Quanti
anni erano passati dall’ultima volta in cui aveva visto la
neve?
Non
seppe rispondere alla domanda del suo subconscio.
Forse
nemmeno troppi…
Aveva
vissuto
su quel sottomarino e sull’isola tropicale per circa dieci
anni, era vero, però
aveva anche viaggiato molto nella sua vita e visitato città
come Tokyo, in cui
la neve cade in inverno.
In
quel posto, però, la vedeva tutti i giorni.
La
ammirava, la osservava con un’attenzione che i dottori
ritenevano ovviamente morbosa
quanto bislacca.
Passava
il tempo nel tentativo di contare i fiocchi che la passavano davanti
dalla
finestra della sua stanza, o così sembrava agli altri.
Segnava
qualche calcolo su dei fogli svolazzanti e poi univa il tutto con
calcoli che
nemmeno alcuni scienziati, interrogati a proposito, avevano saputo
spiegare.
“Mi
è
sempre piaciuta la neve!” diceva a intervalli regolari. Gli
occhi vacui,
inespressivi, del tutto insensibili.
Quando
il Dottor Tokiya l’aveva vista arrivare e scendere
dall’ambulanza si era
sinceramente chiesto cosa mai fosse successo a quella ragazza.
Non
aveva lividi visibili, ferite gravi o profonde, né cicatrici
particolari. Era
in perfetta salute.
Eppure
c’era qualcosa nel suo tono di voce piatto, pacato, nei suoi
occhi chiari così
vuoti, nei suoi capelli in disordine e persino nel modo in cui
indossava il
vecchio camice bianco dell’ospedale, che la rendeva il volto della disperazione. Era senza
dubbio sicuro che le fosse
accaduto qualcosa di così terribile da ridurla in quello
stato di torpore
permanente.
“Mi
dici il tuo nome..?” una domanda semplice, usuale, che il
pover uomo le rivolgeva
spesso, ogni giorno.
Sapeva
benissimo il nome di quella ragazza o, per lo meno, quello con cui lei
si era
presentata la prima volta. Poi non aveva più aperto bocca se
non per dire frasi
poco sensate come: “Mi è sempre piaciuta la
neve” o “Qui nevica quasi tutto
l’anno”. Mormorava parole sconnesse di tanto in
tanto, che per lui non avevano
alcun significato particolare. Nominava termini militari con precisione
e le
era persino uscito il nome Toy box*
in una conversazione…ma nel momento in cui le fu chiesto
qualcosa in più
tacque, completamente indifferente alle sollecitazioni continue.
Per un
qualche motivo particolare si era sinceramente affezionato a quella
ragazzina
di poco più di 17 anni. Le piaceva stare a fissarla cercando
di farle domande
semplici a cui avrebbe potuto rispondere.
Lei
semplicemente si limitava a fissare il panorama fuori dalla finestra
della
stanza, con apatia.
Non
che le importasse particolarmente se il cielo fosse chiaro o nuvoloso,
se il
Sole filtrasse tra la coltre scura delle nuvole o se invece piovesse.
Non
aveva altro da fare e non c’era altro al di là
dello stare lì, seduta su una
semplice sedia a rotelle, a torturarsi interiormente.
“Teletha..
non vorresti una televisione? Posso procurartene una, se ti
va.” Le disse
dolcemente, avvicinandosi a lei, quel giorno.
“Le
onde elettromagnetiche procurerebbero danni alla mia mente e poi non ci
sarebbe
nulla di interessante da guardare!” gli rispose secca.
Lui si
accigliò un attimo, poi lo stupore di averla sentita parlare
prese il
sopravvento e sorrise.
“Come
vuoi… c’è una visita per te
oggi… un bellissimo ragazzo!” disse con un tono
malizioso.
Lei
non si mosse né dette segno di interessamento.
Emise
un piccolo sbuffo, il dottore.
“Posso
farlo entrare?” le chiese infine.
“Si”
Quando
uscì lasciò il suo posto a un ragazzo abbastanza
alto, lunghi capelli chiari
quasi come la neve stessa e occhi glaciali.
Le somiglia, pensò
inconsciamente il dottor Tokiya
incrociandolo sulla porta.
“Come
sta?” chiese quello con un tono di voce quasi ironico e fin
troppo interessato.
Quel sorrisetto innocente che aveva stampato in viso però
rendeva le sue parole
spaventosamente irritanti.
“Non
fa progressi né regressi! Si limita a rispondere quando ne
ha voglia.. altre
volte non ascolta nemmeno!”
“Tipico
di lei...”
“Comunque…
credo che si tenga dentro qualcosa di terribile, sarebbe solo un bene
se ne
parlasse!” concluse l’uomo con uno sguardo
più che ovvio.
“Vedrò
cosa posso fare!” e l’altro sfoderò di
nuovo un’espressione così dolce e
comprensiva quanto falsa e fuori luogo.
Non
aggiunse altro… semplicemente si chiuse la porta alla
spalle, lasciando Tokiya
fuori, nel silenzio del grigio corridoio dalle pareti giallastre, che
sembrava
assorbirlo in un buio irreale.
“Ti
trovo bene, Teletha!” commentò
il
giovane, avvicinandosi alla ragazza. Le si fermò accanto, le
mani in tasca,
sotto il lungo mantello nero che lo copriva sempre. I capelli lunghi
gli
ricadevano sulla stoffa scura con delicatezza. I suoi occhi si
soffermarono un
poco sulla figura della giovane per poi concentrarsi sul paesaggio.
“Godi
di un ottima visuale… davvero una bella
posizione!” esclamò quasi divertito.
“Mi
è
sempre piaciuta la neve!” mormorò come fosse un
solito ritornello lei.
“Lo
so… lo ripetevi spesso anche a papà, vero
sorellina?” ma la domanda era più
retorica che altro.
“Qui
nevica quasi tutto l’anno!”
Lui
assottigliò
lo sguardo, poi si voltò definitivamente verso di lei,
inginocchiandosi per
essere alla sua altezza.
“Ti
trovo in uno stato preoccupante! Mi chiedo se non sia proprio questo
posto così
deprimente… forse avresti dovuto startene buona e non
perdere del tutto il
senno a quel modo.. ti saresti risparmiata un mucchio di
problemi!” parlava
sottovoce ora, seriamente e sinceramente interessato alla cosa.
“Raccontami
cosa ti è accaduto!” ordinò glaciale,
senza batter ciglio.
Teletha
gli rivolse un’occhiata vuota, nemmeno forse lo riconosceva.
Tuttavia, dopo
molto tempo dall’ultima volta, iniziò a parlare
con disinvoltura.
“La
vita da civile era… normale! Un vecchio professore
arrivò in classe con i
nostri risultati d’esame. Mi fece i complimenti per i
punteggi ottenuti. Erano
i più alti.” Iniziò inespressiva, come
se stesse elencando una serie di
informazioni militari del tutto insignificanti.
“Poi
ha interrotto la lezione per informarci del suo ritrovamento.”
“Ti
riferisci al tuo giocattolino**?”
“L’avevo
fatto affondare nelle vicinanze delle isole Paelio***. Quello stato non
aveva
la tecnologia per rintracciarlo. Iniziò
a dire che era frutto di una mente malata. Il
comandante doveva essere un pazzo psicopatico dotato di intelligenza
mostruosa
e del tutto inumana. ”
riportò,
sbattendo solo qualche volta le palpebre.
“La
gente sa essere cattiva...” fu il commento sincero.
“Ho
ribattuto che tuttavia era stato ritenuto geniale e grandioso nel
momento in
cui aveva salvato la vita a gente come lui! Ne è nata una
discussione inutile,
del tutto insensata. Quell’uomo era troppo ignorante per
capire ciò che
dicevo!”
“Era
noioso vero, parlare con gente che non capiva?”
“Ha
riaperto i miei esami. Ha cambiato espressione, sembrava
spaventato… da me!”
“Come
ognuno di loro lo è di quello che non conosce!”
disse di nuovo lui.
“Mi
ha
chiesto una cosa stupida… il sistema differenziale del
meccanismo CO1 per il
controllo del dispositivo di raffreddamento del condensatore di un Arm
Slave!”
Il
ragazzo parve sinceramente sorpreso e allo stesso tempo divertito, di
nuovo.
Iniziava
a diventare interessante quella storia.
“Immagino
tu gli abbia risposto senza problemi” commentò
laconico.
“A
quel punto tutti mi hanno guardato in quel modo…qualcosa li
spaventava!”
“La
nostra natura, sorellina!” concluse.
Lei
rimase zitta, senza aggiungere altro, e sembrò tornare
nell’assopimento mentale
in cui stava sempre.
“E’
solo questo che ti ha reso tanto noiosa?” le chiese tanto per
fare
conversazione lui.
“Mostruoso.
Geniale. Spaventoso. Innovativo. Mente malata. Anormale.
Sbagliato...” iniziò a
dire in modo confuso lei. I suoi occhi parvero risvegliarsi, le mani
iniziarono
a tremarle così come il suo labbro inferiore. La sua voce si
alzava ed
abbassava di botto. Si prese la testa fra la mani, balbettando frasi
sconnesse
e stringendo le dita affusolate tra i capelli.
Poi,
come tutto era iniziato, tutto terminò. E da quelle labbra
sottili e delicate
non uscì più nemmeno un semplice suono.
Leonard
Testarossa, rimasto in disparte ad osservare la scena, non aveva
espressione.
Guardò
sua sorella nello stesso modo protettivo con cui l’aveva
guardata da piccolo.
Sfiorò appena i suoi capelli con la mano, e le
lasciò cadere sulle gambe una
vecchia foto.
“Ho
ricomprato il terreno in cui fu distrutta la nostra casa… la
sto facendo
ricostruire!” le disse semplicemente.
Lei
spostò lo sguardo sull’immagine.
Per un
attimo gli sembrò di vederla persino sorridere, ma si
sbagliava.
“Quando
sarà finita… potrai tornare a viverci!”
concluse. Poi si voltò, lanciando prima
un’ultima occhiata al corpo fragile della sua gemella, seduta
su quella sedia
nera. Non seppe mai della lacrima che le rigò il viso pochi
secondi dopo che se
ne fu andato.
“Le
ha
detto qualcosa?” il Dottor Tokiya gli venne subito incontro
curioso.
“Nulla!”
rispose pacato.
“Le
ha
parlato?” continuò l’altro.
“Frasi
insensate!”.
“Le
ha
chiesto però cosa fosse successo?”
“Non
mi ha risposto! Sappia comunque che fra qualche mese non
dovrà più occuparsi di
lei, mi prenderò io cura di mia sorella!” disse
schietto, continuando a
camminare lungo quel corridoio fin troppo luminoso per lui.
“…
Prova a tradurre ti ho detto! È necessario che tu sappia la
traduzione di
quella frase!” una voce profonda e burbera rimproverava un
semplice studente
che cercava inutilmente di tradurre una frase in cinese antico.
“Professore?
Un uomo chiede di poter parlare con lei di una cosa urgente!”
una giovane donna
entrò bussando nell’aula. Il professore
sbuffò rumorosamente, per poi posare il
libro e seguirla fuori senza una parola. Fu accompagnato in
un’aula vuota
dall’altra parte dell’edificio.
“Il
signor Akuma immagino!” una voce distaccata lo sorprese,
spaventandolo.
Un
ragazzo giovane uscì dall’ombra. Indossava un
lungo mantello nero che lasciava
intravedere il fisico slanciato. Aveva capelli molto chiari, occhi
inespressivi
e un sorriso innocente.
“Esatto
giovanotto!” esclamò quello scontroso.
“Mi
chiamo Leonard Testarossa… le dice niente?”
Quello
parve pensarci un poco su, poi rivolse al ragazzo un’occhiata
dubbiosa e infine
scoppiò a ridere.
“Il
fratello di quella pazza certo… vi somigliate
molto!” disse divertito.
Leonard
inspirò a fondo, irritato. Poi, un attimo dopo, aveva di
nuovo ripreso il
controllo di sé.
“Mia
sorella è ricoverata in un comune centro di recupero per
malati mentali!”
iniziò “Forse dovrei ringraziarla... non so come,
ma ha completamente annullato
la sua volontà, lasciando tuttavia inalterate le sue
conoscenze! Questo mi
renderà più semplice farla cooperare con me, cosa
che tempo fa non avrebbe mai
fatto!”.
L’altro
sorrise forzatamente cercando di sembrare partecipe a quel discorso.
“Non
sono sciocco… credo che lei abbia fatto molto di
più che insultare Teletha, per
renderla com’è ora…”
“Anche
tu sei uno di quegli anormali?” sussurrò
l’uomo interrompendolo e fissandolo
con disprezzo.
“Posso
aiutarti... sarà completamente indolore ragazzo!”
il professore tornò a ridere,
questa volta in modo quasi sadico.
“Aiutarmi?”
lo sguardo che Leonard gli rivolse era di stupore misto a scherno.
“Credo
che lei non potrà più aiutare
nessuno, signore!” sussurrò. Con lentezza
alzò il braccio destro da sotto il
mantello ed al suo fianco apparve un individuo completamente nascosto
sotto un pesante
cappotto.
“Non
lo prenda come un fatto personale, non ce l’ho direttamene
con lei… solo non mi
piace che abbia agito contro un membro della mia famiglia!”
Il ragazzo sorrise
bonariamente, seppur per un attimo, inconsciamente, l’idea di
pronunciare il
termine “famiglia” l’avesse schifato.
Una
voce meccanica e monocorde disse: “Eseguo?”e
Leonard fece un leggero sorriso
prima di confermare.
Akuma
non riuscì nemmeno a chiamare aiuto o semplicemente a
rendersi conto di quello
che succedeva. Fu afferrato per la gola, in modo brutale. Gli occhi gli
si
inumidirono quasi subito uscendogli dalle orbite. Aprì la
bocca cercando di
boccheggiare senza risultato. Mosse le braccia e le gambe cercando di
colpire
quell’essere. Nella foga però riuscì
solo a fargli scivolare il cappuccio e
scoprire così che non si trattava affatto di un uomo.
“E’
molto fortunato che io non abbia tempo da perdere.. la sua morte
sarà veloce, signore!”
sentì in lontananza l’eco della
voce di quel ragazzo dai lineamenti tanto innocenti e poi.. il silenzio.
L’Alastor
lasciò ricadere al suolo il corpo esanime e poi si
ritirò in stand-by dietro
alla schiena del suo padrone.
Il
ragazzo rimase alcuni secondi a fissare l’uomo a terra, con
irritazione.
“Che
visione orribile” mormorò “Programma E4,
distruggi completamente il corpo!”
ordinò di nuovo al suo AS in miniatura. Quello subito
obbedì e in pochi secondi
l’unica cosa che restava del professor Akuma era il suo
sangue sulle pareti.
* Toy box
è il nome con cui
viene chiamato il TDD fuori dalla mithril, da chi non lo conosce e lo
considera
il sottomarino fantasma.
**Chiaro
riferimento al TDD,
definito spesso il Giocattolino di Tessa.
*** Le
isole Paelio sono quelle
in cui si svolse l’ultima battaglia contro il Venom di Gauron
prima che
quest’ultimo salisse sul TDD e riuscisse a prenderne il
controllo. Si tratta
dei fatti avvenuti all fine della prima serie.
Note:
Dunque,
prima di tutto volevo ringraziare chi ha commentato l’altra
mia storia, ossia: Ammy
ed Elos, per i loro commenti gentilissimi e perché sono
felice che la mia
piccola storia sia piaciuta, sperando che leggendola possiate trovare
bella
anche questa!!!
Un
altro grazie alla giudicessa del contest: Contest
Miss
Scrittrice 2009/2010 SECONDA FASE, per
il quinto posso assegnatomi.
Riporto qui il giudizio:
Quinta Posizione:
Lessico e Stile: 9
Stile fluido e piacevole. La storia è andata liscia come
l’olio. Ho adorato la
leggerezza con cui hai descritto le varie scene. Soprattutto la prima
parte è
stata molto delicata, come una sorta di aura leggera che circonda la
scena e la
rende lenta, ma affascinante.
Ortografia: 9
Qualche imprecisione di battitura o di virgole che comunque non intacca
la
bellezza della storia.
Originalità: 8,5
Storia carina, con una vena di originalità che probabilmente
è data dalla
conoscenza del fandom non del tutto approfondita, ma è
riuscita comunque a
incantarmi.
Personaggi: 8,5
Ho trovato i personaggi IC. Teletha mi è piaciuta
particolarmente, hai riportato
il suo candore al meglio, la delicatezza che ho sempre visto in lei in
questa
storia è emersa e mi ha sinceramente affascinata. Hai
gestito i personaggi con
maestria ed in poco spazio sei riuscita a farmeli rivivere.
Rispetto parametri: 7
Non ho percepito particolarmente la presenza della violenza psicologica
di cui
parlavi nell’introduzione. Forse l’aspetto non
è stato particolarmente marcato.
Non che non ci sia, ma si poteva sottolineare e far giungere al lettore
con
maggiore impatto. Così la storia sarebbe stata assolutamente
perfetta, ma,
aimè, sono costretta a toglierti un paio di punticini, ma
non preoccuparti,
nulla di grave. Resta comunque una piacevolissima lettura.
Totale:
42/50
Punti: 21 + 1