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Autore: Vampire_Swan    31/03/2010    2 recensioni
Ciao ragazzi, questa one-shot è tratta da un mio incubo. Avevo pensato di scriverla perché in particolare questa, tra tutti gli incubi che faccio, mi è rimasta bene impressa nella mente perché racchiude più mie paure, cioè: essere in un posto che non conosco lontano da casa ed essere in ritardo, stare da sola in un posto buio all’aperto e con degli sconosciuti, essere violentata. Buona lettura e… fatemi sapere se vi è piaciuta, per me è molto importante.
Genere: Horror, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao ragazzi, questa one shot è tratta da un mio incubo. Avevo pensato di scriverla perché in particolare questa, tra tutti gli incubi che faccio, mi è rimasta bene impressa nella mente perché racchiude più mie paure, cioè: essere in un posto che non conosco lontano da casa ed essere in ritardo, stare da sola in un posto buio all’aperto e con degli sconosciuti, essere violentata. Buona lettura e… fatemi sapere se vi è piaciuta, per me è molto importante.

La Paura

Non so come, ma salii sull’autobus sbagliato, così dopo due fermate scesi, ma dimenticai il mio zaino sopra. L’autobus ripartii, e io stavo lì ferma a pensare se è meglio recuperare lo zaino, o tornare a casa il più in fretta possibile, visto che ero in un posto che non conoscevo. Rincorsi l’autobus per un bel pezzo quando si fermò. Salii, presi lo zaino ma esso ripartì, e non si fermò più. Era come se lo facesse apposta a portarmi sempre più lontano da casa mia e dai miei genitori preoccupati. Provai a chiamarli ma il cellulare era scarico e non si accendeva. Mi ritrovai con 2 zaini abbastanza pesanti e una busta di non so cosa. Guardai l’orario dentro l’autobus: le 19.58, e si stava facendo davvero buio. Fui invasa dall’angoscia e la paura. Improvvisamente si fermò dopo una ventina di fermate saltate. Scesi di corsa per prendere l’autobus che portasse dalla parte opposta, e per tornare a casa. Non saprei descrivere com’era la fermata: solo due panchine, occupate da dei ragazzacci tra i 16 e i 20 anni che ridevano sguaiatamente, e sembravano ubriachi, e  uno o due metri avanti a loro, delle giostrine per bambini. Il fatto è che ormai era tutto letteralmente buio e quasi non ci vedevo più. Irresponsabilmente mi avvicinai facendo finta di niente e non badando a loro. Posai i miei bagagli pesanti vicino a una panchina e feci il giro di quel piccolo parco per vedere se ci fosse qualcuno che potesse aiutarmi. Quasi attaccata al parco, c’era un oratorio, molto simile a quello vicino a casa mia. Per un attimo mi illusi che fosse proprio quello e che in pochi minuti sarei tornata a casa. Ma purtroppo non era così. Girai intorno all’oratorio, di solito c’era qualche prete che la sera faceva dei corsi ai ragazzi. Mi incamminai sempre più velocemente, come se mi sentissi seguita. Così da lontano intravidi una porta socchiusa e una luce giallastra provenire dall’interno. Non mi importava che figura avrei fatto, sarei entrata a chiedere aiuto. Mentre mi avvicinavo, la voce di uno di quei ragazzi di prima: “Ei piccola, non andare via” mi fece accapponare la pelle. Era da solo ed era uno dei più giovani. Entrai di corsa senza fiato dentro quella porta. Delle persone stavano mangiando e io provai a balbettare qualcosa.
“S-s-scusate… d-dovete aiut-tarmi. C’è un ragazzo qua fuori che mi vuole molestare.” Dissi con un filo di voce. La gente mi fissava con occhi sgranati e non disse nulla. Mi buttarono fuori e quel ragazzo ora era in compagnia di altri due suoi amici, e il buio si fece sempre più profondo, non intravidi neanche il loro volto. Sapevo che ero arrivata alla fine di tutto. Non mi importò più nulla, solo dei miei poveri genitori. Come si sarebbero spaventati, e come sarebbero stati distrutti dal dolore dopo la notizia della mia morte. Non riuscii neanche a immaginare come stessero e improvvise lacrime di rabbia e non di tristezza mi scesero sul viso.
“Nessuno può aiutarti. Non fare la difficile.” Disse un ragazzo. Iniziarono a strattonarmi e togliermi i vestiti. Non opposi resistenza, perché sapevo che era assolutamente inutile e infantile. Se dovevo morire lo avrei fatto da coraggiosa e non da vigliacca. Riuscii a spiccicare solo 3 parole, decise, nette e forti.
“Fate in fretta.” Lo sguardo perso nel vuoto, la paura e la nostalgia delle persone che amavo. Prima il buio e poi il nulla…
 

 

Prestare attenzione: quando mi svegliai dal sogno, erano le 19.58, ed il mio viso era ricoperto di lacrime.

  
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