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Autore: endif    26/03/2010    24 recensioni
“«Edward…» non mi accorgo neppure di avere sussurrato il suo nome, ma forse l’ho fatto perché lo vedo girarsi verso di me come a rallentatore. Il tempo si cristallizza qui, in questa stanza, in questo momento, restando sospeso a mezz’aria.
Sgrano gli occhi a dismisura quando capisco chi è tra le sue braccia.
No. Non può essere.”
Piccolo spoiler per questa nuova fic, il seguito di My New Moon. Ci saranno tante sorprese, nuove situazioni da affrontare per i nostri protagonisti. Un E/B passionale e coinvolgente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Change' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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CAP.33

EDWARD -Rocking Around The Christmas Tree-

In piedi, appoggiato al grosso arco in pietra viva che affaccia nel salone, la osservo,  seduta sull’ampio divano bianco.
Fili d’angelo dorati sono appoggiati alla sua spalla destra e ricadono, luccicanti, sul suo petto e sul suo braccio, mentre lei, con attenzione, scruta accuratamente due sfere di vetro.
A turno, le alza davanti al suo viso, rigirandole delicatamente tra le sue mani. E ripete l’operazione più volte, con una serietà che contrasta con l’espressione distesa del suo viso e dei suoi occhi.
I suoi gesti sono dettati dal solo piacere di compierli. Ogni volta che una palla di vetro con i suoi riflessi brillanti colpisce i suoi occhi, il sorriso che le illumina il viso sembra accentuarsi un po’ di più.
Bella si sta divertendo.
Come la più esperta delle organizzatrici, guida Alice nell’allestimento del primo albero di Natale in casa Cullen ad Hanover.
Lei suggerisce e mia sorella esegue diligentemente.
Lancio uno sguardo fugace ad Alice che a passo umano fa la spola tra il divano e l’albero, sistemando via via le sfere di vetro che Bella le passa di volta in volta, indicandone anche la disposizione. Vedo Alice sorridere lievemente, mentre, di spalle a Bella, regge una palla di vetro dorata riccamente decorata con brillantini ramati e chiede:«Sopra quella trasparente o di lato?»
«No, no. Questa va al centro … è la più bella, deve vedersi bene».
Sorrido di riflesso. Probabilmente Alice conosce già la disposizione di tutte le palline con una precisione millimetrica, ma sta facendo di tutto per non rovinare il divertimento a Bella, sia contenendo il suo entusiasmo, sia lasciando a lei carta bianca.
Da quando Bella ha cominciato a nutrirsi dell’unico vero sostegno per il bambino, entrambi sono diventati più forti, ma contemporaneamente molte cose sono diventate anche più chiare.
Per esempio, adesso riesco a percepire il bambino anche io.
O meglio, percepisco la differenza che c’è nei suoi pensieri da quando è sveglio a quando è incosciente. Riesco a distinguere il modo in cui gli arrivano le voci, a capire se sta per muoversi. Non sono propriamente pensieri compiuti, ma istinti inconsapevoli. Riesco, quindi, a mettere in allerta Alice prima che insorga in lei il dolore per la vicinanza con il bambino cosciente. E allora, Alice si defila con qualche scusa, con disinvoltura, quasi con noncuranza, al solo scopo di non arrecare dispiacere a mia moglie.
Mia sorella raccoglie un’altra palla di vetro dalle mani di Bella, anch’essa dorata con fantasiosi ricami rossi, e la osserva attenta:«La morte di questa magnifica sfumatura color oro è il rosso … mmm … un albero tutto rosso e dorato …» dice pensierosa e, alzando gli occhi, incontra lo sguardo un po’ incerto di Bella, che si è bloccata con la mano a mezz’aria e una campana rivestita di broccato dorato tra le dita.
«Oh. Ma io non ne capisco un tubo di alberi di Natale … Fortuna che ci sei tu a coordinare le disposizioni … sai, non siamo molto pratici» e abbozza un sorrisetto angelico.
Bella la guarda solo per un attimo con un lampo di scetticismo negli occhi per poi abbassarli, rapida, sugli scatoloni appoggiati al suo fianco e pescare dal mucchio un’altra campana identica a quella che già ha tra le mani. Gliele porge con un sorriso:«Ai due lati di fronte a me, a metà altezza» dice serena.
Appena Alice si gira, mi lancia un’occhiata fugace e mi strizza l’occhio. Da dov’è, Bella non può vedermi, essendoci il grande camino a centro stanza ad oscurarle la visuale.
Quel piccolo folletto impertinente le ha fatto credere che non si sia mai fatto un albero di Natale in casa, perché ritenuto una cosa per divertire i bambini e sostenendo che, adesso, poichè un bambino c’è, l’albero va fatto. In realtà, a Forks, alberi di Natale in casa ne sono già stati allestiti diversi.
E, ovviamente, tutti dalla stessa Alice.
Perfettamente equilibrati in forme e colori, discreti e molto … alla moda.
Alberi di Natale da copertina di giornale.
Ma questo …
Questo è fatto da e per Bella, secondo il suo gusto e il suo piacere.   
Tutti i colori dell’arcobaleno, nelle loro sfumature più luminose e più ricche, fanno bella mostra di sé nelle palle multicolore che penzolano dai rami d’abete.
Le luci, piccole e a delicata intermittenza, sono dorate e blu elettrico.
L’albero sta prendendo forma pian piano davanti ai nostri occhi e ha un fascino tutto particolare.
Trasuda allegria, gioia e serenità. La ritrovata serenità dell’intera famiglia, Bella in primis.
Con due sfere in una mano, Bella rovista in uno scatolone, borbottando sommessamente con la testa semicoperta dal cartone. Cerca di spostarselo in grembo per vedere meglio, allorché Alice le si fionda addosso facendoglielo scomparire dalla vista:«No dico: ma sei impazzita?!»
Con un tonfo lascia cadere lo scatolone sul tappeto e Bella ne segue con due scatti del viso, prima su Alice e poi sul pavimento, il movimento, perplessa.
Riporta gli occhi su mia sorella, mani sui fianchi e piedino convulsivo che in terra batte un ritmo forsennato:«Non.Devi.Fare.Sforzi. E’ così difficile per te?» e senza attendere risposta prosegue:«Bella le donne incinte devono solo farsi servire e riverire».
«Alice! Ho solo spostato uno scatolo!!» mormora lei esasperata, ma anche un po’ intimorita.
Mia sorella le piazza l’indice all’altezza degli occhi e lo muove in segno di diniego accompagnandolo ad uno schioccare di lingua:«Stavi contraendo i muscoli addominali ed esercitando una pressione inappropriata sulla parte bassa della pancia» alza il mento contrariata e punta il dito sul ventre rotondo «Non dimenticare, per favore, che lì dentro c’è mio nipote. Di conseguenza, tu diventi più delicata di un cristallo e ti curerai come se fossi l’unico vaso sopravvissuto della collezione Ming. Spero di essere stata chiara» conclude con un’espressione minacciosa.
Due secondi … ed entrambe erompono in uno slancio di ilarità. Una risata spontanea, autentica, alla fine della quale Bella si asciuga gli occhi e Alice si liscia la zazzera di capelli.
Attirato dalle risate Jasper fa capolino dalla portafinestra, guardando prima Bella e poi sua moglie. Scuote la testa e ritorna in giardino.
Sul suo viso un ampio sorriso.
Nello stesso momento la porta d’ingresso si apre, lasciando entrare Emmett seguito da Rosalie.
«Ah, che bello! Finalmente l’albero!» tuona mio fratello con un vocione cavernoso, cui segue un’immediata quanto invisibile gomitata di Rosalie assestata con precisione millimetrica tra il fegato e la costola soprastante.
«Ahi, che ho detto di sbagliato?!» chiede accigliato a sua moglie, portandosi la mano all’altezza del fianco.
Con uno scatto del capo lei si gira, senza degnarlo di una risposta, mentre incede, sommersa di pacchetti e borse, a passo umano verso il divano.
«Bello, vero?» si gira noncurante Alice verso di lui con uno sguardo feroce, mentre Rosalie si accomoda sul divano di fianco a Bella «Esme sarà contenta della novità» termina il folletto con un‘occhiata eloquente, sempre in direzione di Emmett.
«Nov…Ehi!» e con una mano lui afferra un massiccio posacenere di quarzo a  mezzo centimetro dalla sua testa. Lanciato da Alice.
«La smettereste di cercare di colpirmi, per favore?» chiede con tono burbero, mentre Bella si copre la bocca con la mano soffocando una risata. Dopo un attimo, con ancora il sorriso sulle labbra, dice:«Sì, Emmett. Alice mi ha spiegato che non avete mai fatto un albero di Natale, qui almeno, e mi ha chiesto di darle qualche … consiglio».  
«Consiglio?» ripete lui, perplesso «Oh. Oh, certo consiglio». Ammicca compiaciuto, come se finalmente tutta la sua mente si fosse illuminata a giorno «Ci voleva proprio un bell’albero di Natale» conclude mentre con fare disinvolto e un sorrisetto sul viso, Bella si volta verso Rosalie.
«Ho trovato questi in un negozietto di un rigattiere giù in paese. Pensavo … non so … se non ci sono abbastanza decorazioni …» dice Rose tendendo una busta di cartone a mia moglie e abbassando subito gli occhi.
Lei la prende e la apre.
Quando ritira la mano, tra le dita regge il cordoncino dorato da cui pende un angioletto ricavato da una pigna. Gli occhi di Bella si dilatano mentre porta l’oggetto all’altezza del viso con delicatezza, porgendo da sotto l’altra mano, quasi a cullarlo.
La decorazione è davvero originale. Tre petali di stoffa verdi bordati di filo dorato separano il visetto di legno dipinto dalla vera e propria pigna che rappresenta il corpo. Una sciarpetta rossa completa il tutto.
«E’ meraviglioso» sussurra Bella, incantata.
«Sì, beh … ci sono di sicuro delle decorazioni più costose e appropriate …» comincia Rosalie, ma Bella la interrompe con un gesto della mano. Deglutisce la commozione e dice:«E’ perfetto. Proprio quello che ci mancava» e sorride.
Di nuovo.
Affilo lo sguardo e mi concentro, mentre un nascente pensiero, estraneo ai presenti si fa largo nella mia mente. Faccio un passo avanti e in un soffio pronuncio il nome di Alice, che, impercettibilmente si irrigidisce e svelta ripone l’angioletto che lei stessa aveva pescato dalla busta di Rosalie. Si volta verso la portafinestra e, a voce teatralmente alta dice:«Sì, Jasper. Arrivo». Fa spallucce:«Uomini» commenta e si allontana come una saetta.
Bella resta interdetta solo un secondo, prima di rivolgersi a Rosalie e chiederle se ha voglia di aiutarla a terminare la decorazione dell’albero insieme a lei.
Rose esita incerta.
Subito dopo si alza e si scusa adducendo la giustificazione di un precedente impegno con Emmett e lo acciuffa prima che lui la smentisca, non senza avermi lanciato un’occhiata rapida e nervosa.
Poi, sparisce.
E’ quello il momento in cui anche Bella si accorge di me. E il suo viso si illumina, sottolineando così la sua felicità.
Le sorrido e mi avvicino con calma. E mentre lei protende il viso verso di me, mi inclino su di lei, sfiorandole prima la punta del naso, poi le labbra con le mie labbra.
«E’ bellissimo» mormoro.
Bella apre gli occhi e il suo sguardo si sposta per un secondo sull’albero dietro di me, prima di ritornare, luccicante, nei miei occhi :«Sì, sta venendo proprio bene»
Le mie labbra si incurvano in un mezzo sorriso, mentre con un lieve movimento del capo scendo all’altezza del suo orecchio, per soffiare  dolcemente:«Baciarti è bellissimo» e sottolineo le parole premendo le labbra contro i suoi capelli «Vederti così felice è bellissimo» e spingo il viso giù facendomi spazio verso la pelle candida del collo, scoprendolo con una carezza leggera della mano.
Bella sospira mentre con le braccia mi cinge la nuca e con la fronte si appoggia alla mia spalla:«Vedere … te mi rende felice».
Restiamo fermi così e sento che questo è uno di quei momenti che si imprimono nella memoria, quelli destinati a diventare ricordi indelebili.
I colori natalizi.
L’odore di agrifoglio, di terra, di abete.
Il profumo di Bella mischiato a questi.
Le sue risate.
Noi due, noi … tre.
Insieme.
Si distacca leggermente da me e con gli occhi ridenti mi incalza:«Allora signor Cullen … pensa di riuscire a prendere il posto della sua incantevole sorella e di aiutarmi a terminare di applicare le decorazioni all’albero, fingendo anche lei, con la stessa abilità,  che sia la prima volta che lo fa?»
La fisso scandalizzato.
E quando noto che sta cominciando a martoriarsi il labbro inferiore pensando di aver esagerato, rispondo:«Ma naturalmente signora Cullen! Ha forse dubitato che come bugiardo non valga quanto lei?»
I suoi occhi si dilatano e quando gli angoli delle sue labbra si innalzano, con voce carezzevole, mormora:«No. Nemmeno per un attimo».


BELLA - Coldplay - Have Yourself A Merry Little Christmas

Sapevo che ero in un sogno.
Perché nella realtà non avrei mai potuto muovermi con quella delicatezza, con quella grazia, senza rischiare, almeno una dozzina di volte, di rompermi il femore.
Sapevo anche che ero in un bel sogno.
Perché, a parte l’assenza della mia irrimediabile goffaggine, Edward era con me. E, quindi, qualunque cosa fosse accaduta, non avrebbe potuto intaccare il mio stato di beatitudine.
Mi teneva tra le sue braccia e volteggiavamo leggiadri sulle note di una musica dolcissima.
La cosa strana era che eravamo in un bosco. Ma nel mio sogno perfetto nessuna pietra, o radice era in agguato per tendermi un tranello.
Sentivo l’aria profumata e pungente come dopo la pioggia, l’odore di terra e di muschio.
Poi, lentamente, i colori intorno a noi si fecero più chiari, più luminosi e i raggi del sole cominciarono a farsi strada tra i rami, indisturbati, fendendo il fogliame e avanzando implacabili.
Colpirono Edward e rimbalzarono in tutte le direzioni scomposti in una miriade di raggi più sottili.
Ma quando il raggio proseguì il suo percorso, abbandonando il corpo del mio amore, i miei occhi non cessarono di avvertire il luccichio tipico della pelle adamantina dei vampiri a diretto contatto con la luce del sole. Spostai il capo per identificarne la fonte.
La pelle che brillava non era quella di Edward, ma la mia.
Un rumore lontano, ma chiaro, arrivò alle mie orecchie.
Il pianto di un neonato.

Apro gli occhi di scatto, il respiro affannato e le mie mani corrono subito al mio ventre solo per scontrarsi con altre due fredde e lisce a diretto contatto con la pelle.
«Shh amore, era solo un sogno» Edward non smette di massaggiarmi la pancia e si allunga verso il mio viso, deponendo lievi, piccoli baci sulle guance e sugli occhi, nel tentativo di tranquillizzarmi.
Lascio andare il capo pesantemente all’indietro e sospiro.
«Ti sei agitata molto. E … anche lui» sorride ai miei occhi confusi e ancora un po’ turbati.
«Mi dispiace» mormoro con la voce ancora impastata di sonno «era un bel sogno … ma poi … ».
Mi zittisco di botto, di fronte al suo sguardo attento ed acuto:«Poi?» mi invita a continuare lui.
«Poi … poi non lo era più» concludo, laconica.
Tiro un profondo respiro, rendendomi conto della pressione leggera ma profondamente piacevole che le mani di Edward esercitano sulla mia pancia e della sensazione di benessere che lentamente sta invadendo ogni centimetro del mio corpo. Le spalle sprofondano maggiormente tra i cuscini, le gambe si distendono automaticamente e le braccia si poggiano naturalmente ai lati del mio ventre. Nessun segno di tensione sembra alloggiare più in me.
E’ in quel momento che la mia attenzione viene attirata dai riflessi blu e oro che si infrangono intermittenti sulla morbida coperta bianca e sulle mani candide di Edward.
E’ notte.
E dal buio dell’ambiente non mi ero resa conto di non essere in camera, né nel mio letto.
Sono distesa sul divano del salotto, proprio di fronte all’albero di Natale. L’unica fonte di luce proviene dalle microscopiche lampadine dello stesso albero, il cui riverbero si riflette sulle sfere di vetro che nel pomeriggio Alice ha provveduto a sistemare.
Alzo lo sguardo e contemplo, affascinata, lo spettacolo delle ombre che si proiettano in ogni angolo della stanza e su di noi.
La pelle di Edward riluce lievemente ed i suoi occhi sembrano due gemme.
«Ti sei addormentata mentre finivo di aggiungere le ultime decorazioni. Non volevo svegliarti portandoti in camera, ma forse il divano non è abbastanza comodo …» dice un po’ colpevole.
«No, no …» mi affretto a dire «è bellissimo svegliarmi qui … con l’albero acceso. E poi, il divano è comodissimo».
Mi osserva scettico per una frazione di secondo, per poi sfiorarmi una guancia con il pollice e sussurrare un po’ inquieto:«Hai voglia di raccontarmi il tuo sogno?»
Scuoto il capo piano, afferro la sua mano e lo tiro gentilmente verso di me:«No. Ho solo voglia di sentirti vicino».

Dopo un tempo indefinito in cui il silenzio e le continue carezze di Edward mi hanno restituito alla tranquillità, sono ancora immersa nella contemplazione dell’albero di Natale e nella decodificazione del mio sogno.
Un sogno inquietante.
Ho pensato a lungo, sforzandomi di essere sincera con me stessa.
Ed Edward ha rispettato il mio desiderio di solitudine mentale, restandomi vicino fisicamente, ma senza tentare di estorcermi confidenze che non mi sentivo pronta a fornirgli.
Cosa mi turba? La trasformazione? La nascita del nostro bambino?
Ho concluso che non si tratta di nessuna delle due prese da sole, ma di entrambe. Insieme.
Ho paura che, una volta trasformata, non riesca a prendermi cura del mio bambino, ad attendere alle sue necessità come dovrei.
Ma come dovrei?
Come umana? O come vampira?
Qual è il modo migliore per farlo?
Ormai è chiaro che riuscirò a concludere la gravidanza e, anche se Edward non è entrato nel dettaglio della modalità di svolgimento del parto –immagino per non stressarmi – non ho ben chiaro se l’evento coinciderà con la mia trasformazione o meno.
Ho timore di saperlo.
Perché ho paura che, indagando, Edward possa pensare che abbia dei tentennamenti o peggio.
Che non sia più mio desiderio condividere l’eternità con lui.
Mentre la verità è che non è affatto così. La verità è che, mai come adesso, il mio futuro mi è sembrato più chiaro.
Non so quale sarà la natura di questo bambino, ma già adesso capisco che molto è stato ereditato da Edward: la sua forza, il suo sostentamento …
Ed è naturale per me pensare che come vampira avrò tutto il tempo e tutta l’energia per potermi occupare di lui, ma … ne avrò anche la capacità?
Come vampira neonata sarò assetata di sangue, non ci sarà altro nei miei pensieri che questo. Almeno per un anno.
Un anno … un anno in cui non potrò accudire mio figlio, rispondere alle sue necessità come dovrebbe fare una buona madre …
Mentre i riflessi delle luci blu e dorate si alternano sulla coperta chiara mi sembra quasi beffardo come nella mia mente si ripetano, con la medesima cadenza ritmata, due domande: aspettare o trasformarmi subito?
Ed è quasi comico se penso che dopo tutti gli eventi che ci sono capitati, dopo tutte le mie insistenze, ora sia proprio io ad avere dei tentennamenti.
I miei occhi vengono catturati dal luccichio dei riccioli dorati degli angioletti di Rose e le sue parole riecheggiano nella mia mente:”… tu avevi qualcosa che io non avrei mai potuto avere. Non più. … Tu eri viva. Io non lo sarò mai più”.
Non ho mai pensato seriamente alle sue parole, a cosa significassero davvero. A me, in fondo, non importava. Ma adesso mi ritrovo a considerarle sotto un altro aspetto. Cosa abbia significato per lei la perdita dell’umanità, con tutte le sue implicazioni.
Rose non sarà mai una madre. E nei suoi occhi rimarrà per sempre congelata  un’immagine che non potrà mai appartenerle: cullare fra le braccia quel figlio che non potrà mai avere.
L’eternità, con un rimpianto del genere, deve essere decisamente dura da sostenere.
«Edward?» chiamo a voce bassissima.
«Si?» risponde pronto, come se non aspettasse altro che un mio cenno.
«Non essere troppo … duro … con Rose … » sussurro in un soffio.
Le dita che in questo momento stanno risalendo con dolcezza sul mio braccio si bloccano all’altezza del gomito per una frazione di secondo, per poi proseguire nella carezza.
Non udendo alcuna risposta, decido di insistere. Non mi è sfuggita la ritirata sospetta di Rose e la conseguente comparsa di Edward nel primo pomeriggio, quando Alice è schizzata via come un fulmine. «Devi essere indulgente. Non è facile per lei …» aggiungo.
Avverto l’immediato irrigidimento del suo corpo alle mie parole:«Non è così semplice, Bella» esita per un attimo e poi aggiunge:«I suoi pensieri sono alquanto più complessi delle sue parole».
«Edward … » comincio io, ma lui mi interrompe, deciso:«Tu non puoi sapere quanto siano stati ributtanti».
«Non siamo tutti perfetti» mi lascio sfuggire per poi pentirmi quasi contemporaneamente.
Lo sento trattenere il respiro. «Ha desiderato la tua morte, Bella. Non posso … perdonarla per questo» e ho quasi l’impressione che la sua voce tremi nel pronunciare queste parole.
Resto in silenzio per un po’, indecisa.
La cosa mi sconvolge? No, per niente.
Osservo pensierosa gli angioletti che penzolano dai rami, i loro capelli biondi, il loro visetto paffuto e dolce.
«Anche tu l’hai desiderata. La mia morte, intendo» mi decido, infine, a rispondere.
Il silenzio che accompagna le mie parole è teso da entrambe le parti. Entrambi preoccupati, seppur in tempi diversi, di aver ferito l’altro.
«Non è la stessa cosa» afferma «è la mia natura ad aver suscitato questo istinto» sibila a voce bassa, ma vibrante.
«Anche per lei è così. Solo che è stato un istinto diverso a suscitare lo stesso desiderio: il suo istinto di madre, Edward». Non ho il coraggio di girarmi e guardarlo in viso, quindi resto appoggiata al suo corpo fissando la coperta su cui ho piantato i miei occhi e proseguo:«Io … sento di capirla. Prima non ci riuscivo, mentre adesso … adesso vedo tutto più chiaramente».
Finalmente mi volto e incontro il suo sguardo duro:«So che anche tu sai che è così, che non è cattiva, ma solo … » aggrotto la fronte alla ricerca delle parole giuste. Invano.
« … vittima delle circostanze?» mi viene in aiuto lui, con tono chiaramente scettico.
«Precisamente» confermo soddisfatta e scruto attentamente i suoi occhi alla ricerca di un mutamento nella sua espressione, indice del cambiamento anche del suo umore.
Soppesa la mia espressione speranzosa e dopo qualche istante piega le labbra in una smorfia, scuotendo il capo:«Sei proprio ostinata» e un angolo delle sue labbra si piega all’insù in un accenno di sorriso:«Vedrò che posso fare, ma non contarci troppo».
Il mio sorriso si amplia a dismisura quando il suo capo si inclina verso di me  e mormoro un grazie contro le sue labbra un attimo prima che scivolino leggere sulle mie.
Ho appena sostenuto la causa di Rosalie Hale, penso frastornata, come cambiano le cose …
Già, e tra un po’ cambieranno ancora di più.
Il sollievo per la chiacchierata chiarificatrice con Edward in merito al suo rapporto con Rose viene, tuttavia, rapidamente spiazzato da un nuovo viaggio mentale che involontariamente la mia testa prende a fare.
Rose non sarà mai una madre, ma … potrebbe esserlo? Diciamo per un annetto?
Mi perdo in queste elucubrazioni perdendo completamente il contatto con la realtà e il senso del tempo. Non so se sono trascorsi pochi minuti oppure delle ore, quando mi accorgo del sospiro di Edward, sul petto del quale sono appoggiata con la schiena.
Con cautela volta il mio viso giusto il necessario affinché i miei occhi possano scorgere la frustrazione dei suoi.
«Cosa c’è che non va?» chiede e vedo quanto gli costi farlo.
Resto in silenzio, scuotendo il capo, ma dai miei occhi deve trasparire tutta la mia preoccupazione, perché con evidente sforzo lui prosegue:«Immagino che non è a Rose che stai pensando» constata rassegnato. «Bella, non dirò che vorrei poterti leggere nel pensiero, perché in questo momento so che non è ciò che desideri, ma vorrei solo che tu … non ti torturassi così» sussurra con quella sua voce morbida e calda.
Piego le labbra in una smorfia contrita e lui sospira di nuovo:«Bella, tu … tu non hai niente da temere. Soprattutto da me».
«Lo so» rispondo abbassando gli occhi e scorgendo le dita affusolate e pallide della sua mano allungarsi verso il mio mento e spingerlo delicatamente in su, invitandomi a mantenere il contatto visivo.
«Ma?» aggiunge delicatamente lui.
Aggrotto la fronte e i suoi occhi si fanno più attenti:«Ma?» incalza più determinato.
«Ok. Ecco, io ho paura di non … riuscire a spiegarmi bene … e … e … non vorrei che tu pensassi … che io … che noi … che non mi interessi più la … la …» balbetto, incapace di terminare la frase e rendendomi pienamente conto di essere sconclusionata.
«La trasformazione?» finisce lui per me.
Annuisco con lentezza, scrutandolo in viso alla ricerca di un segno qualunque di irritazione o di dispiacere.
Ma l’unico movimento visibile del suo viso è un sopracciglio che si inarca con grazia verso l’alto:«E, se non è troppo chiedertelo, potrei sapere perché dovrei pensare una cosa del genere?»
«Io … sì beh, pensavo che con il parto, e con la trasformazione, io non riuscirò ad occuparmi di lui e tu … tu dovrai occuparti di me … e io sarò ingestibile … e allora dovremmo allontanarci … e lui avrà bisogno di me … di noi … »
«Bella …»
«e noi saremo lontani … »
«Bella …»
«e lui resterà solo … senza i suoi genitori …»
«Amore …»
«ma questo non significa che non voglia, perché è ciò che desidero di più al mondo …»
Le sue mani fredde si portano decise ai lati del mio viso e la sua voce ferma interrompe la valanga di frasi che scivola incontrollata dalla mia bocca senza che più nessuna indecisione ci sia a fermarla, tramutata ormai in una inarrestabile necessità di convincerlo della mia buona fede.
«Amore. Calmati» e il suo sguardo ardente cattura i miei occhi che, impazziti, cercavano, senza vedere, in ogni angolo della stanza un appiglio, un  suggerimento che illuminasse il mio ragionamento.
Mi arrendo ad incontrare il suo sguardo, temendo di scorgervi la disapprovazione e stupendomi di leggervi solo gioia, calore, dolcezza.
«Non sei … arrabbiato?» chiedo, leggermente stupita.
Adesso entrambe le sue sopracciglia si inarcano verso l’alto e il suo sorriso diventa l’unica fonte di luce nella stanza.
E di calore nel mio cuore.
«Bella. Non potrei mai essere inquieto con te. E soprattutto non potrei mai esserlo se ti preoccupi di nostro figlio e del suo benessere». Inclina un po’ il capo senza mollare la presa sul mio viso e senza perdere i miei occhi.
«Mi devi perdonare» e nel mio sguardo deve leggere la perplessità, perché subito si affretta ad aggiungere «volevo proteggerti, evitare che ti preoccupassi inutilmente anzitempo con i dettagli del parto o del dopo, ma mi rendo conto che, una volta di più, il silenzio è stato solo deleterio». Ammicca verso di me, forse, sottolineando quanto anche da parte mia il suo discorso possa ritenersi valido.
«Aspetteremo il più possibile Bella, ma non andrai a termine con i conti. Non possiamo permettercelo perché se lo facessimo, in quel momento il bambino potrebbe cercare di farsi strada …» esita un attimo «autonomamente».
Mi lascia il tempo di interiorizzare le sue parole, ma è tranquillo mentre le pronuncia, infondendo in me la sua stessa serenità.
Se Edward non teme quel momento, significa che non devo farlo nemmeno io.
Lascio andare il respiro che nemmeno mi ero accorta di aver trattenuto quando lui ha cominciato a parlare, ma non una parola esce dalle mie labbra insieme ad esso.
Gli occhi fissi sul viso di mio marito, illuminato dalle brillanti lucine dell’albero, aspetto che continui.
E lui, dopo un attimo, lo fa.
«Agiremo prima che la circonferenza della tua pancia sia arrivata a quaranta centimetri. Adesso sei a trentadue. Ma non si riesce più a prevedere con discreta precisione la sua crescita dato che pare essersi molto rallentata. No » e alza una mano verso l’alto «non è un male. E non c’è nulla di preoccupante. Carlisle ti ha già spiegato la sua teoria sulla sensazione di sicurezza che avvolge il bambino e che Jasper ha confermato. Lui sta bene, Bella».
Con lo sguardo più ardente che mai, prosegue:«E voglio che anche tu stia bene».
Gli circondo il collo con le braccia e affondo con il capo nell’incavo della sua spalla respirando il suo profumo fresco e inebriante. Sento che mi stringe, dolcemente.
«Quando?» sussurro piano contro il suo maglione.
«Subito dopo Natale, se la crescita si mantiene stabile».
Dopo Natale … mancano solo due settimane.
Annuisco con il capo, grata per la sincerità e per la delicatezza con cui mi sta parlando e conscia della difficoltà che, malgrado tutto, deve costargli un tono così apparentemente sereno.
«Bella … per ciò che riguarda la trasformazione …» esita un momento e cerca di scostarmi con gentilezza dal suo petto per trovare il mio viso.
Non appena i miei occhi incontrano i suoi, leggo la serietà e la tensione che vi albergano:«Ti prometto che non succederà nulla che tu non voglia, e sono certo che se procederemo nei tempi giusti non sarà necessario nessun … intervento estremo».
Intervento estremo.
Sorrido tra me e me, notando l’accostamento di termini innocui che ha scelto per non usarne altri ben più brutali.
Per me. Per non evocare una situazione spiacevole nella mia mente, un’idea di ineluttabilità e di panico in cui la trasformazione sarebbe la mia sola possibilità di sopravvivenza.
Eventualità tutt’altro che impossibile.
Come se una lampadina si fosse accesa, illuminando improvvisamente la mia mente, capisco quanto sia delicata la posizione in cui le mie parole hanno messo Edward.
“Ti prometto che non succederà nulla che tu non voglia …” E’ questo che pensa, che non voglia?
E, finalmente, le trovo. Quelle parole che cercavo disperatamente prima, quando volevo spiegarmi e non sapevo come fare per non urtare la sua sensibilità.
«Edward. Non c’è nulla che io non desideri di più che stare al tuo fianco e al fianco di nostro figlio per l’eternità» comincio a dire, esitante.
Mi osserva attentamente, in silenzio.
Prendo un bel respiro e continuo:«Il fatto che mi preoccupi per lui, per quelli che possono essere i suoi bisogni, nasce dalla considerazione, ahimè, non molto alta che ho di me stessa». Sento che sta per ribattere e, delicatamente, appoggio l’indice sulle sue labbra:«No, aspetta. Fammi finire».
Sospira, ma resta in silenzio.
«Ho sempre saputo di non essere alla vostra altezza. Alla tua altezza» mi correggo, avendo stabilito che, dopotutto, il silenzio è solo deleterio.
«Edward, tu sei perfetto. Sai fare tutto, sei … beh … quanto di più bello abbia mai avuto in tutta la mia vita». Faccio una smorfia alla pochezza dell’unico termine che la mia mente è riuscita a scovare per descriverlo. «E non parlo solo dal punto di vista fisico: sei di una dolcezza struggente, premuroso, accorto, generoso, coraggioso».
Abbasso gli occhi per una frazione di secondo, incapace di reggere l’intensità del suo sguardo. Ma subito dopo, con decisione, li rialzo.
Sorrido.
«Accettare di vedermi al tuo fianco, non è stato facile per me. I confronti … lo sai, non sono mai stati il mio forte. E, mio malgrado, mi trovavo a conviverci tutti i giorni». Non appena noto che scuote il capo, mi affretto ad aggiungere:«Il problema non eri tu, Edward, ma io».
«Dartmouth è stata un’esperienza molto importante perché mi ha restituito ad una stima per me stessa che non sapevo nemmeno di avere. Anche se … se non sono riuscita ad andare fino in fondo, so che ce l’avrei potuta fare. So che ne avevo la stoffa» sospiro brevemente «so che ti avrei reso orgoglioso di me».
Mi fermo, abbasso gli occhi. Non riesco ad andare avanti. La voce ha tremato solo per un attimo, ma so che non gli è sfuggito.
Eppure, il commento che pensavo di sentire, le parole che mi aspettavo avrebbe pronunciato allo scopo di smentirmi, non giungono e dopo un certo tempo, rialzo lo sguardo.
Solo per sentirmi mozzare il respiro incrociando il suo.
E’ immobile. Non un tratto del suo viso si muove, ma i suoi occhi sembrano aver vita propria. Brillano così intensamente da sembrare fuoco, lava incandescente che trabocca lentamente dall’estremità di un vulcano.
E non so nemmeno come, ma riprendo a parlare. Perché so che è giusto, che adesso posso farlo davvero, senza remore.
Adesso che tutto mi è chiaro.
«Avevo bisogno di dimostrare a me stessa di essere capace in qualcosa, senza l’aiuto di nessuno. Avevo bisogno di sentirmi … speciale, e» gli lancio un’occhiata fugace, solo per notare quanto sia perfettamente concentrato su di me «adesso che è accaduto questo … miracolo dentro di me so che, anche se non sono bella come Rose, aggraziata come Alice o … o intelligente come te, lo sono davvero» proseguo dopo aver sfiorato con la mano la mia pancia «speciale, intendo. A … a modo mio».
Ma ancora non ho finito e deglutisco per trovare il coraggio di continuare.
Nessuna fretta da parte sua, nessun commento.
Solo il più assoluto silenzio.
«Edward, io … io ti amo e ora che una nuova vita dipende da me, dalle mie azioni, sento che devo essere sicura che nostro figlio stia bene, al sicuro prima di … allontanarmi da lui e realizzare i miei sogni … con te. Se per impazienza facessi un casino, non mi basterebbe l’eternità per perdonarmi» concludo.
Mi stupisco di me stessa, di come sia riuscita ad organizzare le idee e ad esprimere i miei sentimenti in modo semplice e, spero, comprensibile.
Ma Edward continua a fissarmi senza parlare.
«Ho finito» sussurro e gli sorrido di nuovo, più mestamente, quasi a volermi scusare.
«Mmm … » mormora sommessamente lui.
Istintivamente afferro l’angolo delle mie labbra tra i denti ed inizio a torturarmelo senza nemmeno accorgermene, mentre i miei occhi restano su mio marito.
E, dopo un minuto interminabile, lui comincia a scuotere il capo lentamente:«Non va bene … » arriccia il naso «non va affatto bene».
«Ho … ho detto qualcosa che … che non va?» balbetto improvvisamente incerta, cercando di ripassare in un fulmine tutto il mio discorso per trovare la falla colossale.
«Shh» mi posa un dito gelido sulle labbra come a volerle sigillare «se permetti, adesso tocca a me» e sorride. Di quel sorriso mozzafiato, un po’ beffardo, appena accennato e assolutamente letale.
Letale per la mia lucidità mentale.
«Non va affatto bene» riprende «che tra i due, io rischi di essere il peggior genitore per il nostro piccolo. Almeno quanto sia stato un marito distratto per te. Finora».
Batto un paio di volte le palpebre, provando a schiarire la mente. E nel frattempo lui prosegue a parlare con noncuranza:«Dovrai avere molta pazienza con me, Bella. Decisamente. Ho tante cose da imparare da te e spero che l’eternità sia sufficiente. Tu …» continua imperterrito dinnanzi al mio sguardo perplesso:«sei quanto di più meraviglioso sia mai entrato nella mia vita e sarai la migliore madre che questo bambino possa mai avere» e con dolcezza poggia il palmo aperto sul mio ventre «Che tu sia umana o vampira».
«Ed io sono la persona più fortunata della Terra, perché nonostante tutta la mia “perfezione”» fa una smorfia buffa con le labbra «ho sbagliato con te talmente tante volte, che meriterei la decapitazione istantanea».
Silenzio.
«Respira, amore» sussurra con un sorriso alla mia espressione basita e solo in questo momento mi accorgo di aver trattenuto nuovamente il fiato.
Annuisco con il solo movimento del capo, mentre la sua mano si avvicina al mio viso e, pensieroso, porta una ciocca dei miei capelli dietro l’orecchio, scostandomela dal volto.
«Tu sei unica, amore mio» sospira «ed io sono … beh … fortunato è dir poco».
Sorrido, poggiando il capo sulla sua spalla. Gentilmente, depone un bacio sui miei capelli e la sua carezza scivola verso il basso, sul mio braccio, fino ad avvolgermi il ventre.
«Ti giuro, Bella, che non hai nulla di cui preoccuparti. E del futuro ancora meno. Quando sarai pronta, e solo allora, realizzeremo il tuo, ma ti assicuro ancor più mio, desiderio».
E’ il mio cuore quello che batte così furiosamente?
E’ possibile che, in pochi giorni, la felicità che abbiamo tanto inseguito e che abbiamo temuto di vederci scivolare tra le dita, diventi una possibilità concreta nel nostro futuro? Mi chiedo, ancora frastornata.
Scosto un po’ il capo di lato e lascio che i miei occhi scorrano sul maglione di Edward che si tende sul suo petto forte e ampio. Il mio sguardo percorre il suo braccio che, protettivo, si chiude intorno a me.
A noi.
Annuisco con il capo e sussurro:«Ok. Quando sarò pronta», stupita io stessa  di scoprire, una volta di più, quanto la nostra vita insieme si prospetta ancora ricca di sorprese.



NOTA DELL’AUTRICE: Chiedere perdono per il ritardo mi sembra quasi superfluo, ma lo faccio ugualmente.

Perdono *.*
Ancora le mie scuse per non aver risposto alle vostre recensioni stupende, ma rischiavo di postare tra altri 10 giorni e davvero credo che sarei rimasta io sola a leggere gli ultimi capitoli.
Questo capitolo forse vi sembrerà strano: trust me…non è superfluo, ma FONDAMENTALE. Capirete a breve.
Per la prima canzone, i ringraziamenti vanno a @alessiaesse e @vampadagosto.
Altro piccolissimo inciso: gli angioletti di Rose esistono davvero. Ovviamente ho arricchito la descrizione dipingendoli migliori di quello che sono, perché in realtà li ho fatti io con le mie manine l’anno scorso mentre ero in attesa di mio figlio. Se siete deboli di stomaco, non sbirciate ù.ù Rose's angels
Mmmm penso sia tutto.
Per il prossimo capitolo…preparatevi per una sorpresa.
Non dico altro.
Anzi, sì.
Grazie a tutti.
M.Luisa
   
 
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