Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
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Autore: BloodyRose91    02/04/2010    2 recensioni
Volevo mostrre a tutti il lato "serio" di Hetalia. Mi sono ispirata alla fine della seconda guerra mondiale interpretandola con lo spirito di Hetalia. I Russi avanzavano sul territorio tedesco e per i due alleati la fine era vicina.
Genere: Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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»8 Maggio 1945. Zu Ende,da noi si dice "fine"


Giorni, mesi e anni sono passati dall'inizio di questo inferno.Giorni pieni di ansia e paura, mesi passati a nascondersi e combattere. La terra si alza ad ogni bomba che esplode nascondendo il paesaggio distrutto.
"Se non sarà la guerra ad ucciderci allora sarà la fame a farlo"
Pensava il tedesco lucidando la sua arma. Il cibo in quella casetta di montagna iniziava a mancare, tuttavia ciò che preoccupava di più il biondo non era la mancanza di cibo: quell'assoluto silenzio era il segno che qualcosa mancava, o meglio…qualcuno.
Doitsu aveva perso di vista Italia mentre difendeva la sua terra dagli attacchi nemici. Nonostante l'italiano fosse una palla al piede, Germania era preoccupato. L'ariano si chiedeva se era ancora vivo, se stava bene. Voleva uscire, cercarlo, portarlo in un posto sicuro, ma come poteva se in quel momento neanche lui lo era?
Posò accanto a sé il mitra e poggiò la testa al muro sospirando profondamente. Aveva freddo. Fuori la tempesta di neve aumentava e Germania fissava quella legna accanto al camino che di sicuro lo avrebbe scaldato, ma non poteva permettersi un simile errore. I Sovietici avanzavano nella terra ariana e si sarebbero sicuramente accorti del fumo. Freddo, fame, ansia e stanchezza si mescolavano. Doitsu sentiva le palpebre farsi sempre più pesanti, fino a calare sugli occhi arrossati costringendolo a cedere al dolce e confortevole abbraccio del sonno.

Fu il suono di passi che sfidavano la neve a destarlo dopo quello che per lui era parso un attimo e che, in realtà, poteva benissimo essere durato diverse ore. L'ariano afferrò subito la sua arma puntandola contro la porta, pronto ad accogliere il nuovo arrivato. Era lì immobile e con il dito pronto a premere il grilletto, aspettava solo che il nemico si mostrasse per fare fuoco. La porta fu aperta con qualche difficoltà a causa della neve, e sulla soglia comparve un’esile sagoma con uno stravagante ciuffo laterale.
Non appena l’italiano vide l’arma piantata contro il viso si gettò sulle ginocchia piagnucolando come una donnina isterica:
«Ti prego non uccidermi farò tutto ciò che vuoi!».
Il tedesco corse subito a chiudere la porta, e rimase qualche minuto lì davanti a fissare attentamente il suo alleato.
Italia aveva un'aria stanca e terrorizzata, la sua divisa era rovinata dal fango e dal sangue, mentre i capelli, anch’essi sudici, erano terribilmente arruffati. Fu il sangue a terrorizzare Doitsu in un primo momento, ma notò con sollievo che a parte qualche graffietto non c'era traccia di ferite gravi.
«Doitsu!» scattò Italia, mentre un sorriso pieno di gioia iniziava a dipingersi sul suo volto simile a quello di un bambino. L'italiano corse ad abbracciarlo, e affondando il viso nel petto di Germania lo strinse con forza. Doitsu sentì uno strano calore allargarsi sulla giacca della sua divisa: Italia stava piangendo.
Sorrise a quella strana reazione di gioia ma il giovane, impegnato a piangere, non si accorse del rarissimo sorriso che illuminava i lineamenti severi del tedesco.
Forse non era il momento per dei pensieri filosofici, ma a Doitsu venne in mente una citazione di Heinrich Heine che solo in quel momento riuscì veramente a capire:
"Questo è il bello di noi tedeschi: che nessuno è tanto pazzo da non trovarne uno più pazzo che lo comprenda".
Era quello il rapporto che legava i due: pura follia. La follia di due nazioni che aveva portato il mondo ad una delle più sanguinose guerre della storia. Ma in fondo loro non avevano nessuna vera colpa: si limitavano ad obbedire ai mostri e tiranni che avevano gettato l’Europa nel terrore. Ordini, obbedienza…sembrò tutto così astratto, ma vero allo stesso tempo: palpabile come i capelli sporchi di Italia, come il suo respiro, il suo pianto, la sua voce isterica.
Mentre a Germania venivano in mente queste vecchie citazioni Italia alzò lo sguardo mostrando quegli occhioni lucidi e arrossati che tanto gli piacevano.
«Doitsu, sembri affamato! Per fortuna ho una borsa piena di cibo.»
Il tedesco era molto sorpreso da una mossa così intelligente da parte di Italia. Pensandoci bene non era strana la cosa visto che il cibo era fra le prime delle sue passioni.
Doitsu si dedico alle ferite di Italia, che ogni tanto si lamentava dal dolore con lo stesso atteggiamento di un bambino pauroso. La guerra in fondo non l'aveva cambiato, era sempre un piccolo idiota.
Mangiarono molto, come non facevano da mesi, e nel frattempo Italia con la bocca piena raccontava con entusiasmo le sue avventure. Era sorprendente se non terrificante il fatto che anche la guerra appariva al piccolo Italia come un gioco.
Doitsu non ascoltava che poche parole, o forse nessuna: era semplicemente felice di poter udire ancora la sua voce chiassosa.

Quel momento di pace non durò a lungo. Dalla finestra Germania intravide le sagome delle truppe russe seguire delle impronte lasciate da Italia. L’ariano afferrò Italia per un polso portandolo in un angolo della casa, e si inginocchiò alzando le tegole di legno del pavimento scricchiolante.
Sotto quel pavimento c'era una specie di piccolo passaggio per nascondersi.
«Entra qui dentro e restaci fino a quando i Russi non se ne vanno, okay?»
Gli occhi ambrati di Italia si stavano per riempire di lacrime.
«No non voglio Doitsu, entra con me o ti faranno del male»
Il tedesco cercò di rassicurarlo scombinandogli i capelli già arruffati.
«Mando via Russia e vengo a nascondermi con te, però tu non uscire fino a quando non se ne saranno andati tutti.»
Italia annuì nascondendosi mentre Germania in fretta e furia richiudeva la botola.
Poco dopo i sovietici entrarono con poca delicatezza all'interno della casa. Gli spazi tra un’ asse di legno e l'altra permettevano a Italia di intravedere poche immagini confuse.
Dialoghi in lingua Russa e Tedesca riempirono la stanza, tutto successe così velocemente che ci volle poco per passare dal dialogo a spari che si ripetevano uno dietro l'altro in una cacofonia assordante. Gli ultimi suoni che Italia sentì erano quelli di qualcosa si pesante che si accasciava sulla botola oscurando la metà delle fessure, e i passi nemici abbandonare la catapecchia. Un piccolo ciondolo si fece spazio tra le assi di legno, Italia riconobbe subito la croce celtica al collo di Doitsu. Poco dopo si accorse che insieme alla collana gocce cremisi scendevano dal pavimento rigando il volto dell'Italiano che non riusciva più a distinguere il sangue del tedesco dalle sue lacrime. Erano entrambi caldi, entrambi dolorosi: sangue e pianto si mischiarono in quella consapevolezza che distrusse ancora una volta il suo cuore.

«Piangi, che ben hai donde, Italia»

  
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