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Autore: Harriet    07/04/2010    1 recensioni
Redimersi è impossibile, per uno come te. Hai bramato forza e potere per così tanto tempo. Hai accorciato e allungato la tua vita mille volte, tendendola e tirandola all'inverosimile.
Cosa farai, ora che ciò che ti inseguiva ti ha raggiunto?
Genere: Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia partecipante al Dark Contest di Nihal-chan, a tema sovrannaturale – horror – dark etc. Una delle richeste del contest era l'uso di una frase scelta tra molte proposte, e quella che ho utilizzato io è "Possiamo continuare a nasconderci in eterno, ma ciò che più temiamo troverà il modo di scovarci."
La storia è arrivata seconda e ha vinto il premio “Originalità” (Grazie alla giudice!^^)
Citazione iniziale e titolo: da “Lost and damned” dei Kamelot.
E' una classica storia da Harriet in tutto e per tutto (con un po' di angstabbestia): se sapete cosa intendo potete anche chiudere e fuggire, altrimenti... grazie di essere qui!XDDDD




Lost and damned


Don't ask why, don't be sad
Sometimes we all must alter paths we planned
Only try understand
I want to save you from the lost and damned



Tutte le notti sono regali e bellissime, ma ognuna lo è a suo modo. Questa è quieta come una signora che osserva il suo regno dietro a un velo, e sussurra il suo volere solo alle orecchie fedeli di pochi prescelti. Il cielo è muto, la luna è assente e le stelle si possono appena intuire dietro la marea di nuvole. La città non è abbastanza grande da vitalizzare il buio con le sue luci. Noi, in attesa di un tram che non arriva, in un desolato sobborgo periferico, vediamo quelle luci a distanza e la notte ci sembra ancor più silenziosa. Non è complice, non ci vuole bene. Pazienza. Ci sarà un'altra città con un cielo di un blu più bello, ci sarà un'altra terra con l'occhio della luna benignamente rivolto su di noi. Stanotte la via ci offre questo. Ci accontenteremo. Siamo viaggiatori, noi. Non ci lamentiamo. In lontananza sentiamo il rumore di un mezzo in avvicinamento. Passano diversi minuti prima che il tram semivuoto ci raggiunga e ci apra le sue poco invitanti porte. La prima a salire è Viorica, bassa e piccina, col suo impermeabile nero e le labbra tese nella sua abituale espressione concentrata. Ciocche bionde e ciocche azzurre le ricadono sul viso grazioso. Nasconde una mano in tasca e io so che c'è un'arma lì, anche se lei non ne avrebbe bisogno. Le basta aprire bocca e mostrare l'ombra dei suoi denti, per intimorire qualsiasi malintenzionato. Apre la strada perché è il capo della guardia. Beh, è anche l'unico membro della guardia.
Ecco i Tre. Che cosa siano realmente i Tre, non lo sa nessuno, e forse è giusto così. Questa notte i Tre hanno l'aspetto di insignificanti zanzare, molto appropriate al caldo di questa città. Nessuno li nota, tranne noi che li conosciamo. I Tre sono i Grandi Consiglieri: osservano il mondo ed elaborano sagge teorie che nessuno di noi potrà mai conoscere. Nessuno, tranne la Signora.
Ecco i Gemelli. Alti e robusti con gli stessi capelli lunghi e rossicci, le stesse lentiggini sbiadite, gli stessi occhi azzurri un po' vacui, le stesse labbra fini increspate in un sorriso leggero. Uno indossa una felpa scura, dei jeans e un paio di scarpe da ginnastica sdrucite. L'altro porta una casacca fino al ginocchio, sandali di corda e una specie di mantella sulle spalle. La loro età è indefinibile: a volte sembrano giovani appena usciti dall'adolescenza, altre volte paiono portare con sé una stanchezza che di giovane non ha nulla. Uno di loro è uno spettro, l'altro è vivo: nessuno riesce a distinguerli. Ah, e poi Lei...
La guardo che sale, dietro i Gemelli, incaricati di controllare che il percorso della Signora sia privo di ostacoli. Mi mancano le parole per descriverla. Un occhio banale e disattento guardandola vedrebbe solo una giovane donna formosa, con un buffo abito da bambola bianco e verde, una chioma di riccioli nerissimi lunga fino alle caviglie, e sulla testa una specie di corona, fatta di cartoncino verde, piccole perle di plastica incollate storte, cristalli di vetro e brillantini gettati a manciate sull'ornamento, nastri di diversi colori che s'impigliano con i riccioli.
Io vedo la creatura più splendida e dolce di tutti gli universi esistenti. Una donna che si veste del suo coraggio, si ammanta della gioia del cammino ed è ornata dalla sua generosità. Lei è impegnata in una sacra Cerca, anche se non può rivelare cosa stia cercando. Nel suo andare ha raccolto tutti noi, gli otto membri della sua corte, ed è diventata la nostra Principessa, la creatura multicolore che ci guida attraverso i mondi, colei che ha donato a ognuno un motivo per viaggiare.
Per ultimo vengo io. Balzo sul tram, ridicolo mezzo inadatto alla regalità della mia Signora, e per un attimo guardo la mia faccia che non mi piace, riflessa sul vetro. La faccia lunga di un uomo più giovane che vecchio, con lunghi capelli scuri e spettinati sui quali è posato un copricapo da buffone, bianco e verde. Nascondo il mio corpo sbilenco e sgraziato sotto una giacca larga e rattoppata. Sulle spalle porto la sacca in cui nascondo uno strumento a corde, fatto di pezzi di altri strumenti. E' uno strano arnese, messo insieme per forza, e ha sempre una nota vagamente stonata. Suona un po' come il mio cuore.
Io sono il Cantastorie di corte e chiudo la fila, guardando le spalle della mia Signora.
Le porte del tram si chiudono, il viaggio riprende. La Signora ha un appuntamento, stanotte.

La piazza è un relitto di antichità in mezzo alla città di cemento. Non dico mai questa cosa, ma in fondo al cuore apprezzo tanto il cemento e i grattacieli quanto la piazza piastrellata con piccole pietre bianche e grigie, le case che le si affacciano intorno, il loggiato di archi che ne circonda la metà. Mi piace quando giri un angolo e ti lasci alle spalle il futuro per passeggiare nel passato.
Al centro della piazza ci sono tre donne, ciascuna con un piccolo seguito. Anche noi ci avviciniamo a quel circolo. Due lampioni gettano un po' di luce su di noi.
- Benvenute.- E' una signora-spettro a parlare. Le sue vesti grigie e violacee provengono dai tempi in cui la piazza fu costruita. Sorride, e dietro di lei le sue quattro dame-spettro sorridono all'unisono con la loro padrona. - Benvenute nella mia casa.
- Ora siamo tutte.- Stabilisce una piccola donna alta la metà della signora-spettro. Ha la pelle e i capelli bluastri e veste di bianco. E' una creatura graziosa. Con lei ci sono due custodi con armature bianche e spade sguainate: sono piccoli e blu come lei.
- Ho incantato questo posto.- Annuncia una maga dalla lunga tunica nera e rossa, una donna alta con i capelli grigi riuniti in una treccia. - Nessuno degli abitanti ci sentirà. Potremo tenere la nostra amichevole sfida senza problema.- Al suo fianco dieci ragazze e dieci ragazzi, con abiti simili a quelli della maga, fanno un inchino rispettoso alle altre contendenti.
- Bene. Che la gara di canto inizi, allora.- Dice la mia Signora, con un sorriso. Noi ci stringiamo intorno a lei. Il nostro compito sarà solo quello di ascoltare e vegliare. Le quattro canteranno e da qualche parte, nelle ombre, si nasconde la giuria che eleggerà la vincitrice.
La prima a cantare è la dama blu e piccolina. Ha una voce eterea e finissima, come quella di una bambina.
C'è qualcosa che si sovrappone alla sua voce.
Mi guardo attorno, trattenendo il respiro. Nessuno se ne accorge, però.
- Tu lo senti?- Sussurro a Viorica.
- Che cosa? Stai zitto, Florian: se parliamo potrebbero squalificare la Principessa.
Io continuo a sentirlo. Un rumore che s'intreccia alla voce delicata della cantante. Un rumore che però non ha nulla di delicato.
Cos'è? E' un pericolo? Non posso permettere che succeda qualcosa.
Cercando di non fare alcun rumore mi allontano dal piccolo raduno, per esplorare i confini in ombra della piazza. Voglio capire...
Qualcosa attira la mia attenzione. Dietro una delle colonne del loggiato. Ha fatto un guizzo e s'è nascosta lì, nel buio... Mi avvicino, quasi non respiro. Mi appoggio alla colonna e lancio uno sguardo nel groviglio di ombre.
C'è davvero qualcosa. Non so cos'è però lo conosco. Non è una contraddizione. Non so cos'è, quel filo che emette un pallido bagliore e galleggia nell'aria, ma ne ho già visti. Prima, mentre viaggiavamo sul tram, ne ho scorti due fuori dal finestrino. Però sono svaniti subito. E neanche quella era la prima volta che li vedevo. Capisco che ci sono stati dietro per giorni, e che io, capace di vederli, ho tralasciato la loro importanza. Avrei dovuto intuire che quelle creature non erano lì per caso. Niente è lì per caso, se si parla della nostra corte. Noi siamo dei destini così strani e complicati che non possiamo permetterci il lusso del caso.
Allungo la mano per prendere il nastro luminescente. Devo capire...
Nell'istante in cui tocco la creatura, il mondo si capovolge.
Dove sono?
Il cielo è nero, squarciato a tratti da lampi di un bianco accecante, e gli edifici sono al contrario: pendono dal nulla e sono sospesi a una spanna dal suolo. Questo posto somiglia alla piazza dov'ero prima, però le finestre sono tutte spalancate e dietro c'è solo il buio, un buio inquieto in cui lampeggiano fugaci sguardi di occhi che mi sono nemici. Il silenzio sembra esseri materializzato: non si ode un suono da nessuna parte. Non sento il respiro che mi esce spezzato dalla bocca, eppure sto ansimando come chi ha paura.
Griderei, se non temessi di compiere un errore irreparabile.
Mi guardo la mano: la creatura che ho cercato di prendere non c'è più, però vi ha lasciato una scia appiccicosa e lucente. Sollevo gli occhi, richiamato da un movimento al centro della piazza. Le creature sono tutte lì, e finalmente ne comprendo la natura. Non erano esseri a sé stanti, ma parte di qualcos'altro. Sono moltissime. Ciascuna si lega ad altre due o tre, per formare piccoli esseri che paiono farfalle: spettrali farfalle scheletriche, con le ali fatte di luce bianca glaciale. Vedo i loro occhi lucenti. Mi sembra di sentirle ridere. Aumentano sempre più, stanno costituendo una schiera, e gli occhietti di tutte sono fissi su di me. Non devo guardarle troppo a lungo. Sembrano davvero fatte d'osso. Hanno qualcosa di innaturale. Da quale mondo infernale provengono, questi messaggeri di tragedia?
La schiera si compatta. C'è qualcosa che nascondono, qualcuno... Una figura che ha preso consistenza, dietro le sue tetre annunciatrici. Un brivido antico mi raggela. La memoria urla avvertimenti che non vorrei ascoltare. Io so chi è, quella figura. E capisco che questa è una trappola per me.
Mi sembra molto logico: nessun altro avrebbe mai potuto trovare interessanti simili creature. E' una cosa assai conforme ai suoi gusti. E se penso a quali altre cose sono conformi ai suoi gusti, non posso fare a meno di lasciarmi invadere dal panico. Lo conosco troppo bene per sperare di uscire da qui.
Dove mi ha portato?
Come ha fatto a raggiungermi? Credevo di aver fatto perdere le mie tracce... Credevo... E invece...
Oh, ma io l'ho sempre saputo. Possiamo continuare a nasconderci in eterno, ma ciò che più temiamo troverà il modo di scovarci.
Eccolo. Le farfalle si diradano, due gruppi compatti come tende di un sipario che lasciano la ribalta all'attore principale. Eccolo, per davvero.
Se una Pietà Superiore esiste, che mi guardi almeno per un istante, allora.
Lui è alto e imponente come sempre. Il suo viso benedetto da una rude bellezza non è cambiato: gli occhi azzurri chiarissimi, quasi bianchi, brillano della stessa luce ironica di un tempo. I capelli bianchi scendono lungo le spalle, lisci e ordinati. Indossa uno dei suoi completi candidi: giacca, pantaloni e cilindro. Mi sono sempre domandato come potesse vestirsi in quel modo e riuscire a non macchiarsi mai di rosso. In mano stringe un bastone di legno bianco, sul quale scintillano iscrizioni d'argento.
Figlio di un popolo antichissimo, quasi immortale, dotato di poteri spaventosi... Da qualche parte nei mondi lo chiamavano Lunare. Io ho sempre pensato che non avesse niente a che vedere con la luna. Più che altro mi ricordava quei vermi che di notte fanno luce. Ti attrae risplendendo, ma poi quando ti avvicini non vedi che una creatura disgustosa.
- Sempre irriverente, Florian.
La sua voce arriva, tagliente, tra i miei pensieri. Ha letto la mia mente?
- Paragonare a un verme una vecchia conoscenza, senza nemmeno dire una parola di saluto. Ti sembra educato?
La sua voce... un tintinnare di frammenti di vetro sospesi nell'aria. Non è dolce, né armonica. E' fatta di tanti echi diversi, che non si armonizzano tra sé.
- Cosa vuoi da me?- Sussurro, odiando il tono lamentoso della mia povera piccola voce ridotta a niente.
- Un pagamento che devi al nostro comune signore da anni, Florian.
- Non ho più debiti con lui.
- Oh, sì che ne hai. Nessun debito contratto con lui può essere sanato tanto facilmente. Dovresti saperlo, tu, che hai impegnato mille volte la tua anima, salvandola sempre un istante prima di vedertela strappare via. Dico bene?
Si avvicina. O le mie gambe si sono alleate con lui e non riescono a muoversi, oppure c'è qualche incanto che mi tiene fermo. Non posso fuggire. Si avvicina.
- Hai servito un Principe dei Demoni in cambio di potere.- Comincia, e si avvicina. - Ti sei legato a uno Spirito delle Tempeste, dal quale volevi lumi sulla magia. Poi hai offerto i tuoi servigi a una Contessa malvagia, a cui avevi domandato fama e successo.
A ogni passo che lui compie, un capitolo della mia misera storia mi viene gettato ai piedi.
- E infine, sei arrivato al castello del nostro comune padrone. Al solito, hai offerto il tuo tempo e la tua vita, in cambio di tutta la magia e la forza che il padrone poteva darti. E al momento di pagare sei fuggito!
E' davanti a me, ora.
Saprei come ribattere ma non ho le forze.
- Non dici niente, Florian?
Alle sue spalle lo sciame di creature scheletriche batte le ali: conta il ritmo del tempo che scorre, i secondi che mi separano da un fato tremendo.
- Ho pagato.- Mormoro. - Lui mi ha conteggiato i giorni e la vita che ho speso nella mia permanenza al castello. Ho fatto pari. Non ci sono più debiti tra lui e me.
- Tu pensi che una manciata dei tuoi inutili giorni da essere umano siano bastati, a soddisfare le brame di un mago come il padrone?
- Lui ha una bilancia. La conosci, no?- Balbetto, incapace di sostenere il suo sguardo. - Ha una bilancia dove misura ciò che riceve e ciò che dà. Ho guardato io stesso. Ho sprecato così tanto tempo rinchiuso nel suo castello, che ho fatto pari con i suoi insegnamenti. Quando ho visto che gli avevo reso ciò che mi aveva dato, ho capito che potevo andare. Non volevo più restare lì.
- Oh. E come mai non volevi restare, Florian?
-Io...
- Lo so. Non ti sforzare. Lo sappiamo tutti. Sei stato preso da un insano desiderio di cambiare vita. Non è così, piccolo sciocco ladro e traditore? Volevi cambiare. Diventare una creatura della luce. Redimerti. Vero?
Non ho il coraggio di rispondere, se non con un impercettibile cenno della testa.
- Che idea pazza.- Sussurra lui, piegandosi verso il mio orecchio. - Redimersi è impossibile, per uno come te. Hai bramato forza e potere per così tanto tempo. Hai accorciato e allungato la tua vita mille volte, tendendola e tirandola all'inverosimile. Ti sei addentrato in reami proibiti agli sciocchi esseri umani come te. Hai mostrato una presunzione che merita un adeguato castigo. Ed è arrivato il tempo di pagare. Il tuo padrone è ancora il Mago di Hev, e io sono qui per riscuotere.
- Ma io...
- Non osare!- Non grida, ma la severità della sua voce annienta la mia capacità di rispondere. Una delle sue mani gelide si chiude attorno alla mia gola. - Non osare parlare ancora di quella bilancia. Hai reso al Mago quanto ti aveva dato, ma non lo sai che lui pretende il doppio per ogni cosa che insegna? Non sei che a metà del tuo servizio, razza di stupido! In cuor tuo l'hai sempre saputo. Questo momento era inevitabile.
Non voglio tornare tra quelle mura. Ho corso così tanto per mettere più terra possibile tra me e il mio odioso passato! Ho consacrato la vita a una creatura buona e a un lungo pellegrinaggio di purificazione. Possibile che la fuga non mi sia concessa?
- Ora farai quello che dico.- Mi lascia andare le fa qualche passo indietro. Le farfalle emettono un suono appena percettibile e disturbante. Sembra una piccola risata, moltiplicata per mille. Ridono di me.
- Inginocchiati.
E lo devo fare, perché c'è qualche incanto in questo posto, una magia che non mi lascia libero di agire.
Lui ha creato questo mondo per imprigionarmi. Il mio antico rivale, ai tempi in cui servivo il Mago di Hev, uno dei Maestri Immortali più temuti degli universi: uno Spirito antichissimo dedito alla magia, una creatura fatta della stessa materia delle montagne, plasmata dal desiderio sconsiderato e dalla sapienza senza cuore.
Lunare (così lo chiamavano tutti. Il suo vero nome è Desya) era l'allievo prediletto del Mago, ma mille volte inferiore a me. Sempre geloso della mia mente creativa. Quando me ne andai lui mi inseguì, ma allora ero animato da un desiderio di libertà invincibile, e lo sconfissi, lasciandomelo alle spalle. Deve aver giurato di vendicarsi e riportarmi alla prigionia presso il Mago.
Mi ha chiesto di inginocchiarmi e sono costretto a farlo. Abbasso la testa e lui ghigna, soddisfatto. - Avvicinati a me. Striscia.
E io lo faccio, perché tutto il mondo che mi circonda congiura contro di me: mi odia e vuole vedermi umiliato ai piedi del nemico.
- Verrai a casa con me, adesso. Il Mago deciderà il castigo giusto per te. E dopo – molto dopo, credimi, tornerai al suo servizio, finché la bilancia non farà pari secondo i canoni del nostro padrone.
- Dammi una possibilità.- Imploro, senza speranze.
- Una possibilità di fare cosa?
- Di combattere.
Ride, ride a lungo, apposta per farmi sentire già sconfitto in partenza.
- Oh, Florian il Redento, ma tu hai rinunciato alla magia e alla forza delle armi! Come pretendi di sconfiggermi, eh?
Le farfalle sbattono le ali e ridono. I secondi scorrono. Non riesco ad alzarmi.
- Dimmi.- Riprende lui, gelido più di sempre. - Come pensi di sconfiggermi?
- Posso farlo.
- La tua arroganza è sempre insopportabile!
Fende l'aria col bastone e non mi tocca, però avverto dolore da tutte le parti, come se una pioggia di pietre mi fosse piovuta addosso. Ha ragione, non posso pensare di sconfiggerlo. Devo seguirlo. Non è mai davvero esistita una possibilità di salvezza, per me.
- Vuoi davvero provare a combattere?- Riprende, quieto e quasi carezzevole. - Sono certo che sarà divertente vederti fallire in un patetico tentativo di sfuggirmi.
L'altra volta lo sconfissi con la magia. Ma non ce l'ho più. Ho solo uno strumento rattoppato come i miei vestiti, e la mia voce.
- Posso cantare.- Rispondo.
- Cantare? Che peccato. In questo mondo non esiste la musica. E' creato apposta per imprigionarti, Florian. La voce non vibra, gli strumenti sono muti, qui. Puoi provare a cantare, ma non succederà niente.
La mia unica arma è inutile.
So che così lo renderò solo contento, ma non riesco a fare a meno di lasciarmi sopraffare dalle lacrime.
Non sono fuggito dal castello del Mago perché sono un vigliacco. Io volevo davvero abbandonare la mia ricerca folle di potere e conoscenza. Avevo capito che non mi avrebbe portato a niente. Servire la Principessa per me è un modo di riparare ai miei errori.
Lei mi ha detto tante volte che un'azione buona pesa quanto mille atti malvagi. Ma ho sempre creduto che lo dicesse solo per consolarmi.
Sollevo la testa a fatica e guardo verso Lunare: non voglio vedere il suo sguardo derisorio, ma l'avversario si guarda sempre in faccia.
- Chi è perduto, è perduto. Chi è dannato, è dannato.- Dice lui, e le farfalle scheletro cominciano a vorticarmi attorno veloci, annebbiandomi la visione e facendomi impazzire col suono delle loro ali fatte d'osso e d'aria. La loro risata mi riempie la mente. Sbattono le ali e fanno eco alle parole del mio nemico.
- Chi rifugge la via oscura non può essere salvato.
E' davvero così? La danza degli insetti sembra ridisegnare davanti a me le pagine del mio passato: ogni scelleratezza che ho commesso, ogni cattiveria compiuta con un sorriso...
- Non esiste redenzione per chi un patto ha stabilito.
Volano, un'ala che sbatte non fa così tanto rumore ma migliaia di ali sono un uragano addosso a me.
- Non avrai liberazione anche se ti sei pentito...
E la filastrocca si chiude con una risata che mi riporta alla mente i tempi in cui obbedivo agli ordini del Mago, al fianco di Desya.
- Cedi, Florian. Non ha senso resistere. Ti aspettano abbastanza sofferenze per un po': non cercartene altre inutili. Perché non mi segui e basta? Se sei docile, il Mago potrebbe concederti uno sconto della pena.
Se solo potessi cantare...
Ci provo. Apro bocca e tento di emettere suoni, ma non viene fuori niente. Continuo a chiedere uno sforzo alle mie corde vocali, e allora avverto una fitta terribile alla gola e vomito una boccata di sangue. La risata di Desya viene amplificata dalle mille risate degli insetti.
- Ti sei fatto incatenare a volontà altrui troppe volte, per pensare di poter essere libero.- Mi dice Desya, quasi dolce ora. - Desisti da questo ridicolo tentativo di resistenza e abbandonati al destino. Sarà più semplice.
Ha ragione. Mi sono lasciato incatenare a molte volontà, sperando di ottenere qualcosa per me, in cambio.
Eppure...
Eppure con Lei è stato diverso. Non è stata Lei a incatenarmi. Mi ha lasciato libero. Mi ha raccolto lungo la strada, senza una meta e convinto di aver già sprecato i miei giorni e il mio cuore. Mi ha raccontato una storia, mi ha mostrato una stella, mi ha insegnato una canzone.
Sono stato io, a incatenarmi a lei, e l'ho fatto volentieri, senza che questo mi costasse niente. Ciò che mi lega alla mia Signora è solo il desiderio di servire la sua splendida purezza, per rendere al mondo almeno qualcosa di ciò che gli ho tolto.
Vorrei cantare tutto questo ma non ce la faccio, è doloroso e i suoni non vengono fuori, arrivano solo altre lacrime.
Ma se potessi lo farei. Canterei le parole che la mia Principessa mi disse durante il nostro primo incontro. Mi disse: Puoi aver fatto mille patti oscuri e aver tessuto legami col male. Nessuno avrà mai diritto sul tuo cuore. Il cuore sta lì dove lo riponi. Tutto il male del tuo passato potrà tendere la mano per afferrarlo, ma non ci riuscirà.
Provo ancora a dare parole e musica a quel ricordo...
E allora succede qualcosa di inaspettato.
Al posto delle note la mia voce assente fa scaturire qualcos'altro. Tra le mie mani posate a terra spunta un germoglio verde, l'unica cosa colorata nel mondo al contrario. Sale, lungo le mie braccia, fino alle mie spalle: si appoggia su di me e comincia a crescere. Arriva in alto, e intanto mette su foglioline e gemme multicolore. Io continuo a cantare senza emettere suono, e i fiori germogliano: sono tutti diversi, per forma e per tinta, e prendono a brillare di una luce viva, diversa da quella delle farfalle scheletriche. Canto il mio ricordo e un alito di vento sospira sul mio viso e mi libera dalla sensazione di essere imprigionato. Il cielo nero si riempie di stelle, in lontananza mi sembra di udire dei suoni...
Allora odo uno stridio terribile: sono le farfalle. Sono come fulminate da qualcosa: si bloccano nell'aria e si sbriciolano davanti ai miei occhi. E poi vedo Desya, senza più il sorriso, incredulo. Non ha parole per quello che è accaduto. Non ne ho neppure io. Ma la pianta che è cresciuta tra le mie mani è lì, testimone che ho davvero sfidato l'incantesimo del mio nemico.
- Tu... Com'è possibile...- Mormora lui, allontanandosi.
Continuo a cantare.
E pian piano il mondo al contrario comincia a strapparsi: dagli squarci intravedo il luogo dov'ero prima, la piazza immersa nella notte quieta, e mi sembra di sentire il suono di voci che conosco... Uno strappo più brusco e riesco a scorgerla. La Principessa che canta. Fisso gli occhi su di lei e dimentico il resto.
- Pagherai quello che devi!- Urla Desya, mentre svanisce.
- Io ho pagato per lui e ora è libero.- Gli risponde una voce che non ho mai sentito, ma mi sembra di conoscere. Non so se viene da un luogo reale o se forse...
... forse è solo una strofa della canzone che la Principessa sta cantando, e io mi abbandono a terra, al sicuro, e dormo.

L'alba bagna il mio viso. Ho la testa posata su qualcosa di morbido. Mi sforzo di guardare e comprendo che il mio cuscino è il grembo della Principessa. Tento di alzarmi, quasi sconvolto per quella mancanza di rispetto, ma lei ride e mi costringe gentilmente a rimanere dove sono.
- Sono felice di sapere che stai bene, Florian.- Mi dice. Occhi verdi, riccioli neri che sfiorano il mio viso. - E sono ancora più felice di rendermi conto che hai imparato qualcosa, finalmente.
- Il mio cuore l'ho dato a voi, signora.- Mormoro, imbarazzato. - Nessuno può toccarlo.
- Bene. Questo basta. Le vie degli universi sono troppo vaste anche per i signori del male. Ti lasceranno in pace. E se torneranno, saprai sfidarli di nuovo.
- Signora, stare dalla parte dei vostri nemici era più facile. Non c'era da fare tutta questa fatica per mantenersi onesti.- Sospiro, poi rido. Lei sa che scherzo e ride con me.
- Ma stare con me è più divertente.- Risponde, piegando le labbra in un broncio grazioso.
- Senza dubbio. Non c'è altro luogo dove vorrei essere.
Tento di sollevarmi e la Signora posa una mano sulla mia fronte, tenendomi disteso, carezzando i miei capelli. Mi sento indegno di questi gesti.
- Non c'è fretta. Siamo al riparo.- Mi dice. - Siamo nascosti in un'ombra deliziosa che ci darà rifugio fino a stanotte, quando riprenderemo il viaggio. Hai bisogno di riposare, dopo la battaglia che hai sostenuto.
Non mi chiedo come faccia a saperlo, ma non me ne stupisco.
- Com'è andata la gara di questa notte?- Le chiedo.
- Naturalmente ho vinto.
- Non ne dubitavo.
Chiudo gli occhi e sorrido.
Non so ancora chi sia Lei, ma mi piace stare qui. Lei dice che vuole portarci tutti a casa. A volte credo che in realtà la Principessa non stia davvero cercando qualcosa: viaggia per dare a tutti noi un posto dove stare.
Non so ancora chi sia Lei, ma so che posso fidarmi.






Vieni a trovarmi al Worlds Hotel!
   
 
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