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Autore: miseichan    01/04/2010    5 recensioni
Una fiammata. Solo una fiammata: bellissima ed evanescente… indimenticabile. Può succedere, è raro ma accade. Tutto di notte, quando meno te lo aspetti. In una metropolitana, con la luna alta nel cielo e note sconosciute in sottofondo. In qualche notte, quando non sembra possibile, un paio di occhiali scuri ed un giaccone troppo grande, possono riuscire a capirsi…
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Lacrime di cristallo'
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don't stop believing

 

 

Don’t stop believing

 

 

- E’ permesso?-
Aprii cautamente la porta, non sentendo alcuna risposta.
Allungai il collo, cercando di vedere all’interno della stanza e fu con un misto di sorpresa e sconcerto che la trovai vuota.

Mossi qualche passo in avanti, portandomi le mani sui fianchi e scuotendo la testa di fronte al caos che vi regnava: non una cosa che fosse al suo posto. Voglio anche capire i libri sotto il letto, le patatine sulla scrivania e i giochi sul letto ma qualcuno avrebbe poi dovuto spiegarmi come aveva fatto la biancheria a finire sul ventilatore!
La risatina mal celata alle mie spalle mi fece voltare e per poco non mi scontrai con Miranda: lei con un movimento fluido mi scivolò di lato, passando fra la porta e me ed entrando rapida nella cameretta.

Io però reagii prontamente: prima che si potesse allontanare le afferrai uno dei due codini lunghi e biondi che le arrivavano a metà schiena.
Lo tirai stando ben attenta a non usare troppa forza, per non rischiare di farle male.
Riuscii così a farla girare e lei con uno sbuffo scocciato mi si piazzò di fronte: a braccia conserte, dall’alto del suo metro e cinquantacinque, fissandomi con quei suoi enormi occhioni neri.
Atteggiò le labbra in un sorrisetto irritato, come se fosse indecisa se farmi o meno una linguaccia, poi decise per il no e alzando gli occhi al cielo si limitò a sbattere un piede per terra:
- Nonna!-
Annuii in risposta, come a darle ragione: sì, nonna… erano dodici anni che ero diventata nonna e ancora mi sembrava strano che mi chiamasse così. Sia chiaro non strano nel senso brutto, anzi: era ogni volta più piacevole e appagante, ne andavo fiera.

Ero nonna. E avevo una nipotina adorabile.
- Che ci fai qui?!-
- Ho bussato ma nessuno ha risposto-
Risposi, divertita dal suo atteggiamento: dodici miseri anni ed era già un concentrato di grinta e forza tali da far impallidire chiunque!

Io però ero la nonna: era mio dovere tenerle testa per quanto mi fosse possibile.
- Come mai non stavi studiando, signorinella?-
Miranda cominciò a gesticolare con le mani, sembrava quasi stesse cercando di scacciare una mosca che vedeva solamente lei: continuò a parlare, dicendo che non era importante, e poi io dovevo stare dalla sua parte! Ero la nonna insomma, la sua nonnina preferita!
- Addirittura la tua preferita, tesoro mio?-
Lo chiesi con una nota sarcastica nella voce, sul finale però il tono si era andato addolcendo: Miranda infatti mi si era avvicinata, abbracciandomi di slancio ed annuendo convinta. Ricambiai l’abbraccio per quanto sapessi che tutto quell’improvviso affetto, con buone probabilità aveva anche un secondo fine: conoscevo bene la mia nipotina in fin dei conti.
- Certo che sì! Nonna… mi daresti un aiutino?-
Scoppiai a ridere sentendoglielo chiedere: le nonne hanno sempre ragione!
La allontanai da me, spingendola delicatamente verso la sua scrivania, quindi con un sospiro mi sistemai per bene sul suo letto.

Non appena anche Miranda ebbe preso posto, la guardai con fare interrogativo, lei in risposta si strinse nelle spalle aprendo al contempo un quaderno a righe:
- Devo scrivere un tema sull’importanza delle canzoni. Ma non sulla musica in generale, è questo il problema! Cioè le canzoni nel senso dei testi! Ma che roba è?!-
Sorrisi accorgendomi di come la cosa davvero la sconcertasse: scossi impercettibilmente la testa e poggiando il mento sulla mano, con fare pensieroso, aspettai che mi prestasse attenzione:
- E perché, Miri? Quando ascolti la musica a cosa pensi, di solito?-
- Non al testo!-
Rispose lei, con ovvietà, prima di continuare:
- E’ raro che mi piacciano le canzoni italiane, almeno ultimamente e poi ad essere sincere nonna, le ultime non è che siano chissà cosa di tanto eccezionale! Le altre invece sono inglesi… e non è che ogni volta mi sprema per capire cosa diavolo dicono!-
Annuii con fare comprensivo: in fondo era la verità. O almeno è così che sembrava pensarla il più dei giovani.

Sbagliavano però, poco ma sicuro.
- Non dovrebbe essere così, tesoro. Spesso i testi sono importanti: rendono la canzone ancora più speciale, è come se dessero un qualcosa in più. Bisogna solo saperci prestare attenzione-
Miranda mi guardava ma senza capire.

Sembrava si stesse davvero applicando, eppure non riusciva a comprendere il mio ragionamento: non mi seguiva veramente.
Sospirai di nuovo, cercando un modo per aiutarla ma davvero non sapendo come fare.
E fu per caso che ebbi l’illuminazione, che mi tornò in mente quella storia.

L’avevo quasi dimenticata, accantonandola in un angolo dei miei ricordi.

Sembrava quella giusta però.
- Ti è mai capitato di sentire una canzone di cui il testo rispecchiava la realtà, tesoro?-
Miranda negò con il capo dopo pochi attimi e fu una piccola luce nei suoi occhi: un accenno di curiosità appena visibile, che mi convinse a cominciare il racconto.
Che avevamo da fare tanto? L’unico impegno era quel tema e certo non sarebbe scappato da nessuna parte.

Lanciai di sbieco un’occhiata agli ultimi raggi di sole della giornata e poi, preso un bel respiro, iniziai a raccontare:
- Non così tanti anni fa, quando ancora non ero in pensione, ci fu un periodo in cui all’ospedale dovevo fare i turni di notte: dall’una alla mattina. Così ogni sera prendevo la metropolitana per andare a lavoro, intorno alla mezzanotte, quando i vagoni sono quasi completamente vuoti-
- E non avevi paura?-
Miranda lo chiese con un accenno di sorpresa nella voce, come se sarebbe stato strano il contrario.
- No, certo che no: chi vuoi che facesse male ad una vecchierella come me? Ma il punto della storia non è questo, tesoro, e non sono nemmeno io. E’ stato anni dopo che ho fatto il collegamento con una canzone, sai? Lì per lì non ci avevo fatto caso ed è stata un’enorme sorpresa accorgermi di come quel testo rispecchiasse la realtà, o almeno quello che per me era stato reale-
- Che canzone?-
Sorrisi, contenta del fatto che sembrasse realmente interessata, e con un cenno della mano risposi:
- Don’t stop believing, dei Journey, l’hai mai sentita?-
Miranda annuì vivamente, facendo al contempo un movimento agitato con la mano:
- Sì, ma non quella dei Journey: l’hanno rifatta in una serie televisiva ultimamente. La cantano quelli del Glee Club!-
Strinsi gli occhi, non avendo la minima idea di cosa stesse parlando e rapida ripresi il discorso che mi interessava veramente:
- Sai cosa dice il testo della canzone?-
Miranda negò ancora con la testa e io non me ne sorpresi più di tanto:
- E’la storia di due giovani: un ragazzo ed una ragazza che prendono ogni sera il treno della mezzanotte, per poi passare la nottata assieme-
- E perché dici che è reale?-
- Perché io li vedevo ogni notte: e non puoi immaginare la mia meraviglia quando sentendo le parole della canzone trovai così tante cose che coincidevano.
Certo, non era un treno il nostro ma un semplice vagone della metropolitana, non è quello l’importante tuttavia: sono i due ragazzi ad interessarci. C’era lui: un bel ragazzone, alto, con un ammasso di capelli scuri, che saliva una fermata dopo di me. La canzone dice: “Just a city boy, born and raised in south Detroit” il che sta a rimarcare il fatto che lui fosse di città, abituato ai lussi… o almeno è così che la vedevo io: lui era particolare, questo è sicuro. Ogni volta lo osservavo, con quei suoi jeans scuri ed il giubbino elegante; indossava sempre gli occhiali da sole lo sai?-
Miriana annuì di rimando, per darmi ragione ed incitarmi a continuare: si era accucciata meglio sulla sua sedia, raccogliendo le gambe vicino al petto e stringendole forte.
- Lo fanno anche a scuola mia: mettono gli occhiali anche quando non c’è il sole, si sentono più belli così, più fighi!-
Risi sommessamente ascoltando la sua risposta e poi ripresi a parlare:

- Bè, certo era affascinante, per quanto fosse strano vederglieli indossare con la luna fuori. Ad ogni modo la nostra lei, e la lei della canzone, è invece diversa: “Just a small town girl, livininin a lonely world” Lei saliva dopo più di cinque fermate: era minuta, singolare oserei dire. Portava i capelli tagliati a caschetto, ed indossava sempre un vestitino con sopra un giaccone enorme in cui sembrava si volesse nascondere. Non ci riusciva bene, però. Lui la notò subito-
Feci una pausa per riprendere fiato, soddisfatta del silenzio di mia nipote, segno che in qualche modo era davvero presa dalla storia:
- Per i primi giorni li osservai: lui si comportava in modo bislacco. Non sapeva cosa fare, si agitava sul posto, continuando a lanciarle occhiate di sfuggita. Era come se si stupisse del proprio comportamento: come se non avesse mai provato davvero quelle sensazioni. Credo non volesse accettare l’idea di essersi preso una cotta per quella tenera ragazzina. In fin dei conti pensaci: lui, figo come dici tu, prendersi una sbandata per una perfetta sconosciuta? Non poteva essere.
Quel suo comportamento mi faceva divertire tantissimo: adoravo osservare le reazioni di quei giovani. Mi convinsi in seguito che dopo la prima volta per cui fu un caso se presero entrambi la metro a quell’ora, continuarono a prenderla semplicemente per vedersi ancora.
Entrambi ci tengo a specificare. Perché anche lei si era accorta di lui, ne sono sicura. Non lo dava a vedere, solamente. Se ne stava accoccolata sul suo sedile, con le gambe piegate sotto di sé, facendosi piccola piccola nel suo enorme cappotto. E non lo guardava mai. Solo quando scendeva gli passava accanto e gli lanciava una rapida occhiata, senza indugiare più di tanto.
La cosa faceva impazzire il giovane. Dopo il quinto giorno si decise a fare qualcosa, credo che altrimenti sarebbe impazzito probabilmente: quando per scendere lei gli passò di fianco, lui allungò delicatamente una mano, timido come nessuno lo avrebbe mai giudicato. E con un movimento quasi invisibile sfiorò la mano piccolissima di lei.
Da quel momento deve essere scattato qualcosa: di sera in sera si avvicinavano di più. Ogni volta lui si avvicinava a lei, ogni volta un sedile più vicino. E cominciarono a guardarsi molto: lui non riusciva più a smettere di fissarla e lei si ritrovava sempre più spesso a sollevare gli occhi su di lui.
Io cercavo di non fissarli troppo apertamente: non mi sembrava gentile. Era più forte di me studiare quella strana evoluzione dei fatti però. Dovevo vedere come si mettevano le cose.
Un venerdì notte, quando fu il mio turno di scendere, lo feci a malincuore, lanciando un’ultima occhiata a quei due seduti l’uno al fianco dell’altro. Non mi andava di scendere e sai perché?
Perché poi la notte successiva non sarei dovuta andare a lavoro, e l’idea di non vederli per una sera mi dispiaceva più di quanto avrebbe dovuto. Due sere dopo, perciò, mi ritrovai ad aspettare la metro in anticipo, impaziente di salire. Mi ripetevo che in fondo non potevo essermi persa niente.
Mi sbagliavo.
Quando alla fermata successiva salì lui, ebbi un tuffo al cuore: non indossava gli occhiali. Prendendo posto mi rivolse un sorriso, salutandomi silenziosamente, guardandomi con due bellissimi occhi grigi. Sembrava felice, felice come non lo era mai stato.
Dieci minuti dopo salì anche lei: non sembrava diversa, l’unico cambiamento, minimo, erano i capelli che teneva dietro l’orecchio. Eppure fece una cosa che non mi sarei mai aspettata: entrò a testa bassa, e poi non appena alzò lo sguardo, la vidi incrociare quello di lui.
Il ragazzo le rivolse un sorriso smagliante, da mozzare il fiato, e aprì le braccia verso di lei, alzandosi in piedi. Lei senza aspettare un secondo di più, vi si buttò incontro, raggiungendolo in pochi passi e gettandogli le braccia al collo.
Non riuscivo a credere ai miei occhi.
Come era possibile, mi chiedevo: in una sera cosa mi ero persa? Come erano potuti già arrivare a questo, dal semplice stare seduti l’uno al fianco dell’altro?
Non lo capii mai, eppure a dire la verità, la cosa non mi interessava davvero.
Da allora, per un mese e più a venire, prendere la metropolitana fu un piacere: era come se stessi facendo una cura, come se ogni volta mi iniettassero una dose di gioia.
Era bellissimo vederli: se ne stavano lì, poco distanti da me, abbracciati. Stretti l’uno all’altra.
E sembrava che esistessero solamente loro.
Come se niente altro importasse a parte gli occhi dell’altro.
Dolcissimi. Assurdamente teneri.
E’ indescrivibile l’amore che trasmettevano.
In pochi gesti: una carezza, un bacio, uno scambio silenzioso di parole.
Non erano gesti programmati, gli venivano naturali, e proprio per questo erano magnifici.
Lui non indossava più gli occhiali.
Lei non portava più quell’enorme giaccone.
Sai, credo non ne avessero bisogno: è questo il bello dell’amore. Lui non si nascondeva più dietro un paio di lenti nere, tenendo quei bellissimi occhi grigi sempre fissi in quelli dolci di lei, che invece al posto di chiudersi nella giacca, preferiva stringersi nelle braccia di lui.
Come ho già detto, andò così per più di un mese. Poi le cose cambiarono, di colpo, come erano iniziate. Successe esattamente come la prima volta: quando tornai nel vagone dopo l’assenza di una sera, mi accorsi di quello che era successo.
Lui venne, come al solito e all’inizio non mi resi conto della cosa: ero concentrata sul fatto che sembrasse l’ombra di se stesso. Era entrato a testa bassa, mogio, abbattuto anche solo nei movimenti. Fu quando prese posto di fronte a me che lo notai: indossava gli occhiali.
Per quanto sperassi di sbagliarmi, sapevo che non era così.
Era successo qualcosa.
Lei non venne. Non salì. Mi chiesi perché: come mai non fosse venuta a tirare su di morale quel giovanotto. Provai quasi l’impulso di chiedere qualcosa a lui, non lo feci però. Non era il caso.
Non erano fatti miei.
E in silenzio scesi, andando a lavorare, lanciando un’ultima occhiata a quel povero ragazzo molto triste. Ebbi l’impressione che ricambiasse il mio sguardo, non ne avevo la certezza comunque. E senza aspettare ancora, col timore di cambiare idea, scesi, facendo in ultimo solo un gesto di incoraggiamento col capo.
Mi sembrò di vedere gli angoli della sua bocca inarcarsi leggermente. In quello che poteva essere un fragile sorriso. Niente a che vedere con i sorrisi che regalava a lei…-
- Ma… ma le era… successo qualcosa?-
Alzai lo sguardo su Miriana: non l’avevo più guardata da che avevo ripreso a raccontare, troppo immersa nella storia. E mi sorpresi di vederle gli occhi lucidi: le tremavano le labbra, e mi aveva posto la domanda quasi balbettando.
Sconcertata scossi la testa, facendole segno di venire a sedersi al mio fianco. Lei ubbidì e non appena ebbe preso posto, iniziai ad accarezzarle i capelli.
- No, tesoro mio. Lo avevo temuto anche io. Ma no. Lui continuò a prendere la metro da solo per ancora molto tempo e lei non veniva mai. Lo temetti, te l’ho detto, finché un giorno non la incrociai per la strada: ero sicura fosse lei. Tanto più che indossava anche il solito giaccone-
- E allora… perché… poverino lui… non si fa…-
Annuii, dandole ragione, trovandomi d’accordo con lei.
- Lo so, tesoro. Non c’è un perché. E’ stata una storia speciale la loro, vedila così. Una fiammata.
Una fiammata bellissima tanto quanto evanescente.
Così come è incominciata: dirompente, improvvisa… così è finita.
Non so il perché, non l’ho mai capito.
Ho continuato a vedere lui per ancora un bel po’ di tempo poi, era doloroso però, vederlo così solo-
- Ma allora la colpa è stata di lei?-
Mi strinsi nelle spalle prima di rispondere:
- Mah… quando l’ho vista, anche lei era sola e non mi sembrava nel pieno della forma…-
Miriana sgranò gli occhi, ribattendo ed intestardendosi sulla cosa:
- Se poi stavano male tutti e due allora perché? Perché si sono lasciati?!-
Sorrisi ascoltandola:
- Tesoro, non lo so. Tre settimane dopo mi tolsero i turni di notte e non incontrai più nemmeno lui. Fino ad allora era sempre solo. Forse oggi si saranno resi conto di aver sbagliato e chissà… si saranno rincontrati…  oppure semplicemente si ricorderanno l’uno dell’altro, ripensando a quei momenti con un sorriso e niente di più-
Miranda scosse la testa contro la mia spalla, agitandosi, non soddisfatta:
- No! Non mi piace così!-
Non le chiesi niente, osservandola mentre si alzava e tornava alla scrivania: aprendo il quaderno su una pagina bianca e prendendo in mano una penna. Mi alzai con un sospiro: a pensarci bene non l’avevo nemmeno aiutata davvero, le avevo solo raccontato una storiella che a quanto pareva non le era piaciuta neanche. Stavo per uscire dalla stanza, quando lei mi fermò:
- Nonna…-
- Dimmi, tesoro-
Miriana si soffiò il naso e con voce triste rispose, teneramente:
- E’ una bella storia. Triste ma bella…-
Aveva altro da dire, solo non sapeva se farlo o meno: mi avvicinai, poggiandole una mano sulla spalla ed incitandola a continuare:
- A me piace pensare che si sono ricordati l’uno dell’altra. E che poi una notte hanno deciso di prendere di nuovo il treno della mezzanotte… e si sono incontrati di nuovo. E come la prima volta, in una fiammata, è rinato tutto-
Sorrisi, fissandola con occhi tristi. Sì, era un bel modo di pensarla.
Uscendo, mi chiusi dietro la porta, divertita dalle ultime parole di Miriana.
Non avevo detto niente né avrei dovuto: in fondo era un bene che trovasse un lieto fine in tutte le storie d’amore, anche in quelle finite. Per me non era così facile.
Una fiammata, secondo me, rimane sempre una fiammata.
Ed è bella in quanto tale.
Non si può sperare che come la fenice, rinasca qualcosa da quelle ceneri.

 

*

 

 

 

   
 
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