divano e si sedette.

Guardando il soffitto non riusciva a capire se la sua mente fosse totalmente vuota o terribilmente concentrata sulla scena di poche ore prima. Forse entrambe le cose.

Si sentiva stanco, privo di energie; avrebbe voluto dormire ma sapeva che se avesse abbassato le palpebre, avrebbe rivisto ancora i suoi occhi morti.

Avrebbe voluto piangere, ma gli mancavano le forze anche per quello.

Cho gli si avvicinò lasciandosi andare sulla sedia davanti al divano.

-Ehi-

Patrick lo guardò assente.

-E’…brutto- neppure riusciva a trovare un aggettivo appropriato.

-Già…si, è molto brutto-

Il biondo si coprì mezza faccia con la mano sinistra.

-Continuo a vedere quegli occhi…Dio, non me li dimenticherò mai-

-Jane…-

-Cho, io potevo fermarlo…potevo fermarlo prima che la uccidesse-

Kimball lo guardò sorpreso, senza parole.

-Potevo…Cristo, potevo sparargli!-

-Jane, ora non fissarti. Non è stata colpa tua-

-Cho, sai perché non ho sparato? Ho esitato perché lui era l’unico che poteva dirmi qualcosa su Red John. Io volevo…volevo sapere di Red John e non l’ho ucciso- alzò di nuovo la testa, le mani ora a coprire completamente la faccia.

-E ora Lisbon è morta per causa mia. Di nuovo per causa mia; come mia moglie e mia figlia…oh, Dio! Almeno lei poteva essere viva-

L’orientale lo fissava. Gli era tornata la nausea e non sapeva se consolarlo o prenderlo a pugni.

Ne sentiva il forte impulso.

Il suo capo, Teresa, era morta perché…lui si era comportato da egoista come al solito?

Era seriamente sul punto di picchiarlo.

-Jane, tu…tu l’hai lasciata morire per ottenere informazioni che non avrai comunque?-

Il silenzio colpevole dell’altro era una risposta più che sufficiente.

-Grandissima testa di cazzo, sai benissimo che io ti ho sempre appoggiato in tutte le stronzate che facevi. E ti appoggiavo perché credevo che avresti aiutato un amico in difficoltà. Ero convinto che avresti fatto di tutto per uno di noi. Non fraintendermi, non intendo certo dire che avresti sacrificato la vita, ma Cristo!...Cristo, Jane, avevi la possibilità di salvarla e ti sei comportato come un sfottuto egoista. E ora lei è morta; la persona che qui dentro ti stimava di più e ti voleva più bene.

Ti rendi  conto di cosa hai fatto?-

Jane accettò l’accusa in silenzio, senza avere il coraggio di guardare in faccia il collega, e ogni parola era una coltellata.

Quello che aveva detto era tutto dolorosamente vero.

Aprì gli occhi, e solo in quel momento si rese conto di avere le mani sporche di sangue.

A guardarle rabbrividì.

Tentò di pulirle sulla camicia, sui pantaloni, ma era tutto inutile.

Lo prese una strana inquietudine.

Cercava freneticamente di pulirsi le mani, mentre gli occhi morti di Lisbon gli ritornavano in testa.

Il respiro si fece irregolare, mentre l’agitazione aumentava.

D’un tratto cadde in un nero abisso.

 

 

Patrick Jane si svegliò di soprassalto, in casa sua.

Aveva il respiro pesante, tremava ed era zuppo di sudore, i capelli appiccicati alla fronte.

Seduto sul materasso, sotto al marchio di sangue di Red John che incombeva su di lui con orrido umorismo, Jane si rese conto che stava per vomitare.

Chiuse gli occhi e cercò di controllarsi.

Dopo alcuni minuti si guardò nuovamente attorno, per assicurarsi di essere veramente a casa sua.

Si, era al sicuro.

Con le mani ancora tremanti cercò il cellulare e digitò un numero, rimanendo poi in attesa, senza respiro.

Rispondi…rispondi…

-…uhmpronto?...-

Oh, grazie.

-Pronto?- bofonchiò di nuovo la voce di donna assonnata e anche un po’ scocciata.

-Ehi, Lisbon…sono io-

-Jane. Ma che ti dice il cervello? Sono le…le tre di mattina-

-Si, hai ragione, scusa-

-Ma che è successo? va tutto bene?-

-Oh, si, non preoccuparti, è tutto a posto- Patrick sorrise – è tutto perfettamente a posto. Senti, scusa se ti ho svegliato, Lisbon. Mi dispiace, continua pure a dormire. Ci vediamo in ufficio-

-Ah…beh, allora buonanotte, Jane-

-Buonanotte Lisbon-

 

 

 

Wow, sono contenta che le mie storielle facciano ridere. Ecco, forse con questa si ride po’ meno, ma sinceramente mi sono divertita a scriverla…e ho riso quando Cho insulta Jane…lo so, sono strana.

Ora passo ai ringraziamenti.

Sasita: si, adoro Cho con la sua faccia inespressiva. È affascinante. Naturalmente sono una fedele (ma non troppo) osservatrice del dogma Jisbon, è solo che mi diverto troppo a infilare Cho ovunque, così il nostro bel biondino dovrà destreggiarsi un po’.

 

Cifri: concordo assolutamente! La puntata 16 è meravigliosa…anche io ho rivisto ad oltranza quella scena (me la sono anche sognata di notte).

Sono contentissima di essere riuscita a rendere bene Cho. È un personaggio meraviglioso, e mi sarebbe spiaciuto trattarlo male. Ti dirò che mentre scrivevo Cavalieri e caramelle alla fragola, mi immaginavo le espressioni di Cho e ridevo come una scema mentre aspettavo il treno in stazione…due o tre mamme si sono girate a guardarmi malissimo ^_^

 

Evelyn_cla: contenta che piacciano le frecciatine di quei due…certe volte mi vengono spontanee, altre devo faticarci come una dannata. Temo che non scriverò mai una fan fiction che vada più in la di due capitoli. Il mio problema è che non resisto a lungo…o perdo l’ispirazione, o mi passa la voglia di scrivere. Preferisco scrivere cose brevi, spezzoni di vita quotidiana all’interno del piccolo grande mondo dei nostri eroi. Una mia amica mi ha detto che le cose che scrivo potrebbero inserirle all’interno di una puntata, come scena per alleggerire.

Sono contenta che siano divertenti, preferisco nettamente scrivere qualcosa di divertente anzi che qualcosa di troppo romanticoso/sdolcinato/diabetico.

 

Othello: ciao, scimmia! Tranquilla, poi metto anche quella di Rigsby, però domani.

   
 
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