TU RIFUGIO AVRAI
"e sul mio cuore tu rifugio avrai..."
Massimo Bubola, TU RIFUGIO AVRAI.
Julian si svegliò di soprassalto, trovandosi
inghiottito dall’oscurità.
I suoi sensi, ancora ottenebrati dal sonno,
percepivano vagamente il rumore del mare in tempesta aldilà della grande
finestra in fondo alla stanza, la sua
stanza.
Eppure, quel buio e quelle ombre, se possibile,
anziché rincuorarlo per la loro familiarità, lo inquietarono ancora di più;
nervosamente, il giovane scostò le lenzuola madide di sudore e si mise seduto, i
suoi piedi nudi sfiorarono il marmo freddo, trasmettendogli un brivido freddo
lungo la schiena.
Sentiva sotto di sé il rassicurante calore del proprio
corpo e la forma del materasso, ma percepiva comunque qualcosa che non
andava.
Se lo sentiva sin nelle ossa, qualcosa di spaventoso
gli serpeggiava sotto pelle, il cuore sembrava battere all’unisono con le onde
fuori da lì, nel mezzo della tempesta, salire, salire, sino in gola, e
rituffarsi tra i flutti, attanagliato da una morsa gelida che non gli lasciava
scampo.
Scosse la testa, cercando di allontanare quei
pensieri.
Si alzò in piedi e si diresse, con la sola copertura
della propria pelle, coraggiosamente verso la
balconata.
La portafinestra era socchiusa, non ricordava se la
sera precedente l’avesse chiusa o meno ma in quel momento non aveva importanza:
il mare lo stava chiamando, ne era irresistibilmente attratto, come una madre
che accorre al capezzale del figlio che piange, lui accorreva al suo mare, che
lo invocava, invocava il suo aiuto.
Il contatto con la gelata aria della notte in tempesta
lo fece rabbrividire, i piedi scivolavano sulla pietra umida e odorosa di
salmastro, senza un appiglio, le sue mani arrancavano alla ricerca della
balaustra per poggiarvisi, aggrappandosi per evitare che il vento impietoso lo
portasse via; il sonno lo assaliva a ondate continue, senza tregua, si sentiva
confuso e spaesato in quella furia cieca da parte
dell’oceano.
Poteva vedere le onde infrangersi sugli scogli,
sentiva gli spruzzi salati sul proprio viso, gli occhi bruciavano, la pelle del
viso era arrossata, sferzata dalle instancabili raffiche, le orecchie piene del
grido senza speranza delle acque e dell’aria; fu preso da un’improvvisa paura,
l’adrenalina scorreva assieme al sangue, provò il desiderio folle di fuggire,
fuggire lontano e nascondersi, era troppo per lui, era un semplice essere umano
di fronte alla furia degli elementi, cosa mai avrebbe potuto
fare?
La tempesta aumentò d’intensità, ormai non aveva più
nemmeno sensibilità alle mani, tutto attorno a lui aveva il sapore di un
sogno.
“JULIAN-SAMA!! COSA FA QUI
FUORI?”
La voce preoccupata di Sorrento, che cercava
faticosamente di sopraffare il clamore dei tuoni e del mare, lo riportò per un
attimo alla realtà; si voltò di scatto, vedendolo aggrappato alla finestra
spalancata, lo sguardo smarrito e spaventato del giovane musico dai capelli
spettinati e tirati con forza dal vento ruggente gli provocò una sensazione di
disagio e dispiacere.
“JULIAN-SAMA, RIENTRI, LA
PREGO!!”
Il flautista mollò per un istante la presa
sull’appiglio, venendo quasi sbattuto per terra come una bambola: “La prego,
signore… Non può restare qui fuori…” la richiesta del nordico venne inghiottita
dalla tempesta, ogni sua parola spariva nell’abbraccio letale della bufera;
“ALLONTANATI!” gridò con voce imperiosa Julian, gli occhi color del cielo
divennero più scuri, si assottigliarono, come a voler distinguere qualcosa nel
cuore della burrasca.
Ma l’austriaco non si mosse, restò sulla soglia della
portafinestra, lo sguardo sbarrato ma concentrato sull’esile sagoma del suo
signore, i grandi occhi dalle sfumature del rubino accarezzarono la figura
snella che si ergeva di fronte alla collera della natura, di fronte a quel mare
a cui era indissolubilmente legata.
“Signore… cosa le sta accadendo…?” mormorò il
musicista, muovendo un passo fuori dal rifugio sicuro della grande casa, gli si
portò accanto, sfiorandogli la pelle delle spalle con la punta delle dita
sottili e pallide, la sentiva gelida, come se fosse stata plasmata nel ghiaccio;
a quel contatto gentile e affettuoso, il cuore del greco ebbe un brutto
sobbalzo, il respiro gli si mozzò in gola, ma la tempesta sembrava
improvvisamente scemare, il mare e le onde si placarono, abbandonandosi con
dolcezza le une sulle altre.
Sorrento sospirò, la lunga vestaglia dai riflessi blu
che gli copriva leggermente il corpo, quel tanto che bastava per evitargli
brividi di freddo, ondeggiava al delicato soffio della brezza umida di
salsedine, le sue mani non lasciarono neppure per un istante la presa sulle
scapole di Julian.
“Cosa è successo…?” sussurrò debolmente il greco,
respirando a pieni polmoni, tremando di freddo, “Il mare… La tempesta…”
balbettò, guardandosi attorno, si sentiva svuotato e stanco; il Marine scosse il
capo, sorreggendolo: “è tutto a posto, mio signore…?” domandò appena Siren,
scrutandolo in viso preoccupato, “Cosa le stava accadendo? Perché è uscito con
questo tempo?” chiese il flautista
inquieto.
Solo gli fece cenno di lasciarlo, ansimando: “Sto
bene…” lo rassicurò, sfregando una mano sul viso, “Sto bene…” cercò di
convincersi, malgrado le gambe che tremavano, non aveva mai avuto una sensazione
simile in vita sua, la testa gli girava
ancora.
“Perché è uscito con questo tempo? In queste
condizioni poi…” sospirò l’austriaco, passandogli una mano calda sulla fronte
gelata e tenendogli delicatamente le braccia, “Qualcuno mi stava chiamando…”
bisbigliò il signore, scrutando il mare in lontananza, le braccia mollemente
poggiate alla balaustra, “non potevo ignorarlo.” mormorò con voce debole e
febbricitante.
La presa sui suoi polsi si fece più forte e sicura, il
viso di Sorrento s’incupì: “Signore… il mare reagisce al suo stato fisico.. Se
lei soffre, anche le acque a lei fedeli ne risentono, se lei prova gioia o
sicurezza, loro reagiscono di conseguenza… in questo momento, è attanagliato da
una febbre che non le da tregua e anche l’oceano prova dolore. Si riposi, per
favore… non sforzi ulteriormente il suo fisico già provato…” mormorò il Marine
con voce rotta.
“Quella collera cieca… veniva davvero da me?” chiese
fiocamente, rabbrividendo di freddo, il suo corpo venne squassato da spasimi di
tosse, “sono stato io a provocare tutto questo?” i suoi grandi occhi blu
diventarono lucidi per lo stupore e la febbre, strinse i pugni al cuore,
chinando il capo, "quella distruzione senza senso, quella rabbia feroce priva di
controllo, mi apparteneva veramente? Dimmelo, Sorrento!” gridò con aria
smarrita.
“non c’era scampo… Non c’era rifugio… niente di
niente!! Non si poteva fuggire, mi sentivo del tutto in balia degli elementi.
Dimmi, è stata davvero colpa mia?”.
Il Marine non sapeva cosa
dire.
Tutto gli sembrava inutile in quel momento, ogni
parola che gli affiorava alla mente gli pareva
riduttiva.
In un gesto puramente istintivo, gli afferrò le mani
con delicatezza e se le portò al cuore, chiuse gli occhi, stringendole piano tra
le sue: “qualunque tempesta sconvolga il mare, lei sappia che avrà sempre un
rifugio sicuro in me e nel mio cuore, lo ricordi
sempre.”.
Fu un atto involontario e inconscio, eppure ebbe
l’effetto di riportare la pace nel cuore del signore dei Mari, che aggrappò a
quelle mani come a un salvagente: “si lasci condurre al sicuro..” gli sussurrò
all’orecchio la voce del suo salvagente, “io sarò sempre il suo porto dove
aspettare che ritorni il Sole.” mormorò, prendendolo con facilità tra le
braccia.
Semiprivo di sensi, Julian percepiva solo il calore
del musico che aderiva alla perfezione alla sua pelle gelata e umida, un caldo
abbraccio che gli infondeva tranquillità sin nel profondo dell’animo; si lasciò
portare dentro casa, riconobbe a malapena l’odore di menta che impregnava il suo
bagno, udì distintamente lo scroscio dell’acqua che cadeva sulla superficie
immacolata della vasca, quante volte quel suono lo aveva cullato e condotto con
sicurezza attraverso le nebbie del
sonno.
Dopo, non ricordo granché, solo la vaga sensazione
dell’acqua calda che lo avvolgeva, il contatto con le mani gentili di Sorrento
sulle sue spalle tese e infine il fresco del suo letto e del suo cuscino; tese
l’orecchio, la tempesta sembrava essere del tutto
cessata.
Accanto a sé, percepiva la rassicurante presenza del
suo salvagente, lo sentiva al suo
fianco.
“è finita?” bisbigliò, affossando il viso nel morbido
guanciale, era esausto; l’austriaco gli sfiorò con un fazzoletto bagnato le
labbra secche, facendogli bere qualche goccia d’acqua, “si, è finita.” la voce
stanca del musico gli giunse come una
benedizione.
“Ho scelto un rifugio perfetto…” sospirò, sorridendo dolcemente con l’ultimo frammento di forza rimastogli prima di crollare definitivamente tra le maglie del sonno.
ANGOLO DEL LEMURE VIOLETTO:
è una JulianXSorrento, una coppia che personalmente amo, essendo fan sfegatata del Marine di Siren.
Non so da dove sia uscita fuori questa cosa, ma ne vado particolarmente fiera, per la prima volta le parole sono fluite in modo perfetto, senza interruzioni et similia...
Vado molto fiera di questa fic.
E la dedico al mio capo e guida spirituale, PERSEOEANDROMEDA, che mi ha sempre supportato*^*
UN BACIO
CHARLIE