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Autore: LauriElphaba    05/04/2010    2 recensioni
Andromeda Tonks non riuscì ad aprire bocca, nemmeno quando la figlia le si avvicinò e la strinse tra le braccia. Per pochi secondi, un saluto normale. “Devo andare, mamma.” Pensò all’uomo che aveva amato, anche lui era dovuto andare. Pensò al piccoletto che dormiva di sopra, chissà se un giorno sarebbe partito in quel modo anche lui. Pensò a Ninfadora, lì di fronte a lei, seria come poche volte l’aveva vista, ma determinata. Pronta. Pronta per cosa, cercò di non chiederselo.
Genere: Triste, Drammatico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Tonks, Nimphadora Tonks, Remus Lupin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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La sentì scendere le scale di fretta, la fretta di una decisione presa.

Non si sorprese vedendo la sua faccia risoluta mentre veniva avanti dal corridoio verso il salotto, la bacchetta già in mano.

Chissà se Teddy si era già addormentato? Probabilmente si, o non sarebbe scesa.

Andromeda Tonks non riuscì ad aprire bocca, nemmeno quando la figlia le si avvicinò e la strinse tra le braccia. Per pochi secondi, un saluto normale.

“Devo andare, mamma.”

Pensò all’uomo che aveva amato, anche lui era dovuto andare.

Pensò al piccoletto che dormiva di sopra, chissà se un giorno sarebbe partito in quel modo anche lui.

Pensò a Ninfadora, lì di fronte a lei, seria come poche volte l’aveva vista, ma determinata. Pronta.

Pronta per cosa, cercò di non chiederselo.

La baciò sulla guancia, le accarezzò il viso velocemente e la lasciò andare. Cosa poteva dirle, quando anche lei avrebbe preferito dare la vita per l’uomo di cui era innamorata piuttosto che vederlo morire? Per quanto fosse quasi un dolore fisico vederla partire,e per quanto se lo sentisse ancorato in gola, che la bruciava dentro al petto, sapeva di non poterla fermare. Di non doverla fermare.

“Torna presto, Dora.”

 

***

“Remus! Remus, hanno bisogno di noi dentro! Dobbiamo andare!” chiamò Arthur Weasley.

La battaglia si era spostata, là fuori non c’era più niente da fare. Remus diede un’ultima occhiata verso la Foresta Proibita, per accertarsi che non sarebbero stati aggrediti alle spalle, che i Mangiamorte fossero effettivamente tutti all’interno del castello. Poi  richiamò il suo gruppo e seguì Arthur che già correva verso l’ingresso. Metà del portone era volato fuori dai cardini, lo scavalcarono  e continuarono a correre verso la Sala Grande, con il rumore che si faceva ad ogni passo più forte, esplosioni, urla… Hogwarts non gli era mai sembrata così poco se stessa, così lontana dalla casa che era stata…

Uno dei corridoi era andato quasi completamente distrutto, e la polvere alta nell’aria impediva di vedere qualsiasi cosa che non fossero le sagome nere, sfocate degli altri. Dovettero rallentare, quasi non si riusciva a respirare. Remus si appiattì contro la parete con tutti i sensi all’erta: sarebbe stato il luogo perfetto per una brutta sorpresa. Sentì gli altri avvicinarsi incespicando nei resti delle mura che ingombravano il pavimento.

“Qui! Venite verso la mia voce!” Era di nuovo Arthur, ai piedi del corridoio, ormai fuori dalla nuvola di polvere.

Fu un secondo: ci fu un lampo di luce e un’altra esplosione assordante, il pavimento tremò e quel poco delle mura esterne che era rimasto in piedi in quella zona crollò del tutto. Mentre si riparava la testa con le braccia Remus sentì le urla degli altri sopra il rumore, come attutite, e uno spostamento dell’aria pesante molto vicino. Il responsabile del crollo se la stava dando a gambe? Aprì gli occhi, ma se c’era qualcosa, se ne era già andato. Sentì Arthur chiamare gli altri, a giudicare dalle voci sembrava che tutti se la fossero cavata.

Riprese il fiato per un secondo. Grazie al cielo Tonks non era lì. Dora.  No, era con Teddy, al sicuro, a casa. Per quanto non fosse da lei. Aveva strepitato, urlato, ma alla fine sembrava che si fosse lasciata convincere.

No, Dora era al sicuro. Poteva stare tranquillo.

 Ricominciò a correre verso la voce di Arthur e in pochi secondi era fuori.

***

Tonks avrebbe voluto Smaterializzarsi appena fuori casa, non c’era nulla che glielo impedisse: nessuno nei dintorni, il giardino completamente buio, silenzio tutto intorno. Ma non ce la faceva. Sapeva che sarebbe stata dura. Non si può sparire da un luogo lasciandoci un pezzo di cuore così, senza accorgersi di niente.

Non voleva farlo, ma non riuscì a non sbirciare di sfuggita verso la finestra della camera in alto. Piccole stelle danzavano sulla tendina azzurra, rincorrendosi in cerchio. La lampada da notte di Teddy, un regalo di nonno Ted. Sentì un groppo di lacrime trattenute stringerle la gola, mentre le gambe si appesantivano, piantandola a terra.

Non poteva andare.

Non poteva restare.

Fece un respiro profondo e si schiarì la gola. Sarebbe tornata presto, come aveva detto ad Andromeda. Sarebbe andato tutto a posto. Era un’Auror. Una delle migliori, pensò con un abbozzo di orgoglio. Bastava concentrarsi.  Vigilanza costante. Improvvisamente sentì di nuovo di poter muovere le gambe. Abbassò lo sguardo dalla finestra in alto e fece ancora un paio di passi per allontanarsi dalla casa prima di girare su se stessa e sparire nel buio.

 

***

 

 Remus aprì gli occhi. Era disteso a terra, Arthur Weasley era accanto a lui, un paio di altri combattenti, tra cui riconobbe Ernie Macmillan  e una ragazza di Corvonero a cui aveva insegnato, erano in piedi lì intorno.

“C’è mancato poco, eh?” disse Arthur con un sospiro di sollievo.

Mentre la vista gli si snebbiava, ricordò. Certo, i Mangiamorte. Sbucati da uno dei corridoi laterali, li avevano attaccati. Erano nove o dieci, quanto bastava perché uno Schiantesimo riuscisse a colpirlo alle spalle senza che se lo aspettasse. Se fosse stato scagliato meglio, probabilmente sarebbe finito non contro il muro, ma attraverso la breccia che si apriva a metà di esso, dritto nel vuoto. Si rialzò in piedi afferrando la mano di Arthur, si sporse attraverso l’apertura e guardò in basso. Il parco era così lontano e buio… Un lungo volo che lo avrebbe separato per sempre da tutto, come Silente. La consapevolezza di quello che sarebbe potuto succedere lo colpì come un pugno allo stomaco facendolo sudare freddo. Niente più Dora, niente più Teddy, né le loro voci, il loro profumo, i loro colori, il calore del corpo di Dora accanto al suo nel letto e quello di Teddy fra le sue braccia.

“Professor Lupin, tutto bene?” Chiese la ragazza di Corvonero avvicinandosi a lui.

Deglutì, alzando finalmente gli occhi da quell’abisso ipnotico. C’è mancato poco, eh?   Scacciò via i pensieri, doveva concentrarsi.

“Si, grazie. Andiamo.”

Arthur si avvicinò, gli diede una pacca sulla spalla e insieme si avviarono di nuovo verso la Sala Grande, seguiti dai ragazzi. Solo allora si accorse che il gruppo non era più al completo, ma non ebbe la forza di guardarsi alle spalle per scoprire chi mancasse e perché. Arthur e gli altri avevano sicuramente fatto il possibile mentre lui era incosciente, e non voleva vedere quello a cui era appena scampato.  

***

Non si era aspettata di far scattare alcun allarme Materializzandosi ad Hogsmeade, e infatti non ci fu nessuna eco della sua comparsa. Le strade erano deserte, le case, con le porte lasciate aperte e le luci dimenticate accese sembravano abbandonate per la maggior parte in tutta fretta, da chi stava scappando o da chi stava andando a combattere. Sola in mezzo alla strada principale, pensò di non saper giudicare chi avesse ragione, se i fuggitivi o i combattenti. Fuggire con tuo figlio o combattere –morire?- con tuo marito?

Ma scacciò quei pensieri, aveva fatto la sua scelta: combattere con suo marito, vincere e tornare a casa da suo figlio. Sarebbe andato tutto bene. Concentrazione. Respirò a fondo e si incamminò verso la Testa di Porco.

 Anche lì la porta era spalancata, la luce accesa e le ultime braci del camino si spegnevano lentamente in un angolo, ma Aberforth non c’era. In compenso una ragazzina bionda la guardava da un quadro facendole  segno di avvicinarsi. “Ariana?”, si chiese avanzando verso di lei. Tonks ne aveva sentito parlare da Malocchio. Così piccola, e tutto quello che rimaneva di lei era un’immagine dipinta, si ritrovò a pensare mentre entrava nel tunnel dietro al quadro che si era spostato di lato per lasciarla passare.

Si guardò avanti. Un lungo cunicolo male illuminato che la separava da Remus era davvero poco. Così vicino…

Cominciò a correre cercando di non pensare a quanto fosse piccola la bambina del quadro, a quanto fosse piccolo il suo Teddy che aveva lasciato con Andromeda nella speranza di tornare, si diede della pazza e della stupida, desiderò mille volte, nel giro di quei pochi passi veloci, di fare retrofront e tornare indietro, si disse mille volte che non ce l’avrebbe mai fatta e che Remus era così vicino, e finalmente l’avrebbe visto; vivo, ferito forse, a combattere probabilmente, ma vivo. Lo avrebbe aiutato e ne sarebbero usciti insieme.

E sarebbero tornati da Teddy. Ce la potevano fare. Se fosse arrivata in tempo … se, se, se

Il tunnel sbucò finalmente in una enorme stanza calda e luminosa, dove i rumori della battaglia giungevano ancora attutiti. La Stanza delle Necessità.

“Tonks!”

Si guardò in torno e vide Ginny Weasley che si alzava in piedi di scatto da un vecchio pouf tarlato e le correva incontro. Era arrivata. Ora doveva solo trovarlo.

***

Finalmente erano arrivati. Inizialmente nessuno li notò, nella Sala Grande tutti erano impegnati nelle danze: Mangiamorte e difensori di Hogwarts si fronteggiavano in duelli feroci, lampi di luce di colori sinistri schizzavano in ogni direzione.

“Andiamo … Arthur, Molly é lì in fondo mi sembra” Remus indicò  la moglie ad Arthur che non perse tempo e si lanciò in suo soccorso. Molly Weasley combatteva con un uomo incappucciato e a Remus sembrò stanca, in difficoltà. Non potè fare a meno di pensare per un attimo ai corpi distesi a terra che sicuramente avevano lasciato dietro di loro andandosene dal corridoio dell’agguato. O a tutti quelli che erano sparsi nel castello, e di cui non sapeva niente. Ma c’era Arthur ora con lei.

Era ora di combattere.

“Ragazzi, siete sicuri di voler entrare? Potete ancora andare, nessuno ve ne farà una colpa.” Disse a Ernie e agli altri ragazzi. Quelli annuirono e non si mossero, aspettavano solo un suo ordine per cominciare.

“Bene, allora andiamo. Cercate di dare una mano a chi vedete in difficoltà.”

I ragazzi partirono e in poco tempo non riuscì più ad individuarli nel caos della battaglia.

Passò la bacchetta dalla mano sinistra alla destra, guardandosi intorno. Vide Neville e Luna impegnati a combattere contro un Mangiamorte all’angolo destro della Sala. Lampi di luce colorata li sfioravano a velocità impressionante senza colpirli. Poi il Mangiamorte riuscì in una maledizione più veloce e colpì Neville con un getto di luce viola. Il ragazzo cadde a terra, Remus capì che Luna avrebbe istintivamente voltato le spalle al nemico per  aiutarlo. Doveva anticiparlo. Si lanciò verso il Mangiamorte con la bacchetta alzata e urlò il primo incantesimo che gli venne in mente:

“Incarceramus!”

Lunghe funi uscirono dalla bacchetta e andarono a legare il Mangiamorte che colto di sorpresa perse l’equilibrio. Luna si interruppe nel gesto di girarsi verso Neville e gli sorrise solo per un secondo, poi alzò la bacchetta e per un folle momento Remus pensò che stesse per attaccarlo.

“Stupeficium!” Urlò, è lo Schiantesimo  lo sfiorò per un pelo. Girò su se stesso per evitarlo e vide che colpiva un Mangiamorte proprio dietro di lui. Stava per farsi attaccare di nuovo alle spalle. Luna lo aveva appena salvato. La raggiunse di corsa.

“Grazie Luna, se non ci fossi stata tu…”, per la seconda volta, ricordò a se stesso. Non poteva permettere che accadesse di nuovo. Doveva resistere, mantenere i nervi saldi e la guardia alta. Si chinò su Neville, ancora steso a terra. “Cos’ha?”, chiese.

“Non lo so, era una cosa viola … non sono riuscita a sentire cosa diceva con tutto questo rumore” .

A terra, Neville tremava violentemente. Remus si guardò intorno alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarli. Scorse Madama Chips  in fondo alla sala. Combatteva insieme a due ragazzi contro un uomo dal viso scoperto e sfigurato. Dolohov. Doveva mandarla da Neville, sostituirsi a lei.

“Aspetta qui, Luna.”

 Le corse incontro chiamandola e facendole segno di andare verso l’angolo da dove veniva, approfittando del fatto che l’attenzione del Mangiamorte in quel momento era tutta per i due ragazzi.

Fu una questione di secondi: Madama Chips abbassò la bacchetta e si spostò per fare spazio a Remus, che entrò al suo posto mentre lei cominciava a correre verso Neville, si diedero uno sguardo veloce e in quel momento avvertirono entrambi che qualcosa era andato storto: distratto da quello scambio, uno dei ragazzi che combatteva con la donna aveva abbassato la guardia mentre l’altro riprendeva fiato.

“Avada Kedavra!” Urlò Dolohov, e il ragazzo a sinistra di Lupin cadde in un lampo di luce verde, gli occhi spalancati e la bocca semiaperta in un espressione di stupore. Lupin si girò verso Dolohov e lo schiantò facendolo cadere a terra privo di sensi. Com’era piccolo il ragazzo a terra, quasi un bambino, un biondino con la faccia ancora arrossata dalla fatica. A Remus sembrò un viso familiare, ma non riuscì a ricordare chi fosse. Intanto l’altro ragazzo si era avvicinato al compagno piangendo, scuotendolo.

“Non c’è più niente da fare, mi dispiace. Portalo fuori.” Gli disse continuando a tenere sotto controllo Dolohov, che cominciava a muoversi. Il ragazzo annuì e prese in braccio l’amico, poi si allontanò. Remus chiuse gli occhi per un istante, cercando di nuovo di concentrarsi, di rimanere freddo. Dolohov si stava rialzando.

***

Tonks correva lungo i corridoi verso la Sala Grande. Remus stava duellando con Dolohov, aveva detto Aberforth, e a quanto sembrava la maggior parte dei duelli stava avendo luogo lì. “Da quanto stava duellando con Dolohov?” si chiese terrorizzata da ogni minimo espandersi di quel pensiero. Stava arrivando ad aiutarlo. Se solo avesse fatto in tempo … Aveva solo bisogno di vederlo vivo e sapeva che sarebbe stata capace di sconfiggere tutti i Mangiamorte della Sala Grande, ma doveva vederlo, doveva sbrigarsi. Svoltò a destra lungo un passaggio più ampio. Il muro esterno era crollato quasi del tutto, e c’erano sagome a terra, immerse nella polvere. Voleva fare in fretta, ma non poteva non controllare. Si accostò a quello più vicino e controllò il battito. Niente, non c’era più niente. Lo stesso, scoprì, valeva per l’altro. Sentì che il suo stomaco si richiudeva su se stesso e scivolava in basso. Nessuno dei due era Remus, almeno. Doveva correre e corse, fino alla Sala Grande, con la testa miracolosamente sgombra, questa volta.

Arrivata sulla soglia, ritrovarlo nella folla fu un secondo. Combatteva con Dolohov, da solo. Era vivo. Fece per correre verso di lui ma si immobilizzò. La stava fissando, aveva perso di vista il Mangiamorte davanti a lui.

***

Stavano combattendo da più di dieci minuti, ormai, e Remus non era ancora riuscito a sconfiggere il suo avversario. A quanto pareva, Dolohov era un ottimo duellante. Un ottimo duellante con la lingua troppo lunga.

“Ehi, cane, la cagna e il piccolo lì hai lasciati alla cuccia?” Gli aveva chiesto appena avevano ripreso a combattere, con un ghigno che gli deformava quella faccia rovinata. “Non è che il cucciolo di lupo finirà come il cuccioletto d’uomo, qui, eh bestia?” Aveva aggiunto indicando il ragazzino che aveva appena ucciso, ormai lontano.

Remus aveva sentito il sangue ribollire, ma si era sforzato di non rispondere, di non perdere il controllo. Doveva continuare a parare e controattaccare, in quella macabra danza tra le luci. E poi, mentre schivava l’ennesimo Anatema che Uccide, vide quello che non avrebbe mai voluto vedere. Dora era lì. Era davvero lì. Col fiato mozzo sulla soglia della Sala, lo cercava. Lo aveva trovato, ora. Si guardarono per una frazione di secondo, e vide che lei si era fermata, come immobilizzata dalla paura. E capì. Capì che quella frazione di secondo era bastata. Capì che quello era il suo ultimo sguardo a Dora per sempre, probabilmente. E senza connessione pensò a Sirius, scivolato dietro al velo con il sorriso ancora congelato in faccia. Lui non stava sorridendo, sarebbe morto con una stupida espressione di sorpresa, come il ragazzino di poco prima.

***

Non successe al rallentatore, come accadeva sempre nei film e nei bei libri. Tonks prese a correre disperatamente verso  Remus che la guardava, oltrepassando la McGranitt e Lumacorno che combattevano contro Bellatrix, mentre Dolohov alzava la bacchetta, il ghigno che aveva in faccia esageratamente disteso, una smorfia di vittoria pregustata.

“Avada Kedavra!” Urlò di nuovo. Remus fece appena in tempo a guardarlo per vedere la maledizione che lo centrava in pieno petto. E cadde a terra con un tonfo.

Tutto in pochissimi secondi.

Anche lei fu tentata di lasciarsi cadere  a terra, le mani tra i capelli e urlare, urlare, urlare fino a vomitare l’anima per la fatica. Remus era a pochi passi, e ormai così lontano, totalmente inconsapevole della vicinanza di sua moglie, del suo sgomento. Perduto. Avrebbe voluto gettarsi sul suo corpo e aspettare il colpo di grazia, e intanto piangere, piangere …

Ma l’animale che lo aveva ucciso stava ancora ridendo, con quel ghigno odioso.

Dora si lanciò verso di lui.

“Stupeficium!” urlò, e la risata del Mangimorte si spezzò mentre quello andava a sbattere con la testa contro il muro, spinto dalla violenza dell’incantesimo. Cadde a terra pure lui, e una piccola pozza di sangue gli si formò intorno al viso sfigurato. Non sorrideva più.

Allora potè concedersi di riempire quella breve distanza che la separava da Remus. Si gettò su di lui singhiozzando. Il suo corpo era ancora caldo, non poteva essere, non era possibile, urlò nella sua testa scuotendolo, abbracciandolo, stringendolo a se come se volesse cullarlo.

Per un secondo pensò a Teddy, a quello che stavano rischiando e avevano rischiato. Remus non l’avrebbe più rivisto. Forse nemmeno lei.

“Tonks!” Sentì la voce della McGranitt che la chiamava e la cercò con lo sguardo appannato dalle lacrime. Era a terra, con Lumacorno poco distante, e le indicava Bellatrix che si stava avvicinando a passo svelto verso di lei.

Tonks si alzò in piedi e asciugò le lacrime con una mano, ma non riusciva a controllarsi, si sentiva un grumo di dolore pronto al sollievo. Eppure doveva combattere, qualcuno la stava aspettando a casa, qualcuno per cui ancora valeva la pena di vivere.

“Ciao cagna…” La apostrofò Bellatrix senza neanche tentare uno dei suoi sorrisi minacciosi. Era semplicemente livida. Alzò la bacchetta:

“Avada kedavra!”

Tonks si gettò a terrà e riuscì miracolosamente a schivare la maledizione, rispondendo a sua volta con un Anatema che uccide. Bellatrix riuscì ad evitarlo per un pelo, ma si fece ancora più agguerrita.

“Crucio!”

Da dove era, a terra, non riuscì a schivarlo. Il dolore era tremendo , come artigli che cercavano di strapparle ogni lembo di pelle, come elettricità che le arrivava fino al cervello. Quando cessò, aveva la vista oscurata ed era completamente bagnata di sudore. La sua bacchetta non era più tra le sue mani. Sentì la voce di Bellatrix e seppe che stava per succedere come lo aveva saputo Remus.

“Addio, feccia.”

Fece appena in tempo ad alzarsi in ginocchio, non voleva morire a terra. A testa alta affrontò il getto di luce verde, nella mente le immagini di ogni momento passato con Remus e con Teddy.”Troppo pochi”, fece in tempo a pensare.

Poi più niente.

***

Andromeda Tonks  stava andando in cucina per un bicchiere d’acqua quando lo sentì. Erano forse le tre o le quattro del mattino. Teddy aveva dormito come un angioletto fino ad allora, lei non era riuscita a chiudere occhio. Si avvicinò al lavandino e improvvisamente sentì l’aria mancarle, non riusciva a respirare e cadde a terra. Era stato un attimo. Cerco di riprendere aria tossicchiando, e in quel preciso momento seppe che era successo. Sua figlia non sarebbe tornata. E nemmeno Remus.

Salì al piano di sopra, prese in braccio il piccolo addormentato, lo portò sulla vecchia poltrona di Ted con lei e cominciò ad accarezzargli i pochi capelli azzurri, soffici come la seta.

Era andati. Spazzati via in un secondo, come due mucchietti di polvere, niente di più, che il vento distratto aveva portato via senza neanche accorgersene. Sentì il calore delle lacrime sulle guance. Mentre accarezzava il nipote con la mano che tremava forte, pensò che forse loro almeno se l’erano cavata. Forse il vento si era calmato, e per un po’ non avrebbe cercato di disfare anche i loro mucchietti di polvere. Un mucchietto di ossa e polvere, era esattamente il modo in cui si sentiva. Ma c’era ancora Teddy. Forse ce l’avrebbero fatta.

  
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