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Autore: _Pan_    01/04/2010    3 recensioni
Mikan è al suo primo anno di superiori, ma niente si prospetta come lei lo aveva immaginato: tra l'amore, inganni, e addii, la sua permanenza nella Alice Academy si preannuncia molto movimentata.
La storia tiene conto del manga (a tratti da capitolo 51 in su), quindi ci sono spoiler disseminati un po' ovunque. Inoltre, sarà raccontata alternativamente sia dal punto di vista di Mikan che che da quello di Natsume, ma non ci saranno capitoli doppi, nel senso che uno stesso capitolo non sarà raccontato da entrambi.
Coppie principali: Mikan/Natsume, Hotaru/Ruka (accennata)
Genere: Comico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Hotaru Imai, Mikan Sakura, Natsume Hyuuga, Ruka Nogi
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 12 – Sotterfugi
(Natsume)

Quando entrai in camera, scoprii che averle fatto mettere la sveglia non aveva provocato alcun effetto: Mikan dormiva ancora come un sasso. Solo lei poteva continuare a farlo con quella confusione infernale nelle orecchie.
«Mikan...» la chiamai, premendo il tasto sopra la sveglia. Nessun segno di vita: come al solito. La scossi. «Mikan, alzati. Tra meno di due ore devi salire su una macchina e andare da tuo nonno, l'hai dimenticato?» lei, probabilmente ancora persa nel mondo dei sogni, si girò dall'altra parte, con un mugolio. Sbuffai, cercando di non ridere, e la chiamai di nuovo.
Mugolò di nuovo, immergendo la faccia nel cuscino, e si raggomitolò sotto le coperte. La sentii borbottare qualcosa che somigliava a «Guastafeste».
«Buongiorno.» ribattei, sarcastico. Lei sbadigliò, stiracchiandosi, dopodiché mi rivolse la sua attenzione, ma non ero ancora certo che fosse completamente sveglia. Il fatto che lo sembrasse era già qualcosa. «Allora, pronta per partire?» mi rivolse uno sguardo confuso, e io sperai che non fosse successo quello che pensavo.
«Per dove?» con un sospiro, mi sedetti sul letto, cercando di non perdere la calma. Negli ultimi tre giorni, si era comportata esattamente come aveva sempre fatto quando qualcosa la eccitava particolarmente: non aveva smesso di parlarne neanche per un secondo, tanto che a volte mi chiedevo se fossi in grado di comprendere di nuovo altre parole che non fossero “nonno” e “viaggio”. E aveva anche il coraggio di farmi quella domanda! Quando recuperai un po' di autocontrollo, mi accorsi che si aspettava seriamente una risposta.
«Hai dimenticato tuo nonno... e tutto il resto?» spalancò la bocca e gli occhi, come se si fosse appena ricordata il suo nome. Adesso era completamente sveglia, senza dubbio.
«Hai ragione!» saltellò sul letto, rischiando più volte di cadere, finché non si bloccò, quasi avessero staccato la spina che la collegava alla corrente. Mi guardò come mi aveva guardato il giorno degli esami, quando mi aveva implorato di darle una mano con la matematica. La cosa mi portò a presumere qualcosa di insostenibile per i miei nervi. «Ma io non ho ancora fatto i bagagli.» la sua tranquillità, dovetti ammettere, ebbe il potere di stupirmi.
«E che aspetti?» la domanda sarebbe stata piuttosto lecita, se non avessimo parlato di Mikan.
«Sono confusa.» ammise, scendendo dal materasso per posare i piedi a terra e aprire un cassetto. «Oh, Natsume! E se non mi riconoscesse? E se si fosse arrabbiato per essere scappata di casa e mi buttasse fuori dalla porta, senza neanche volermi vedere? E se... avesse trovato una moglie e una nuova famiglia e non mi volesse più?» la fissai, dubbioso: cos'erano quelli? Complessi pre-viaggio?
«E se fosse scappato sul dorso di un drago per andare sulla luna?» ironizzai per farle capire che le sue ipotesi erano tutte quante totalmente assurde. Ma Mikan è il tipo più imprevedibile che esista sul globo, perciò reagì nell'ultimo modo in cui mi sarei aspettato.
«Pensi davvero che possa essere successo? E come farei a raggiungerlo?» mi chiesi se stesse davvero pensando a una simile possibilità. Mi appuntai mentalmente di pensare bene prima di fare paragoni del genere.
«Mikan,» cominciai, tentando di trovare le parole giuste per distoglierla dall'ipotesi del drago. «perché ti poni problemi prima di essere arrivata? Pensaci nel caso in cui i tuoi sospetti si rivelino una certezza.»
Lei, per tutta risposta, mi rivolse un sorriso smagliante. «Hai ragione.» cominciò a buttare alla rinfusa vestiti dall'armadio in un borsone, per poi sospirare, soddisfatta, quando ritenne di aver finito. Osservai il borsone e avrei tanto voluto sapere in che modo aveva intenzione di chiuderlo, dal momento che stava quasi per esplodere.
«Non pensi di aver... come dire? Esagerato?» lei mi rivolse un'occhiata sorpresa, come se volesse comunicarmi che aveva preso solo lo stretto necessario. Ah, le esigenze delle ragazze!
«Credi?» guardò il borsone, poi me. L'unica cosa che fece dopo fu chiudere la cerniera più velocemente di quanto avrei solo potuto immaginare.

«Sono nervosa.» la sentii borbottare, mentre si mordeva il labbro inferiore, febbrilmente. «E se non dovessi trovarlo?»
«Mikan,» sospirai: era forse il cinquantesimo dubbio dell'ultima mezz'ora, o forse degli ultimi dieci minuti. «ne abbiamo già parlato. Ricordi?» lei si limitò a guardarmi dubbiosa. All'improvviso mi sembrò che stesse cercando una scusa banale per evitare tutto questo. «Ehi... va tutto bene?»
«Beh, no... sono agitata e ho una strana sensazione.» la guardai serio, mentre lei continuava a camminare per il corridoio, in direzione dell'uscita con quel borsone più grande di lei, che mi aveva vietato di portare al posto suo, dal momento che avrebbe dovuto fare da sola, una volta scesa dalla macchina. Era da un po' che aveva strane sensazioni e si comportava in modo strano, ma non le davo troppa corda: non che non mi fidassi, ma era di Mikan che stavo parlando. Speravo solo che quella specie di vacanza la aiutasse a schiarirsi le idee. «Farò delle foto, così, quando torno, ti farò vedere il nonno. E il nonno vedrà te. Porterò uno dei miei portafotografie, così vedrà tutti quanti.»
«Mi sembra una buona idea.» cercai di incoraggiarla su quella strada, in modo che potesse evitare di pensare che fosse stato rapito dagli alieni, o qualcosa di peggio che non riuscivo a immaginare ma che, potevo scommetterci, la sua mente avrebbe potuto elaborare senza sforzo.
Lei mi rivolse un sorriso smagliante e mi prese per mano, trascinandomi in cortile. Si fermò a pochi metri dal cancello, senza che potessi capirne il motivo. Si morse un labbro e mi scoccò un'occhiata, esitante.
«Che c'è?» volli sapere, cercando di non suonare esasperato: un altro dubbio simile ai precedenti e non credevo che sarei sopravvissuto. Lei abbassò per un momento lo sguardo sulle scarpe e poi lo posò ancora su di me. Inarcai le sopracciglia, cercando di spronarla a parlare.
«Non ci vedremo per una settimana.» era una specie di constatazione, ma ancora non capivo dove volesse andare a parare. Pensavo che avesse già metabolizzato la notizia da quando le avevo dato il premio, qualche giorno prima. «Sì... ecco... non voglio sembrare quella che dipende sempre da altre persone, ma...» giocò con il lembo della maglietta, sempre senza guardarmi. «non siamo mai stati separati per più di qualche giorno...» pensai all'incredibile ironia della situazione. Stava pronunciando quella frase per una settimana, che non era neanche un tempo estremamente lungo. Sembrava che lo sconforto le fosse piombato addosso in un secondo. Come diavolo avrei potuto dirle che mi sarei diplomato e che, con ogni probabilità, fino a che lei non avesse fatto lo stesso, non mi avrebbe più rivisto? Perfetto. Trattenni a fatica un sospiro.
«Andiamo, Mikan,» cercai sdrammatizzare. «sono solo sette stupidi giorni. Passeranno in fretta, e poi... starai insieme a tuo nonno.» e probabilmente, per un tipo spensierato come lei, poteva anche essere vero. Mi restituì uno sguardo privo di convinzione, ma annuì.
«Forse hai ragione, dopotutto.» convenne, accennandomi un sorriso. «Almeno lo rivedrò. Ma... non è solo questo.» esitò di nuovo prima di continuare. «È vero che ho vissuto per un po' nel “mondo esterno”, ma ero una bambina. Facciamo un esempio: se mi chiedesse di andare a fare la spesa, aiutarlo a fare qualsiasi altra cosa... sento che mi ritroverei smarrita.»
Mi sfuggì un sorriso e mi guadagnai un'occhiataccia. «Mikan,» cominciai, scuotendo la testa. «forse è la millesima volta che te lo dico, ma lo ripeterò ancora: è inutile preoccuparsene adesso. Io scommetto che sarà una passeggiata.» probabilmente, conoscendola, sarebbe successo davvero.
«Temo sia ora di andare.» ci interruppe una voce spaventosamente familiare. Strinsi il polso di Mikan, facendola quasi gridare per il gesto improvviso. Mi voltai per gelare Persona con un'occhiata, notando quanto sembrasse normale in quel momento: pieno di soppressori di Alice e senza maschera. Sembrava che non fosse neanche lui; semplicemente un professore normalissimo che si aggirava per un normalissimo campus. Assolutamente terrificante.
«E tu che cosa fai qui?» mi venne spontaneo chiedere, mentre Mikan mi rivolgeva uno sguardo confuso. Persona si limitò a un sorrisetto, di cui, sul momento, non capii il significato; si limitò a fissarmi, con la solita espressione di sufficienza e disgusto che rivolgeva a tutti gli studenti, specialmente me. Eh, sì, gli sono sempre piaciuto in modo particolare. «Dal momento che un'auto esce dall'Accademia... il Preside ha pensato che potessi controllare che la ragazza arrivi a destinazione e... fare una piccola commissione per lui.» in altre parole significava missione. Anche se non capivo il motivo per cui, quella volta, partisse Persona e basta. Non sapevo perché avesse quel sorriso irritante stampato in faccia, ma la cosa non mi piaceva per niente. Sapendo che Mikan avrebbe passato qualche ora nella stessa macchina con un tizio che ti uccide appena ti sfiora, e che il Preside aveva una strana e particolare attenzione per Mikan, non ero esattamente l'immagine della tranquillità. «Andiamo.» accennò alla macchina con la testa, rivolto a Mikan, che annuì.
«Arrivo immediatamente.» fu la sua risposta. Si girò verso di me e mi abbracciò. Ricambiai distrattamente, immaginandomela mente gli dava una pacca sulla spalla per fargli notare lo splendido panorama. Forse, dovevo dirle due paroline.
«Sta' attenta a quel tizio.» la avvertii. «E mi raccomando, attenta a non toccarlo. Neanche di striscio. D'accordo?»
«Oh, andiamo! Ma che ti viene in mente?» fece lei, sconcertata. «E poi sono io quella paranoica? Non è che perché vado a trovare il nonno mi butto tra le braccia di tutti quelli che passano! Tutta qui la tua fiducia?» inutile: era sempre la solita Mikan.
«Scema, intendo il suo Alice! È molto pericoloso, e funziona anche se lo sfiori.» precisai. «Perciò, è meglio che tu non lo faccia.» si scostò un po' per guardarmi e mi rivolse un sorriso.
«Agli ordini, capo.» mi baciò sulla guancia e si voltò per andarsene.
«Mikan...» il suo nome mi uscì dalle labbra prima che potessi pensare a qualcosa da dire, oppure a fermarlo. Lei si voltò di nuovo verso di me, con espressione interrogativa, poi rise.
«Hai detto di non preoccuparmi.» mi ricordò, tornando indietro di qualche passo. «Allora non farlo neanche tu. D'accordo?» alzai gli occhi al cielo: non sapevo perché, ma quella frase suonava maledettamente sentimentale. Mi strinse una mano, prima di parlare ancora. «Ci vediamo tra una settimana.» si avvicinò per baciarmi, scostandosi quasi subito, con un sorriso imbarazzato. «Sarà meglio che mi decida ad andarmene.» non mi permise di aggiungere niente, mentre correva verso la macchina, impacciata per via dell'enorme borsone. Io speravo solo che tenesse bene a mente quello che le avevo detto.

Prima che i cancelli potessero chiudersi, la voce di Tsubasa mi arrivò alle orecchie. Non la trovavo irritante solo in quel momento, in cui avrei tanto voluto che mi lasciassero in pace: era semplicemente una repulsione inevitabile. «Che diavolo vuoi?» sbottai, rivolgendogli un'occhiataccia. Lui, contro ogni aspettativa, era l'immagine della tranquillità.
«Gentile come sempre, vedo.» rispose, con leggerezza. Avrei tanto voluto sapere come far sparire quel sorrisetto maledettamente irritante dalla sua faccia. «Missione.»
«Missione?» chiesi conferma, quasi avessi sentito male. Non era andato già Persona in missione? Quante ne dovevamo svolgere? Ombra annuì, come se volesse dirmi di rassegnarmi alla dura realtà.
Poi Mikan si chiedeva perché lo odiavo: andavamo in missione e lui era felice come davanti alla torta di compleanno. «Già, il Preside mi ha detto di informarti, partiamo più o meno...» guardò l'orologio con espressione critica. Aspettai che si decidesse a decifrare l'orario. «...adesso.» le buone notizie sembravano non essere ancora finite.
«E in cosa consisterebbe?» volli sapere, mentre ci dirigevamo verso il cortile sul retro. Ombra fischiettava come se niente fosse. Beato lui.
«Non ne ho idea. Ho sentito solo che riguarda una scuola elementare. Penso che ci sia un bambino con un Alice che dobbiamo portare qui.» Magari era così perché, a sentirlo, sembrava una missione decisamente migliore dell'ultima a cui avevamo partecipato.
«Fantastico...» commentai, con sarcasmo. «Immagino che verrà anche Nobara, no?» chissà perché eravamo sempre insieme quando si trattava di missioni. Questo non faceva altro che migliorare le cose.
«Lo sapremo tra poco, immagino. Sali pure in macchina: prima le signore.» mi indicò la portiera con un cenno del braccio. Feci una smorfia in risposta al suo sorrisetto ironico.
«Prego,» lo imitai, con lo stesso sarcasmo. «prima i bambini.»
Si limitò a chinare il capo, come in segno di resa. Dopo che salii, chiusi la portiera dietro di me. Dentro l'auto c'erano anche Nobara e un'altra ragazza che di recente era entrata a far parte della classe di Abilità Pericolose. Credevo proprio che fosse stata scelta per ricoprire il ruolo di quella sciocca, una volta che lei se ne fosse andata. Non ricordavo assolutamente il suo nome, ma sapevo che aveva concluso il secondo anno delle superiori e che si era trasferita dall'Alice Academy di un'altra città.
«Qual è il piano?» fu la domanda di Ombra. Nobara gli rivolse un sorriso rilassato, sembrava quasi di essere in un centro benessere, mancavano solo i massaggiatori.
«Il Preside ha detto che dobbiamo portare qui questa bambina.» ci passò una specie di fascicolo. Lo aprii, mentre Ombra fischiettava. Questa volta era piuttosto interessante: sulla scheda c'era scritto che aveva un potere particolare, non meglio specificato, a cui dovevamo prestare particolare attenzione. Come diavolo pensavano che potessimo organizzarci in assenza di informazioni? Avrei dovuto ringraziarlo, prima o poi. Senza Persona non avremmo proprio saputo come fare! «Persona ha aggiunto che questa missione non deve assolutamente fallire. È molto importante.» chissà perché mi sembrava un messaggio a mio uso e consumo.
«Oppure è un'altra stupida prova.» sbottai, tra i denti, in ricordo delle parole del preside. Ora era tutto chiaro. Perfino le parole di Persona: «Era una prova. Una prova che non hai superato.» aveva detto questo e mi aveva anche incastrato per bene.
Nobara mi guardò con espressione confusa. «Di che parli?» feci un gesto con la mano, ad indicarle che era poco importante e di lasciar perdere, mentre ancora Ombra sembrava che fosse in una dimensione parallela. «Che hai?» e, per la prima volta, Nobara rese utile la sua presenza.
«Eh?» Ombra sembrava essersi finalmente distratto dal suo mondo delle favole. «Oh, niente... pensavo: questa è la nostra ultima missione.» inarcai un sopracciglio, aspettando che continuasse. «Beh, sì... tra qualche giorno c'è la cerimonia di diploma: addio Abilità Pericolose.» ora era tutto chiaro. Probabilmente avrei fischiettato anche io, se non avessi saputo che il Preside aveva qualcosa in mente.
«Oh, no!» gemette Nobara, appoggiando il mento sulle mani. «Mikan-chan è partita! Speriamo che la cerimonia si svolga tra più di una settimana, così ci sarà anche lei!» alzai gli occhi al cielo: non credevo che fosse il sogno della vita di chiunque assistere ad una noiosissima cerimonia in onore diplomati: era composta solo da cibi pesanti e discorsi ancora peggiori. Niente che qualcuno potesse avere il dispiacere di perdersi.
«Già. Un vero peccato.» commentò Ombra, sospirando e guardando fuori dal finestrino. «Spero davvero che torni prima che ci buttino fuori. Vorrei salutarla.»
«Piuttosto,» cercai di riportare il discorso sull'argomento missione. Forse loro avevano già la testa fuori da quelle mura, ma di sicuro ancora non c'eravamo. «qual è il piano? Questa bambina avrà anche otto anni, ma non sappiamo neanche che tipo di abilità abbia.»
«Tranquillizzati, ragazzino.» mi disse l'altra ragazza, mentre si ravvivava i capelli. «È tutto sotto controllo.» sollevai entrambe le sopracciglia, con fare scettico: che era così l'avrebbe capito anche un bambino, dato che quei tre erano rilassati come lucertole al sole. A quanto pareva ne sapevano più di me. «Sappiamo esattamente cosa dobbiamo fare.»
Sospirai, domandandomi perché il Preside aveva preteso che ci fossi anche io, quando aveva detto che non avrei dovuto più occuparmi di nessuna missione, dal momento che dovevo essere concentrato nello studio per passare la sessione straordinaria degli esami Non sembravano neanche intenzionati a mettermi a parte dei dettagli. Ero decorativo quanto un adesivo.
«Quanto manca?» volle sapere Ombra, che si tamburellava le mani sulle gambe. La ragazza lo fulminò con lo sguardo, e immediatamente lui congiunse le mani e rimase in silenzio, come se all'improvviso qualcuno gli avesse comandato di farlo.
Dopo qualche minuto la risposta arrivò da Nobara. «La scuola in questione si trova in un paesino non troppo lontano da qui. Dovremmo arrivarci in circa venti minuti.» consultò una cartina, con fare interessato. «A proposito, Natsume...» alzò gli occhi verso di me, brillanti di preoccupazione. «ho saputo che parteciperai alla sessione straordinaria di settembre. È tutto okay?» vedere quella donna ghignare soddisfatta mi fece intendere che fosse una notizia di dominio pubblico, ormai. O almeno per la nostra classe di abilità. Dal momento che se qualcosa può andare peggio sicuramente lo farà, non sapevo che aspettarmi da quella giornata iniziata benissimo e proseguita ancora meglio.
«Perché non dovrebbe esserlo?» suonai molto indifferente, mentre lei non abbandonava quello sguardo da infermiera che sta guardando un malato agonizzante che non può curare.
«Per Mikan, intendo... insomma...» si contorse le mani, nella speranza che rispondessi all'implicita domanda: “Mikan lo sa, oppure no?”. Da una parte, mi fidavo poco di tutti quelli che si trovavano nell'abitacolo della macchina e, dire che Mikan non lo sapeva, poteva avere conseguenze complicate. Forse mi facevo solo milioni di paranoie, ma era logico supporlo, specialmente essendo all'oscuro dei piani di quel marmocchio. Se invece avessi detto di sì, lei gliene avrebbe parlato come se nulla fosse e Mikan sarebbe venuta a saperlo comunque nel modo sbagliato. Insomma, in definitiva, la soluzione era una sola: né l'una, né l'altra.
«Non dovresti preoccuparti di questo, Nobara.» replicai, infatti. «Per ora concentriamoci sulla missione.» lei annuì, senza abbandonare quello sguardo oltremodo fastidioso.

«Piantala di fissarmi.» fu quello che le dissi mentre ci avvicinavamo a un minuscolo edificio di un solo piano, neanche troppo nuovo e curato, anzi sembrava che dovesse cadere a pezzi da un momento all'altro. Tsubasa represse una risata, mentre gli scoccavo un'occhiataccia. «Adesso che facciamo?»
«Kobayashi-san,» Nobara si rivolse alla ragazza bionda, che non aveva mai perso la sua smorfia di superiorità. «puoi spiegarci il tuo piano, adesso?» probabilmente, invece, era solo lei che ne sapeva più di tutti.
Lei si limitò a ghignare. «Prima le abitudini della bambina. Di solito, quando sua madre lavora fino a tardi, come oggi, ad esempio, torna a casa da sola, tanto il paese è molto piccolo.» informazione decisiva, pensai con ironia. «ovviamente sarà durante il tragitto verso casa che dovremo agire. Nobara il tuo ruolo è decisivo, soltanto tu puoi convincerla.» Nobara annuì, come se quella fosse la missione più importante della sua vita. «Voi due siete qui per bloccare eventuali imprevisti.» mi domandai quali imprevisti potessero esserci in un paese di una cinquantina di persone.
«Splendido.» commentò Tsubasa, sistemandosi più comodamente sul sedile. L'espressione di Kobayashi si indurì ancora di più, ma distolse lo sguardo immediatamente al suono flebile di una campanella. Voltai lo sguardo per vedere circa venti bambini uscire dal portone, mentre mi veniva in mente quanto strana potesse sembrare la presenza di quattro studenti delle superiori in un paesino dove non c'erano nostri coetanei. Ci mimetizzavamo al meglio, senz'altro.
«Scendiamo.» ordinò lei, aprendo la portiera e scomparendo. Tsubasa si rivolse a me, quasi a volermi chiedere se dovevamo fare lo stesso, dato il nostro ruolo marginale nella missione. Immaginai che, qualunque fosse stato il nostro compito, avremmo dovuto seguire quella smorfiosa. Gli feci cenno di scendere e lui sbuffò, contrariato.
Trovammo quella strega e Nobara sedute su una panchina davanti ad un parco giochi, ed esaminavano ogni bambina che passava loro davanti. Ci fermammo poco più lontano da loro, per non dare troppo nell'occhio. «Farà questa strada, Kobayashi-san?» domandò Nobara dopo qualche minuto. «Non è che l'abbiamo persa?»
«Impossibile.» la gelò lei, aguzzando la vista verso la scuola. In effetti, nessuno aveva preso in considerazione l'ipotesi che potesse non aver frequentato le lezioni, quel giorno. «Dev'essere lei.» mi voltai verso l'entrata della scuola, una bambina sventolava l'ombrellino nel tentativo di far cadere tutte le gocce, probabilmente per non bagnarsi. Lo sistemò e lo mise nello zaino prima di cominciare a saltellare verso le ragazze, mentre sembrava canticchiare una canzone. Vidi Ombra sorridere intenerito, cosa che mi fece alzare gli occhi al cielo.
Passò loro davanti, senza cambiare espressione, come se neanche le avesse notate, e probabilmente era così. Kobayashi si girò verso di lei, rivolgendole lo stesso sguardo che le avevo visto usare su Tsubasa per farlo stare in silenzio. La bambina inciampò. Due volte non era certamente un caso: doveva avere a che fare con il suo Alice.
Rimase a terra per qualche minuto, e mi domandai se dovessimo accertarci che stesse bene. Ombra mi rivolse uno sguardo preoccupato e incerto, mentre Nobara si alzava dalla panchina per correre a controllare. Prima che potesse arrivare da lei, la piccola si mise a sedere, tenendosi una mano sul ginocchio e cominciando a piangere.
«Ti fa male?» fu l'inutilissima domanda di Nobara. Se avesse avuto malizia sufficiente, quella bambina avrebbe potuto risponderle ironicamente. «Posso darti una mano?»
Lei tirò su con il naso. «La mamma dice che non devo dare confidenza alle persone che non conosco, specialmente a quelle che non ho mai visto.» di sicuro era una donna con del buonsenso. Nobara sorrise gentilmente, inginocchiandosi vicino a lei. «Ma noi due non siamo estranee, non del tutto almeno.» la bambina strinse gli occhi, con espressione dubbiosa. Mi sembrò che fosse sempre più confusa ogni minuto che passava. «Io mi chiamo Nobara, e tu?»
«Miyako.» rispose lei, stupendomi: credevo che avrebbe dato ascolto agli avvertimenti di sua madre, e invece si era lasciata convincere come niente da una frase da cioccolatino. D'accordo che aveva otto anni, ma credevo che le nuove generazioni fossero più sveglie.
«Che bel nome!» Nobara sembrava estasiata. Tirò fuori dalla tasca un fazzoletto, e si rivolse alla bambina con uno sguardo benevolo. «Vieni, cerchiamo di pulire almeno un po' quella ferita.» la bambina annuì, ancora un po' incerta.
«Tu che lavoro fai, signora?» domandò, ingenuamente. Nobara scoppiò in una risatina, immergendo il fazzoletto nell'acqua di una fontana che si trovava al centro del parco giochi. Noi la seguivamo con lo sguardo, ma eravamo abbastanza vicini da poterla sentire.
«Io non lavoro! Sono qui con i miei amici.» ci indicò con un gesto del braccio. Lei ci guardò con interesse, scrutando me in particolare con sguardo diffidente. «Sai, veniamo da una scuola di Tokyo. È frequentata da persone speciali.» frequentata da persone speciali? Non è proprio così che avrei definito l'Accademia.
«Persone speciali?» ripeté la bambina, distogliendo l'attenzione da noi; si fece improvvisamente più attenta alle parole di Nobara. Evidentemente, doveva essersi accorta che lei aveva qualcosa di diverso, qualcosa in più degli altri bambini.
Nobara annuì, con espressione rilassata, mentre cominciava a passare il fazzoletto sul ginocchio della bambina. «Sì. So perfettamente come ti senti, quando puoi fare qualcosa che gli altri non capiscono. E cosa provi quando ti guardano in quel modo strano se lo racconti a qualcuno.» sospirai quando alcuni frammenti di ricordi delle scuole elementari mi ritornarono in mente. Io non avevo avuto grossi problemi: mio padre mi diceva sempre di tenere nascosta la mia abilità e di non parlarne con nessuno. E io avevo imparato a farlo. «Però... sai... all'Accademia Alice ci saranno tanti bambini come te, avranno abilità diverse dalle tue, e non ti giudicheranno.»
«Dici davvero?» suonava quasi come una domanda retorica. Francamente, io non avrei creduto su due piedi a una storia del genere. La cosa più irritante era che faceva passare l'Accademia per un luogo idillico in cui i bambini trovavano la felicità eterna, quando invece era tutt'altro, specialmente per quelli delle Abilità Pericolose. Qualcosa mi diceva che anche quella bambina, Miyako, ci sarebbe finita. Solo per quelli della nostra classe il Preside si prendeva la briga di mandare qualcuno a prenderli, a meno che i genitori non opponessero resistenza, come avevo sentito avevano fatto quelli di Imai, anni fa.
«Certo!» confermò Nobara, con estrema convinzione, mentre sciacquava di nuovo il fazzoletto nella fontana. «Ci sono dei professori che ti insegneranno a controllare meglio e a scoprire le nuove potenzialità del tuo dono.»
Miyako si morse un labbro, indecisa. «Tu sei felice?» era una strana domanda da porre. Insomma, non era la prima cosa che mi sarebbe venuta in mente di chiedere.
«Molto felice. I miei compagni di classe sono fantastici. So che ora ti sembra difficile crederlo, ma è così.» rivolse lo sguardo verso di noi e ci fece cenno di avvicinarci. «E anche loro lo sono; anche loro hanno trovato persone fantastiche con cui trascorrere il tempo che passano lì.»
«E nelle vacanze rivedete i vostri genitori? Potete telefonare a casa?» avrei scommesso che Nobara aveva una rassicurante risposta anche su questo. Povera bimba: non aveva idea che i suoi genitori, con ogni probabilità, non avrebbero avuto la benché minima notizia, come lei di loro.
«Le comunicazioni, purtroppo, non sono semplici: noi siamo una specie di patrimonio nazionale. Non possiamo lasciare l'Accademia finché non ci diplomiamo, ma... dopo possiamo tornare a casa se lo desideriamo. Le comunicazioni con le nostre famiglie si svolgono per lettera.»
«Siamo una specie protetta? Come gli orsi polari degli zoo in televisione?» aveva un'espressione corrucciata, come se davvero si stesse immaginando nei panni di un orso polare. Nobara rise di nuovo.
«Più o meno.» passò di nuovo il fazzoletto sulla ferita, togliendo gli ultimi residui di polvere.
Miyako si morse un labbro, guardandomi, e fece a Nobara cenno di avvicinarsi. «Lui non mi piace.» affermò, a bassa voce, quasi timorosa.
Nobara le accarezzò i capelli. «Non temere. Ha solo l'aspetto da duro, in realtà è un pezzo di pane. In più è molto gentile. Vedrai che di lui puoi fidarti.» in risposta ebbe solo uno sguardo dubbioso che poi rivolse a me, carico di perplessità. Io avrei volentieri messo a tacere Nobara. «Quindi... ti piacerebbe visitare l'Accademia?»
«E la mamma?» Miyako portò di nuovo la propria attenzione al viso di Nobara. «Lei non ne sa niente.»
«Ma non ci avrebbero mai mandati a prenderti se non fosse stata d'accordo!» obiettò Nobara, come se ci credesse davvero. Insomma... non poteva essere così ingenua, no? Come poteva dopo tutto il tempo che era passato?
«E quando potrò scriverle? Vorrei dirle che sono arrivata e che sto bene. Lei dice sempre che vuole sapere dove sono.» precisò la bambina, seria. «Dice che non devo mai allontanarmi senza il suo permesso, ma mi fido: tu mi stai dicendo la verità, quindi... devo scriverle. Ora non posso andare da lei: non può essere disturbata mentre lavora.»
Nobara aggrottò la fronte, divertita. «Come sai che sto dicendo la verità?» era una domanda di cui volevo sentire la risposta anch'io.
«È questo quello che tu hai chiamato dono. Dagli occhi delle persone posso capire se mi mentono o mi dicono la verità. Tu mi hai detto la verità, fino ad ora. Perciò mi fido di te.» sorrise, tendendole la mano. «Mamma dice che fa solo quello che è meglio per me, quindi se ha deciso di iscrivermi in questa scuola, vuol dire che è davvero un posto dove posso sentirmi come gli altri e imparare ad usare per bene il mio dono.» provavo pena per lei, povera piccola: non aveva idea che Nobara non stesse mentendo semplicemente perché credeva davvero in ciò che diceva. L'Accademia non era un posto per persone come lei. Il suo modo di parlare e di fare mi ricordava Mikan, in qualche modo.
Il sorriso di Nobara si allargò. «Bene, allora. Ti spiego tutto più precisamente mentre andiamo, okay?» Miyako annuì, cominciando a saltellare verso la macchina, tirando Nobara per la mano.

Durante il viaggio di ritorno, sentivo Nobara spiegarle degli Alice, della moneta dentro al campus, delle stelle attribuite ad ognuno, di come si svolgevano le lezioni, di quando, due volte a settimana, tutte le classi di Abilità si riunivano per fare lezione insieme, dei festival, degli esami, di ogni cosa. Miyako sembrava entusiasta, quasi la stessimo portando in un lunapark, mentre Kobayashi sembrava molto più che soddisfatta dell'esito della missione. Chissà che diavolo volevano da quella povera bambina.
Quando rientrammo nel cortile dell'Accademia, sbuffai: probabilmente, il giorno successivo, sarebbero iniziati i preparativi per la cerimonia dei diplomi e avevo il vago sospetto che mi sarebbe toccato un ruolo in tutta quella faccenda. Scendemmo dalla macchina e Ombra mi tirò per una manica.
«Accompagniamo Nobara da Narumi per trovare una stanza per Miyako?» sospirai: beh, dopotutto non è che avessi proprio qualcosa da fare e poi svegliare Narumi nel cuore della notte poteva anche avere i suoi risvolti positivi.
Sbadigliando, quel tizio venne ad aprirci la porta buoni cinque minuti dopo che noi avevamo bussato. Avevo proposto di bruciare la porta, ma Nobara aveva opposto resistenza e alla fine Naru era comparso davanti al nostro naso.
«Narumi-sensei... non è che potrebbe trovarci una stanza per lei? L'abbiamo portata qui giusto poco fa, e... beh, vorremmo trovarle una sistemazione in attesa che le siano attribuite delle stelle.» fu Nobara a parlare.
Naru sbadigliò sonoramente, e solo allora notai il suo ridicolo pigiama azzurro con quel cappello con tanto di pompon. Miyako ridacchiò. Solo allora Naru la notò. «Ciao, piccola. Io sono Narumi: sarò uno dei tuoi professori. E tu come ti chiami?»
«Miyako Aihara.» rispose la piccola. «Quando potrò scrivere alla mamma? Non è normale che non abbia mie notizie a quest'ora. Potrebbe preoccuparsi.» l'espressione di Narumi si intristì all'improvviso, ma lei non sembrò notarlo, nel buio del corridoio.
Emise un flebile sospiro. «Ti mostro la tua stanza.» cominciammo a camminare, fino ad arrivare al dormitorio elementare femminile. Era tutto così... rosa. Si vedeva anche alla debole luce della luna che passava dalle finestre. Miyako si guardava intorno, come a volersi ricordare la strada che avevamo percorso. «Eccoci.» indicò una porta. «Troverai che tutti i bagagli sono dentro.» quindi non avevano mandato solo noi. Il nostro compito era prelevare la bambina, a quanto pareva l'Accademia aveva provveduto al resto.
Miyako annuì, mentre Nobara sbadigliava. «Beh... io vado a dormire. Sono stanca morta. Buonanotte ragazzi.» poi si abbassò all'altezza della bambina. «Buonanotte, piccola.» le accarezzò di nuovo i capelli.
«Buonanotte.» rispose, tentennante. Anche Ombra se ne andò, e solo in quel momento mi accorsi che Kobayashi non si era neanche presa il disturbo di venire con noi. Eravamo rimasti io, Miyako e Naru.
«Beh, se questo è tutto,» si congedò Naru, sbadigliando di nuovo. «io torno a letto. Se ci sono problemi, cara... rivolgiti pure a...» si bloccò per sbadigliare di nuovo. «lui.» e mi indicò. Gli rivolsi un'occhiataccia, che però non colse. Avrei solo voluto strozzarlo. Non ebbi però il tempo di ribattere che era già sparito.
«Senti un po',» iniziai, mentre lei apriva la porta. «scrivi le tue lettere domani. Dalle a Naru: farà in modo che arrivino prima a destinazione se gli spieghi la tua situazione.» non potevo certo dirle che lui si sarebbe impegnato a fargliele mandare a casa seriamente, se gli avesse raccontato com'erano andate le cose, sperando che Naru capisse che sua madre di questa storia non ne sapeva proprio un bel niente. Ma credevo che conoscesse perfettamente, almeno in parte, come funzionasse l'Accademia. Non avrebbe avuto problemi. Miyako annuì, ma non accennò ad entrare in camera. «Beh, che hai?»
«La mamma mi legge sempre una favola prima di andare a dormire.» trattenni un sospiro sconsolato con tutte le mie forze. Potevo fare di tutto, ma non il baby-sitter! «Sei rimasto solo tu, non è che potresti...?»
Cercai di prendere un respiro profondo. Non avevo nessuna intenzione di prestarmi per questa cosa, ma allo stesso tempo non me la sentivo di dire di no. E la cosa mi sembrava alquanto strana, dal momento che non avevo mai avuto problemi a farlo. Era quell'espressione: quella maledetta espressione che Mikan usava più spesso di quanto avrebbe dovuto. «D'accordo... dammi questo libro. Vedrò che posso fare.» a quanto pareva, è vero che c'è sempre una prima volta per tutto nella vita. Speravo solo che questa non fosse una lunga serie di letture: io non amavo particolarmente tanto questo genere di cose. Per di più, non ero affatto portato per prendermi cura dei bambini, e non credevo di voler iniziare in quel momento.
Mi porse un libro quadrato dalla copertina plastificata, gialla. Per fortuna che non c'era nessuno che potesse testimoniare tutto quello. Aprii a una pagina a caso. «Dunque. C'era una volta, un...»
«No!» sbottò lei, contrariata. La guardai, sconcertato. Cosa c'era di sbagliato? Stavo leggendo esattamente le parole che c'erano scritte! «La mamma ci mette più emozione! Devi leggermela come me la legge lei!» avrei potuto farle notare che non ero sua madre, ma poi mi resi conto che era solo una bambina di otto anni e che non aveva senso mettersi a discutere.
Stavolta non riuscii a reprimere il sospiro. No: io e i bambini non eravamo compatibili. Lei mi guardava imbronciata aspettando che ricominciassi. Non c'era proprio modo per evitarlo. «C'era una volta, un taglialegna che viveva nel bosco...»
Lei sorrise. «Così va meglio, ci siamo quasi. Puoi andare avanti.»
Sbuffai silenziosamente: si prospettava una lunga notte.

*****

Rediviva da un'immersione nella filosofia di Hobbes, mi sono sforzata di trovare un minuto per scrivere e ce l'ho fatta XD, però il problema persiste ;). Tra scuola, ispirazione che scarseggia, e roba varia non ci capisco più niente XD. Per fortuna ci sono le vacanze (Buona Pasqua a tutti, a proposito :P). Capitolo dodici mi soddisfa poco, se devo dire la verità, per Natsume, che mi sembra alquanto distante da come l'avevo descritto precedentemente: c'è qualcosa di lui che ultimamente mi sfugge, non riesco a descriverlo come vorrei e devo dire che la cosa mi urta parecchio.
Buttate ogni tanto un occhio agli aggiornamenti, mi raccomando ;).
Un'altra cosa... avete visto? Il manga è quasi finito T^T.

Risposte alle recensioni:

mikamey: si sa, Natsume fa sempre il duro ma sotto sotto è un tenerone XD. Comunque, mi fa molto piacere che tu continui a seguire la fanfiction!
marzy93: grazie mille, mi riempi sempre di complimenti ^//^. Quando ho pensato a quel “Mi dispiace” mi è subito sembrata un'ideona, e mi sono detta che dovevo scriverlo assolutamente, anche se magari poteva essere un po' troppo “sdolcinato”, in qualche modo, da parte sua. Sono in assoluto la mia coppia preferita in Gakuen Alice, anche se nel manga ancora non si capisce se finiscono insieme oppure no :@
Kahoko: il destino riserva sempre delle sorprese, per tutti quanti XD. Non si può mai sapere. A dirti la verità, Sumire mi fa più pena che rabbia, in fondo può essere compatita: il ragazzo che le piace da una vita non la degna di uno sguardo XD. Sto pensando di farla riscattare, in qualche modo, ma ci devo ancora pensare su. Per il nome, fa' come ti viene più comodo: suffissi, prefissi... nessun fastidio non preoccuparti :P.
Manu5: grazie mille ^///^ spero tanto che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento :)

Inoltre, ringrazio tutte le persone che hanno inserito la mia storia tra i preferiti:

1. Erica97
2. Kahoko
3. mikamey
4. piccola sciamana
5. rizzila93
6. smivanetto
7. marzy93
8. nimi-chan
9. sakurina_the_best
10. _evy89_
11. Luine
12. Yumi-chan
13. Veronica91
14. lauretta 96
15. EkoChan
16. Silli96
17. stella93mer
18. giuly_chan95
19. _Dana_
20. simpatikona


E in particolare le new entry:

21. CarlyCullen
22. asuka_hime
23. neko_yuki
24. XIUKY88
25. Manila
26. giadinacullen
27. twilighttina
28. SEXY__CHiC

E questa settimana, c'è anche le uscenti XD:

1. bella 95
2. cicci89

Chi ha inserito la mia storia tra le storie da ricordare:

1. marrion
2. aliasNLH

E anche chi ha inserito la mia storia tra le seguite:

1. Mb_811
2. punk92
3. naruhina 7
4. MatsuriGil
5. Miki89
6. _evy89_
7. tate89
8. Janika Criselle
9. EdelSky
10. simpatikona

E in particolare le new entry:

11. marrion
12. 95etta
13. XIUKY88
14. laurA_
15. dolce_luna
16. feilin

  
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