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Autore: Red Raven    30/03/2010    8 recensioni
Livia Drusilla Claudia non è la classica matrona romana: ribelle, anticonformista, persino volgare, non permette a nessuno di metterle i piedi in testa e dice sempre quello che pensa. E' convinta che nessun uomo al mondo sia in grado di capirla.
Non ha fatto i conti con Gaio Cesare Ottaviano.
Su una cosa Livia aveva ragione: Bruto la pagò, e cara. Quello che non aveva previsto, era che avrebbe rischiato di pagarla insieme a lui.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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Per Viola. Buon compleanno!

Learn how to fly



Grew up in a small town
And when the rain would fall down
I'd just stare out my window
Dreaming of what could be
And if I'd end up happy
I would pray (I would pray)



Non era mai stata quella che si definiva una “bambina tranquilla”. Tutt’altro.
Aveva sempre avuto una grande predilezione per le armi e per i guai, non necessariamente in quest’ordine. E diceva sempre quello che le passava per la testa.
Molti si scandalizzavano a sentire le trovate che le uscivano da quella boccuccia di rosa: ma suo padre rideva e le dava un bacio sulla fronte, quindi andava bene.
E poi c’erano i suoi amici: non sapeva quali fossero i loro cognomi o a quale gens appartenessero, ma non le importava, finché avessero giocato insieme. Lei li conosceva solo come Gaio e Marco.
Ed erano tre disperati.
“ Prendi questo, dannato Cartaginese!”
“ Non mi batterai, Scipione! Io sono il grande Annibale e ho con me un esercito di elefanti!”
“ Ma io sono l’Africano, il più grande dei generali romani, e ti sconfiggerò! Tiè!”
Crack!
“ Ahia, Livia, mi hai fatto male!”
La bambina rise, mentre si chinava sull’amico per esaminare il danno.
“Dai, che non ti sei fatto niente!” disse, mentre lo aiutava a rialzarsi.
“ Ma fa male lo stesso!” disse il ragazzino massaggiandosi il capo “Non lo faccio più Annibale, finisce sempre che le prendo”
“ Le prenderesti anche se facessi Scipione, Marco” disse una voce poco lontano.
“ Grazie della fiducia, Gaio” disse Marco.
“ Figurati, amico” rispose l’altro, per poi tornare a dedicarsi al suo libro.
Livia fece una smorfia contrariata.” Perché non vieni a giocare anche tu, invece di restartene lì seduto con quel coso in mano?” disse.
“ Perché in un combattimento corpo a corpo una terza presenza darebbe un vantaggio scorretto a uno dei due contendenti, e non vedo l’utilità di essere coinvolto in una mischia” rispose Gaio con calma. Livia mise il broncio e non gli rivolse più la parola per l’intero pomeriggio.
Passavano così le loro giornate, tra giochi, zuffe e mille avventure. Livia sfuggiva regolarmente al suo maestro, con grande scorno del suddetto, che più di una volta le rimproverava il suo comportamento indecoroso.
“ Ma io mi annoio!” rispondeva la piccola. Ed era vero: aveva imparato subito le nozioni fondamentali, leggere, scrivere e far di conto, ma di tutto ciò che riguardasse l’educazione di una signorina per bene (lettere, musica, danza) non ne voleva proprio sapere. Dietro insistenza della madre, che non desiderava affatto di vedere crescere sua figlia come una selvaggia, il maestro cominciò a insegnarle la storia: erano le uniche lezioni che le piacessero. Livia cominciò così ad appassionarsi ai grandi Romani del passato, Romolo, Decio Mure, Muzio Scevola: ma il suo eroe era Scipione l’Africano, il grande generale che aveva sconfitto Annibale e riportato la pace a Roma. Desiderava con tutto il cuore essere come lui.
“ Perché non posso imparare a usare il gladio?” aveva chiesto una volta.
“ Perché siete una donna, Livia” si era sentita rispondere.
La cosa non le piacque: che male c’era a essere una donna? Perché non poteva fare il guerriero, se era quello che desiderava? Non aveva la minima intenzione di finire come sua sorella, sposata a un vecchio bavoso e costretta a badare a una torma di figli urlanti.
Quindi si sfogava con i suoi migliori amici, nonostante la loro iniziale perplessità a un tale progetto.
“ E allora cosa intendi fare?” le aveva chiesto Marco.
“ Non lo so ancora” aveva risposto lei” mi inventerò qualcosa”.
Quella sera, prima di andare a casa, Gaio la trattenne. “Che cosa c’è?” chiese lei: era ormai il tramonto e erano loro due da soli, in mezzo alla piazza (Marco era già andato via).
Senza dire una parola le aveva piazzato in mano una piccola pietra bucata. “Porta fortuna” aveva borbottato, e se ne era andato. Livia non capì subito cosa volesse dire quel gesto da parte sua, ma ne fu felice.
Il giorno dopo Alfidia comunicò a sua figlia Livia che presto sarebbero partite per un lungo viaggio. Non rivide più Gaio e Marco per molti, lunghissimi anni.

~~~~~~



Il sudore le colava su tutto il corpo in rivoli copiosi, rendendo la corazza scivolosa ed estremamente scomoda. Livia si passò un dito sotto il laccio che le teneva l’elmo attaccato alla testa e si asciugò il palmo della mano sulla gamba, prima di riprendere il gladio in mano. I soldati accanto a lei manifestavano analoghi segni d’insofferenza. Erano già tre giorni che si trovavano accampati ai piedi di quella collinetta. Dall’alto, le fortificazioni dei pompeiani li guardavano come beandosi della propria superiorità. Livia ebbe un impercettibile tremore, a dispetto del caldo.
Erano passati quattro anni da quando lei e sua madre avevano lasciato Roma. Avevano raggiunto Italica, la città fondata da Scipione l’Africano –il cuore di Livia aveva perso un battito alla notizia- più di centocinquanta anni prima, e vi si erano insediate. Livia non era certa di capire il perché di questo trasferimento improvviso, ma aveva qualcosa a che fare con la salute di sua madre. Eppure non le era mai sembrata malata.
Si grattò il braccio. Ricordava quante storie avesse fatto i primi tempi: odiava essere trattata come un pacco da trasportare di qua e di là senza spiegazione alcuna. E in più in quel posto faceva troppo caldo. Mano a mano vi si era abituata, e aveva trovato nuovi amici. Non ultimi i soldati della guarnigione che stazionava permanentemente in città. Anche se non pochi comandanti storcevano il naso nel vedere una ragazzina di undici anni girovagare per l’accampamento come se nulla fosse, molti alla fine avevano finito con l’affezionarsi a quella piccola maschiaccia che voleva imparare a combattere. E fu lì che, in un momento ricolmo di aspettative, prese in mano un gladio per la prima volta.
Ma ben presto anche quell’idillio dovette finire. Suo padre, che nel frattempo era giunto in Hispania, era venuto a sapere delle frequenti passeggiate di Livia tra i soldati, e decise che era il momento di smetterla. Le proibì di uscire di casa senza il permesso della madre e le impedì qualsiasi contatto con l’accampamento.
Livia pianse, strepitò, si rifiutò di mangiare per tre giorni. Fu tutto vano: suo padre era irremovibile.
“E’ giunto il momento che ti sposi” le disse, quando lei gli chiese il perché di tutto questo” Abbiamo già rimandato abbastanza”. Livia aveva quattordici anni.
Due giorni dopo, venne a sapere che Cesare era giunto in quelle terre assolate per combattere Gneo Pompeo, l’ultimo baluardo delle forze degli ottimati contro di lui. Il medesimo partito di cui suo padre faceva parte.
Quella sera stessa fuggì.
Dopo tre giorni di estenuante galoppo nelle pianure ispaniche arrivò a Urso, dove si trovava l’esercito di Cesare. Si travestì da soldato e si infiltrò tra le truppe quasi senza problemi.
Ed ora era lì. Legio X Gemina, ala destra dell’esercito. Accampati da giorni in quella fottuta piana di Munda in attesa che succedesse qualcosa. Era il sedicesimo giorno alle calende di Aprile –il 17 Marzo.
Era il giorno dell’assalto.

Stavano combattendo da ore, o almeno così le pareva. Si erano lanciati contro il nemico come delle furie, ma non riuscivano a procedere oltre, e, da quello che aveva capito, la situazione era la stessa negli altri fronti. Il caos era totale: uomini morti o moribondi affollavano il terreno, il clangore delle spade sovrastava qualsiasi cosa, la polvere si alzava come una nebbia a coprire il campo di battaglia. Livia continuava a colpire e colpire qualsiasi avversario si parasse di fronte a lei, nonostante il timore iniziale. La stanchezza cominciava a farsi sentire. Abbatté l’ennesimo nemico e si guardò intorno: stavano perdendo. Lo vedeva negli occhi stanchi dei compagni, nei loro gesti sempre più lenti e imprecisi. Cominciò ad aver paura sul serio.
“ Desti, soldati di Roma!”
La voce tonante di Cesare sovrastava persino il clamore della battaglia. Livia non credeva ai propri occhi: era come se Marte in persona fosse sceso in terra per dare loro manforte.
“ Desti, soldati di Roma” ripeté Cesare” riprendete in mano le spade! Ricacciate il nemico sacrilego! Cesare è con voi!”
Un grido di giubilo e di sfida si levò dalla Decima alle parole di Cesare, che si lanciò al galoppo contro i nemici, seguito dai suoi uomini.
Livia, anch’ella rinfrancata dalla presenza e dalle parole del generale, si buttò nella mischia con rinnovato ardore.
Mentre combatteva, sentì un dolore lancinante alla spalla e cadde a terra nella polvere e nel sangue.

Ebbe una fortuna sfacciata. Venne ritrovata da uno dei luogotenenti di Cesare, che si rese conto che era ancora viva, e la fece portare dai medici. Che, disgraziatamente, si accorsero subito che lei non era, evidentemente, un uomo.
Quando si risvegliò c’era una fastidiosa fasciatura intorno alla sua spalla e al torace e suo padre che la guardava furibondo. A quanto pareva avevano scoperto la sua vera identità.
Non fece in tempo a dire niente. Approfittando delle sue condizioni, Druso Claudiano la ficcò a viva forza su un carro e la riportò a casa.
Livia non protestò più di tanto. Si rendeva conto della stupidaggine commessa, e del fatto che avrebbe potuto rimetterci la vita.
Appena ritornati a Italica, suo padre annunciò solennemente che non appena lei si fosse rimessa completamente sarebbero tornati a Roma. E di prepararsi, perché non l’avrebbe passata liscia. Lei non si preoccupò: cosa poteva esserci di peggio del fatto di essere quasi morta?

~~~~~~



Trying hard to reach out
But when I tried to speak out
Felt like no one could hear me
Wanted to belong here
But something felt so wrong here
So I prayed I could break away



Un matrimonio combinato. Avrebbe dovuto immaginarlo.
“ Sposerai un uomo per bene, che saprà tenerti a bada e toglierti dalla testa tutte queste idee.”
Sì, certo, come no.
“ E come la mettiamo col fattaccio?” chiese Livia, caustica.
Con fattaccio intendeva la sua breve carriera nei ranghi dell’esercito.
“ Non dovrai parlarne mai con nessuno! Siamo fortunati che Cesare abbia acconsentito a dimenticare l’intera faccenda.” Il generale si era mostrato invero molto comprensivo nei loro riguardi. ”Anch’io ho una figlia” aveva detto.
Livia era ancora piuttosto scettica che qualcuno potesse mai toglierle dalla testa tutte quelle idee, ma per tenere buono il padre decise di acconsentire al matrimonio. “Ma sulla scelta dello sposo voglio avere l’ultima parola” disse.
“ Scordatelo”
Quella sera stessa la portò a un convivio indetto da una delle matrone più influenti di tutta Roma, Servilia Cepione, tra l’altro vecchia amica di suo padre.
“E così tu devi essere la mia caaara cugina Livia, vero?”
“Sì, domina”
“Sei diventata così grande, quasi non ti riconoscevo! Devi essere molto fiero di lei, non è vero Claudiano?”
“Certo” disse suo padre, e tossicchiò.
“ Quanti anni hai, cara?”
“ Quattordici, domina”
“ E ancora non sei sposata? Per tutti gli dei, Claudiano, volevi forse tenerla segregata in eterno?”
“ Siamo qui apposta per rimediare, Servilia” rispose suo padre, provocando una smorfia piuttosto stizzita di Livia.
Alla notizia Servilia andò in brodo di giuggiole, e cominciò a elencare una serie di uomini che secondo lei sarebbero stati un ottimo partito per la sua caaara cugina.
Livia si servì di una scusa per filarsela e lasciare il padre a fare una selezione di quella valanga di nomi, e si nascose nel giardino. Lì si sedette su un triclinio e sospirò, cominciando a meditare sulle sue sventure.
“Ti serve aiuto?”
Livia alzò la testa, sorpresa. Di fronte a lei c’era un uomo sulla trentina, alto, con i capelli scuri tagliati corti alla moda romana, e due splendidi occhi grigi.
“Scusa, ho visto che stavi parlando con mia madre, e ho pensato che la sua intraprendenza ti avesse sconvolta” disse con un sorriso –un sorriso accattivante. Livia lasciò vagare per un attimo gli occhi sulla sua figura –muscoli, non pancia da vecchio bavoso! Muscoli da soldato!- prima di rispondere:” Non è tanto l’intraprendenza di tua madre, quanto il fatto che vada così d’accordo con mio padre. Di solito per me significano solo guai”.
Lui rise –una risata piena, sincera- e si sedette accanto a lei.
“ Tu devi essere Marco Giunio Bruto, ho ragione?”
“ Hai ragione. Mentre tu devi essere Livia Drusilla Claudia”
“Indovinato” disse lei, sorridendo.
Lui sorrise di nuovo in quel suo modo accattivante:” Piacere di conoscerti, Livia.”

Si frequentarono per quasi un anno.
Livia non disse a suo padre di Bruto –non l’avrebbe presa bene: riteneva che Bruto fosse troppo vicino a Cesare e alle sue mire dittatoriali (non era vero, ma convincere suo padre del contrario non rientrava nei suoi progetti). Inoltre Livia sospettava che se avesse detto che si era innamorata di lui, le avrebbe proibito di frequentarlo per dispetto.
Quindi ufficialmente continuava la ricerca del marito perfetto, mentre lei e il giovane pretore passavano insieme i momenti rubati alla sorveglianza di Claudiano.
Erano felici insieme, nonostante avessero spesso idee differenti: Bruto era un conservatore, e non vedeva di buon occhio che una donna avesse troppe libertà, mentre lei aveva un’ammirazione smisurata per Cesare, che lui invece mal sopportava, nonostante fosse suo zio.
Più di una volta era stata sul punto di dirgli del fattaccio (che poi era l’origine della sua ammirazione per il generale), ma si era sempre bloccata: non era molto sicura che lui avrebbe capito.
E poi Bruto fece quella che Livia definì come la più grande minchiata della storia di Roma.

Lo trovò seduto sul triclinio che fissava il vuoto. Se fosse stata donna più incline al perdono e a simili virginee mollezze, le avrebbe fatto pena. Ma non era donna di tal fatta.
Quindi si avvicinò a lui a grandi passi.” Alzati” gli intimò, con la delicatezza di un generale.
Lui si alzò, docile come un agnellino, i luminosi occhi grigi ora spenti.
“Dimmi che non è vero” disse lei ”Dimmi che non hai ucciso Cesare”.
Lui non rispose, ma l’abbassarsi del suo sguardo fu per Livia eloquente quasi quanto il suo silenzio.
“Perché?”
Bruto la guardò negli occhi: ”Era la cosa giusta da fare” rispose.
Il destro di Livia arrivò così veloce che non avrebbe potuto schivarlo neanche volendo: finì col perdere l’equilibrio e cadere a terra, tanto era stupito.
“LA COSA GIUSTA DA FARE?” gridò la ragazza, furibonda.
Bruto la guardò come si guarda una Furia appena uscita dagli Inferi. Tisifone, per la precisione.
“Cosa credi di aver fatto? Di aver salvato Roma? Credi di essere un eroe, non è così?” continuò a gridare lei, dando sfogo a tutta la sua rabbia.
“Beh, ti dirò una cosa” Livia lo guardò con ira, disprezzo e delusione –per se stessa, per lui-“ tu non sei un eroe. Sei un assassino. E pagherai per questo”.
Bruto non alzò gli occhi su lei che usciva correndo. Andò nella tomba senza mai sapere delle lacrime che versò.

Livia si sposò otto mesi dopo. Il prescelto era Tiberio Claudio Nerone, uno dei suoi cugini. Le andò bene, tutto sommato: non era né vecchio né bavoso. Era solo un po’ bruttino, ma neanche tanto. Almeno la faceva ridere, e gli dei sapevano quanto avesse bisogno di ridere dopo quello che era successo. Ma ogni matrimonio a Roma chiede un prezzo per poter funzionare: a giugno, alcuni mesi dopo il matrimonio, scoprì di essere incinta. E per Livia fu il colpo di grazia.
Passò i giorni nel torpore più assoluto, nutrendosi a forza e mal sopportando quella presenza invasiva dentro di sé. Non sapeva se desiderare che nascesse presto o che non lo facesse proprio. Ma i suoi guai non erano ancora finiti.

Su una cosa Livia aveva ragione: Bruto la pagò, e cara. Quello che non aveva previsto, era che avrebbe rischiato di pagarla insieme a lui. L’anno dopo, suo marito Nerone e suo padre partirono per la Grecia, a combattere al fianco di Bruto e degli optimates contro i nuovi triumviri. Livia non cercò neanche di fermarli: semplicemente, non ci voleva pensare. Credeva che la cosa non l’avrebbe toccata, nello stato di torpore in cui era caduta.
A Filippi Bruto incontrò la sua fine, e per non cadere in mano nemica si suicidò. Claudiano fece lo stesso.
Alla notizia Livia quasi non reagì, e sua madre temette che non si sarebbe mai ripresa. Amava il padre, nonostante tutti gli screzi avuti in passato: restava comunque l’unico uomo in cui avesse avuto la più completa fiducia. Ma come Claudiano era stato un uomo forte, così era sua figlia.
Nerone riuscì a fuggire, e per lungo tempo di lui non si ebbero notizie.
Nel frattempo Livia aveva partorito, e nel momento in cui aveva guardato suo figlio Tiberio negli occhi aveva ritrovato la voglia di vivere.
Alcuni mesi dopo Nerone mandò un messaggio a casa: stava bene e continuava a combattere, stavolta sotto Marco Antonio. A causa di ciò, un anno dopo Livia e la sua famiglia furono inseriti nelle liste di proscrizione di Ottaviano.
“Quel bastardo può prendersi le mie ricchezze, la mia casa e i miei beni, ma non avrà né la mia famiglia né me!”
Livia prese sua madre, suo figlio e alcuni schiavi e lasciò Roma, maledicendo Ottaviano e tutti i suoi antenati.
“Stronzo!”
Viaggiarono a lungo. Prima si fermarono in Sicilia, ospiti di Sesto Pompeo, il governatore. Poi, a causa di un’alleanza matrimoniale tra questi e Ottaviano, dovettero recarsi in Grecia, dove si riunirono con Nerone. E ivi rimasero per un anno.
Quando li raggiunse la notizia dell’amnistia, Livia pianse lacrime di gioia. Era di nuovo incinta.

~~~~~~



I'll spread my wings and I'll learn how to fly
I'll do what it takes til' I touch the sky
And I'll make a wish
Take a chance
Make a change
And breakaway



Livia odiava Scribonia. Con tutte le sue forze.
Non solo quella donna era la causa principale della sua fuga precipitosa dalla Sicilia, ma con la scusa che era la moglie di uno degli uomini più importanti di Roma (“Dell’uomo più stronzo di tutta Roma” disse con immenso disprezzo), sembrava sentirsi in pieno diritto di giudicare tutto e tutti.
In particolare lei.
“Salve, Livia! Che piacere incontrarvi oggi”
“Scribonia, il piacere è tutto mio”
“Che splendido vestito indossate!”
“Vi piace? L’ho cucito io stessa”
“Davvero? Dovete avere molto tempo libero per farlo”
“Tutt’altro, domina, è incredibile che riesca a trovare il tempo di dedicarmi a questa attività, tante sono le cose da fare”
“Oh, ma non dovete lavorare troppo! Se desiderate, posso presentarvi un sarto che possa farvi i vestiti al posto vostro! Sarebbe perfetto per voi, produce abiti modesti a poco prezzo”
“Vi ringrazio molto, ma no. Quando si ha un figlio piccolo si sa perfettamente che i vestiti possono diventare troppo stretti nel giro di una notte”
Tiè, donna senza figli!
“Oh, avete perfettamente ragione. Ma ho sentito che spesso le gravidanze portano a un calo delle…beh…prestazioni”
“Oh, vi assicuro che mio marito non ha mai avuto di che lamentarsi, anzi”
“Non lo metto in dubbio, cara…d’altra parte, potrebbero anche essere altre le ragioni…”
“Ho la piena fiducia in Nerone. Ora, se volete scusarmi, ho delle faccende da sbrigare”
“Certo, mia cara. Vi saluto, e che gli dei vi benedicano”
Livia se ne andò a passo sostenuto. Era livida.
Brutta arpia schifosa, malefica puttana impestata, stronza bastarda, cagna maledetta…
La cosa che le faceva più rabbia era che le parole di quella donna avevano gettato un semino nella sua mente: Nerone forse la tradiva? Era vero che era da qualche tempo che non facevano sesso, ma con la gravidanza così avanzata proprio non riusciva a farlo senza provare un dolore atroce. Nerone non aveva insistito, e lei aveva pensato che fosse per delicatezza nei suoi confronti.
Ma se Scribonia avesse avuto ragione? Se Nerone avesse un’amante? Certo, non era una pratica così inusitata, ma saperlo non la faceva stare meglio. Senza contare che sarebbe diventata lo zimbello di tutta Roma. Doveva fare qualcosa.

Una settimana dopo, Nerone entrò in casa trafelato.”Livia!” la chiamò.
“Tiberio, che c’è? E’ successo qualcosa?” chiese lei con il cuore che batteva all’impazzata.
“Livia, ti prego, dimmi che non è vero!” la pregò lui, praticamente in lacrime.
“Ma di che stai parlando? Calmati, ti prego, così mi spaventi” lo prese e lo fece sedere, mentre lui continuava a stringere convulsamente la sua mano.
“Cos’è successo?” chiese.
Nerone deglutì:”Ero al Foro, stavo parlando con degli amici, e sono venuto a sapere che…”
“Cosa? Tiberio, che cosa?”
“Sei entrata in un bordello?”
Livia rimase totalmente interdetta:”Eh?”
“E’ quello che dicono! Ti hanno vista tre giorni fa, mentre entravi in una casa chiusa a fare chissà che! Ti prego, dimmi che non è vero” le disse praticamente supplicando.
Livia trasecolò:”Ma certo che non è vero” si costrinse a mentire” perché mai dovrei farlo?”
Nerone sospirò di sollievo:”Grazie agli dei” mormorò, totalmente esausto.
“Ehi, da quando ti fidi delle malelingue più di me?” lo rimproverò bonariamente lei.
“ Hai ragione, so perfettamente che sei una brava donna…è che Scribonia sembrava così convinta…”
“Scribonia?” Livia si bloccò” E’ stata Scribonia a dire in giro queste cose?”
“Lei spergiura di averti vista con i suoi stessi occhi”
Livia annuì, le labbra strette” Deve essersi sbagliata” disse, con un falso sorriso.
“Sì, certo, deve essere così” annuì Nerone, ormai sollevato.
Livia mantenne la recita di tranquilla compostezza fino al momento in cui Nerone sparì per tornare al Foro.
Non si preparò neanche per uscire: inforcò la porta di casa così com’era e si avviò a passo di carica verso la villa di Scribonia.
Quella maledetta! Certo, Livia era entrata in quel maledetto bordello, ma non per quello che pensava lei! Il fatto era che, dopo quello che aveva detto Scribonia, aveva sentito il bisogno di chiedere consiglio a qualcuno –qualcuno che se ne intendesse: così era entrata in quella casa chiusa dove lavorava una sua vecchia conoscente, e ne avevano parlato. Evidentemente quell’arpia doveva averla seguita per poi gettare fango su di lei.
Bussò alla porta come se volesse sfondarla.
“Dov’è Scribonia?” chiese allo schiavo che le aveva aperto.
Lo schiavo esitò:” Cosa volete dalla domina?” chiese con circospezione.
“Devo prenderla a pugni”
Quello strinse gli occhi a due fessure:” Non finchè ci sarò io”
“ Vorrà dire che prenderò a pugni anche te” disse Livia.
Lo schiavo scoppiò a ridere ”Siete una donna, e incinta per di più: credete davvero di potermi fare qualcosa?”
Dieci secondi dopo scappava dentro la villa con una costola incrinata e un paio di denti rotti.
“SCRIBONIA!”
Livia entrò nella villa come una furia “Questa volta hai passato ogni limite! Vieni fuori, maledetta!”
“Andate via, domina! La padrona non è in casa” disse una schiava.
“E vi aspettate che io ci creda? Lo so che si nasconde, la cagna! Vieni fuori, se hai il coraggio!” riprese a gridare.
“Cos’è, hai paura di affrontare la mia ira? Oppure credi di essere superiore a qualsiasi legge solo perché sei la moglie di un trimviro? Sai che ti dico? CHE NON ME NE FREGA UN CAZZO!”
Gridò sempre più forte, passando di stanza in stanza cercando di scovare la sua nemica, mentre gli schiavi cercavano invano di fermarla.
“Sei solo una puttana che gode nel seminare pettegolezzi fasulli e meschini! E tuo marito è anche peggio di te! Vuoi sapere cosa penso di lui, eh? Lo vuoi sapere?” Ormai gli schiavi non le si avvicinavano più, tanto erano sconvolti dai suoi modi e dalle sue parole inadatte alla sua posizione.
“Penso che Ottaviano sia il più grande stronzo che sia mai passato per questa città, e che se ce l’avessi davanti lo prenderei a randellate così violente che neanche sua madre lo riconoscerà più quando avrò finito!”
“Prego”
Livia si voltò verso il nuovo arrivato, pronta a cantargliele chiare, e si bloccò: di fronte a lei c’era l’uomo più bello che avesse mai visto. Aveva i capelli biondi, tagliati alla moda romana, e due occhi azzurri così chiari che parevano di ghiaccio, e la scrutavano come se potessero vederle fino in fondo all’anima. Era piuttosto magro, ma si intravedevano i muscoli ben definiti di chi ha fatto la vita del soldato. Era semplicemente perfetto.
E’ Apollo sceso in terra pensò Livia, che in preda allo stordimento più totale non aveva fatto caso a un particolare.
La toga. Bianca. Con una striscia porpora. Larga. Ossia un senatore. Ossia un triumviro.
Ossia…
Sono fottuta.
“ Dicevo, se desiderate così tanto cambiarmi i connotati, di certo non ve lo impedirò” disse Ottaviano, totalmente impassibile.
Livia ci mise un po’ per capire di cosa stesse parlando “Credete che non ne sia capace?” esclamò con sfida. Meglio farsi ammazzare per un aureo che per un sesterzio pensò.
“Affatto” disse lui, sempre con quell’aria imperscrutabile ”ritengo anzi che siate donna di grande determinazione, e che se il modo più rapido per farvi calmare è quello di permettervi di colpirmi, allora ve lo lascerò fare” concluse.
Livia tacque a lungo, esterrefatta. “Non fa una grinza” disse, sempre basita.
“Vi ringrazio” disse lui, accennando un inchino col capo.
Livia continuò a tacere: un uomo così non l’aveva davvero mai incontrato.
“Devo farvi portare un randello?” chiese lui, educato.
“No!” rise Livia ”non importa. Non c’è gusto ad attaccare un uomo che non si difende. E poi siete talmente ragionevole che mi avete smorzato l’entusiasmo” concluse con una smorfia.
“Devo dedurre che abbiate ritrovato la calma” disse lui.
Livia annuì.
“Bene” fece lui, e sorrise.
Livia si appoggiò al muro senza parere: aveva un sorriso che le faceva venire il latte alle ginocchia.
Dei, non so se coccolarlo come un bambino o saltargli addosso.
“Ora che siete tornata una persona ragionevole, posso chiedervi la causa di questo trambusto?” disse lui con un sorriso.
“Oh” fece lei con un gesto vago della mano ”quello”
Ottaviano annuì.
Livia si grattò il collo e spostò il peso da una gamba all’altra, a disagio. Poi prese un grosso respiro e disse:” Devo ammazzare Scribonia”.
Ottaviano sollevò le sopracciglia, incredulo:” Posso chiedervi il motivo?”
“Va in giro a dire che frequento postriboli. Dice che l’altro giorno mi ha visto entrare in uno di quei posti” rispose lei.
“Ed era vero?” chiese lui, affabile.
“No!” esclamò Livia.
Ottaviano non disse nulla: si limitò a guardarla con i suoi taglienti occhi azzurri.
Livia capitolò quasi subito:” E va bene, sì. Ma non per quello che pensate voi” disse, sfidandolo con lo sguardo a contraddirla.
“Non ho pensato proprio a nulla” rispose il giovane.
“Andiamo, avete capito quello che intendo! Se si va in quei posti di solito è per fare le cosacce!” esclamò lei.
Ottaviano la guardò incredulo e scoppiò a ridere” Le cosacce?” esclamò, praticamente senza fiato.
Livia lo guardò male” Vi fa così ridere?”
“No, no, scusate” disse lui, cercando di riprendersi” è che sentirvi usare un termine così eufemistico dopo quello che ho sentito prima…Scusate, non sono riuscito a trattenermi”
Livia continuò a guardarlo male” Non capisco: state dicendo che sono troppo pudica o che sono troppo volgare?”
“Se devo essere sincero, non ne sono sicuro neanch’io” disse.
Livia tacque: una matrona per bene si sarebbe sentita offesa da quelle parole. Ma di fronte a quel sorriso era impossibile tenere il broncio.
“ Comunque” riprese lui” se non eravate andate a fare le cosacce” non poté trattenere una smorfia divertita” per quale ragione vi trovavate là?”
“ Ero andata a trovare un’amica”
Ottaviano sollevò un sopracciglio.
“ L’anno scorso” cominciò a raccontare Livia, le mani ben piazzate sui fianchi” quando voi ci avete inseriti nelle liste di proscrizione, ho perso quasi tutti i miei schiavi. Una di queste, a cui ero particolarmente affezionata, è finita a fare la prostituta, e visto che avevo bisogno di consigli in quel campo sono andata a trovarla” concluse.
Ottaviano aggrottò la fronte “Perché eravate in quelle liste?”
“Me lo chiedo anch’io” rispose Livia, caustica.
“Posso chiedervi il vostro nome?” disse lui.
Livia si morse il labbro: non mi sono neanche presentata pensò. Che figura del cavolo. “Livia Drusilla Claudia” rispose, senza aggiungere altro.
“La figlia di Claudiano?” chiese lui.
Livia annuì “La minore”.
Ottaviano annuì a sua volta “Vi porgo le mie scuse per la morte di vostro padre”
Livia scosse la testa “E’ andato in guerra. In guerra la gente muore” disse, con una scrollata di spalle.
“ Parlate della guerra come se l’aveste vissuta” notò lui.
Livia non rispose subito: fu tentata, estremamente tentata di dirglielo, anche non capiva cosa la spingesse a fidarsi di lui. Forse la sua schiettezza, i suoi splendidi occhi, o più semplicemente il fatto che per la prima volta un uomo la trattava da pari a pari.
“Tutti qui a Roma l’abbiamo vissuta, negli ultimi anni” disse alla fine.
Ottaviano annuì “Avete ragione.”
Livia lo guardò a lungo: più parlava con lui, più quell’uomo la confondeva. Una sola cosa capiva di lui: lui era diverso. Un po’ come lei.
Decise che era il momento di andarsene: aveva già combinato abbastanza danni, e inoltre sentiva che se fosse rimasta ancora avrebbe finito col legarsi a quell’uomo in un modo che ancora non comprendeva, e questo la spaventava.
“Ora” tossicchiò”ora è meglio che vada. Scribonia non c’è e quindi…”
“E quindi non è il caso che voi restiate. Capisco” disse Ottaviano.
No, non capiva affatto. Ma non era il caso di dirglielo.
Livia fece un breve inchino e fece per andarsene, quando le sovvenne una cosa.
“Posso…posso chiedervi un favore?” disse titubante.
Ottaviano annuì composto.
“Potreste…non dire a Scribonia di questa visita? Insomma, è stata una reazione eccessiva da parte mia…e non vorrei che…insomma…”
“ Vi assicuro che mia moglie non verrà a sapere di quanto accaduto oggi. Avete la mia parola” la interruppe Ottaviano.
Livia annuì “Vi ringrazio” disse. Si voltò e andò verso la porta.
“Arrivederci, senatore” disse uscendo.
“Arrivederci, Livia” disse lui quando la porta era ormai chiusa.

Livia passò la settimana successiva facendo avanti e indietro tra casa sua e il Foro. Meglio, arrivava da quelle parti, prendeva una svolta a caso e tornava indietro senza aver concluso nulla. Poi cambiava idea e ritornava sui suoi passi, ma proprio mentre stava per giungere alla meta, la prendeva il panico e cambiava di nuovo strada.
L’incontro con Ottaviano l’aveva destabilizzata: sentiva di odiarlo ancora per tutto quello che le aveva fatto passare, ma nello stesso tempo non poteva fare a meno di pensare in continuazione a lui, al suo modo di fare, al suo sorriso, alla sua risata –che figura di merda- e ripensava a come si era comportata lei, alle parole che gli aveva rivolto –che figura di merda- e alle stupidaggini che aveva fatto –l’aveva già detto “che figura di merda”?
E in quei momenti voleva vederlo, chiedergli scusa per come si era comportata –chissà cosa pensava lui di lei- e magari parlare, capire di più, per quale motivo i suoi occhi apparissero tanto freddi ma la sua risata così sincera, però forse non era il caso –se l’avesse scacciata? Se pensasse male di lei?- dopotutto lei era sposata, e anche lui, e forse avrebbe incontrato Nerone e magari Scribonia sarebbe stata presente –al suo fianco, come (non) era giusto che fosse- e allora cambiava strada e tornava indietro e camminava per schiarire le idee, e decideva che non valeva la pena, che lui era l’uomo più importante di Roma e lei solo una stupida, poi però ricordava il suo modo di rivolgersi a lei, i suoi occhi, e tornava prepotente la voglia di vederlo, e riprendeva la via del Foro, magari cominciando a cercare una buona scusa per farsi ammettere alla sua presenza.
Poi scendeva la sera e Livia ritornava a casa, e si diceva che quel giorno non ce l’aveva fatta, ma sicuramente il giorno dopo avrebbe trovato il coraggio. E il giorno dopo ricominciava tutto da capo.
Ci volle la mano degli dei per portarla davanti al giovane triumviro: una mano che aveva nome e aspetto di un giovane di provenienza etrusca, cordiale, affascinante e osservatore anche troppo acuto.
“Posso aiutarvi, domina?”
Livia si prese un colpo: era nel pieno di uno dei suoi giri da anima in pena e non si aspettava un approccio da chicchessia.
“E’ da circa una settimana che vi aggirate intorno al Foro. Avete bisogno di qualcosa?” chiese di nuovo il giovane.
Livia lo guardò a lungo: era talmente imbellettato che se non fosse stato per la toga da cavaliere l’avrebbe scambiato per una donna. “Ma sei un maschio o una femmina?” chiese infatti.
Il giovane la guardò male:”Sono un maschio” rispose.
“Non lo sembri”
Lo sconosciuto non raccolse la provocazione:” Vi ripeto la domanda: vi serve qualcosa?” chiese, con evidente scherno.
“Perché dovrei dirlo? Per sentirmi rispondere di no? Grazie, faccio da sola” disse con decisione, e si avviò verso la sede del Senato a grandi passi.
Che caspita sto facendo? Ma perché mi caccio sempre in queste situazioni? gemette interiormente.
Si guardò alle spalle: il giovane effeminato la stava seguendo. Livia fece finta di non curarsene, ma aumentò il passo.
Si guardò di nuovo alle spalle: continuava a seguirla. Ormai stava praticamente correndo, tanto era spaventata.
Vide in lontananza il marmo bianco della Curia Iulia, e decise di tentare il tutto per tutto: si mise a correre a perdifiato, senza neanche controllare che quel tipo le stesse alle costole.
Salì le scale di corsa, e si fiondò nell’edificio prima che chiunque avesse il tempo di dire “ba”. In un momento di lucidità evitò prontamente di irrompere nella sala delle riunioni, ma si lanciò in uno dei corridoietti laterali. Vide una porta in fondo, fece un ultimo scatto, l’aprì di botto e la richiuse prontamente. Si appoggiò con la schiena al muro, esausta e col fiatone, e chiuse gli occhi.
Tutte a me capitano pensò.
“Livia Drusilla. Benvenuta”
La ragazza non aprì gli occhi. Non pensava che ne sarebbe sopravvissuta.
“A cosa devo la vostra visita?”
“Un tipo strano mi inseguiva” rispose, sempre senza aprire gli occhi. E’ solo un sogno. Adesso mi sveglio e mi ritrovo nel mio letto. O rapita da quel cicisbeo.
“Un tipo strano? Che intendete dire?”
“Intendo strano. Ho dovuto chiedergli se fosse maschio o femmina, perché non riuscivo a capirlo” rispose, scrollando le spalle. Lui rise.
“E perché pensate che vi stesse seguendo?”
“Perché lo faceva. Quando mi sono allontanata mi stava ancora dietro. Non è piacevole ritrovarsi gli occhi di eunuco piantati sul proprio fondoschiena, ve lo assicuro” rispose, senza badare a quella che stava dicendo. Tanto è un sogno.
“Non stento a credervi” disse lui, con tono divertito.
Il silenzio si protrasse per qualche minuto. Livia cominciava a pensare che il sogno fosse finito e fosse giunto il momento di svegliarsi. Spero solo di non essere stata rapita dal cicisbeo.
“Perché tenete gli occhi chiusi?” soffiò una voce al suo orecchio.
Livia aprì finalmente gli occhi: Ottaviano era di fronte a lei, una mano appoggiata al muro e le labbra pericolosamente vicine al suo viso.
Lo sapevo, è un sogno.
Lui la guardava dritto negli occhi, l’ombra di un sorriso sul volto.
“Vi diverte prendervi gioco di me?” gli chiese Livia, cercando di non sporgere troppo il viso.
“Molto” rispose lui.
“Allora non mi ero sbagliata: siete un bastardo”
Lui rimase impassibile:” Siete sempre così convinta dei vostri giudizi: esiste un modo per farvi cambiare idea?” disse –soffiò- praticamente sulle sue labbra.
“Ne dubito: i miei giudizi si sono sempre rivelati esatti.” Rispose lei, gli occhi che cercavano di guardare ovunque tranne che verso di lui. Adesso muoio.
“Vorrà dire che dovrò trovarlo da solo” disse lui, continuando a guardarla negli occhi.
Lei non ce la fece più: ricambiò il suo sguardo e fu perduta.
“Ottaviano!”
Sussultarono e si allontanarono all’unisono, proprio mentre due uomini entravano spalancando la porta. Livia li guardò e inorridì:”Il cicisbeo!” gridò, e praticamente saltò in braccio al triumviro.
Il giovane la guardò male per la seconda volta, mentre l’altro veniva distratto da Ottaviano che scoppiava a ridere.
“Ottaviano, stai bene?” chiese il giovane, alzando un sopracciglio. Ottaviano annuì, le spalle ancora scosse dai singulti, mentre cercava di togliersi Livia di dosso:”Vi assicuro che non vuole farvi del male” disse.
“Non sono molto convinta” rispose lei, approfittando della situazione per aggrapparsi ancora di più a lui.
“Domina, vi prego di perdonarmi se le mie intenzioni vi sono parse malvagie: non era certo la mia intenzione.” Disse il giovane effemminato.
“Sì, certo, e io ci credo” fece Livia.
“Livia, vi prego” esclamò Ottaviano, guardandola duramente.
La ragazza gli lanciò uno sguardo in tralice, staccandosi da lui.
“Costui è uno dei miei più fidati collaboratori: dubito fortemente che avesse cattive intenzioni nei vostri confronti” disse con aria ragionevole.
Livia non sembrava molto persuasa, ma lentamente annuì.”Mi dispiace se ho pensato che voleste attentare alla mia virtù” disse al giovane.
“Figuratevi. Ma devo ammettere che non mi sarei mai aspettato che una donna incinta sapesse correre così veloce” fece quello, con un sorrisetto irritante sul volto.
Livia sorrise sorniona e non raccolse la provocazione.
“Costui è Gaio Cilnio Mecenate” disse Ottaviano, indicando il giovane effemminato” e lui invece è il generale Marco Vipsanio Agrippa. Entrambi sono miei fidati consiglieri e amici. Lei” disse loro”è la domina Livia Drusilla Claudia.”
Moglie di? Figlia di? Parevano dire le loro facce, ma Ottaviano li ignorò.
“Se volete scusarmi, domina, ho degli affari urgenti da sbrigare. Mecenate, vieni con me.” Disse, e uscì dalla stanza insieme all’amico.
Livia e Agrippa rimasero soli nello studio, uno più interdetto dell’altra.
“L’avete fatto ridere”
“Perdonate?” chiese Livia.
“Ottaviano. L’avete fatto ridere” ripetè Agrippa, con aria convinta.
“E più di una volta. Si diverte a prendermi in giro” rispose Livia”ma non vedo dove sia il problema.”
“Voi non capite” fece il generale”conosco Ottaviano da quando eravamo piccoli, e le volte in cui l’ho visto ridere si possono contare sulle dita di una mano.”
Livia temeva di capire dove stesse andando a parare.
“Ho idea che vi rivedrò ancora, domina Livia” disse il generale. Le fece un inchino e uscì, lasciando Livia sola e sempre più confusa.

Non fu l’unico incontro tra i due. Ogni volta che Livia usciva di casa finiva col vedere Ottaviano, in una serie di incontri apparentemente casuali. Cominciava a pensare che lo facesse apposta.
La cosa non le dispiaceva.
D’altro canto, non capiva cosa volesse da lei: erano sposati entrambi. Lui, oltretutto, era uno degli uomini più importanti di Roma, l’erede di Cesare: aveva una reputazione da difendere, quindi era escluso che la volesse come amante.
Un giorno Agrippa le disse che forse si era innamorato di lei: Livia ci credeva poco. Aveva già una moglie, che stava forse per dargli un erede (qualche tempo prima era rimasta incinta), e che oltretutto era una delle donne più belle di Roma e una matrona assolutamente rispettabile (anche se era antipatica e odiosa. Avrebbe potuto anche lasciarla, in fondo). Lei cos’era, invece? Una donna ribelle, volgare, attaccabrighe e decisamente priva delle fondamentali virtù della buona matrona. E in più era brutta –almeno, così si sentiva lei. E, cosa più importante, era sposata. E voleva bene a suo marito.
“Ma non lo ami. Sei innamorata di Ottaviano” le diceva sua sorella con tono ragionevole, ogni volta che andava a trovarla. E Livia alla fine si era rassegnata a smettere di negare.
Un giorno, le giunse una notizia sorprendente: Ottaviano aveva ripudiato Scribonia, accusandola di infedeltà.
“Infedeltà? Lei? Ma è ammattito?” esclamò Livia esterrefatta.
L’anziana venditrice annuì convinta:” Si dice che si sia innamorato perdutamente di una bellissima donna.”
“Chi?” fece Livia, spaventata.
“Non si sa. Ma si mormora che sia stato un vero e proprio colpo di fulmine.” Fece la donna, evidentemente ringalluzzita.
Livia la salutò e si avviò mesta a casa.
Ottaviano innamorato? E di chi? Quale donna poteva essere così bella da conquistarlo? Livia non se ne capacitava. Non capiva. Non voleva capire.
Passarono le ore. Cominciò a piovere. Livia ancora camminava.
Quando finalmente si decise a rimettere piede a casa era zuppa come un pulcino.
“Livia! Finalmente sei tornata”
Nerone la prese per le spalle, scrutandola con ansia.”Temevo per te.” Disse semplicemente.
Livia sorrise stancamente ”Scusami, ho avuto delle cose da fare”
Nerone annuì, serio.”C’è una visita per te”
Livia alzò gli occhi, sorpresa. Qualcosa nel tono di suo marito le diceva che non era una visita qualunque.
“Salve, domina”
Livia trattenne il fiato. Non è possibile. Ottaviano comparve alle spalle di Nerone con tranquillità.
“Ottaviano. E’ un onore avervi ospite nella nostra casa” disse Livia, non trovando niente di meglio.
Lui annuì, mentre scambiava uno sguardo con Nerone.”Vi lascio soli” disse questi, abbandonando la stanza con aria abbacchiata.
Livia non capiva ”Cosa ci fate qui?” chiese al trimuviro.
“ Gli ho chiesto la vostra mano” rispose.
Livia rimase letteralmente a bocca aperta:” Eh?”
“Voglio sposarvi” disse Ottaviano, sollevando un sopracciglio.
Non è possibile. Non ha alcun senso. “Perché?” chiese, ancora in preda all’incredulità.
“Il motivo non ha importanza. Vostro marito ha acconsentito, quindi non c’è ragione di discuterne oltre” rispose lui con aria di sufficienza.
A quelle parole, Livia cominciò ad arrabbiarsi:” E la mia opinione non conta?”
Ottaviano non rispose. Livia si arrabbiò ancora di più:” Dunque è così che funziona? Prendete moglie senza chiedere a nessuno, come se tutto vi fosse dovuto? Siete responsabile della morte di mio padre, mi avete costretta a scappare da Roma come una criminale, siete arrogante, egoista e da quando vi conosco non fate altro che prendervi gioco di me. Per quale accidenti di motivo vi dovrei sposare?” gridò quasi. Sentiva di stare mandando a puttane la sua unica possibilità di sposare l’uomo che amava, ma il suo atteggiamento freddo e scostante l’avevano fatta imbestialire.
“Nessuno vi costringe”
Livia tacque, esterrefatta “Scusate?” disse.
“ Non vi sto obbligando a sposarmi. Se deciderete che non sono degno di stare al vostro fianco, lo rispetterò e rinuncerò.” Disse Ottaviano, con aria mortalmente seria.
Livia tacque: le stava dando una scelta? Si stava esponendo al ridicolo di essere respinto, lui, l’uomo più potente di Roma, solo per darle la possibilità di rifiutarlo?
“Ditemi perché volete sposarmi” chiese lei.
Ottaviano per tutta risposta si avvicinò a lei e la guardò negli occhi.” Perché vi amo” disse.
Per poco Livia non svenne: le girava la testa, tuttavia riuscì a rimanere eretta sulle gambe tremanti:” Davvero?” chiese a fatica.
Lui annuì. “Vi amo dal primo momento che vi ho vista. Vi amo come non ho mai amato nessun’altra.”
Livia tacque a lungo. Poi,lentamente, portò una mano alla spalla destra e fece scendere la spallina. Ottaviano distolse lo sguardo con evidente imbarazzo.
La ragazza gli prese il mento con una mano e gli fece voltare la testa:”Voglio farvi vedere una cosa” disse con dolcezza.
Con una mano tolse del tutto la spallina della toga, e prima di sfilare il braccio si tenne il lembo sul torace, di modo che non le scoprisse il seno. Poi si girò, lentamente, in modo che Ottaviano potesse vedere chiaramente la grossa cicatrice che le deturpava parte della schiena.
“ La prima volta che ci incontrammo” disse con voce rotta” mi diceste che parlavo della guerra come se l’avessi vissuta. E’ così: io ho partecipato a quella che viene ricordata come la battaglia di Munda. Ero nella Decima”
Prese un sospiro, poi continuò:” Non ho mai detto a nessuno di questa cosa: Tiberio pensa che mi sia fatta questa cicatrice in un incidente quando ero piccola. L’unico a saperlo era mio padre.”
“ Ora che lo sapete, potete anche ritirare la vostra richiesta, io vi comprenderò. Ma se dite di amarmi” concluse a fatica” se davvero mi amate, allora vi prego…non deludetemi anche voi.”
Livia tacque, stremata: sentiva le lacrime che le pungevano gli occhi, ma le ricacciò indietro.
Passarono i minuti, ma non accadde nulla. Ottaviano non si era mosso, Livia poteva ancora sentire la sua presenza dietro di sé, ma non osò girarsi per vedere la sua espressione.
All’improvviso starnutì con gran fragore.
Che figura del cavolo pensò Livia. Poi sentì qualcosa di ruvido e caldo avvolgerla completamente. Ottaviano le aveva messo il suo mantello.
“Promettimi” disse, mentre la teneva stretta a sé” che non resterai più a camminare sotto la pioggia per ore. E’ da stupidi ammalarsi per una cosa così”
Livia soffocò un risolino “Non brillo per intelligenza, lo sai” disse, mentre il cuore le batteva forte nel petto.
“Allora dovrò fare in modo di tenerti d’occhio, perché tu non faccia troppe stupidaggini”
“Dubito che ci riuscirai”
“Ma ne vale la pena”
Livia si girò a guardarlo e sorrise, vedendolo sorridere.

Si sposarono il 17 gennaio, tre giorni dopo la nascita di Druso, il secondogenito di Livia.
Fu una cerimonia particolarmente sfarzosa, ma a Livia non avrebbe potuto importare di meno.
Strinse la mano di Ottaviano e gli giurò eterna fedeltà. Ci credette, questa volta.
Quando uscirono dal tempio, il cielo grigio chiaro mandava giù piccoli batuffoli di neve.
Bastò uno sguardo: Livia e Ottaviano si presero per mano e cominciarono a correre per la strada, lasciando indietro il corteo di amici e parenti. Corsero, corsero insieme, ridendo come bambini, fino alla casa di lui, che da quel momento divenne loro. Prima di entrare Ottaviano bloccò Livia e la prese in braccio: e in braccio la tenne fino al letto, dove si lasciarono cadere tra le lenzuola, occhi negli occhi e labbra su labbra.

“Ottaviano, mi aiuti con questa cosa malefica?”
Era il terzo giorno prima delle Calende di Febbraio. Erano sposati da due settimane circa.
Avevano litigato e fatto la pace almeno dieci volte. Avevano riso, avevano discusso animatamente, avevano fatto l’amore. Non avevano ancora capito come avevano fatto a pensare di essere felici prima di conoscersi.
“Livia, è solo una toga.”
“Non è una toga, è una trappola mortale. Dai, che siamo in ritardo”
“Non sei costretta a venire, sai?”
“Non cominciare con questa storia: so benissimo di non essere costretta ed è proprio per questo che ci vengo”
Ottaviano tacque: aveva capito in fretta che se lei si metteva in testa una cosa era quasi impossibile farla desistere.
“Cos’è questo?” chiese, prendendo in mano un oggetto dal tavolino della toeletta di sua moglie –sua moglie: ancora non ci credeva.
“Cosa?” chiese Livia, sporgendosi per vedere: era un semplice sassolino bucato, in cui era stato infilato un laccio di cuoio.
“Ah, quello! E’ un regalo che mi ha fatto un mio amico di infanzia tanto tempo fa, l’ho ritrovato giusto l’altro giorno” disse sorridendo, la mente persa dietro i ricordi.
“Capisco” disse Ottaviano, continuando a fissare il ciondolo.
Livia stava cercando di sistemarsi i capelli quando la voce di suo marito la raggiunse:” E dimmi…ti ha portato fortuna?”
Lei si bloccò, trattenendo il respiro. Volse lo sguardo verso Ottaviano, che la guardava a sua volta, con infinita tenerezza.
Lei si avvicinò a lui, prese la mano di lui, la chiuse intorno al ciondolo e ne baciò le nocche. “Sì” disse, guardandolo negli occhi.
Lui sorrise –dei, quanto amava quel sorriso- e senza dire niente si portò alle sue spalle e le legò il ciondolo intorno al collo.
Poi le circondò la vita con le braccia e appoggiò il mento sulla sua spalla, mentre il cuore della giovane si scioglieva a quel contatto. Rimasero così per un tempo infinito, prima che Ottaviano rompesse il silenzio:
“Buon compleanno, Livia”.

D’una fiera pace è foriero il mattino,
e il sole, per la commozione, non vorrà mostrare il suo volto.
Andate pure, e dibattete ancor fra voi le ragioni di questi allegri casi.
Taluni saranno ricordati, perduti altri.
Giacché non vi fu mai alcuna storia più bella che questa
di Livia e del suo Ottaviano.



Note dell’autrice: sì, ecco, scusatemi. Non è un granchè, come storia, ed è decisamente troppo buonista e sempliciotta per i miei gusti. Però mi piace, mi ci sono affezionata. Era –è- il regalo di compleanno per la mia migliore amica, nata il 30 Gennaio, come Livia. Pubblicata estremamente in ritardo con la sua benedizione ^^.
Mi sono presa parecchie libertà storiche, non ultima l’aspetto di Ottaviano (un romano biondo. Ma perché? Tutta colpa della fiction Roma) e di questo vi chiedo immensamente perdono.
Un paio di credits: le frasi in inglese vengono da una canzone di Kelly Clarkson, Breakaway, mentre i versi finali sono una parafrasi (sic!) dei versi conclusivi del magnifico Romeo e Giulietta di Shakespeare (il maestro si starà rivoltando nella tomba per questo).
Detto ciò, se avete domande, commenti sia negativi che positivi, non avete che da schiacciare il pulsantino lì sotto!
Ave!
   
 
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