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Autore: dragoargento    04/04/2010    1 recensioni
Pharnasius è un'indomita e temeraria dragonessa viola, in lotta per cercare di salvare le briciole di un mondo morto da tempo, appassito sotto le perverse grinfie del malvagio Oscar. Una serie di avvenimenti la coinvolgerà in una battaglia che si sta svolgendo in un mondo che non le appartiene, dove la sua e l'altrui lotta del bene contro il male si fonderanno assieme, assumendo pieghe inaspettate.
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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l'inizio del viaggio

Breve introduzione

 

Lo so, lo so, Pharnasius e Mimue (personaggio apparso in un'altra mia fiction) appartengono al medesimo stereotipo; si potrebbe dire a buon ragione che siano sorelle-gemelle, anche se le loro avventure si svolgono in differenti ambientazioni.

Forse devo attribuire questi miei deliri tecnologici all'influenza di Nebbiolina... devo ammettere che le ambientazioni futuristiche, dove la tecnologia espande le capacità di ognuno fino ad avvicinarle a quella degli dei, hanno un loro fascino.

Questo non significa che io stia per rinunciare alla mia aurea medievale (che non fa “prendere” Internet per le ricerche sul Comfort e non fa girare bene SolidThinking sul mio computer), bada bene Neb. : No.

Prima di iniziare vorrei citare la fonte originaria delle mie idee, visto che non sono capace di scrivere senza spintarelle esterne (sarebbe assai più intellettuale e fine definirle “ispirazioni”).

Anche se quel che ho in mente è una rielaborazione estrema dello spunto iniziale, tanto che di esso ne rimane solamente un alone, vorrei ringraziare Shalone Howard per i suoi fantastici fumetti (se visitate Deviantart li troverete senz'altro... sono disegnati assai bene, anche se l'influenza manga è un po' troppo marcata per i miei gusti).

Per farla breve e chiudere il discorso, Pharnasius non è altro che la mia versione di Zonoya... o forse un altro Spyro...

 

L'inizio del viaggio

 

La superficie esterna del pianeta forniva uno degli spettacoli più deprimenti ai quali fosse possibile assistere, se mai vi fossero stati degli occhi viventi intenti a scrutare quella rovente distesa di sabbia ocra e spoglie montagne rosso ruggine all'orizzonte.

Tralasciando la polvere, incessantemente trascinata dal vento come i lussuriosi all'inferno, erano le macchine le uniche cose animate che vagavano nello sterminato deserto.

Esseri mastodontici di acciaio, ingranaggi, olio e circuiti, a cui non importava nulla se l'ambiente fosse tetro o meno: la loro vista non era stata programmata per godere delle bellezze naturali ma per scrutare senza sosta alla ricerca del più insignificante brandello di vita, affinché tutto restasse morto.

Il loro costruttore aveva impartito chiaramente le istruzioni, lasciando alla gigantesca massa del sole il compito di rifocillare i suoi abominevoli figli.

Ma era il nulla l'unico dominatore di quelle terre disgraziate?

Se i mostri meccanici avessero potuto volare, avrebbero sicuramente notato il cono di un imponente vulcano spento.

Se la curiosità (che non conoscevano e mai avrebbero potuto conoscere) li avesse spinti ad affacciarsi dal bordo della cavernosa bocca, si sarebbero accorti che qualcos'altro aveva preso il possesso delle pareti basaltiche ormai abbandonate dal magma.

L'interno del cratere sfavillava ancora come se fosse costellato di tizzoni ardenti, ma questi non erano altro che le fredde luci delle illuminazioni elettriche, che si riflettevano sul susseguirsi di migliaia di grate e strutture metalliche, mentre innumerevoli figure alate si affaccendavano in ogni dove, come minuscole formiche perse nel baccano provocato dalle loro voci ed attività.

Si sarebbe così svelata la presenza di una comunità superstite di draghi, ancora pulsante nel sottosuolo, che aveva fatto di quella montagna cava la propria porta verso l'esterno.

 

L'ascensore cigolava e sussultava, ma la cosa non la infastidiva minimamente.

La sua testa era vuota, mentre lasciava che le ombre proiettate dalla grata metallica dell'abitacolo le scorressero addosso, rigando la sua figura di fuliggine.

Pharnasius se ne stava dritta sui posteriori, utilizzando le pareti dell'ascensore come una seduta ischiatica improvvisata, con le ali semi spalancate che si congiungevano ai lati del suo torace per poi proseguire lungo la coda, così come avrebbe potuto fare il telo di un aquilone.

Le sue ali bianche, chiazzate da grandi cerchi neri tra una falange alare e l'altra, come quelli che ornavano le ali delle farfalle, l'avevano battezzata con il nome di Pharnasius.

Eppure le ali “da farfalla” erano un fatto assai frequente tra la sua gente, anonimo e indegno di nota alcuna.

Forse i suoi genitori avevano voluto spostare l'accento su una sua caratteristica così meschina per affievolire il fatto che le sue scaglie presentassero una colorazione veramente inusuale, per non dire unica.

Vi era un vasto assortimento di colori tra la gente della sua razza: c'erano draghi rossi, verdi, bianchi, neri, blu... addirittura dorati o argentati, eppure mai si era visto un drago viola, così come lo era Pharnasius.

Uno scossone improvviso la indusse ad alzare gli occhi dal pavimento chiazzato di olio per fissali verso le porte avanti a sé, con le loro iridi nere come la pece: due macchie irrequiete di inchiostro su di un foglio immacolato.

Era arrivata.

La confusione ed i rumori della stazione di lancio la investirono come una folata di tramontana, facendole ardentemente desiderare di tornarsene al sicuro nella fatiscente cabina dell'ascensore, per farsi cullare nuovamente da quell'ipnotico cigolio.

-Ehi Pharnasius! Qual buon vento?!-

Quella improvvisa voce tonante per poco non la fece schizzare fuori dalla scaglie, con il risultato di accrescere oltremodo la sua irritazione.

La dragonessa indirizzò lo sguardo corrucciato verso un volto mostruoso, dagli occhi lucidi e giganteschi che sporgevano all'infuori come un cannocchiale, in una perfetta imitazione delle grottesche figure dei pesci abissali.

Quando l'interlocutore si portò la zampa artigliata alle mostruose propaggini oculari, esse si rivelarono per ciò che erano: un semplice paio di occhiali da meccanico.

-Ciao Derfel ... preparami la nave-

Riuscì a rispondere con il tono svogliato di chi si sia appena destato dal sonno; non voleva scambiare parola con nessuno e a malapena sopportava di dover conversare lo stretto necessario con i custodi delle navi.

-Siamo un po' giù di corda oggi? Forza Pharnasius! Dove sono finite le tue energie e la tua allegria?-

Senza volerlo, Derfel si era appena introdotto in un deposito di polvere da sparo con una candela accesa stretta nella coda.

Pharnasius spalancò le ali e gli sibilò contro con fare minaccioso.

-STA ZITTO E FAI IL TUO LAVORO!-

Gli ruggì praticamente addosso, prima di voltargli le spalle e lasciarlo impalato sul posto.

-Wow, ma che le prende...-

-Buono Derfel...-

Un altro meccanico come lui interruppe momentaneamente il suo delicato lavoro di saldatura di un'ala retrattile al corpo di una nave.

-... con quel che le è successo, ha tutti i motivi per comportarsi così... è stata esiliata-

E con queste parole si rimise all'opera.

-Esiliata?-

La notizia lo aveva lasciato assai più stordito che l'improvvisa aggressività di Pharnasius.

-Non è possibile! Pharnasius è uno dei nostri guerrieri migliori, cosa avrà mai fatto di tanto grave?-

L'idea di essersi salutati in maniera così decisamente poco cortese era triste, tuttavia Derfel non potette fare altro che dirigersi verso il decimo piano della stazione di lancio, settore 54B, dove da bravo custode sapeva stanziata la nave della dragonessa viola.

 

Solo una volta fori dall'atmosfera si potevano nuovamente vedere le stelle: un ammiccare di luci che si perdevano nei meandri più bui del cosmo e che tanto somigliavano alle colossali gallerie dove la sua gente si era rifugiata da tempo immemore.

Troppo tempo!

Il buio aveva annichilito le loro menti, smorzando ogni desiderio di cambiamento, di libertà.

In assenza di gravità, Pharnasius fluttuava nei pressi di una finestra dell'abitacolo di pilotaggio, saziandosi della vista del suo mondo, per il quale aveva dato tutto ricevendo in cambio solo un pugno di cenere... quanto era ora insignificante quella pallina giallastra persa nel cosmo!

-Attivare gravità artificiale-

-Ricevuto-

Pharnasius ebbe la spiacevole sensazione che la situazione le gravasse improvvisamente sulle ali quando il peso del suo corpo tornò a farsi sentire.

Presa dallo sconforto, si lasciò scivolare a terra, acciambellandosi su se stessa come un cucciolo nel guscio dell'uovo.

Lì, sola nel buio dello spazio, si concesse il lusso di lasciarsi andare ad un pianto a lungo represso, mentre il dolore veniva pian piano lavato via dalle lacrime fino a farsi sopportabile.

Il sistema centrare della nave la capì, decidendo di lasciarla fare per un po' senza intromettersi.

-Ehi, va meglio adesso?-

-Uh....?-

La dragonessa alzò appena l'ala con la quale si era coperta la testa, trovando una piccola manta di un blu pieno e brillante come i lapislazzuli che le fluttuava innanzi, mantenendosi sospesa in aria con eleganti colpi di pinna.

La sua nave era solita interagire con lei tramite quell'interfaccia olografica, che Pharnasius stessa si era scelta dopo avere passato al vaglio l'interminabile gamma di forme messe a disposizione dai programmatori del sistema centrale, che andavano dalle più infantili fino a quelle sessualmente provocanti.

Le erano sempre piaciute le mante e la divertiva l'idea di averne una in miniatura che le fluttuasse al fianco come un pesce fuori dall'acqua.

-Sì, è passata adesso-

-Posso fare qualche cosa per tirarti su il morale?-

-No, grazie comunque Belta... attiva il pilota automatico e mettimi in ibernazione-

-Quali coordinate?-

-Eh-eh! Questa sì che è una bella domanda... dove andiamo? Bo, per me è indifferente, scegli pure te.... svegliami quando arriveremo in un qualsiasi posto di questo fottutissimo universo, notte notte!-

-... Come vuoi... ma diavolo, come la fai tragica!-

-Non una parola di più Belta....-

Facendo spallucce, la piccola manta si dissolse mentre una foresta di tubi e piastre spuntarono dal pavimento avviluppando la dragonessa come i rovi attorno ad una vecchia cancellata abbandonata.

Poco prima che la sua attività celebrale venisse sospesa, Pharnasius considerò con stupore come quella giornata infernale fosse cominciata nella stessa identica maniera delle altre.

  
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