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Autore: Angie_Swan93    28/03/2010    2 recensioni
Le difficoltà di una vita fuori dal comune,la precarietà dell'animo di un licantropo...potrebbero arrivare a far eclissare il sole di un giovane e allegro ragazzo alle prese con un qualcosa più grande di lui?
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Isabella Swan, Jacob Black, Leah Clearweater
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ti ho visto,Jacob Black.

Camminavi a testa bassa,osservando la tua t-shirt ormai lacerata,e respiravi lentamente. Era da tanto che non lo facevi,vero? Ti sembrava fosse passata un’eternità dall’ultima volta che ti eri fermato a guardare ciò che accadeva lì fuori. Lì,dove tutto era uguale a prima. O quasi.

Il rumore del vento tra gli alberi,ne eri certo,era rimasto lo stesso. Era un ricordo ormai sbiadito dentro di te,ma c’era. Lo ascoltavi in quei pomeriggi primaverili,con Quil,quando insieme costruivate portentose piste per gareggiare con le vostre automobiline ormai già semidistrutte.

E mentre ti stringevi nel tuo giaccone per combattere l’aria gelida,Billy ti osservava dalla finestra della cucina. Ti contemplava,quasi fossi un’opera d’arte. Eri ciò che lui aveva sempre desiderato essere.

Il suo unico figlio maschio,così bello e intelligente,così straordinariamente buono … era molto fiero di te. In quel preciso momento,i tuoi occhi si volsero verso la tua piccola casa di legno,allo stesso modo in cui avevano spesso fatto anni addietro. Ma dietro la finestra,nessuno avrebbe risposto al tuo cenno di saluto. Billy non c’era. Sapevi che sarebbe apparso ridicolo cercare ancora appoggio e protezione da lui,dopotutto,grande e grosso com’eri.

Ma era quello di cui avevi bisogno,Jake.Lo so.

Era per questo che ti eri fermato. Per questo stavi osservando il mondo come per la prima volta. Strano a dirsi,ma quella era la tua vita,e tu non la stavi vivendo.

Correvi per sfuggire ad un qualcosa che avrebbe sempre fatto parte di te … ma adesso era diventato tutto intollerabile. Ti serviva tempo per riflettere,e anche se non avresti mai potuto essere completamente solo con i tuoi pensieri,cercavi di concentrarti sui tuoi.

Era tanto,troppo difficile guardarti e sapere di non poter far nulla per aiutarti. Avrei voluto fissare i tuoi occhi,e farti capire che per te ci sarei stata,sempre; o anche solo abbracciarti,nel silenzio di un attimo in cui avresti davvero potuto accettare te stesso.

Tu,però,guardavi l’orizzonte,respiravi a pieni polmoni l’aria salmastra e,inaspettatamente,sorridevi.

 

Attrezzi da lavoro. Vecchi copertoni sgonfi. La tua vecchia Golf. Odore di benzina bruciata.

Era tutto ciò che riuscivi a vedere nel tuo garage,un tempo.

Fino a quando lei non cominciò ad esser parte di te. E non smise mai di esserlo.

 

“Jake… questo aggeggio è un pochino pes…”

“Pesante? Si vede che non hai un futuro da meccanico”

Bella Swan era pallida e gracile. Il più delle volte aveva lo sguardo assente,distante da tutto e tutti, e gli occhi sempre velati da una sottile,ma alquanto percepibile,tristezza. Questo era quello che tutti dicevano.

Con te,invece,un po’ era diversa. Riusciva a sorridere e,con un po’ di sforzo,delle volte le scappava persino una risata. Era questo,forse,che ti aveva fatto innamorare di lei:ti faceva sentire importante,indispensabile. Non eri certo del perché lei avesse tanto bisogno di te,eppure… Eppure era così. Lo avevi capito dopo tutti quei pomeriggi passati nel tuo garage a maneggiare vecchio ferrame, a parlare di scuola,di film,dei tuoi buffi amici. Lei,di solito,preferiva far parlare te, e non amava le domande. Sembrava che fosse troppo stanca per farne.

Vedevi il sollievo nei suoi occhi,appena,passando oltre la serranda del garage,entravi nel suo campo visivo. Sentivi di essere,in qualche modo,il centro del suo mondo,e speravi,forse egoisticamente,che la sua dipendenza da te non sparisse. Che lei non sparisse. E che non lasciasse,andando via,un vuoto che nessuno,oltre a quella ragazza goffa e così fragile,avrebbe mai potuto colmare.

 

Era come se si fosse spezzato qualcosa,da allora. Come se nella tua vita fosse passato un uragano che era riuscito a portare con sé tutto,tutto ciò che c’era di normale e puro. Ricordavi quei pomeriggi,piovosi e felici,come sbiadite memorie di un’adolescenza svanita troppo in fretta.

Perché tutto ciò che eri stato fino a quel momento,ormai,apparteneva al passato.

 

Ti ho visto,Jacob Black,chiederti che razza di mostro fossi diventato,e quindi smettere di sorridere.

 

Un giorno passasti nuovamente accanto alla rimessa. Lo facevi sempre,da più di quindici anni. E allora perché,quel giorno, scansasti lo sguardo da quella catapecchia che per te aveva significato così tanto? Perché non riuscisti a reprimere un verso di disgusto ripensando con orrore a quel luogo in cui,comunque,avevi passato dei bei momenti?

Non ci credevi,non potevi crederci. Volevi vedere la verità con i tuoi occhi,perché allontanarla ti avrebbe fatto soffrire ancora di più. Perciò,cercando di contenere la voglia di scappar via, sollevasti senza il minimo sforzo la serranda del tuo garage. Chiudesti per un attimo gli occhi,cercando di prepararti alla visione che avresti avuto.

E poi, il desiderio di sparire.

Quella cosa ridotta in pezzi, apparentemente senza vita,che giaceva abbandonata lì a terra,era la tua chitarra.

Bella te l’aveva regalata per il tuo ultimo compleanno, forse per giustificare le innumerevoli volte in cui ti aveva attribuito uno stile da rockstar consumata. O forse,più semplicemente,nella speranza di farti andare oltre quel poco che avevi imparato a strimpellare da autodidatta.

Il profumo del suo legno invadeva ancora la stanza buia. La sua superficie lucida non aveva subito intacchi, nonostante il forte urto.

Ma la furia,il tormento,la rabbia,il dolore di un Jacob che non conoscevi riecheggiavano ancora su quelle pareti spoglie.

Due calde lacrime, sole nella tua solitudine,ti rigarono le guance.

 

“Black”.

“Clearwater”.

Sollevasti lo sguardo quanto bastava per accorgerti della presenza di Leah Clearwater,che per attirare la tua attenzione picchiettava leggermente il palmo della mano sulla serranda del garage. I suoi occhi neri come la pece perlustrarono per qualche secondo la stanza indugiando,con sguardo fermo,sul caos che regnava sovrano nella rimessa.

“Non ti chiederò cos’è successo,temo di non volerlo sapere” disse lei,procedendo con noncuranza tra i frantumi di legno.

“Perfetto,perché tanto non te l’avrei detto comunque” Le parlavi distogliendo lo sguardo dal suo volto. Avevi paura che quegli occhi impenetrabili potessero captare il tuo dolore e deriderlo senza pietà.

Invece,Jacob Black,avresti dovuto guardarla anche solo per un secondo.

Per un attimo,forse solo per un piccolo,velocissimo istante, la sua corazza da dura si sbriciolò inconcepibilmente,mettendo a nudo l’unica anima che in quel momento era spaventosamente in sincrono con la tua.

L’unica che sapeva,che comprendeva,che ti era così vicina. La sola a conoscere il prezzo di una realtà vissuta oltre i limiti e l’ordinario.

Tu,però,non ti eri accorto di tutto questo,e non facesti in tempo a vederla,quella Leah irrealmente sensibile e bisognosa d’affetto. Quando finalmente ti voltasti per guardarla,infatti,ti accorgesti che lei si stava torturando una ciocca di capelli con l’indice, e che ti guardava con la sua solita aria insofferente e annoiata.

“Suvvia,Black,per quanto tempo hai ancora intenzione di rimanere qui impalato a fissare il vuoto? Non sei di grande compagnia,sai?”

“L’avevo immaginato”.

Sospirò.“Okay,a questo punto … lo prenderò come un invito ad andar via. Ci vediamo,Jacob”.

Volontariamente cercavi di allontanarti dai suoi pensieri,ma nonostante questo il rumore scricchiolante dei suoi passi che attraversavano il vialetto pieno di foglie ti distraeva e ti invogliava a farla ritornare.

“Leah!Leah … aspetta. Mi dispiace,davvero. Rientra dentro”,dicesti mentre la guardavi camminare sotto il cielo nuvoloso di La Push.

Lei ti guardò incuriosita e sarcasticamente rispose: “Caspita … devi proprio stare da schifo per preferire la mia compagnia alla tua benamata solitudine. Non vorrai farmi preoccupare”

Aveva ragione lei,pensavi mentre la vedevi imprecare contro la macchia di fango che le aveva sporcato la camicetta bianca. La prassi avrebbe voluto che,in quel preciso momento,voi due  avreste già dovuto sfoggiare il vostro ben nutrito repertorio di insulti che vi riservavate a vicenda ogniqualvolta vi incontravate.

“Adesso ascoltami,Jacob Black. Io ho sporcato la mia camicetta preferita perché ho dovuto fare slalom in mezzo ai tuoi quattro copertoni puzzolenti solo per evitare il disordine nel quale tu,da perfetto troglodita,sembri sentirti pienamente a tuo agio. Adesso,se non ti dispiace,gradirei tornare dentro quella baracca e darle un aspetto vivibile,sempre se non è chiederti troppo”

Ma quella volta non successe.

Quella volta ridesti di gusto alla sfuriata di Leah,e la seguisti a passo lento nel garage ascoltando le invettive che rivolgeva al genere maschile e alla natura rozza e oltremodo incivile che lo contraddistingueva.

Mentre ascoltavi le direttive che il tuo capo fin troppo autoritario ti forniva durante il tuo goffo tentativo di mettere in ordine la stanza, il tempo,inaspettatamente,riprese a trascorrere più veloce.

Stavi letteralmente allontanando dalla tua vita un pezzo del tuo passato.

Un piccolo pezzo di te,talmente importante e doloroso da lasciare sconvolti,stava scomparendo a poco a poco davanti ai tuoi occhi.

Ogni frantume che Leah gettava con convinzione nei grandi sacchi di nylon era un pezzo del tuo animo lacerato che si stava maldestramente ricomponendo. Ogni parola,ogni semplice gesto,ogni raro sorriso che quella bella ragazza bruna ti rivolgeva, sembrava volesse lanciarti un chiaro e semplice messaggio.

Ama. Corri. Leggi. Ascolta una bella canzone. Sogna. Grida per il semplice gusto di farlo. Ridi. Svegliati presto per guardare l’alba.

Vivi,Jacob. Porta avanti questa difficile missione.

Hai il dovere di farlo.

“Ah,quasi dimenticavo. La camicia me la lavi tu,ovvio”. Sorridesti,le scoccasti un bacio sulla guancia,e,con estremo imbarazzo da parte di entrambi,continuaste in silenzio a rimuovere il disordine,e ciò che esso celava,dalla piccola stanza.

 

Ti vedo ancora,Jacob Black.

Sei seduto su un masso,e guardi l’oceano che si perde a vista d’occhio dinanzi a te. Osservi il volo delle rondini,che,placide,sono alla ricerca di una nuova meta. Ascolti gli schiamazzi dei bambini,intenti a godersi a pieno una delle rare giornate di sole che animano La Push.

Come quella canzone … com’è che diceva? “One day…the sun will come out…”

Alzi gli occhi al cielo. Nemmeno una nuvola lo copre. E’ proprio ciò che sta accadendo ora.

E non è un miracolo,no.

E’ la vita,Jacob. Ora lo sai.

Mentre ti guardo da lontano,sento un odore. Un profumo di buono e di vissuto,che,me ne rendo conto solo adesso, non mi abbandona da qualche ora.

Proviene dalla mia camicetta bianca. E’ il tuo.

Affondo il naso nel candido cotone profumato,ripensando al pomeriggio in quello squallido garage. A me che ti urlavo contro senza pietà, a te che cercavi in tutti i modi di non rispondermi allo stesso modo. Ai tuoi occhi,che per un momento si sono specchiati nei miei trovando la sicurezza e il conforto che ti mancavano.

Ripenso a tutto questo,e sorrido.

Da lontano,tu sorridi di nuovo,proprio mentre lo faccio anche io,pur non essendoti accorto della mia presenza.

E in questo preciso istante,mentre sollevo gli occhi per riflettermi nel tuo stesso pezzo di cielo, il mondo mi sembra essere un posto migliore.

 

 

   
 
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