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Autore: _matthew_    01/04/2010    6 recensioni
La squadra di Gibbs come nessuno l'aveva mai vista prima. Le impressioni, i sentimenti e la vita di chi è chiamato, o forse costretto, a prendere il posto di Ziva nella squadra più affiatata dell'N.C.I.S. e scopre sulla sua pelle il reale significato del motto "Semper Fidelis". Un motto che pesa più di un macigno, quando si cerca di inserirsi in un gruppo a cui non si appartiene. E' possibile sfuggire al peso del passato, facendosi accettare e rispettare?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buongiorno a tutti! eccomi tornato con una shot un po' particolare, un esperimento a dir la verità.
Ambientata tra sesta e settima stagione, quando la squadra è ormai convinta che Ziva sia morta. Spero che possa piacere! Buona lettura!





Non era riuscita ad arrivare prima dei suoi colleghi, il traffico l'aveva beffata, facendole perdere minuti preziosi: diciannove preziosissimi minuti, per l'esattezza. Minuti che potevano significare, a scelta, scappellotti, rimbrotti, o un pessimo inizio di giornata.
Nessuno scappellotto raggiunse la sua nuca all'uscita dell'ascensore, mentre il direttore Vance non era in vista e di conseguenza neppure i rimbrotti su impegno ed integrazione nella squadra; tuttavia il sorriso sornione di DiNozzo e l'aria troppo innocente di McGee erano un messaggio eloquente: l'attendeva un pessimo inizio di giornata.
Sospirò, avvicinandosi lentamente alla sua scrivania, studiandola con attenzione. Il piano era pulito e gli oggetti erano esattamente nelle stesse posizioni in cui li aveva lasciati, anche le piccole e leggere striscioline di carta anti-DiNozzo.
Lanciò la borsa contro la parete divisoria, controllando con un'occhiata sospettosa la sedia, che superò l'esame. Si sedette con la circospezione che aveva imparato ad usare in quei due mesi di lavoro con quella squadra; la migliore dell'N.C.I.S. le avevano detto. Certo, la migliore nel settore asilo infantile, forse.
La sedia sembrava solida, quindi si arrischiò a posarci sopra il suo intero peso. Prese un foglio di carta e senza neppure fingere di mascherare il movimento lo passò pesantemente sulla tastiera del suo computer, un accorgimento che aveva iniziato ad usare da quando si era trovata costretta a passare un'intera mattinata con le dita della mano sinistra attaccate alla tastiera, fino a quando una pietosa e ridanciana Abby non le aveva portato dell'acetone.
Ziva non aveva mai subito uno scherzo del genere, le aveva fatto notare, ne Tony avrebbe mai osato farle uno scherzo del genere. Già, invece lei ci cascava e Tony osava, McGee taceva e rideva e Gibbs si limitava ad imparziali e a volte ingiusti scappellotti.
Un ambiente più adatto ad una scuola elementare, con un educatore parziale e benevolo nei confronti del casinista della classe, che ad un ufficio federale.
L'educatore parziale comparve dal nulla con la sua immancabile tazza di caffè, dirigendosi a passo di marcia verso l'ufficio del direttore, strappandole un sospiro di sollievo: forse per quel giorno non ci sarebbe stato nessun intervento sul campo da fare, nessuna passeggiata con almeno quattro kit diversi in precario equilibrio tra le sue braccia senza nessuno che le spostasse da davanti neppure una foglia. A Ziva, ovviamente, non era mai successo, si premurava di comunicarle Duky.
Comunicazione ripetuta e reiterata ogni volta che sbagliava un'ipotesi su una causa di morte, o quando non riusciva ad intuire uno degli ordini inespressi di Gibbs, provocando sonori sbuffi e brontolii di disappunto.
Naturalmente neppure quello era mai successo a Ziva, lei non aveva mai sbagliato il tempo d'inserimento tra le porte dell'ascensore che si stavano chiudendo, lei non aveva mai riavviato l'ascensore convinta che il capo avesse attivato inavvertitamente la leva dell'arresto d'emergenza. Lei non aveva mai mancato un sospettato in un conflitto a fuoco, certo che no, e nessuno si soffermava a pensare che dipendesse dal fatto che fosse un fottutissimo killer addestrato ad ammazzare e non un agente federale addestrato a pensare.
Ma no, lei era geniale, simpatica, divertente, affascinante; il suo nome era sempre sulle labbra di Tony. Trovava strano che non chiamasse, la maggior parte delle volte, oppure si limitava a ricordare con McGee alcuni dei momenti più divertenti che aveva regalato loro: Ziva e il suo comico sbagliare ogni modo di dire, Ziva e la sua tecnica d'interrogatorio sempre efficace, Ziva e le sue battute pungenti, Ziva, sempre e solo Ziva.
Ziva che in quell'ufficio, anche se era lontana più di mille miglia, era molto più presente e considerata di lei.
Trovava estremamente frustrante quella situazione, mentre batteva irosa sui tasti del suo computer si ritrovò a chiedersi per l'ennesima volta come avesse fatto a passare dalla posizione della migliore della scuola a prima degli stupidi.
Metaforicamente parlando, ovvio; il primo degli stupidi di qualsiasi dannatissimo liceo se la passava molto meglio di quanto se la passasse lei. Che diavolo le era venuto in mente, quando aveva deciso di lasciare la D.E.A. per quella barzelletta di agenzia e soprattutto per quella caricatura di squadra?
Battè i tasti con troppa veemenza e dalla tastiera si levò una sottile polverina rossastra che le si attaccò sulle mani. Storse il naso in una smorfia di disappunto e disprezzo: la trovata del giorno dell'idiotissimo agente speciale Anthony DiNozzo, polvere pruriginosa nella tastiera del computer. Solo a un idiota del genere potevano venire in mente certe cose.
Si fiondò verso il bagno, le mani strette l'una all'altra nel vano tentativo di soffocare la fastidiosa e pungente sensazione di prurito; tenne la testa alta mentre passava davanti alla postazione di DiNozzo, ma gli occhi erano bassi: non sarebbe riuscita a reggere quel suo sorrisetto sornione divertito e soddisfatto per l'ennesimo scherzo andato a buon fine.
La porta del bagno dei maschi le si presentò davanti, ma la evitò. ZIva, certamente, se ne sarebbe fregata, avrebbe aperto quella dannatissima porta e avrebbe usato uno dei lavandini riservati ai così detti uomini, ma lei non era Ziva.
Lei rispettava le regole, lei avrebbe fatto tutto il giro del corridoio e sarebbe andata nella toilette delle signore e al diavolo le conseguenze. Non era Ziva, non voleva essere Ziva, le faceva schifo ZIva!
Riemerse dal bagno con le mani ancora arrossate, ma l'acqua fredda aveva eliminato del tutto la polvere rossastra e la sgradevolissima sensazione di prurito.
Marciò verso la scrivania -la scrivania di Ziva ovviamente, non quella dell'agente speciale Larson- il suo orgoglio ormai lacero che le imponeva di abbandonare la partita, le urlava di ritirarsi. Perchè l'orgoglio umano serve proprio a questo, a spingere le persone a fuggire dall'ultimo confronto, da quell'ultima sfida che non farebbe altro che mandarle in pezzi, annichilirle.
E' a questo che serve l'orgoglio: a ritirarsi quando si è ancora in tempo, ad evitare l'annientamento; poi, una volta salvi, si può pensare alla vendetta e alla rivincita, ma prima ci si deve salvare.
Solamente gli eroi trovano la forza di annullare l'orgoglio, solamente loro hanno il coraggio -o la pazzia- di affrontare quell'ultimo scontro che porterà inevitabilmente alla loro distruzione semplicemente per il bene superiore. E di una cosa era assolutamente certa: lei non era un eroe, ne ci teneva ad esserlo.
Gibbs passò davanti alla sua scrivania, riscuotendola per un attimo dai suoi pensieri; lanciò un fugace sguardo a DiNozzo e a McGee, pronta a cogliere uno dei segnali che aveva imparato a interpretare come "prendi la tua roba e fiondati in ascensore prima che le porte si chiudano se vuoi evitare scappellotti e guai".
Il segnale atteso non arrivò, l'ascensore si aprì e richiuse senza che nessuno si dovesse buttare al suo interno come se ne andasse della sua vita; rilassò i muscoli di schiena e gambe, crogiolandosi nel pensiero che quella era la sua ultima mattinata di sofferenza. La stampante stava finendo di dare forma alla sua lettera di dimissioni, lettera che stava scrivendo da una settimana e che aveva più volte rivisto e corretto per rimanere nei termini compiti e formali che il decoro e la decenza imponevano.
Si rilassò troppo, arrivando a lasciarsi andare sullo schienale della sedia: mossa sbagliata.
Lo schienale cedette, lasciandola appoggiata al nulla, sospesa nel vuoto; per un folle istante si illuse di riuscire a restare in equilibrio, poi la sedia scivolò sotto il suo corpo che si stava inarcando, le sue gambe salirono oltre il bordo della scrivania. Vide le sue scarpe sopra di lei, prima di toccare terra con la schiena, prima che la sedia manomessa da DiNozzo le rovinasse addosso strappandole un'imprecazione.
"Te l'avevo detto che ci sarebbe cascata, pivello!" esultò DiNozzo. Anche se non lo vedeva, sapeva che le sue labbra erano tirate in quel suo infantile e fastidioso sorrisetto sornione. Quel sorriso a cui, ovviamente, Ziva rispondeva con frecciate velenose e che lei non poteva fare altro che subire impotente.
McGee portò la mano alla tasca posteriore, estraendo il portafoglio. Quel suo rocambolesco volo, quella sua ennesima ed umiliante figuraccia, quell'ultimo e fatale colpo basso al suo orgoglio, valeva solamente cinque, miseri, schifosi dollari.
Prese i fogli che la stampante aveva appena finito di sputare, li allineò con un colpo secco e stizzito e avanzò verso la scrivania di DiNozzo. Se fosse stata Ziva, se fosse stata lei a fare quella caduta e ad avvicinarsi con quel passo alla sua scrivania, DiNozzo sarebbe come minimo arretrato, o per lo meno avrebbe perso quel suo ghigno sornione; ma lei non era Ziva e DiNozzo continuava a fissarla con aria insolente.
Il pivello, lei in quattro mesi non si era meritata neppure l'appellativo di pivella -impresa riuscita perfino alla poco brillante agente Lee- ma era rimasta ferma alla definizione di agente Larson, oppure Larson e basta, aveva almeno la decenza di abbassare lo sguardo e fingersi molto impegnato con il suo computer.
Sbattè le sue dimissioni sulla scrivania di DiNozzo con tutta la forza di cui disponeva, poi tornò sui suoi passi afferrò la borsa e marciò verso l'ascensore. Durante quel breve tragitto raccolse le briciole del suo orgoglio infranto, un frammento alla volta, rivedendo ogni scherzo, risentendo ogni battuta, riascoltando ogni commento, provando di nuovo la sgradevole sensazione di ogni scappellotto.
Le porte dell'ascensore si chiusero sull'arioso open space, lei non potè fare altro che chinare la testa e concedere la vittoria all'odiata rivale: Ziva aveva vinto su tutta la linea, vittoria completa, totale, senza possibilità di replica. E andava bene così, al diavolo tutto, non aveva importanza che la tanto talentuosa agente del Mossad fosse ormai morta e sepolta.
"Larson?" chiese atono Gibbs, fissando la scrivania vuota e ancora lievemente sporca di polvere rossastra.
"Le sue dimissioni, capo" replicò la voce altrettanto atona del suo agente anziano, passandogli la voluminosa cartellina. Gibbs era già lontano quando l'ascensore si produsse nel suo tranquillo "ding" e la nuova agente in prova comparve davanti a DiNozzo. Lontano, ma non abbastanza per non sentire la frase che Tony rivolgeva ad ognuna di loro.
"Chiariamo subito una cosa: questa scrivania non è vuota, ma momentaneamente libera...chiaro?"
  
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