NDA:
In modo preliminare, stavolta procedo a ringraziamenti ed
avvisi vari!! IMPORTANTEEEE!!!!
- Il primo di essi è un enorme scusa che chiedo a tutti per il ritardo di questo capitolo. So
che spesso lo dico, ma chi ha modo di contattarmi
via msn o tramite il forum, sa che questo è
stato davvero il capitolo più difficile che abbia mai scritto. Non a caso
è abbastanza lungo, e non a caso è arrivato dopo due mesi. La verità è che
il personaggio di Helena mi è stato ostico sin dall’inizio, non lo
sopporto e questo è strano, considerando che l’ho “creato” io e che,
invece, per altri personaggi originali come Hayden e Seth ho un’autentica
adorazione. Quindi scrivere di lei è stato una
pena assurda, non lo dico tanto per dire!
- Il secondo di essi è un enorme grazie per chi segue ancora questa storia, chi la commenta e
chi mi segue costantemente aiutandomi e dandomi consigli. Mi riferisco a Seven ed Helder, due
persone meravigliose che mi hanno aiutato in modo incredibile e che potete
considerare a tutti gli effetti, gli “editor” di
questa storia sgangherata. A voi, dedico questo capitolo per avermi
sopportato e supportato nella scrittura di questo capitolo, specialmente nei
miei scatti omicidi verso Helena. J Grazie, Grazie, grazie.
- Il terzo di essi è una precisazione. Mi sono accorta, con mia somma preoccupazione,
di aver messo nella storia una serie di riferimenti
temporali spesso contradditori. Mi spiego… questa storia l’ho
iniziata a scrivere molto tempo fa, il settimo libro della saga non era
nemmeno uscito, per questo non mi è stato possibile nemmeno riscattare il
personaggio di Severus Piton. Questo ha
provocato che in molte parti ci siano delle contraddizioni: parlo per
esempio di Hermione, che era ancora Capo degli Auror, quando Harry divenne
ministro, mentre successivamente altri riferimenti temporali (specie in
questo capitolo) vadano a negare tutto questo. Dovrei sostanzialmente
cancellare tutta la storia, rivederla dall’inizio ed eliminare queste
contraddizioni tipiche di una storia che, come avrete capito, è in
continuo divenire, sebbene esista tutta nella mia testa (visto gli spoiler
che do sempre in giro specie alle mie editor!). Ma per ovvi motivi, questo richiederebbe troppo tempo e
procrastinerebbe la fine di questa storia. Non credo che sia un vostro
desiderio!! Quindi prendete
per buone queste contraddizioni, e non mancate eventualmente di farmele
notare. A breve, quando mi sarà possibile, metterò sul forum una tabella
temporale corretta che vi possa fare comprendere meglio tutto. Ed intanto cercherò di correggere e di ovviare come
posso. Chiedo sommamente scusa.
- il quarto di essi è una specie di pubblicità che mi auto faccio a
questo punto! Allora, c’era qualcuno (al momento non ricordo chi) che mi
aveva espresso il desiderio di far inserire questa storia tra le scelte
del sito, ma non sapeva bene come fare… al momento esiste un metodo più
semplice che è quello di cliccare la voce Segnala per le scelte nel riquadro a sinistra, quarta riga,
della pagina di ogni capitolo, e di scrivere una recensione sul motivo per
cui questa storia dovrebbe essere inserita, a vostro parere, tra le
scelte. Ho avuto modo di dire a molti che è una cosa che io vorrei
fermamente che mi accadesse un giorno (me
speranzosa!!) ma ovviamente non posso costringere nessuno e sarò felice lo
stesso, anche se non accadrà!! Ma siccome mi era stato chiesto, almeno
rispondo così!! Stessa cosa se la vorreste
segnalare per il concorso del sito, aperto fino al 30 aprile, che vuole premiare
la storia con i migliori personaggi nuovi. La procedura è sempre la
stessa, ma si clicca sulla riga Vota questa storia per il concorso di EFP, 'Storia coi migliori personaggi originali (nuovi)'
[entro il 30/04]
- A questo
punto vi lascio alla storia, non prima di aver ringraziato tutti coloro che leggono, commentano e recensiscono questa
storia!! Purtroppo oggi non posso ringraziarvi uno per uno, visto quanto tempo ho perso in questi avvisi!! Ma davvero
grazie, grazie, grazie.!!!
Un enorme bacio da Cassie chan!!
Capitolo
23 – Forbidden colours part III – She’s unreachable
Alle mie
personalissime e specialissime “editor” Helder e Seven con tantissimo affetto J
Semplicemente grazie…J
Draco ha la mano poggiata sul
vetro in un modo così delicato che è come se lo accarezzasse.
Mentre l’immagine di Helena,
dall’altro lato di questo specchio immaginario, è bloccata in questo raggiante e,
a suo modo, raggelante sorriso, Draco resta con quella mano aperta, sofferente,
freneticamente contratta sul volto di quella donna. E mi ricordi me, che accarezzo la tua spalla, colmandomi di un senso
che non mi darai mai.
Non sta piangendo, non più, e
forse per me sarebbe stato anche meglio che lo facesse.
Versare delle lacrime sembra
un’emozione così banale, umana, normale, attaccata al suo di dolore. Un dolore
che semplicemente non può piangere.
Si esprime solo nella sua testa
china, nei capelli biondi che gli coprono gli occhi chiusi, nella fronte
appoggiata al vetro, in quella mano che trema come se il suo stesso sangue
stesse gelando progressivamente, mentre cinge di effimero calore lo sguardo
ceruleo di Helena.
O di Rachel, o di come diamine si
chiama.
E io… nemmeno
io riesco a piangere. Come se fossi diventata come lui. Incapace di farlo. Dentro, mi sento implodere dal dolore, eppure
non riesco a piangere.
Riesco solo a fissare gli occhi
di Helena. Gli occhi di Rachel. Gli occhi di Serenity.
Quando credevo che lei non fosse
la mamma di Serenity, per il fatto che fosse babbana,
ero sollevata. Con lei non potevo
competere.
Ora, ce l’ho
di nuovo davanti agli occhi. Irraggiungibile.
La dea, ricoperta d’avorio, che sfavilla nel tempio del cuore di Draco.
…
e io sono quella che, supplice, arranco su una
scalinata infinita, chiedendo l’elemosina dell’amore che ha per lei.
Mi odio profondamente.
Sono disgustata da me stessa, una
schiava alla mercé di quest’amore esecrabile, per il quale oramai farei
qualsiasi cosa.
E, in questo, rientra anche
mettergli fraternamente una mano sulla schiena per cercare di calmarlo.
Come una sorella.
Mi si riempiono gli occhi di
lacrime.
Draco sgrana gli occhi, come se
tornasse di colpo da un pensiero tutto suo, e mi guarda come se mi vedesse
solamente adesso, come se si fosse scordato che c’ero. Tipico. Ora c’eravate solo te e lei. Lo
guardo sofferente, come se improvvisamente, in modo repentino, io abbia
compreso tutto.
Credo
che lei… non ti abbia lasciato. Non è una cosa umana a separarvi… credo che sia
la morte a tenervi divisi.
Lei…
Rachel, Helena… deve essere morta.
Draco si risolleva in piedi,
ergendosi in tutta la sua altezza, dandomi ancora le spalle. Lascio cadere la
mia mano lungo il corpo, mentre si volta, mormorandomi: “Scusami…”.
Come se
effettivamente avesse qualche valore chiedermi scusa, come se effettivamente
gli importasse. Solo un mero scambio di convenevoli e di educate banalità.
Chiudo gli occhi, respirando
profondamente.
Calma. Devo stare calma.
Quando gli riapro, replico senza
partecipazione: “Non è nulla…”.
Per qualche attimo, ho come
l’impressione che mi stia per dire qualcosa, il suo volto diventa più roseo e
sembra qualcosa di importante, i suoi occhi si velano
d’urgenza mentre mi fissa. Sbatto le palpebre, guardandolo a disagio. Non è
rabbia. Che cosa è? Sembra…triste. E
sembra… in colpa.
La sua mano si alza, come se mi
volesse afferrare… come se mi volesse portare via da
qui. Come se non mi volesse far vedere più altro.
Una smorfia, poi, gli contrae
dolorosamente il viso, ed è come se improvvisamente si ricordasse qualcosa. Il
senso di stare qui, credo. Che solo lui sa.
E l’attimo passa così come era arrivato. E scrolla il capo, affannandosi a dirmi
di avvicinarmi per continuare questo viaggio nei suoi ricordi.
“Perché?” chiedo con un filo di
voce, avvicinandomi a lui, cercando di mantenere gli occhi asciutti “Draco, io
non ho bisogno di sapere tutto questo… perché? Davvero… ti
prego…spiegamelo…adesso…”. Prendo fiato, sgomento ed
incertezza nei suoi occhi, prima che riprenda, la voce più sicura: “Continuerò,
se tu lo vorrai… ma spiegami…”.
Evapora la lieve tensione nei
suoi occhi, diventa di nuovo fredda raffica di vento che mi taglia il respiro.
“Ne ho bisogno
io.
E questo, per il momento, deve bastarti…” replica duramente, sollevando il
mento, e io mi irrigidisco sotto quello sguardo
gelato.
Poi la sua
espressione si ammorbidisce e mi sussurra: “Capirai… per favore, Hermione. Credici… e fidati se puoi…”.
Un brivido mi attraversa la schiena, scivolando sulla mia pelle, fino
alle gambe, e risvegliandomi per un attimo dal torpore che mi aveva preso.
Ansia convulsa nelle dita, mentre sento che qualcosa sta sfuggendo dalla
mia comprensione, una bolla di sapone che vola lontana da me, mentre cerco di
afferrarla. Iridescente nella luce del sole, la osservo andare via. Questa
frase… credici e fidati, se puoi… me
l’ha già detta una volta.
A Wonderland.
Non è un caso che l’abbia ripetuta, lo sento. Come non è un caso che mi
sia tornato in mente quel momento… mi abbracciò e mi disse che… cosa mi disse?
Credici… e fidati se puoi. È così… non
posso permettermi te, e non posso permettermi di
trattenerti qui. Non posso e basta, fosse anche che volessi tu
restare….
Mi porto stancamente una mano nei capelli, spossata, perché quella frase
mi è tornata in mente proprio adesso?
Mi sta sfuggendo qualcosa… lo sento. Come sento che, se mi sono
ricordata questa cosa adesso, vuol dire che aveva un qualche senso…
Diventa improvvisamente troppo tardi per una risposta.
Draco non aspetta che io dica niente, mi prende
per mano e mi trascina di nuovo davanti a quello specchio.
Davanti ai miei occhi, ora di nuovo liquidi di lacrime, fioriscono nuove immagini.
Draco Lucius Malfoy non aveva mai avuto niente di babbano. Mai.
Fino a quel momento. O forse no… non lo ricordava con esattezza.
Forse, fino a quel momento, Draco Malfoy non aveva mai effettivamente realizzato che c’era un mondo, un universo… come dire…
diverso… da quello in cui viveva e respirava quotidianamente.
Un mondo senza magia.
Non che non avesse mai saputo che cosa fossero i babbani, ci
mancherebbe. Ne era stato abbondantemente indottrinato. La prima volta che
gliene avevano parlato, era stato quando aveva sette
anni ed era stata sua madre.
Lo aveva guardato dall’alto della sua poltrona, nella luce vermiglia e
liquida del caminetto, aveva storto il naso sottile alla sua domanda. Poi aveva
preso fiato e gli aveva parlato del mondo dei babbani.
Con profondo disgusto, questo è chiaro, e chi mai non avrebbe potuto averne?
Certo, già sua madre gli disse che c’era chi non aveva disgusto per i babbani,
ma nel loro mondo era così.
Vigevano delle regole.
Ed era il disgusto che si provava davanti a quelle infime creature della
scala evolutiva.
Sua madre ne parlò poco, velocemente, lasciando sfuggire le parole come se bruciassero. E dopo capì il perché. Suo padre
la incenerì con lo sguardo, quando la sentì dirgli certe cose.
Draco, sollevando lo sguardo al cielo terso di quel giorno d’estate,
fissò gli occhi su un gabbiano che librava nell’aria salmastra e carica di
iodio. Era ancora troppo presto perché le spiagge aprissero, era poco dopo
l’alba e la sabbia era ancora ricovero di bivacchi e fuochi notturni che si
erano spenti al sole che sorgeva. Lontano, in un lido, solo un babbano
sistemava degli oggetti che, Dio solo sapeva, a che cosa servissero.
Draco poteva ammettere, almeno con sé stesso, che
quella volta, davanti a quel camino, mentre nevicava fuori, fu lui curioso, fui
lui che ne volle sapere di più da sua madre.
E lei gli aveva detto qualcosa sì, ma quella… donna… Narcissa, sua
madre… aveva sempre avuto la caratteristica di dire tutto e non dire niente in realtà. E la curiosità in lui cresceva.
Poi suo padre lo aveva preso come sempre da parte gli aveva parlato di
che consisteva davvero la vile razza dei babbani e dei mezzosangue.
E lui, sciocco bambino chiuso in un castello a guardare le montagne, aveva
sbagliato tutto. Aveva pensato a loro, ai babbani, in maniera assolutamente
anormale, pensava che fossero delle creature superlative perché riuscivano a
fare tutto senza magia. Non erano superlative, ma
patetiche, arrancavano nel deserto della vita costruendo cose che poi
arrivavano persino a danneggiarli.
In realtà, nemmeno suo padre fu così preciso nelle sue descrizioni, ma
le sue parole, il tono di esse, fu sufficiente a far
capire bene a Draco la portata della cosa.
Non ci aveva ripensato, non avendone nemmeno motivo, fino a quando non
vide i babbani ad Hogwarts e capì che erano
effettivamente diversi.
Vedere accanto,
Quella che nella sua mente era una idea lieve
come una foglia, divenne del peso di una roccia, quando compì dodici anni.
Quando chiese dell’apertura della camera dei segreti,
durante le vacanze estive. Chiese la verità su quella camera e su chi aveva
avuto la meravigliosa, a suo dire, idea di aprirla per eliminare quella feccia
che contaminava Hogwarts. E suo padre, per la prima volta, gli parlò
dell’Oscuro signore.
Gli brillavano gli occhi.
Non aveva mai avuto quell’espressione, quegli occhi, quel viso, colmo
contemporaneamente di rabbia, di dolore e di trionfo, sembrava…
rifulgere… lo invidiò. Non lui, non suo padre che amava così
tanto quell’uomo che gli aveva promesso anni prima di oltrepassare i
limiti di ogni morte, ma quell’uomo stesso. Che aveva quell’ammirazione da
parte di suo padre, che guardava sempre lui con sufficienza.
E chissà quante altre ammirazioni di padri aveva…
Tornato in camera sua, aveva preso da sotto il letto
un libro. Lo aveva comprato un giorno, per caso, al Ghirigoro, a Diagon Alley.
Era un libro che gli ricordava
la sua infanzia, non lo aveva mai letto, lo aveva sempre attirato la semplice
immagine sulla copertina.
Un bambino
elegante ed impettito, dai vestiti raffinati e
seriosi, con intensi occhi chiari e capigliatura color del grano.
Anche… tu…
Gli somigliava, ne era stato colpito e lo
aveva acquistato.
Ma non l’aveva mai letto… la sola
volta che aveva provato a farlo… era arrivato uno schiaffo di suo padre. Prima
al libro che era volato dall’altra parte della stanza, e poi alla sua faccia.
Il primo gli aveva fatto decisamente più male.
Non ebbe il coraggio di raccogliere il libro per giorni, poi, tremante,
lo raccolse e lo nascose sotto il letto, come una reliquia preziosa. Giorni
dopo, balbettando, bussò alla porta della camera di
sua madre, con delicatezza. Entrò senza aspettare che lei
rispondesse, visto che anche lei era arrabbiata con lui, e le chiese: “E’ di un
babbano? Madre, quella storia… il Piccolo Principe… è
di un babbano?”.
Lei annuì leggermente, abbassando lo sguardo, terrorizzata da quelle
pagine inermi.
La abbracciò e le chiese scusa.
Eppure, il libro rimase lì. Sotto quel letto. Avvolto dalla polvere e
circondato di cianfrusaglie, ma sempre lì.
Quel giorno, a dodici anni, lo aveva ripreso. E bruciato.
Quando intimamente abbracciò anche lui la causa di Voldemort, non
servivano tatuaggi spaventosi, maschere argentate e mantelli neri. Ma solo quello. Il desiderio di essere anche lui il principe
di qualcun altro.
Essere considerato per qualcuno anche soltanto la metà di come suo padre
considerava il Signore Oscuro. E avrebbe potuto darglielo, lui, Voldemort. Dargli schiere di persone che
l’avrebbero davvero pensata così, che lo avrebbero idolatrato, che gli
avrebbero dato potere.
Questo, quando aveva dodici anni.
Prima che Voldemort tornasse, quando era ancora un fantasma rilucente
nelle memorie, non carne che bramava sangue e morte.
Quando la sua vita era cambiata.
Per sempre.
Ormai nemmeno se la ricordava più, la sua vita
prima di quel momento. Nonostante questo, nonostante il loro peso, quelle ere
glaciali adesso erano finite. Come ghiaccio che si ritirava, anche la parentesi
di vita di Voldemort recedeva dal tempo presente, lasciando artigli gelati
sulle loro vite. Sulla sua vita, che beninteso, non sarebbe stata mai più la
stessa.
Nell’alba, brillò improvvisamente un vestito celeste di raso, capelli dai
riflessi d’oro e una collana di perle chiare. Profumo di ciliegia, quel giorno
più intenso. Gli raggiunse il viso, soffiando nel fresco vento di tramontana.
Draco sorrise, agitando la mano lentamente verso la donna che veniva verso
di lui correndo. Un sorriso spontaneo, che partiva
dalla sua anima.
Un sorriso che aveva addosso da quando l’aveva conosciuta… a dicembre
sarebbero stati due anni.
Eppure… Draco si portò stancamente una mano al petto, cercando quasi di
serrare il cuore in una morsa che lo proteggesse. La sentiva ancora palpitare
quell’ombra nera, quella che si era insinuata in tutto quello che faceva e in
quello che faceva lei, che aveva raggiunto il respiro
e l’anima, entrando nel cibo, nell’aria, nei sogni, ristagnando sulle pareti,
trovando riparo negli arazzi ricamati, dormendo nei camini spenti.
La vedeva persino negli occhi dell’Auror, sempre Anthony Goldstein, che
sbuffava per quella levataccia mattiniera, poco distante da lui.
Era sempre lì. Gettò lo sguardo su Helena che si avvicinava. Lei,
ingenua, credeva davvero che se ne fosse andata? Credeva davvero che non avesse
già legato la loro vita, il loro destino?
Credeva davvero che d’ora in poi sarebbe tutto diverso per lei? Forse
anche per lui?
Sorrise ancora, mentre Helena si
sedette accanto a lui, sistemando il vestito celeste sulla sabbia, aprendolo
come se fosse una principessa, come faceva sempre. Sì. Già lo sa che lei lo
crede davvero.
Ed in fondo,
lei dalla guerra non era mai stata sporcata. Quindi,
le lasciava la sua illusione e sperava di godere un po’ del suo riflesso.
Helena guardò divertita,
ridendo, il gelato che Draco aveva nelle mani e che si stava inesorabilmente
sciogliendo, non ancora toccato da lui: “Guarda Draco che, anche se babbano,
non morde mica!”.
La sua voce, campanelle
d’argento.
Draco storse
il naso, guardandolo come se davvero potesse mordere: “Ma non potevamo andare a
Diagon Alley, scusami? Vai a vedere che queste cose babbane sono anche tossiche…”.
“Ma che
dici, Draco?” rise lei, dandogli una lieve gomitata nelle costole e mangiando
di gusto il suo gelato “Vivi troppo nel tuo maniero isolato dal mondo…
lasciatelo dire…”.
“E a me sembra che tu viva
troppo nel mondo dei babbani per essere una Greengrass…” commentò caustico
Draco, guardandola di sbieco. Lo aveva sempre pensato, sembrava sempre troppo
informata sul mondo dei babbani, ma non aveva mai espresso il suo dubbio a voce
alta. Helena, spesso, sembrava… strana, da questo punto di vista.
Le voleva bene, come non si
aspettava, ormai era come una sorella. Eppure, difficile negare che
quell’aspetto spesso lo inquietava.
Si aspettava che lei sbottasse
nervosa ed inorridita, ma Helena si limitò a sorridere
in un modo quasi triste, per poi replicare: “Hai ragione… i miei direbbero la
stessa cosa…”.
Draco si ritrasse a disagio,
mormorando sommesso: “Insomma, è un pochino… strana… come cosa…”. Gli sembrava
così ovvio.
“Se le cose le vedi sempre e
solo da un punto di vista, è chiaro che tutto ti sembri ovvio…” replicò lei
seria, fissandolo con i suoi infiniti occhi azzurri, come se lo avesse letto
nel pensiero. Come faceva sempre. A vederla, sembrava una deliziosa bambolina,
dalle guance rosee e dagli occhi circondati da ciglia nerissime e lunghissime.
Invece in lei, c’era un’altra anima, una donna profonda e riflessiva. Emergeva
di rado, illuminava i suoi occhi chiarissimi di sfumature cobalto di tristezza
e poi annegava nel suo sorriso luminoso ed accecante.
Improvvisamente ispirata,
allungò l’indice, attirando la sua attenzione su una casa sulla scogliera.
Draco seguì il suo dito, scorgendola.
La vedeva appena, era
completamente bianca e spiccava sulla scogliera in modo quasi insolente. A
spegnere un po’ quel nitore, provvedevano delle siepi di rampicanti dai fiori violetto.
Helena parlò
con voce sommessa: “Quella casa, per esempio… a me sembra bellissima, molto più
di quella di qualsiasi mago io abbia mai conosciuto…!”, lo disse con voce
argentea, allegra, come se fosse una cosa… ovvia… poi, abbassò la voce,
puntando i suoi occhi in quelli di Draco con franchezza: “… eppure è babbana…
cosa dovrei fare? Negare la verità? Essa è sempre la stessa… anche
se la neghi, Draco…”.
Il ragazzo improvvisamente si
sentì a disagio, sapeva di avere mille argomenti per obiettare alla sua
affermazione, permeati delle teorie ancestrali che i
suoi gli avevano sempre inculcato. Eppure, ora, l’assurdità della situazione
gli impediva di ricordarle degnamente… o forse… era solo
lei che gli faceva quell’effetto.
Era una bella donna… inutile
negarlo… ma non era solo questo…
In lei, c’era qualcosa… Che gli
faceva scordare tutto quello che era stato. Un tempo, l’avrebbe temuto… ora gli
faceva quasi piacere.
Poteva essere tutto quello che
voleva. E persino quelle cose che erano rimaste delle certezze in lui, si
sgretolavano come sabbia nel vento.
Addentò con sospetto il gelato,
sporcandosi anche il naso di fragola, mentre Helena rideva indicandolo. Evitò
di risponderle male, e se ne sorprese ancora.
Guardandola da vicino,
stranamente gli provocava una calda sensazione di tenerezza, come un formicolio
caldo dietro la nuca.
Sembrava una bambina. Aveva la
pelle liscia e profumata di ciliegia, sembrava un frutto invitante, da mordere…
Draco scosse il capo, ma che
diamine pensava???!! Helena lo guardò non capendo,
inarcando un sopracciglio, e quindi Draco si affrettò a riprendere a mangiare.
Lei era solo una sua amica…
certo, era strano per lui avere un’amica. Ma si erano
subito presi in simpatia, da quella sera di ormai quasi due anni prima.
Dopo averla conosciuta, aveva
preso a frequentare più assiduamente la casa dei Diggory, inizialmente solo per
avere una compagnia che gli impedisse di impazzire, anche se lo avrebbe sempre negato,
indipendentemente da chi fosse e da chi si trattasse. Poi per Amos, che si era
rivelato un uomo straordinario ed ormai un padre per
lui. Infine per lei.
Lei che rendeva zucchero ogni
cosa che lo circondava.
Ed ogni verità,
disarmante nella sua evidenza, la rendeva una bugia nello stesso momento in cui
la toccava.
Alla fine, come sempre con lei,
si gustò persino quel “gelato” e ne rimase soddisfatto. Gli venne da sorridere.
Che cosa assurda. Per lui, la vita era sempre stata assurda. Ma
almeno ora era assurda, in un modo quasi bello.
“Cosa farai
quest’estate?” chiese Draco, guardandola di lato.
Helena agitò la mano con fare
noncurante: “Probabilmente andremo in Scozia… Amos ed io… e poi dai miei…”, a
quell’ultima affermazione il viso le si tinse di una
vena di sarcasmo, poi disse felice: “Ma potresti venite tu con noi! O hai da fare?”.
Draco fece una smorfia: “Dovrei
vedermi con Denise… alla fine questa storia deve finire in qualche modo…”.
“Capisco” mormorò Helena,
mordicchiandosi un pollice “La lascerai?”.
Draco annuì, guardando il sole
che iniziava a sorgere, rendendo rosa il cielo: “E’ inutile... più ci vediamo e
più aumenta il fastidio che provo per lei… mi dispiace, ma è così…”.
“Un tempo, non ti sarebbe
dispiaciuto per lei…” annotò Helena, abbracciandosi le ginocchia.
“Un tempo, non conoscevo te…”
replicò sinceramente Draco, guardandola “Scommetto che ti dispiace anche per
lei… anche se la conosci appena…”. Helena sorrise ancora,
piegando la testa di lato.
Era così bella… probabilmente
non fosse stata una sua amica, ci avrebbe già provato. Draco si riprese
mentalmente, chissenefrega dell’amicizia, non ci provava perché era la moglie
di Amos. Altrimenti, probabilmente già l’avrebbe presa su quella stessa sabbia,
fino a quando il sole non fosse sorto di nuovo. Scosse ancora il capo, vedere
Denise almeno gli calmava gli ormoni… ora gli aveva decisamente
in subbuglio.
“Forse è anche meglio che io non
venga in fondo…” rise Draco, cercando di distrarsi “Tu ed
Amos avete molto da recuperare…”.
Helena sorrise, ma di un sorriso
diverso. Sembrava… triste: “Eh già… siamo sposati da parecchio, ma non sono
ancora riuscita a dargli un figlio…”.
Draco smise di ridere, aveva
fatto quella battuta solo per ricordarsi con estremo dispiacere, che il solo
uomo che poteva avere Helena, era suo marito. Invece l’aveva solo ferita.
“Scusami…” replicò compito,
Helena agitò la mano per dire che non importava: “Hai ragione… abbiamo
parecchio da recuperare…”.
“Un giorno sarai
una brava madre…” replicò Draco convinto.
Helena sorrise ancora: “Forse…
la verità è che non mi ci vedo proprio come madre… entrerei in crisi già per
scegliere il nome…”.
“Addirittura?!”.
“Sì, insomma… pensaci… il nome è
ciò che ci rende quello che siamo per tutta la vita…” asserì lei infervorata,
poi si addolcì guardandolo: “Io non ti riesco ad
immaginare con un altro nome…”.
Draco distolse lo sguardo
imbarazzato e lei rise ancora: “Come chiameresti tuo figlio?”.
“Non ci penso proprio per ora ad
avere un figlio…”.
“Ma, se
fosse? Come lo chiameresti?” insistette Helena, gli occhi che
le brillavano. Sembrava dannatamente importante per lei avere una
risposta, quindi Draco si sforzò di risponderle: “Non so… nella mia famiglia,
c’è la tradizione di chiamarsi con i nomi delle stelle, costellazioni o simili…
o perlomeno era così per i Black, per questo mi hanno chiamato Draco… è il nome
di una costellazione… quindi, forse un nome simile…”.
Draco ci rifletté un attimo, poi
rispose abbastanza sicuro: “Chiamerei mio figlio o Scorpius o Leo… sono i due
nomi su cui era in dubbio mia madre, quando sono nato…”.
Lei riusciva anche a fargli
parlare di sua madre, quasi con tenerezza. A Draco venne di
nuovo da ridere, in modo assolutamente incomprensibile.
“Sono bei nomi… nella mia
famiglia, non abbiamo delle tradizioni simili…” commentò lei, socchiudendo gli
occhi nella luce del sole che sorgeva “Io, per esempio, il mio di nome non lo
sopporto proprio…”.
Mise un broncio da bambina
viziata, il labbro inferiore sporgente e gli occhi quasi lucidi di fastidio.
E Draco fece la sola cosa che
gli venne in mente. Rise ancora, estrasse dalla tasca la bacchetta e disse in
un sussurro: “Floresco”.
Nelle mani di Helena, comparve
una meravigliosa rosa bianca, molto profumata, dalla corolla gialla.
Helena la guardò senza capire, e
Draco sorrise: “Si chiama Rosa Helenae… la rosa di Helena… come vedi, non sei
solo tu che porti questo nome…”.
La ragazza la tenne tra le mani,
poi d’impulso abbracciò Draco, sussurrando nel suo orecchio e causandogli un
brivido sulla schiena: “Grazie”.
Draco la strinse a sua volta,
rosa al sapore di ciliegia come una tela di profumo che si annodava nei suoi
pensieri.
Nel buio, il corpo disteso di
Anthony Goldstein, riverso sul pavimento, non era distinguibile in nessuno dei
suoi tratti. Sembrava un fantoccio, liberato dei fili che lo sospendevano su un
palcoscenico.
Draco respirava a fatica, si
pulì con il dorso della mano del sangue che gli colava dal naso, dove lo aveva
colpito un pugno dell’Auror, la cartilagine aveva ceduto, lo sentiva. Ma se ne fregava… per la prima volta, nella vita da ragazzo
viziato che aveva sempre fatto, non provava dolore fisico insopportabile. Per
la prima volta, sopportava il dolore perché c’era qualcosa di più importante.
“Non avresti dovuto colpirlo…”
una tenera voce femminile, spaventata, interruppe il silenzio.
Fuori, scendeva una pioggia che
attutiva ogni rumore ed ogni voce, eppure lui la udì
lo stesso: “Non mi interessa… per me, potrebbe anche morire…”.
“Draco…” la voce lo ammonì
dolcemente, cercando di farlo ragionare.
Il ragazzo si voltò verso di
lei, le mani contratte, e sferrò un violento pugno contro il muro. Ancora,
nessun dolore fisico. Sangue sulle dita imbrattò il muro candido.
Helena sobbalzò e distolse lo
sguardo da lui, puntandolo involontariamente nel Pensatoio, alle loro spalle,
dove avevano appena rivissuto la morte di Lucius e Narcissa Malfoy.
Argento ed
acquamarina, come un oceano d’estate i suoi occhi. Attorno a loro, silenzio,
l’eco del pugno che si ripeteva contro le pareti vuote, le grida dei genitori
di Draco ancora nelle orecchie.
Draco sentiva che non se ne
sarebbero mai andate. Come quelle dei Paciock? Cosa c’era di diverso tra Alice
Paciock e Narcissa Black?
Il nome… solo quello.
Un nome, fatto di vite intessute
secoli prima, che le condannava come santa la prima e
puttana la seconda.
Chiuse gli occhi, stanco, un
lieve bruciore dall’osso della mano. Lo guardò distrattamente, doveva essere
rotto, ma non sentiva nulla. Helena gli prese la mano ferita nelle sue, la
strinse e Draco sentì finalmente qualcosa.
Non sapeva cosa… ma qualcosa… ed
era insopportabile.
Cadde in ginocchio, piangendo,
Helena si abbassò subito alla sua altezza per stringerlo a sua volta. Piangeva
anche lei, che non conosceva Narcissa Black né Lucius Malfoy.
Lei conosceva solamente la madre,
riflessa in quel Pensatoio, che aveva chiamato il figlio mentre moriva.
“Tutto quello che ho fatto fino
ad ora… non aveva senso… è sempre la stessa cosa…” mormorò sconnessamente,
Helena che lo cullava tra le sue braccia come un bambino, la gonna rosa antico
che si sporcava del sangue di Draco. Il ragazzo si abbandonò nel suo profumo,
chiudendo gli occhi, sua madre che chiamava il suo nome sempre nelle orecchie,
suo padre che esalava un ultimo respiro pesante come l’anima stessa del mondo,
sempre negli occhi.
“Li ho uccisi io…” disse alla
fine Draco, risollevandosi e guardando Helena che continuava a piangere e si
limitava a scrollare il capo, facendo segno di no.
“Non avresti dovuto strappargli
quel ricordo…” mormorò lei tra le lacrime “Sapevi già chi li aveva uccisi…”.
“Ma non sapevo perché… e come…”
disse Draco freddo, sollevandosi in piedi ed aiutando
lei ad alzarsi “E questo oggi fa tutta la differenza del mondo…”.
Helena rabbrividì. Un’ombra si
era rappresa nello sguardo di Draco. Qualcosa… in lui… era morto per sempre.
La scarsa fiducia nel mondo e
nella giustizia… ormai non erano più nulla.
“Ma
oggi anche questo finisce…” ripeté sibillino, prese il mantello e corse fuori,
sotto la pioggia. Helena cercò invano di chiamarlo, preoccupata, si fermò sulla
soglia, ma lui scomparve nella pioggia che scrosciava.
Correva, incurante dell’acqua
che si mischiava al sangue delle sue ferite, schizzi che si sollevavano al suo
passaggio, grigio negli occhi come se non esistesse altro colore. Altro colore,
a parte il rosso.
Sangue.
Ovunque. Su ogni cosa che
guardava, c’era il sangue dei suoi genitori che lui stesso aveva ucciso. Come
poteva vivere un secondo di più?
Sapeva che poteva vivere, lo sapeva. Perché lo aveva già fatto. Sapeva che la vita
sarebbe continuata, se lui non avesse avuto il coraggio di farla finita,
piantarsi un coltello in gola o gettarsi nel vuoto o... altro.
La vita, come una punizione,
sarebbe continuata.
Sarebbe stato il ricordo di
sempre, che non l’aveva mai lasciato. Il mondo fuori dalla finestra che brucia
e lui intrappolato, chiuso dentro una casa divorata dalle fiamme. A guardare fuori le lingue di fuoco.
Sperando, tremando, piangendo? Magari un tempo… ora, solo aspettando… di morire. Perché
sapeva che il fuoco avrebbe preso anche lui, un giorno.
Correva Draco, suscitando
reazioni scandalizzate nei babbani che urtava nella sua corsa, ma non se ne
curava. Per la prima volta, pensò che, se fosse nato babbano, forse sarebbe
stato felice.
Beatamente ignaro dei fenomeni
strani, a cui il nome magia sarebbe stato accostato
solo per gioco.
Lacrime e pioggia.
Sua madre avrebbe preparato
torte in una cucina bianca, con la finestra sempre aperta su montagne di
smeraldo. Suo padre avrebbe fumato pipe in una poltrona
cremisi, i piedi appoggiati su uno sgabello panciuto.
Corse fino al Ministero Draco,
se ne fregava che probabilmente così facendo, sarebbe morto. Rinunciando alla
protezione degli Auror, sarebbe morto.
Gli facevano troppo schifo per
continuare a sentirli respirare vicino a lui dell’aria troncata nei polmoni nei
suoi, a sentirli parlare attorno a lui delle parole negate ai suoi, a sentirli
ridere delle stesse risate con cui avevano deriso e schernito i suoi. Ricordava
tutti i loro nomi. Tutti.
Goldstein che rideva,
calpestando i capelli di sua madre. Steeval che
bruciava sigarette sulla fronte di suo padre. Ogni nome. Altri nomi. Un giorno,
l’avrebbero pagata. Bruciati in una casa sprangata, al centro
esatto dell’inferno. Assieme a lui. Assieme a Draco
Malfoy, traditore di ogni parte del mondo.
Entrò nel Ministero, non ricordandosi
subito dove fosse l’Ufficio del Capo degli Auror. Agitazione che confondeva e
rendeva ruggine la sua memoria. Dove diamine è?
Girò in tondo per un bel po’,
poi qualcosa attirò la sua attenzione, scuotendo i suoi sensi, violentandoli
persino. Una risata. Risata di donna. Istintivamente si nascose dietro una
colonna.
Una risata conosciuta. Troppo
conosciuta. Miele di presente e sale di passato… tutto
assieme. Mescolati in quel solo suono.
Non arrivò, però, la dolce
ciliegia del profumo che si aspettava. No. Arrivò un profumo intenso, forte,
penetrante. Tè nero e vaniglia. Contraddizione nella sua stessa esistenza.
Si sporse oltre la colonna. I
suoi occhi si sgranarono, persero delle lacrime incagliate nelle ciglia e
divennero asciutti. Non poteva essere.
Uguali, identiche, come sorelle.
A Draco mancò la salivazione, si
sentì soffocare, mentre lei lo superava ridendo ancora: “Sei un imbranato cronico…!”.
“Smettila,
Hermione! Potevo farmi male!”.
“Almeno avresti imparato a non
camminare come un satiro in calore, guardando ogni essere minimamente
somigliante ad una donna…”. Il sorriso era evaporato
ed era diventato una smorfia ironica, mentre usciva dal palazzo, riparandosi
dalla pioggia, sollevando il colletto della giacca che portava. Weasley cercò
di difendersi e lei rise ancora, le campane dell’inferno nelle orecchie di
Draco.
Possibile che vedesse Helena
dovunque, ormai? Anche nella Granger? Si era innamorato di lei, della moglie di
Amos?
Forse era arrivata anche l’ora
che a quell’inferno, lui ci andasse per davvero. Non poteva sopportare anche
questo…
… poteva persino sopportare quell’amore,
imprevisto e non richiesto, ma non che l’assassina dei suoi avesse la stessa
risata della donna che ogni giorno, fosse come fosse, era la sua salvezza.
E si disse che amava Helena…
andava anche bene, tanto lei non l’avrebbe mai saputo. Amando Helena, vederla
nella Granger aveva un’ineccepibile spiegazione.
Trovò il vice della Granger nel
suo studio, un incapace di nome Beckwith. Comunicò la sua decisione e fu lieto
che non fosse lei,
Invece, ci furono proteste, ma,
sfoderando un contegno da perfetto Mangiamorte, Draco disse che avrebbe ucciso
tutti gli Auror che si sarebbero avvicinati a lui.
Nessun Auror avrebbe mosso un
solo dito per proteggerlo, se fosse stato attaccato. Questo, disse alla fine
Beckwith con voce lapidaria.
“Mi va benissimo… premuratevi anzi che non siano loro vicino a me… potrebbe
finire decisamente male… per loro…”.
Uscì dal Ministero, pioveva
ancora.
Corse di nuovo. Voleva risentire
il profumo di Helena. Disperatamente. Voleva cancellare quello del sangue,
dolciastro nei suoi pensieri. E voleva cancellare quello della Granger che non
se ne andava più via, sottofondo del massacro che lei aveva fatto nella sua
vita. Un giorno, l’avrebbe pagata anche lei. Bruciata in una
casa sprangata, al centro esatto dell’inferno.
Assieme a lui, Draco Malfoy,
traditore di ogni parte del mondo.
“La cosa peggiore di tutto questo, è sentire anche quello che provavi…
anche quello che pensavi dentro…” dico, senza emozione, guardandolo negli occhi
“Non vedo che cosa ci sia di utile
nel farmi vedere tutto questo… mi devo gettare per terra e ripeterti ancora che
non sapevo nulla dei tuoi?”. Sentire il nascente amore per Helena permeare i
suoi ricordi e i suoi pensieri… e, nel contempo,
l’odio per me fondersi assieme, mi riduce in cenere ogni secondo che passa.
Non credo di averlo mai meritato, tutto questo.
Non risponde, contrae nervosamente la mano, un pugno stretto poggiato
sullo specchio. Fallo a pezzi. Per favore.
Non mi attende una risposta, se non alla fine di questo percorso… le
immagini ricominciano.
“Me ne vado…”.
“Devo farti vedere una cosa
prima…”.
Draco socchiuse gli occhi, la
sabbia turbinata nel freddo vento di novembre che lo infastidiva. Attorno, un
cielo grigio carico di pioggia, tuoni che lo rendevano simile ad un’enorme e pulsante bestia ferita. Iniziarono anche a
cadere delle gocce d’acqua, prima lievi, poi sempre più intense, fino a che
iniziò un vero e proprio acquazzone. Ma Draco non si
mosse, bagnato fino al midollo, i capelli che si appiccicavano sulla fronte, le
ciglia gravate da quell’umido peso. Non erano lacrime, anche se sapeva di
volerci piangere… ma erano fredde gocce d’acqua quelle che gli cadevano sulle
guance e sugli zigomi.
Fredde. Come la pioggia. Non
erano lacrime. Era solo pioggia. La pioggia che, chissà come, c’era sempre nei
suoi ricordi e nei suoi pensieri.
Una pioggia che aveva il solo
effetto di inzuppare i suoi ragionamenti e di renderli tutti dannatamente
uguali. Privi di senso.
Draco spostò distrattamente lo
sguardo attorno a sé, un barlume di rosso negli occhi, il rosso
del mantello di Helena che vorticava nel vento. Il respiro di
lei si condensava in piccoli sbuffi di vapore, e tremava.
Ma non era
freddo… era urgenza che lui vedesse ciò che lei voleva. Prima di andarsene.
Dopo aver guardato la spiaggia
attorno a lui, il mare minaccioso che schiumava contro gli scogli, la casa bianca ormai davvero un miraggio nel grigiore
attorno, priva dei fiori che l’adornavano e probabilmente deserta, rivolse
nuovamente lo sguardo verso Helena. I capelli le si
attaccavano in lunghe onde attorno al collo, sbatteva le palpebre
cercando di vedere ed aveva le guance rosse. Si portò una mano al viso,
mettendosi i capelli dietro le orecchie e cercando ancora con lo sguardo di
implorarlo quasi, di fare quello che lei diceva.
Draco chiuse gli occhi in un
sospiro doloroso, l’immagine di lei impressa nella
retina che nasceva e moriva dietro le sue palpebre chiuse.
Se la sarebbe scordata mai?
Sarebbe arrivato un giorno, in cui il suo stesso sangue non avrebbe reclamato
di lei, bruciando?
Quanta distanza poteva mettere
un cuore innamorato per stare tranquillo?
Riaprì gli occhi ed annuì, lei che riacquistò lo scintillio blu zaffiro
tipico del suo sguardo, e poi sorrise mesta. Lo prese per un polso, tiepido
zefiro nel suo respiro che si mosse distintamente per i sensi di Draco nel
vento freddo, e poi si Smaterializzarono. Si ritrovarono in una trafficata
strada della Londra babbana, piena di confusione e gente che correva per
ripararsi dalla pioggia.
Draco stranamente non se ne
sorprese, inconsciamente nei mesi passati aveva accostato Helena e i babbani
con una facilità che lo sorprese un po’. Lei sapeva troppe cose dei babbani per
non pensare distintamente che ci avesse qualcosa a che fare. Eppure, questo a
Draco rendeva l’immagine di Helena solo un mistero inspiegabile, meraviglioso
come un’aurora fiorita in un cielo d’inverno.
Non lo inorridiva o gli faceva
aborrire la compagnia di lei. Ad di
là di questo, Helena era sempre la creatura più incantevole che avesse mai
conosciuto.
Se ne andava per quello… perché
la amava e perché la desiderava. E lui non sapeva amare in modo pulito, perché
non lo era nemmeno lui pulito. Basta pensare che il suo grande amore, nasceva dal tradimento di Amos.
Ridicolo.
Del suo amore, sporco ed unto come petrolio, avrebbe sporcato anche lei, bianca
come il latte.
E non se lo poteva permettere.
Draco sarebbe morto. Il suo nome
avrebbe cessato di esistere. Lui sarebbe diventato un’altra persona, negandosi
per sempre a lei che era il pericolo maggiore. Al di là dei
Mangiamorte che ancora volevano la sua testa.
Tutto, pur di non toccarla con
il suo amore torbido.
Helena si fermò davanti ad un
portone di legno rossiccio, dai vetri verde e giallo,
la maniglia un grifone intrecciato. Accanto al portone, un numero e il nome di
una strada.
Il 76 di Lancaster Road.
Helena si frugò nelle tasche del
mantello, uscendone una chiave piccola e rotonda. La infilò nella toppa, che si
aprì con uno scatto metallico.
Un grande androne,
una monumentale scala di marmo nero e bianco, corredata di un corrimano dorato. Una scrivania color ebano dove una donna anziana in livrea verde
sonnecchiava e trasalì al loro ingresso.
Helena sorrise e fece un cenno del capo, a mo di
saluto. La donna rispose al saluto con un nome che Draco non conosceva e, in
quel momento, non intese.
Sempre più curioso ed esterrefatto, Draco la seguì
su per le scale, fino ad un appartamento, il numero…
L’interno 15.
Un’altra
chiave. Ed Helena aprì la porta con decisione.
Odore
di ciliegia. E Draco capì subito, ancora prima che parlasse. Quella era casa
sua.
Non
guardò la stanza, non voleva, quasi come se quella sua sé
stessa che palpitava in quelle pareti, gli fosse stata celata in modo colpevole
da lei e non meritasse alcuna attenzione. Pensava solo a questo, ad un senso di possesso su Helena, sui suoi pensieri e sulla
stessa vita, più che pensare che era sempre in una casa evidentemente babbana.
C’era un pianoforte, utensili tipicamente babbani,
cose insomma di cui lui non sapeva assolutamente il significato e che non
doveva sapere nemmeno Helena. Cos’era un hobby ridicolo il suo? Che senso
aveva? Perché lo aveva portato lì?
Lei si sedette tranquillamente, sistemandosi la gonna come faceva sempre, non
preoccupandosi di asciugarsi, gocce sul parquet e sul tappeto cremisi.
Non
invitò Draco a sedersi, nemmeno si preoccupò del fatto che fosse bagnato, come
in altre situazioni forse avrebbe fatto. E lui rimase immobile, la schiena
appoggiata allo stipite della porta, le braccia incrociate, lo sguardo freddo e
scostante che, dalla vista della morte dei suoi, si era acclimatato
perfettamente a lui e non lo aveva più lasciato. Lo sguardo quasi di un riccio,
spaventato, ma pieno di aculei che lo potessero
difendere.
Helena
iniziò a parlare con voce netta e chiara, da adulta, gli accenti da bambina
evaporarono come aria condensata. Draco si riscosse quasi dal suo tepore,
mentre lei parlava, ogni parola del suo discorso l’avrebbe ricordata per tutta
la vita… ogni parola del suo discorso era una freccia nel suo cammino che
avrebbe seguito, da quel momento in avanti.
Helena
non portò mai i suoi occhi in quelli di lui, come faceva sempre. Restarono
bassi, in tutto il tempo in cui parlò.
“Il valore di una donna si vede dall’anello che
porta, questo diceva sempre mio padre. Non c’era altro per
lui che valesse la pena di essere considerato in una donna… quando io e le mie
sorelle eravamo bambine, i miei genitori fecero realizzare per noi tre anelli
perfettamente identici a quello di mia madre, l’anello di fidanzamento che
l’aveva unita a mio padre. Tre anelli, piccoli, delle
semplici fasce d’oro con una pietra in sommità. Un
rubino per me, uno smeraldo per Daphne, uno zaffiro per Astoria. Niente
a che vedere con il diamante che torreggiava sull’anulare di mia madre Lara. Io
e le mie sorelle, avvolte nei nostri vestitini di tulle e velluto, unite da
quel luccicante legame, sfoggiavano quell’anello come un tesoro, ambendo contemporaneamente
alla gemma più preziosa tra tutte. La pietra bianca che catturava l’arcobaleno.
Il diamante che portava mia madre. Ma eravamo solo
delle bambine… e allora io non capì che quell’anello era solo un giogo che mi
si era stato imposto. Niente di più.
“Non portai per sempre quell’anello. Divenne piccolo ed un giorno lo riposi in un cassetto. Non l’ho più
ritrovato e, come me, nemmeno Daphne ed Astoria, ma
loro hanno sempre finto di non vedere e probabilmente non se ne preoccuparono
nemmeno. Lentamente di giorno in giorno, nella mia casa, sparivano delle cose. Un quadro antico di un mio antenato, porcellane finemente cesellate
d’oro, arazzi ricamati d’argento, statuette di cristallo colorato e lucente.
Ogni giorno, la ricchezza diventava opulenza mostrata ad arte, coprendo spazi
sempre più vuoti in modo studiato e non casuale. Abbassavo il capo e facevo
come Astoria e Daphne, dicendomi che ci doveva essere un motivo. Ma purtroppo non lo riuscii a fare per sempre… sparì un
giorno, come una stella nascosta dalle nuvole, anche l’anello di mia madre. E
allora le chiesi la verità…
“Mio padre aveva il vizio del gioco. Galeoni,
milioni di galeoni, fuoriusciti dalle nostre tasche in un’emorragia
inarrestabile. Vendette tutto quello che aveva,
compreso l’orgoglio, la dignità, l’amore di sua moglie che ormai lo guardava
con odio e disgusto e che non lo lasciava solo per quella morte sociale che
sarebbe stata la condanna peggiore che potesse ricevere una donna come lei.
Alla fine gli rimase solo una cosa da vendere, la sola
merce che potesse essere una garanzia per i suoi debiti. Le sue figlie, a cui aveva dato la sola cosa che possedeva ancora e che
avesse un benché minimo valore economico, il suo cognome.
“Forse fu per questo che avvertii sin
dall’inizio una somiglianza tra me e te, Draco. Entrambi siamo stati venduti dai nostri genitori… quel dolore, di
essere stato rifiutato, ti resta dentro per sempre. È come una macchia sulla
tua anima che, ostinata, non va mai via, è l’infamia di chi avrebbe dovuto
amarti ed, invece, ha barattato quell’adorazione
infinita che avresti avuto eternamente per chi ti ha dato la vita, in virtù di
vantaggi più immediati. Quella macchia… si attacca a tutto e a chiunque amerai
da quel momento in avanti… questo è successo a me… ma lo vedo anche in te,
Draco. E forse siamo i soli su questa terra che possiamo sapere che cosa si
prova e, per questo, non inorridiamo di quell’untuoso affetto che ci riversiamo
addosso. Sappiamo che è la sola cosa che potremmo darci vicendevolmente,
macchiandoci reciprocamente, ma non essendone toccati, essendo
già sudici di nostro, nel nostro profondo.
“Mio
padre aveva moltissimi debiti, alcuni di essi riuscì a
coprirli con operazioni più o meno legali, spesso fiancheggiando i Mangiamorte
e facendo da ricettatore con i beni che sottraevano nelle loro razzie nelle
case delle vittime… alla fine, restarono solo tre conti da chiudere. Tre, come
me, Daphne ed Astoria. Tre conti con tre famiglie
importanti, che si potevano tranquillamente sanare con tre matrimoni, considerando
che le famiglie in questione avevano anche tre figli maschi. Una era la tua,
Draco, erano i Malfoy…”, Helena si interruppe,
soppesando la reazione di Draco, ma alle sue orecchie giunse solo un sospiro
soffocato, nemmeno malinconico, triste, nervoso o sconcertato. Solo un sospiro
di evidente rassegnazione, divenne solo tiepida curiosità, quando Draco chiese,
temendo la risposta: “Chi mi sarebbe toccata?”.
Helena
rispose abbastanza velocemente: “So che avevano già siglato un accordo… ora,
ovviamente, è invalido dalla morte dei tuoi… tu avresti sposato Astoria…”.
Perfetto,
Ma, ovviamente, i suoi non avevano mai
contemplato nulla che gli rendesse la vita più facile.
Helena proseguì, ignara dei suoi pensieri: “L’altra
famiglia erano gli Zabini, e Daphne credo che sposerà Blaise. A me, invece,
toccarono i Diggory. Avrei sposato Cedric Diggory. Quando lo seppi, avevo
solamente diciassette anni, avevo appena finito Hogwarts, avrei voluto fare
Fu
l’unico momento in tutto quel discorso in cui la voce di Helena si incrinò, pianse, nascondendosi il viso tra le mani.
Mentre parlava di sé, non aveva mostrato alcuna emozione, ora invece piangeva.
Draco, che ancora faticava ad assorbire tutto ciò che le stava dicendo, le si sedette accanto, mettendole una mano sulla spalla. Non
fece altro, non si fidava molto delle sue pulsioni mentre la vedeva piangere.
Helena si calmò, respirò profondamente e riprese.
“Lo vidi qualche giorno prima che morisse… era
il campione di Hogwarts, aveva una fidanzata, era felice. Rimanemmo da soli, su
quella spiaggia dove andiamo spesso io e te. Mi disse
che mi voleva parlare, iniziammo a correre e seminammo i nostri genitori. Mi
portò lì, su quella spiaggia. Lo ricordo come se fosse ieri, aveva solo
diciassette anni… io ne avevo ventuno, eppure era lui quello maturo, quello
serio e sereno. Mi disse che ne saremmo usciti e che non mi dovevo preoccupare.
Che aveva una ragazza, Cho, e che ne era innamorato. L’avrebbe presentata a suo
padre a torneo concluso, l’avrebbe convinto a cancellare quel debito. Mi
avrebbe reso libera. Ho ripensato spesso a Cedric in questi anni, c’è molto di
Amos in lui… quel giorno, per un attimo folle, pensai che, forse, non mi era andata poi così male e che, se anche l’avessi
sposato, forse mi avrebbe reso felice. Ma Cedric è
morto… e la mia speranza morì con lui… qualche anno dopo, morì anche la mamma
di Cedric. Ma quel debito continuava ad esistere… mio
padre fece la cosa più ovvia, mi propose in moglie ad Amos Diggory. Lui non
voleva, si rifiutava, diceva che ero troppo giovane e che, dalla morte dei suoi
cari, questioni come il denaro e la ricchezza, ormai, per lui non avevano più importanza.
Ma mio padre, invece, aveva riscoperto onore ed
orgoglio e mi costrinse a sposarlo. Anche quella volta feci tutto quello che
era in mio potere per evitarlo, ma senza risultato alcuno. Amos alla fine
accettò, spaventato dalla solitudine, ci sposammo in un giorno di dicembre,
faceva tanto freddo… forse mi incantarono, non lo so,
ma non ricordo nulla di quei momenti. Solo che mi barricai nella mia stanza,
rifiutando di mangiare… e poi, apparentemente la mattina dopo, mi svegliai nel
letto con Amos. E basta. Lui l’aveva capito, capì che
mi avevano costretto e che mi avevano forse anche messo sotto Imperius, non mi
ha mai toccato fino a quando non l’ho voluto io… in fondo, il suo dolore era
così forte che nessuno avrebbe potuto sanarlo, tantomeno io e il mio amore
riottoso e rancoroso… vivevamo come estranei nella stessa casa, parlandoci a
malapena. Lo odiavo… pensavo persino di ucciderlo. Lui che nemmeno pensava a
me… lo avrei voluto uccidere per quella sua incolpevole e lacerante
indifferenza… ero sola. Le mie sorelle mi venivano a trovare, ma raramente.
Inoltre, vedendomi piangere in una casa per loro così bella e sfarzosa, si irritavano profondamente… alla fine non vennero più…
“Trovai
consolazione nel gioco estremamente appagante e
soddisfacente di tradire Amos. Non so quanti uomini ho avuto in quegli anni,
non lo so davvero, molti nemmeno li ricordo, nemmeno il primo, quello che si
prese la mia verginità. Scrivevo i lori nomi in un quaderno e mi gloriavo
sadicamente di quanti fossero e di come ognuno di essi fosse una spina nel
cuore di mio marito. Lui lo sapeva, credo che lo abbia sempre saputo, ma l’inerzia che lo contraddistingueva in quegli
anni, gli impediva di fare qualsiasi cosa, anche ripudiarmi. La mia rabbia
cresceva, e lo tradivo ancora, desiderosa che lui si accorgesse di me, che mi
odiasse, che facesse qualsiasi cosa. E lui più lo tradivo e più mi ignorava, ergendosi quasi come un dio, immobile e lontano
che non guardava i miei peccati, preso dal compito superiore di portare da solo
il peso del mondo. Non cerco giustificazioni, Draco. Non ne voglio… e
raccontandoti queste cose, non vado alla ricerca di parole che possano
consolare o alleviare il mio senso di colpa verso Amos. E non le voglio nemmeno
da te, Draco, tu sei il mio migliore amico, io voglio solo che tu sappia chi
sono davvero prima di andare via… essere stata me stessa e non averti nascosto
nulla, come invece ho fatto in questi anni… sempre e costantemente…
“Un uomo durò più degli altri. Lo avevo conosciuto
per caso, avevo preso l’abitudine di camminare per
“Quell’uomo…
lui non mi disse mai il suo vero nome, si faceva chiamare Daniel Ryan… mi disse
di avermi vista da bambina, poteva avere qualche anno più di me… non seppi mai
molto di lui, mi portò nel suo mondo, diceva solo che voleva che mi liberassi come era accaduto a lui. Faceva il fotografo,
di fotografia babbana… Danny mi diceva sempre che adorava la fotografia
babbana, quella magica prende molteplicità di attimi, nessuno dei quali davvero
significativo, se non pochissimi. La tensione, invece, della foto babbana era
quella di catturare un singolo frammento di luce, quello giusto, e di
impressionarlo per sempre. Mi insegnò tutto quello che
c’era da sapere sul mondo dei babbani, mi fece vivere una realtà alternativa,
mi diede persino un lavoro babbano… iniziai a fare la modella, dopo che alcune
sue foto, che mi aveva fatto, iniziarono a circolare nell’ambiente della moda.
Mi chiamavano Rachel Leigh. Mi diede quest’appartamento, mi insegnò
a suonare il pianoforte e ci amammo profondamente… mi lasciò, alla fine, un
giorno di qualche anno fa. Lui aveva guarito il mio cuore, liberandolo
dall’astio e dal rancore, dandomi una leggerezza che non assaporavo da anni.
Eppure, quando mi chiese di lasciarmi tutto alle spalle, come aveva fatto lui,
non ce la feci. E lui se ne andò… la vita da Rachel era un gioco…
bellissimo, mi faceva sentire viva. Ma non potevo
abbandonarmi tutto alle spalle, come aveva fatto Danny. Non ce la facevo, non
riuscivo nonostante tutto, a lasciare Amos, specie dopo quello
che gli avevo fatto. Il valore di una donna si vede dall’anello che porta… e io, al mio di anello, la fede di Amos, non avevo mai reso
giustizia. Non l’avevo mai amato, mai, lo avevo odiato… ma non era colpa sua.
Io ora ero sua moglie… e nulla, nemmeno la vita di Rachel, poteva cancellare
tutto quello…
“Tornai da Amos… lui mi accolse come sempre,
come una scomoda ospite, venuta solo a riempire di sgradita vita la sua casa
piena di cose morte e putrefatte di Daisy e di Cedric… avevo bisogno ancora di
respirare, fuori da quella casa, mio malgrado. Non ero ancora così
fedele ad Amos, come avrei voluto, avevo bisogno di riempirmi di quella luce
che, necessariamente, avrei dovuto poi portare a lui per impedirgli di
annegare… ho continuato la mia doppia vita come la babbana Rachel Leigh, perché
mi rende felice e mi rende me stessa, anche se con un
altro nome. Ma non l’ho più tradito… mai più, da quando
è finita con Danny. Ho aspettato pazientemente di espiare le mie colpe,
dandogli qualcosa in cambio. Non so se sia amore, io non so cosa sia… non credo
di essere in grado di amare, credo che sia riconoscenza, Draco, o affetto, o devozione, non lo so… ma quel giorno è
arrivato, un giorno sono riuscita a farmi volere da lui e finalmente mi ha
presa, mio marito mi ha avuto per la prima volta. Ora sono davvero Helena
Greengrass in Diggory… ma a darmi la forza di continuare ad
essere Helena, è contemporaneamente continuare ad essere Rachel… è assurdo, lo
so… ma se ho smesso di tradirlo, se inizio persino a dire di provare qualcosa,
se non annego nella mia rabbia, è solo perché a volte sono anche Rachel. Anche
tu, Draco, hai conosciuto solamente Rachel fino ad ora… Helena, non credo che l’hai mai vista… probabilmente se la vedessi, non sapresti
nemmeno chi è…”.
Draco
sentiva la bocca impastata, eppure quando parlò, la sua voce non recava tracce
di quel sconvolgimento intimo: “Helena è quella che
compare quando abbassi gli occhi e non sai che rispondere, quando la tua voce
diventa più grave e perde i suoi accenti soliti, Helena è la sfumatura che
prendono i tuoi occhi quando ti perdi in pensieri tutti tuoi, Helena è quando
parli di avere un figlio da Amos…”, sotto gli occhi lucidi di lei, Draco disse
quasi duro: “L’ho sempre vista Helena… so chi sono entrambe… ed amo entrambe…”.
Quelle ultime parole gli sfuggirono dalle labbra e se ne pentì immediatamente,
ma per fortuna gli occhi di Helena non mutarono la loro espressione
riconoscente e grata. Aveva capito che l’amore di cui Draco parlava, era solo
l’amicizia che li legava. Ovviamente. Ringraziò Dio per questo.
Helena
si strinse nelle spalle e sorrise: “Ora che te ne ho parlato, mi sento meglio… so che, magari, per te è assurdo pensare di vivere
una vita babbana, ma…”.
“Non
stavo pensando a questo…” ammise Draco, sistemandosi meglio sul divano
“Effettivamente, non stavo pensando a questo… avevo già notato che avevi una
strana familiarità con le cose babbane, non sapevo perché, ma conoscendoti, non
mi è mai sembrato un problema, forse solo un comportamento un po’ eccentrico,
ma stranamente non mi ha mai inquietato quanto forse avrebbe dovuto…”.
“E
questo cosa vorrebbe dire?”.
Draco
pronunciò quelle parole come se scottassero nella sua bocca, come se fossero
fuoco liquido sulla sua lingua: “E’una riflessione che ho da
tempo in mente… se fossi nato babbano, metà dei miei problemi non
sarebbero mai esistiti. Niente Signore Oscuro, niente Mangiamorte, niente
Auror… avrei ancora i miei… e non si sarebbero corrotti come è
successo…”, Draco sentì quasi di doversi giustificare, dicendo che sapeva che
un pensiero del genere avrebbe dovuto fargli schifo, ma ormai ogni suo
sentimento gli sembrava drasticamente capovolto rispetto al passato.
Aveva
una migliore amica. Ne era innamorato.
Era
disgustato dal suo nome. Da sé stesso. Dai suoi.
Odiava
gli Auror, e voleva vendetta.
Tutto
oramai era cambiato. Ma non era ancora sufficiente.
Seppe che la sua vita stava ancora per capovolgersi totalmente, quando Helena
gli prese le mani e le strinse forte.
Disse solo cinque parole. Cinque parole che
gli cambiarono l’esistenza e il destino.
“Draco,
diventa tu Danny Ryan…”.
Improvvisamente lo specchio inizia a
turbinare, diventa quasi vivo sotto la mia mano. Velocissime, passano tantissime
immagini, frammenti di ricordi e sensazioni, labili ed evanescenti come nebbie
mattutine che non mi è dato guardare compiutamente.
Sono la vita di Helena e Draco nell’appartamento di Lancaster Road, dopo che Draco ha evidentemente accettato di diventare
Danny Ryan. Anche quel nome viene da lei.
Cerco di afferrarle mentre corrono via, segreti attimi di felicità che
almeno mi sta risparmiando.
Helena
guardò Draco, inarcando un sopracciglio: “Secondo me fai bene a non abbandonare
del tutto il tuo nome… hai ancora discreti vantaggi da esso… e poi, qualora
diventi troppo pericoloso, tronchi del tutto…”, un sorriso dolce, di latte e
miele, Draco arrossì stringendosi nelle spalle: “Tanto in ogni caso ci vedremo
lo stesso, sia che tu sia Draco sia che tu sia Danny…”.
Ed
ancora…
Helena
suonava al pianoforte, la luce del sole penetrò dalla finestra, riempiendo i
suoi capelli castani di riflessi di bronzo. Perdutamente assente nel suo mondo,
chiuse gli occhi, non guardando nemmeno i tasti che stava
premendo, conosceva quella melodia a memoria, non le serviva guardare. Forbidden
colours, i colori proibiti …
Draco
la osservava, senza riuscire a parlare, senza riuscire
a dire una parola, incantato da quel silenzio magico che non era silenzio, era
lei stessa che vibrava in quelle note che aumentavano ogni secondo d’intensità.
Ogni
nota si conficcò nella sua memoria, ferite che sanguinavano di nostalgia
triste.
“Trova
qualcosa da amare allo stesso modo, Draco…” disse lei, gli occhi ancora chiusi,
continuando a suonare “Ti riempirà la vita…”.
Non
vide le labbra di lui disegnare le parole: “Io l’ho
già trovata…”.
Come
ha potuto ricordare lei, sentendomi suonare? Come? Io non c’entro nulla. Lei… è
irraggiungibile. Lo… sarà… per sempre…
E ancora…
Correva
Helena, Draco la inseguiva per le stanze dell’appartamento di Lancaster Road. Sole di un’altra estate che finiva dalle finestre. Lui
cercava di sporcarla con della tempera, aveva preso a dipingere, un qualcosa
che amava da sempre… ma che lei gli aveva fatto ricordare. Su una tela,
nascosta nella sua camera, splendevano gli occhi di Helena, ma lei ancora non
lo sapeva.
E ancora…
Helena dormiva placidamente,
serena, distesa sul divano, Draco le poggiò una coperta sulle spalle. Sorrise, guardandola muoversi e fare una piccola smorfia da bambina
infastidita. Nella luce della luna, i suoi capelli sembravano più
lucenti del solito, e le ciglia placide fremevano del rumore dei suoi sogni.
Draco si sedette accanto a lei e le accarezzò piano la
guancia, sembrava vivere di soli respiri come un fiore.
Era come quelle principesse
delle fiabe addormentate in una foresta.
I contorni diventano meno
nitidi… come un quadro bagnato dall’acqua che si dissolve in un turbinio di
colori…
Draco… basta per favore… che altro ti è venuto
in mente?
Un secondo velocissimo, un’immagine che nemmeno sono certa di vedere
davvero. Sgrano gli occhi, poggiando di nuovo la mano sul vetro, e guardo Draco
smarrita.
Ma lui non mi guarda in risposta, non reagisce,
sembra solamente spazientito. Sospira in un gemito di evidente esasperazione.
Sembra non essersi accorto di nulla. L’immagine di Helena, per un solo
attimo, è sparita, sostituita da un’altra. Fremito. Non un’altra immagine qualsiasi.
La ragazza dormiva scomposta,
agitata, muovendosi continuamente nel letto che non gli apparteneva. Draco si
avvicinò sospettoso, guardandola con astio anche se
lei non poteva accorgersene. Trasalì, una fitta improvvisa al cuore, quando lei
si mosse e fece una piccola smorfia da bambina infastidita, spostando la
coperta con un piede. Nella luce della luna, i capelli spettinati gli parvero
più cespugliosi del solito in evidente contrasto con la maglia rossa da calcio
che portava, e le ciglia recavano tracce di lacrime lontane che doveva aver
pianto. Draco si sedette accanto, non riuscendo a smettere di guardarla, un dejà
vu continuo nei sensi che lo frastornava. Sembrava… era del tutto identica a…
lampo di consapevolezza.
Ancora.
Era la seconda volta che gli
accadeva… perché?
Sembravo io… la maglia rossa
da calcio… la prima sera che dormii al Petite Peste. Eppure, ero anche
differente, non so come, diversa da come mi ero vista nel ricordo di Draco al
ministero… percepivo qualcosa di insolito rispetto a
prima, attraverso i suoi occhi. Ma forse non ero io… o
forse era un pensiero senza forma.
I ricordi riprendono e quella piccola immagine sbiadita, già, sparisce
sotto strati di desolazione per quello che devo ancora vedere.
Aveva detto quelle parole, come
se avesse detto che l’avevano condannata da innocente
alla pena capitale, e l’ultimo appello si fosse risolto in una mera conferma
della pena precedente.
“Sono incinta”.
A Draco, nonostante la
schioppettata sorda che aveva sentito all’altezza del cuore, era sembrata una
notizia meravigliosa, specie considerando che uno dei desideri di Helena era
sempre stato quello di rendere padre Amos. Invece lei, tutto sembrava tranne
che felice. Davanti alla finestra dell’appartamento di Lancaster Road, quello che Draco quasi inconsciamente ormai chiamava
casa loro, teneva tra le dita in modo convulso l’intelaiatura della tenda e il
suo sguardo si perdeva lontano nel tappeto di palazzi che potevano guardare
alle loro spalle, un panorama che Draco non avrebbe mai pensato di chiamare
casa e che, nella sua mente, si era sempre appellato come qualcosa di
estremamente sgradito e molesto, la cui sola esistenza poteva essere di danno
alla sua persona. Ed invece, ora, era casa.
Anni dopo, Draco avrebbe ammesso
con estrema chiarezza che fu in quel momento preciso
che qualcosa si creò tra lui ed Helena, ma contemporaneamente si dissolse per
sempre.
Inerzia.
Non abbandonare il loro nome, ma
farsi chiamare Rachel e Danny. Quel bambino che cresceva e respirava già nella pancia
di Helena, era il coltello alla gola. Scegliere. In quel momento. Chi siamo?
Helena e Draco. Rachel e Danny.
L’inerzia che lo aveva
caratterizzato, che aveva contraddistinto anche lei, ora stava per finire,
Draco lo sapeva. Alla nascita di quel bambino, Helena avrebbe dovuto scegliere
se continuare ad essere babbana o ritornare mente e
cuore da Amos. Per quello, per lei era così difficile… e lui? Lui anche. Non poteva, logicamente, continuare ad andare in
ufficio ogni mattina, parlare con Amos, sopportare il magone
che sentiva quando lui parlava di Helena, ascoltarlo compito quando ancora
ricordava Daisy e Cedric, fare incantesimi per sedare creature più o meno
pericolose… e poi rientrare a casa, nella Londra babbana, usare cose che
nemmeno avrebbe mai saputo in una vita passata come si chiamassero e perché esistessero,
giocare in un ruolo che non era suo, ma che ipocritamente motivava innocuo con
il fatto che la donna che lo aspettava tra quelle mura, si chiamasse Rachel.
Quel giorno, stava per finire
tutto.
“Capisco...”
disse Draco, arrivandole alle spalle “Devo farti vedere una cosa, Helena…”. Lei
annuì e lo seguì nella sua camera da letto. Nella
penombra, distinguibili appena erano i suoi tratti di tela, ancora
incompleti.
Una donna con i suoi occhi che
dormiva di tempera e di carta, non era ancora lei… ma i suoi occhi, quelli sì.
Un cielo turchino di primavera. Draco ci aveva lavorato per giorni, per
renderli proprio loro.
Fumosa come in un sogno, si
distingueva persino la loro venatura cobalto di alcuni momenti.
Helena non fece nulla, quasi se
lo fosse sempre aspettato, si aggrappò solo al braccio di Draco come se temesse
di cadere. Lui, davanti a lei, continuò a darle alle spalle in modo ostinato.
“Che cosa significa?” pigolò lei, in un sussurro spezzato.
Draco deglutì, era arrivato il
momento. Non poteva più tornare indietro.
“Quello che amo… la cosa che mi
riempie la vita… me l’avevi detto tu… di trovarla…”, Draco sospirò, voltandosi
finalmente verso di lei: “Eccola…”.
Lei si morse il labbro in modo
inquieto, lacrime già caligine azzurra dei suoi occhi: “Io non posso…”.
Draco fu colpito da quella sua
frase, non posso… cosa?
“Io non ti sto chiedendo niente,
Helena…” disse sincero, guardandola e poggiando le sue mani sulle sue spalle
“Volevo avere qualcosa di tuo, per sempre… un giorno tu andrai via da me, o
sarò io, non lo so. Questa vita… essere Rachel e Danny, non può continuare, lo
sai meglio di me… e io volevo avere un modo per
ricordarmi di te… Danny, il tuo Danny, aveva ragione…”, sospirò guardandola, le
si stava spezzando il cuore, lo sentiva dalla tensione nelle sue spalle
contratte: “Dobbiamo scegliere, tu devi scegliere… specialmente ora che aspetti
un bambino… e so che probabilmente la tua strada ti porterà lontano da me…”.
“Io non posso…” ripeté lei, la testa fra le mani, le lacrime che le
bagnavano le mani.
Perché ripeteva sempre quelle
parole? Possibile che non capisse che quel gioco da bambina doveva finire? Era
così importante per lei essere Rachel? Possibile che fosse così… infantile?
Draco si pentì immediatamente
del suo pensiero e, quasi in colpa, si affrettò ad abbracciarla, sussurrandole
tra i capelli: “Lo sapevi che non sarebbe stato possibile per te restare Rachel
per sempre…”.
Era come consolare una bimba da
un brutto sogno, il suo petto assorbiva i singhiozzi di lei,
facendoli suoi.
Ma non era una
bambina che stava piangendo… le sue parole successive fecero tremare il mondo
di Draco, dalle sue fondamenta.
“Non è la scelta tra Rachel ed Helena a terrorizzarmi… quella la potrei sopportare…”,
Helena riprese fiato, guardandolo e poggiando una mano sul suo viso, Draco
rabbrividì stringendosi nelle spalle.
Quando lei parlò ancora, si
sentì perdere la forza e il coraggio, soggiogate da un’onda devastante che
avrebbe distrutto ogni cosa nel suo percorso. Ogni cosa che negli anni aveva costruito, paletto e colonna di sé stesso, limiti e confini
che lei avrebbe portato un po’ più in là. Lontano da lui.
“Io non posso scegliere tra te ed Amos, Draco… perché la mia risposta mi rovinerebbe la
vita, la rovinerebbe anche a te, ad Amos e a mio figlio… e la risposta sei
sempre stato tu…”.
L’avrebbe ricordato per sempre
quel momento…
L’hai ricordato per sempre quel momento…
Ogni cosa poteva morire, fuori
da quella stanza, poteva continuare l’inerzia, vivere,
galleggiando nella sola certezza di averla accanto.
E, se l’inferno si sarebbe spalancato attraverso le labbra di Helena, lui ci
si sarebbe gettato a viva forza, senza temerlo, bruciando assieme a lei.
La baciò con foga e disperazione
e lei rispose allo stesso modo. Ogni pensiero fatalmente rinviato.
Di soli nove mesi.
Draco prende a pugni lo specchio, con impeto, piangendo, e io spero che si rompa, spero che lo distrugga. Ma dimentico che qui, nulla è reale, e, se quello specchio,
Draco non lo vuole distruggere, non si romperà. Continuerà a stare lì, un demone
ingordo che si vuole prendere la mia anima, dopo aver rapito la sua.
Vederli baciarsi… non ce la faccio, davvero. Non posso. Basta, devo
andare via da qui.
Mi volto disperatamente in quell’enorme spazio bianco, cercando quasi
una via di fuga da qui, una strada che so che non c’è, i suoi singhiozzi nelle
orecchie che mi dilaniano ma che so di non poter consolare.
Non trovandola, come è ovvio, mi avvicino,
disperazione nella mia voce: “Draco, ti prego… andiamo via…”. Non ci credo di
essere arrivata anche ad implorarlo.
“Devi ancora vedere…” replica lui, piangendo ancora e sollevando lo
sguardo disperato verso di me.
“Smettila!” urlo, facendolo sobbalzare, eco infinito della mia voce
nelle pareti immacolate della sua mente che ci circondano. Mi guarda senza
capire, le lacrime prosciugate e le mie che riprendono a scorrere, dandomi un
po’ di sollievo. In quell’urlo, ogni goccia del mio amore umiliato.
Ok, d’accordo, so che non mi amerà mai, ma in
cosa mi sarebbe utile questo supplizio continuo? Una tortura e basta… lo guardo
sconvolta dal mio stesso urlo, stringendomi nelle spalle. So che non sa nulla di me, non sa che sono innamorata di lui… ma
perché? Perché non mi lascia stare?
“Ti prego, Draco… lasciami in pace…” sussurro alla fine, senza vergogna,
abbandonandomi del tutto e sedendomi per terra, le ginocchia piegate da questo assurdo martellare di ricordi e sentimenti che
dovevano restare solamente suoi.
Lui si china alla mia altezza, mi ritraggo nel vederlo avvicinarsi a me,
ne resta colpito e quasi addolorato. Ma non ci posso
fare nulla, non voglio che mi tocchi mai più…
Non vorrei nemmeno essere guardata dai
suoi stessi occhi che hanno guardato in quel modo Helena. E che, invece, hanno
guardato così me…
“Non posso… lasciarti in pace…” mi sussurra piano, sedendosi accanto a
me “Non ci siamo lasciati in pace a vicenda… e questo ora è diventato
necessario, Hermione…”.
“Necessario a cosa? A chi?” inveisco
nuovamente, la rabbia che mi prende ancora “A te, che ci soffri terribilmente?
O a me? che…”, la mia voce si spezza e ricomincio a
piangere, mentre pronuncio l’estrema bugia: “O a me a cui non importa nulla di
tutto questo?!”. Parole che vanno in una direzione e lacrime che vanno in
un’altra.
“E allora perché stai piangendo?” mi dice lui, guardandomi, dolore
insopprimibile e inesauribile nella sua voce.
Sussurro la sola cosa che mi metterà al riparo dal segreto che mi porto
dentro: “Nonostante tutto, non voglio vederti soffrire…”.
“Lo so…” bisbiglia lui, nessuna partecipazione nella voce, solo un’evidente
rassegnazione “Ti ringrazio…”.
“Non ce n’è bisogno, come non c’è bisogno di
tutto questo, adesso…”.
“E’ quasi finito, manca poco…” sussurra lui in
risposta, come se non mi avesse nemmeno udito.
Si alza in piedi, porgendomi la mano, e so ancora con estrema chiarezza
che, da questa storia non uscirò fino a quando non avrò visto tutto quello che
chiede.
Non prendendogli la mano, mi alzo con le mie forze.
Un solo sussurro e le immagini riprendono.
“Facciamo in fretta…”.
Sembra avermi evidentemente ascoltato, anche se ovviamente in parte,
perché come poco fa, le immagini scorrono velocemente, sono frammenti di
ricordi assieme e di baci, lotte tra le lenzuola, la pancia di Helena che
cresce di giorno in giorno di più. Una parte di me, a parte
la delusione e il dolore, non riesce a provare nemmeno risentimento per il loro
tradimento nei confronti di Amos Diggory. Sono così felici… mi mordo le labbra
ansiosamente…
Lui
continua a vivere a Lancaster Road, rinvia il momento
fatidico della sua decisione alla nascita del figlio di Helena, e lei fa lo
stesso.
Annegano i loro sensi di colpa per Amos l’uno nell’altra.
Lui le
chiede di sposarla come Rachel e Danny, dato che
avranno solamente quello dalla vita, e lei è titubante, ma alla fine accetta.
Le
regala un anello meraviglioso, un diamante che era appartenuto a sua madre, e
lei commenta tra le lacrime che non potrà mai indossarlo.
Draco
continua a vedere Amos Diggory e, di volta in volta, la pressione del tempo che
scorre, lo schiaccia profondamente, l’amore per Helena veleno nei suoi
pensieri.
Lei
suona ancora il pianoforte e gli dice che avrà una bambina.
E la
chiamerà Serenity Hope Diggory, perché crede ancora nella speranza di un futuro
sereno sia per loro, che per sua figlia ed Amos.
Draco
pensa per la prima volta al rapporto che dovrà avere con la figlia di Helena. Eppure,
rinvia ancora…
Draco viene attaccato a sorpresa da due Mangiamorte, a cui scampa
per miracolo, mentre torna nel suo appartamento.
Non ne
fa parola con nessuno, stringe tra le mani la cartolina di Helena da Vienna che
trovai anche io… le rose Helenae sul retro…
So
che non sopporti le cartoline e che le trovi odiose ed
inutili, ma insomma a questa non potevo resistere, non credi? Vienna è
bellissima… ma con te sarebbe stata più bella ancora. Cerca di stare attento.
Ci vediamo a casa. Rachel…
L’epilogo
di questa storia, non so perché, mi si palesa davanti agli occhi passo passo: qualcosa deve essere successa. Non potevano
evidentemente continuare così… io non avrei potuto vivere un solo secondo così,
ma io sono io. E per questo non potrei
mai stare con Draco… ma anche per loro, qualcosa
deve essere successa… semplicemente perché vivono su una nuvola, senza
pensieri, e qualcosa ti riporta sempre sulla terra ad affrontare quello che hai
lasciato sotto di te.
E
capisco che l’epilogo si avvicina, quando Draco inizia a tremare accanto a me. Davanti
a noi, turbina oltre lo specchio il ricordo di una
gelida notte di Natale di poco più di un anno prima.
“Sono felice che tu sia venuto, Draco…” la voce di
Amos Diggory, per la prima volta da quando Draco lo conosceva bene, suonava
autenticamente felice. Nessun retrogusto amaro o malinconico,
nessun evidente ricordo di persone morte nelle sue parole e nei suoi gesti.
Amos Diggory era felice.
E Draco Malfoy sentiva la sua gioia come una colpa
sulla sua persona. Il suo riso aperto, i suoi occhi scintillanti d’orgoglio,
erano un peso sul suo respiro che minacciava di ucciderlo ogni secondo di più.
“Quindi è nata?” chiese
Draco malinconicamente, seguendo l’uomo nel salotto della sua grande casa. In
un angolo, torreggiava un enorme albero di Natale, decorato di stelle d’argento
e d’oro. Quest’anno, Helena aveva deciso di farlo finalmente, forse intenerita
dall’imminente nascita di sua figlia, e vi aveva aggiunto una serie infinita di
vezzosi fiocchi rosa.
Amos guardò l’albero con un altro esasperante
sorriso, annuendo ed aggiungendo: “Sì, mia figlia è
nata, Serenity… è bellissima…”.
Draco si chiese che cosa ci facesse lì, così d’un
tratto e in modo così disperatamente sincero che si chiese come mai non se lo
fosse chiesto prima di uscire, prima di lasciare l’appartamento di Lancaster Road, quando aveva ricevuto un messaggio di Helena.
Semplicemente, gli aveva scritto che la sua bambina era nata. E lui si era
sentito in dovere di uscire nell’aria fredda e di andare ad
incontrare quella che solo per una maledetta fatalità, era figlia di Amos
Diggory e non sua. Perché di occasioni, pesanti come macigni nel ricordo e
leggiadri come piume nel corpo, ne avevano avute a decine. Ma
Serenity, per pochi fatali giorni, era indiscutibilmente figlia di Amos.
Sarebbe cambiato qualcosa, se poi fosse stata sua?
Draco se lo chiese ancora, seguendo Amos su per le scale. Forse niente… forse
tutto…
Quando Amos aprì la porta della loro camera da letto, Draco ebbe una vaga vertigine, il sudore
che gli inzuppava la schiena. Sapeva nascondere le sue emozioni e sapeva che nessuno se ne sarebbe accorto, ma ancora un’altra
constatazione ovvia gli aveva raggiunto la coscienza, causandogli un conato di
vomito. Si strinse la camicia, all’altezza della bocca dello stomaco, mentre
Amos continuava a chiacchierare.
Quella era la camera di letto di Helena ed Amos. La camera dove ogni notte, quando fuggiva da lui
leggera come una farfalla di seta, lei tornava a dormire.
Era sempre stata categorica. La mattina, lei si
sarebbe sempre svegliata accanto ad Amos. Nessuna scusa da inventare o bugia da
raccontare, come faceva in altri casi. No. Lei doveva tornare accanto ad Amos ad ogni alba, lui che era al massimo la luna incastonata nel
cielo che restava sempre presente, ma che aveva solo di che impallidire al
sorgere del sole.
Anche in altri casi, era stata categorica Helena.
L’anello
di Narcissa lo teneva sempre a Lancaster Road, chiuso
in un cassetto. Non lo indossava mai. Nemmeno quando era certa che Amos non
l’avrebbe mai vista.
Aveva
accettato di sposarlo, ma non aveva mai nemmeno parlato del giorno o del
periodo preciso in cui farlo, anzi non ne aveva parlato più.
Non
smetteva mai di portare l’anello di fidanzamento e la fede con le quali Amos le aveva cinto l’anulare.
Non
lo lascerà mai… fu il pensiero con cui Draco Malfoy accolse la vista di
Serenity Hope Diggory. Helena era distesa sul letto, ancora dolorante e rossa
in viso, ma incredibilmente felice. I suoi occhi luccicavano di gioia a stento
repressa e, quando Amos si chinò a baciarla sulle labbra, lei lo abbracciò di
slancio, sobbalzando solo qualche secondo dopo quando si accorse della presenza
di Draco.
Era
la prima volta che si scambiavano un gesto d’affetto
davanti a lui, erano sempre stati freddi e formali. Draco avvertì la nebbia
della gelosia chiudergli la gola, serrargli il respiro, come se, ancora, solo
ora si rendesse conto che lei era effettivamente sempre sposata con Amos. La
vista offuscata, si avvicinò al letto di Helena,
fissando in mancanza di altro, la bambina tra le braccia di Helena.
Amos
continuava a parlare entusiasta, il sorriso di Helena si era congelato sulle
sue labbra ghiacciate e Draco continuava a guardare Serenity.
Avvolta
in una copertina azzurra, era la bambina più bella che avesse mai visto.
Dormiva placidamente tra le braccia di Helena, non emettendo nemmeno un gemito,
aveva guance rotonde e rosee, capelli radi e soffici di un colore già tendente
al biondo. I lineamenti erano molto simili a quelli di Helena, eppure aveva
molto anche dell’aspetto gioviale di Amos. Il miracolo più bello fu, quando si
svegliò, e rivelò già dei chiarissimi occhi celesti, in tutto e per tutto
uguali a quelli della madre. Amos si sedette accanto ad Helena, accarezzando
allegramente Serenity, mentre Helena lo guardava in evidente apprensione.
Alla
fine, la donna finalmente parò, rivolgendosi a Draco e sorridendo
malinconicamente: “Le dovrai insegnare a giocare a Quidditch un giorno… Amos
non sa nemmeno che cosa vuol dire giocare a Quidditch…!”. Amos si ribellò con
lievi motti scherzosi all’indirizzo della moglie.
Draco
deglutì un paio di volte, prima di dire le parole più difficili che avrebbe mai
pronunciato.
Tutto
poteva continuare. Per sempre. Così. Questo lo sapeva.
Lui
ed Helena per sempre assieme, ogni momento della vita
di Serenity come un ulteriore traguardo nella loro corsa piena di bugie, mentre
ambivano al tanto desiderato premio di essere sinceri con sé stessi e con Amos.
Avrebbero
usato il primo compleanno della piccola come momento limite per parlare ad Amos…
e poi si sarebbero detti che era troppo piccola.
Allora
avrebbero aspettato che andasse ad Hogwarts. Poi che
finisse la scuola. E così, per sempre.
E
lui, Draco, avrebbe sempre avuto la metà oscura di Helena, come la luna che non
mostra mai un lato di sé stessa. Poteva sopportarlo?
Certamente.
L’avrebbe
avuta e tanto sarebbe bastato, per tanti giorni e per tanti
notti.
Sarebbe
stato l’eco del tempo immobile a schiacciarli entrambi. Un tempo che scorreva
circolare, in tondo, non procedendo mai in avanti, ma nemmeno indietro perché
indietro non si poteva tornare.
Perennemente
in quell’oggi eterno.
Con
Serenity che invece cresceva. Con Amos che invece invecchiava. E con loro che
invece vedevano il loro amore trasformarsi alla fine in un’abitudine
necessaria, senza futuro alcuno.
Lei
sarebbe stata libera. L’avrebbe liberata dall’onere di dover scegliere.
Togliendosi di mezzo.
Pensando
a quello e certo che lei avrebbe capito tutto, disse in un soffio doloroso:
“Sarà suo padre ad insegnarle il Quidditch e qualsiasi
cosa per lei sarà giusta… così come, da sempre, deve essere in una famiglia…”.
Helena
ovviamente comprese che stava dicendo. I suoi occhi si riempirono di lacrime,
tirò su con il naso cercando di calmarsi ed abbassò il
viso, nascondendo il suo volto ad Amos. Eppure, annuì senza una parola.
Draco
si scusò con Amos, dicendo che doveva andare via, ma non fece nemmeno in tempo ad uscire che qualcosa ruppe quella quiete che non era una
quiete, ma uno sbriciolarsi silenzioso di due cuori.
Improvvisamente,
Draco, senza nemmeno rendersi conto di come ciò fosse avvenuto, si ritrovò per
terra, carponi sul pavimento, le mani sulla nuca e un enorme ronzio nelle
orecchie. Attorno a lui, l’eco di un’esplosione immane ed
una nube di polvere. Il tetto era parzialmente crollato, per fortuna lontano da
Helena ed Amos, che si erano chinati a proteggere
Serenity. La piccola aveva iniziato a piangere.
Draco
si alzò velocemente, constatando superficialmente che
non era ferito, dallo squarcio aperto sopra le loro teste filtrava un freddo e
gelido vento invernale, oltre che qualche fiocco di neve. Raggiunse Amos, aveva
un profondo taglio sulla fronte che grondava sangue, dove era stato colpito da
una pietra. Aveva protetto Helena e Serenity con il suo corpo e, infatti, le
due non mostravano alcuna ferita.
Amos
si appoggiò stancamente al muro, ancora integro, una mano a trattenere il
sangue che scorreva copioso, guardò il tetto distrutto e la stanza da letto
completamente sconvolta: “Ma cosa…?!”.
“Stai
bene?” chiese preoccupata Helena a Draco, il quale
annuì distrattamente, scuotendosi la polvere dai vestiti. La aiutò ad alzarsi
da letto, circondandole la vita con un braccio, momentaneamente non memore
delle loro disavventure amorose; Helena infatti non si
reggeva ancora in piedi dopo il parto, le mise distrattamente una coperta sulle
spalle, mentre lei rabbrividiva nella camicia da notte di seta leggera, stringendo
Serenity.
Imbarazzata,
distolse lo sguardo da lui, guardando Amos: “Che è successo?”.
“Il
tetto… aveva alcune assi marce, probabilmente… il freddo di questi giorni deve
aver peggiorato la situazione, meno male che almeno non ci siamo…”.
Amos
fu interrotto da una nuova esplosione, stavolta proveniente dai piani
inferiori. La casa tremò dalle fondamenta, e si udirono urla e strepiti di elfi
domestici. Draco si chinò istintivamente su Helena, stringendola, un terribile
sospetto che prendeva forma nella sua testa. Divenne certezza in pochissimi
secondi. Grida, risate e bestemmie provenienti dall’esterno.
E poi quell’urlo: “Malfoy! Vieni
fuori a giocare!”.
Tremando,
si affacciò alla finestra che sembrava galleggiare nell’enorme voragine che era
stata aperta tra il tetto e le cantine. Nel buio, le luci di
bacchette sguainate. Maschere d’argento di vetusta memoria, su mantelli
neri. Erano solamente in due… ma dovevano essere in due particolarmente
pericolosi, specie se lo attaccavano da soli. Inoltre, dalla fisionomia,
sembravano abbastanza simili a quei due che lo avevano attaccato qualche giorno
prima. Draco chiuse gli occhi, risentendo le loro urla nelle orecchie… voci
familiari… Serpeverde… immediatamente collegò a due visi conosciuti. Riaprì gli
occhi. Pucey e Montague.
Terrore,
come un formicolio sulla nuca. Pucey… aveva fatto arrestare sua sorella, era
morta ad Azkaban qualche mese prima. Montague… aveva portato al nascondiglio di
suo padre, gli Auror lo avevano ucciso.
Vendetta.
Pura vendetta ora guidava il loro agire. Non si sarebbero fermati fino a quando
non fosse morto. Anzi, no… non si sarebbero fermati fino a quando non gli
avessero inflitto lo stesso dolore subito.
E,
solo allora, lo avrebbero ucciso.
Lui
aveva solo tre persone al mondo, adesso. Amos, Helena e Serenity. Avrebbero
iniziato da loro.
Con
rabbia impotente, si rese conto che gli Auror probabilmente non sarebbero
intervenuti nemmeno per loro, orgoglio ferito di essere stati ripudiati dal
traditore di ogni parte del mondo.
Non
avrebbero mosso un dito nemmeno per salvare i Diggory.
Possibile
che solo ora si rendesse conto di quanto fosse stato pazzo e suicida?
Di
quanto poteva buttare anche all’aria la sua vita, ma aveva anche direttamente
legato al suo destino di sangue e morte anche loro tre,
innocenti ed incolpevoli?
Avrebbe
dovuto fare come sempre, come il suo stesso sangue Malfoy gli avrebbe sempre
imposto di fare…sfruttare la protezione degli Auror… lasciare che morissero per
lui, per loro tre… invece aveva fatto l’idealista, come mai prima. Ma la guerra, sia come sia, non concede mai repliche
all’idealismo.
Lascia
in vita i cinici. Ed uccide senza pietà gli utopisti.
Ora,
quel destino sarebbe toccato a lui. E, prima di lui, ad Amos,
Helena e Serenity.
Non
poteva permetterlo, questo si disse. Idealista, ok…
allora eroe fino in fondo. Gli avrebbe difesi, fino
alla morte, lasciando che fuggissero. Si sarebbero salvati.
Uno
solo doveva morire quella notte. Ed era lui.
Ma non sapeva Draco Malfoy, in quella fredda
notte di Natale che avrebbe cambiato la sua vita per sempre, che il coraggio
non è degli agnelli che indossano le spoglie del leone, dei serpenti solo
costretti a diventare grifoni.
Probabilmente,
un giorno avrebbe conosciuto quella spinta dentro, il
calore del cuore che, di fronte alla prospettiva di perdere qualcosa di amato,
diventa mobilità del corpo, slancio dell’azione e velocità del pensiero.
Draco,
un giorno, avrebbe conosciuto il coraggio. Difendendo una persona che ama.
Questi pensieri… non sono
ricordi… sono pensieri di adesso…
Ma, invece, quel giorno, Draco era solo
desideroso di morire per sanare le sue colpe. Per liberarsi dell’amore
maledetto per Helena. Per avere il perdono per la morte dei
suoi. Per sanare l’odioso tradimento.
Voleva morire
solo per paura e per stanchezza della vita. Non per coraggio.
Per questo,
non seppe affrontare quello, invece, purissimo e niveo di Amos Diggory.
Alle sue
spalle, aveva visto dalla finestra i due Mangiamorte, ed
aveva subito saputo che cosa fare: “Draco, porta via di qui Helena e
Serenity…”.
“Che cosa?!” si voltò quasi irato Draco, incontrando gli occhi seri e
pur sereni di Amos. Alle sue spalle, Helena livida in volto stringeva con foga maniacale Serenity al petto.
Amos poggiò
con affetto paterno una mano sulla spalla di Draco, il ragazzo che rabbrividì
leggermente. Solo Helena seppe leggere nei suoi occhi
grigi commozione e lacrime represse.
“Draco,
figliolo…” iniziò Amos con voce pacata “Hai ancora
tanto da vivere e da amare… per me, non è così… il mio cuore aveva già amato e
perduto quando sono morti mia moglie e mio figlio…e quel giorno sono morto
anche io…”, era la prima volta che alludeva esplicitamente a loro, Helena cadde
in ginocchio, piangendo.
“Helena… è
sempre stata per me come una figlia e un colpevole tentazione
a cui non sono riuscito a non cedere…” parlava di lei come se non ci fosse, le
voci dei Mangiamorte lontani echi di morte nell’aria che vibrava delle sue
parole “Non avrei dovuto sposarmi… mai… sarei dovuto morire con il ricordo di
Daisy nel cuore e nel corpo. Ma ho ceduto e ho reso
prigioniera Helena… per sempre… ma ora sono in tempo per riparare ai miei
errori e liberarla finalmente. Liberarla da questo matrimonio che non ha mai
voluto. E liberarla anche dal peso di scegliere tra me… e
te…”.
Sapeva tutto.
Aveva sempre saputo tutto.
Draco cadde
anch’egli in ginocchio, aggrappandosi al mantello di Amos, Helena poco distante
da lui nella stessa posizione, il volto chino e i capelli sparsi sul suo viso.
Due figli che chiedono perdono al loro padre.
“Io non
posso…” mormorò Draco, guardando supplice Amos dal basso verso l’alto, gli occhi una nebbia di lacrime che non sapeva più piangere.
“Vai con lei…
“ordinò Amos con voce perentoria, guardandolo severamente “Ripara al tuo
errore, proteggendola ed amandola per sempre… e
proteggendo ed amando anche mia figlia… non è morendo che potrai espiare le tue
colpe... ma solo stando con Helena e con Serenity… andatevene adesso…”.
Draco si
sollevò in piedi, ergendosi in tutta la sua altezza, chiuse gli occhi pieni di
lacrime: “Non posso farlo, Amos…”.
Amos si
avvicinò a lui e, senza alcun preavviso, lo strinse forte,
un braccio attorno alle spalle piegate. Draco trasalì, deglutendo a fatica,
piangendo finalmente nella stretta dell’uomo che non era suo padre ma che gli
faceva ricordare un gesto che mancava dalla sua memoria da anni.
“Lo devi
fare, Draco…” sussurrò Amos al ragazzo che piangeva “Rendila felice come non ho
mai potuto fare… guadagnerò il tempo che vi serve…”.
Si staccò da
Draco con un sorriso mesto, prendendo per i polsi Helena e facendola rialzare
in piedi come una bambolina di stracci. Il capo della ragazza andò giù proprio
come quello di un giocattolo inanimato, solo il braccio che reggeva Serenity
era saldo. Le accarezzò i capelli ricci e le baciò la fronte, ripeté lo stesso
gesto con maggiore cura e malinconia con la neonata figlia.
“Sii felice,
Helena… perdonami, se puoi…”.
A
quelle parole, Helena alzò lo sguardo, piangendo, e si gettò tra le sue
braccia: “Non hai niente da farti perdonare! Nulla! Nulla! Perdonami tu! Io ti ho tradito tante di quelle volte che… ti volevo solo fare del
male… e tu invece… perdonami Amos!”. L’uomo annuì, accarezzandole ancora
il capo, poi la sospinse delicatamente verso Draco: “Andate via adesso!”.
Un nuovo
scoppio fece tremare la casa dalle fondamenta.
“Passate dai
sotterranei… vi porteranno fuori di qui…” furono le ultime parole che disse
Amos prima di Smaterializzarsi fuori, sparendo con un leggero pop.
Pochi secondi
dopo, mentre Draco si caricava Helena sulle spalle e prendeva Serenity in
braccio, Amos Diggory moriva nella neve fresca, a pochi passi dai resti
dell’albero di Natale di sua moglie Daisy. Negli occhi
spenti per sempre, quell’ultima luce che sarebbe stata come un faro per
ritrovare i suoi cari.
Draco correva
nei sotterranei, l’umidità nel suo respiro affannato e terrorizzato, un barlume
di quel coraggio nella sua folle corsa, Helena continuava a piangere sulla sua
schiena.
Era dolorante
per il parto e ferita nell’anima, le esplosioni fuori erano sempre più forti e
più vicine.
E Draco fece
la cosa più ovvia per proteggere la sua famiglia.
La depose
delicatamente per terra, la fece nascondere in una nicchia ben protetta e le
disse di aspettarlo lì.
Lei lo guardò
piangendo, mormorando solamente con una voce che aveva solo del perentorio
ordine: “Devi tornare… da me e da Serenity… sono stata chiara?”.
Lui annuì,
baciandola, e corse fuori.
Era appena
uscito e si ritrovò nell’aria fredda della notte, pronto ad affrontare i
Mangiamorte, ora per vivere accanto ad Helena e Serenity.
Era appena
uscito che Pucey e Montague fecero esplodere la casa
dalle fondamenta.
Era appena
uscito che il castello dei Diggory fu avvolto dalle fiamme, non risparmiando
nulla.
Era appena
uscito che Helena Jasmine Greengrass, che sarebbe sempre stata in Diggory e mai
in Malfoy, moriva senza lasciare traccia, senza nemmeno un corpo da piangere,
arso mentre proteggeva la sua bambina.
Era appena
uscito che un urlo di dolore, come quello di un animale ferito, squarciò l’aria
colma di neve, mentre i Mangiamorte ruggivano di trionfo smaterializzandosi
lontano.
Sotto quella
neve, in quelle lingue di fuoco, bruciò la sola cosa rimasta ancora in vita di
Draco Lucius Malfoy.
Il suo cuore.
Non ce la faccio, non posso
trattenermi. Dimentico ogni cosa, correndo verso di lui che si accascia per
terra, la mano che scivola lentamente sulla superficie fredda dello specchio,
con uno stridio sordo e fastidioso. Cado per terra davanti a lui e lo abbraccio
forte, stringendolo forte tra le mie braccia, le lacrime di un lutto che avevo intuito
e di cui, sebbene non possa provarne il dolore, sento la lacerazione che prova Draco,
dentro di me, come se mi appartenesse da sempre. Le sue braccia mi stringono
alla vita, io ancora in ginocchio e lui seduto per terra, mi attira forte verso
di sé, aggrappandosi con tutte le sue forze residue a me, come se fossi il solo
vessillo rimasto nel suo mondo che si arrende e mostra bandiera bianca al
dolore di cui è piena la sua vita.
“Non è stata colpa tua…”
sussurro, stringendolo ed indovinando quello che deve
essere il suo tormento costante, le sue mani sulla mia schiena sussultano e
tremano, aprendosi piano. Nella sola occasione che, forse, in tutta la mia e la
sua vita mi sarà data di toccarlo ancora, appoggio la mano sulla sua testa,
accarezzandogli delicatamente i capelli biondi.
Solo nel mio cuore, so esistente
un fremito ricolmo di passione nefasta, ma da fuori so che sembra che lo stia consolando come si fa con un bambino.
Semplicemente con tenerezza. Non
con amore.
Amore. Non con enorme amore che si deflagra implacabile
tra i miei organi, incatenando il respiro, sciogliendo il pensiero e invadendo
il cuore.
“Hermione… io avrei potuto
salvarla… Amos… io… glielo avevo promesso…” bisbiglia dolorosamente, le parole
soffocate contro il mio petto, il suo respiro caldo che si insinua
sotto i miei vestiti, facendomi rabbrividire.
Stacco faticosamente il suo viso
da me, prendendolo tra le mie mani e guardandolo in viso con feroce decisione:
“Guardami, Draco…”.
I suoi occhi, lucidi eppure
asciutti, come chi ormai non sa nemmeno che senso abbia piangere ancora, mi
guardano con doloroso rimorso.
“Pucey e Montague l’hanno uccisa…
non tu…” ripeto con voce decisa, tirando su con il naso. Il suo dolore è
un’overdose, che mi hanno iniettato direttamente nelle vene e che si è
sostituita al mio stesso sangue, lasciandomi nell’agonia lenta di sapere la mia
morte vicina. Non credo di essere mai stata così male per una cosa che non mi
riguardasse da vicino… è come se oramai tra i sentimenti di Draco e i miei, ci
fosse una specie di rovinosa osmosi, una parete sottilissima e piccolissima che
si frappone tra me e lui, confini nel tempo scolpiti e delimitati con selvaggia
ostinazione, e che oggi sono meno che nulla.
Sono lui e lui è
me… o forse sono solo io che sono diventata meno che niente, e lui che ha
assorbito il mio cuore.
Lui esiste sempre per intero.
Sono io che non esisto più.
“Mi sono fuggiti… quella notte…”
continua Draco con un filo di voce “Ed anche altre volte… tante volte… non sono riuscito nemmeno…”.
Assomiglia alla giustizia, ma in
realtà ne è solo una copia malriuscita.
Ma oggi, più che
mai, non so nemmeno io chi sono. Sono semplicemente nelle parole che vanno
dalla mia bocca al suo orecchio.
“Ce la farai… un giorno… li
troverai…”.
“Non ci credo che tu l’abbia
detto…” commenta quasi con un sorriso, le mie ginocchia che si piegano, ricado
alla sua stessa altezza, i suoi occhi, velluto soffice di nuvola.
“Nemmeno io…”.
“Ho una cattiva influenza su di
te, Granger…”.
“Lo credo anche
io…”.
“Saresti stata una perfetta
Serpeverde, in fondo…” mi dice con malinconia, e trovo
che sia il più grande complimento che mi avrebbe potuto fare nella vita.
“Sono infida, meschina e
doppiogiochista?” blatero sarcasticamente, cercando di mantenere il mio
contegno solito che mi imporrebbe di vedere solo con
disprezzo l’aggettivo “Serpeverde” associato alla mia persona. E lui è come se
capisse che non ci credo nemmeno io… non mi segue nel mio moto ironico,
rispondendomi a tono.
Sembra persino pensarci un po’,
mentre si alza in piedi e ritorna in sé, invitandomi silenziosamente a fare
altrettanto.
È solo quando tocca lo specchio
che riprende a vorticare di immagini sconosciute che
mi arriva la sua risposta.
“Non saresti mai in grado di
essere infida, meschina e doppiogiochista… saresti stata semplicemente
l’orgoglio di essere quella che sei, come ogni Serpeverde… anche quando questo
vada contro ogni sentimento comune… non sei l’incarnata ed
inquadrata virtù dei Grifondoro…tu sei la forza caparbia e testarda di essere
sempre quella che sei… e questo non è dei Grifondoro… è dei Serpeverde… nostra… o meglio, mia…”.
“Vuoi dire che non siamo mai
stati così diversi come abbiamo sempre creduto?” commento fiocamente.
La sua risposta si perde nei suoi
occhi che ora guardano solamente lo specchio.
La sua risposta è solo un accenno
all’insù delle sue labbra, subito sedato da un’ombra scura nella sua
espressione.
La sua risposta viene soffocata immediatamente dall’esigenza cupa che io
continui a vedere.
E, improvvisamente, mentre le
immagini riprendono, afferro solo per un attimo quanto terrore abbia di quella
risposta.
Tac.
Tac. Tac.
Sempre
quel rumore nelle orecchie, consolazione del suo ripetersi ed
ossessione del desiderio di risentirlo.
Draco
potrebbe riassumere le sue ultime tre settimane dalla morte di Amos ed Helena, in quel suono metallico. Ci avrebbe aggiunto, al
massimo, il respiro di Serenity, la bambina bionda che dormiva accanto a lui,
disteso sul letto dell’appartamento di Lancaster Road.
Serenity aveva paura di piangere, così sembrava… da quella notte in cui per
poco aveva scampato la morte, Serenity non piangeva mai.
Come
se sapesse… come se anche Serenity, con la sua esperienza di vita di sole tre
settimane, breve eppure già pesantissima, sapesse che non valesse la pena
piangere per nulla, se non per la morte dei suoi genitori.
Ma,
siccome la sua mente era ancora troppo piccola ed
ingenua per ricordarli, nella mancanza di quel dolore, non piangeva affatto.
Tac.
Tac. Tac.
Il
fermaglio a forma di libellula, si aprì ancora con quel suono freddo, liberando
solo per qualche secondo la voce di Helena, impressa per sempre lì nell’ultimo
spasmo di vita che le era rimasto.
Lo
gettò lontano, con rabbioso dolore, e quello si aprì lo stesso. Tac.
Non
fece in tempo a correre per richiuderlo. Lei parlò di nuovo. Solo parole. Le
ultime. Nemmeno profumo o occhi o labbra o mani. Solo
parole di una voce che stava morendo.
Si
bloccò, ed Helena parlò di nuovo da quel fermaglio che
era rimasto stretto nella manina di Serenity, quando l’aveva ritrovata illesa,
mentre di sua madre non c’era traccia.
Volata
nella morte, come la farfalla che era stata in vita… lasciando alle sue spalle
solo quel messaggio silente, per lui, nella mano di sua figlia.
Draco
si accasciò piangendo, ascoltando ancora il testamento di Helena che risuonò
nelle pareti della sua stanza.
Tac.
Draco, io ti amo. Ti ho sempre amato, probabilmente dal primo giorno
in cui ti ho visto, quella sera di dicembre che Amos ti portò a casa nostra.
Non so se te l’ho mai dimostrato pienamente, se il
mio essere così maledettamente egoista e codarda non ti abbia sempre
privato dell’amore di cui davvero avresti dovuto avere bisogno. Non mi hai mai avuta del tutto, sono sempre stata in bilico tra te ed
Amos. E mai, mai, mai… ti ho fatto pensare di essere davvero
la scelta tra te e lui. Ma lo sei. Lo sei, Draco,
amore mio. Lo sei sempre stato.
Per questo, Draco, vivi, vivi anche
per me. Ed ama anche per me. Questa è la prima
cosa che riesco a dirti e che riesco a pensare.
Draco, ama, non c’è niente che valga la pena di fare a questo mondo,
davvero, se non amare con tutto il cuore qualcuno. Nemmeno il nostro odio, la
nostra rabbia, il nostro rancore e il nostro dolore, che sadicamente ci siamo
sempre inflitti dentro, credendo di meritarli davvero, valgono
quanto amare qualcuno con tutte le forze, proteggerlo, sostenerlo e renderlo fiero
di noi. Apri il tuo cuore all’amore, Draco, aprilo alla donna che è destinata a
possederlo. So che esiste. So che c’è. Non
ero io, Draco. Se lo fossi stata, ti avrei reso la vita e la gioia che ti sono state negate, non ti avrei gettato ulteriore dolore e
tormento, provenienti solo da me. Lei, invece, la donna della tua vita, cancellerà quel
dolore e tormento dentro di te, semplicemente… e tu lasciala fare, non avere
paura.
Sii quello che sei, non
mentire più, non nasconderti più. Non c’è amore più puro e perfetto di amare chi siamo davvero, e non ombre sotto falso nome,
come abbiamo fatto noi. Amala Draco… e
più di quanto tu abbia fatto con me. Anzi, non di più o di meno… ma in un modo
così unico e speciale che lei non debba mai pensare a me e soffrirne.
Non farla soffrire per me, Draco, non riversarle addosso
qualcosa di cui non ha colpa. Non essere me. Per quanto tu ci riesca, Draco, dimenticati di me. O perlomeno
dimenticati dell’amore che provavamo.
Vivi e vai avanti, scordandolo. Perché solo così andrai avanti,
amore mio… io ti proteggerò da ogni parte dell’Universo dove
finirò. Per sempre.
Proteggerò per sempre te, lei… e Serenity, ovviamente. La mia
bambina. Mia figlia.
Dio mio, è così ingiusto… la mia bambina… non la vedrò crescere,
mai. Non saprà nemmeno chi sono… no, non ce la posso fare… mio Dio, non ce la
posso fare…
…
…
Sto per morire, Draco, lo so… quindi per favore, ascolta le mie
parole.
Proteggi mia figlia e fai che sia la serenità di cui porta il nome.
Sono certa che troverai una donna che sia anche una mamma per lei, fai che la
ami come io non ho mai potuto fare e che non le faccia
mai rimpiangere di non avermi avuto. Draco,
parla a Serenity di me quando sarà il momento, quando potrà capire… non
omettere nulla, dille e raccontale tutta la verità. Chi sono stata davvero e il
bene che volevo a suo padre… e l’amore che provavo per te. E dille che la amo,
da morire, che l’ho sempre amata e che sempre la amerò.
Che si fidi sempre di sé stessa, che sappia di poter
essere sempre quella che vuole e che crede, e che possa essere la donna
migliore del mondo quando crescerà… e che abbia sogni, Draco. Immensi, grandi,
colorati, e che lotti tutta la vita per realizzarli come io
non ho mai avuto il coraggio di fare. Sia forte nella strada della vita, che
abbia sempre amici che la sostengono ed aiutano… e che
ami, Draco, ami anche lei con tutta la forza che ci vuole vivendo. Perché amare
è vivere, Draco, mai come ora ne sono certa.
Vorrei che fossi per lei un padre, Draco, ma so di non potertelo
chiedere. Ho solo una cosa da chiederti.
Che sia babbana, Draco, che non cresca nel nostro mondo… ti prego,
Draco, che non sia mai una strega. Le faranno quello che hanno fatto a me. I Greengrass non la lascerebbero mai in pace, ed
io non voglio che accada. Loro non sapevano che ero incinta, avevo detto ad
Amos che volevo aspettare che Serenity nascesse, avevo finto una scaramanzia
assurda nell’ipotesi che la gravidanza andasse male, ma in realtà cercavo di
prendere tempo. Sapevo che avrebbero avanzato delle pretese su di lei… specie, dopo che
hanno scoperto della mia doppia vita. Non so come abbiano fatto, e non te l’ho
detto perché in fondo non era importante… ma mi hanno cancellato dalla famiglia.
Ma Serenity… lei è una Purosangue, figlia di Amos Diggory, destinata
ad una rendita e patrimonio inimmaginabili. Si
cumuleranno su di lei i patrimoni di quel casato che ormai, dopo Amos, è
estinto.
La sfrutteranno… Draco, che non lo sappiano mai… non avendo Amos dei
parenti ancora in vita, la affideranno a loro. Tu per
lei, non sei un parente, anche se, dopo Amos, sei forse la persona più vicina ad un padre che lei abbia.
Solo per poco, lo sappiamo entrambi, Serenity non è tua, nostra
figlia.
Ti prego Draco... rendila
babbana, bloccale i poteri, qualsiasi cosa… ma che sia babbana. Che sia libera.
In quel mondo, con te, io ho vissuto i momenti più belli della mia vita… e
voglio che anche Serenity conosca questa gioia…
Ti prego, Draco, è la sola cosa che ti chiedo davvero.
Il
testamento di Helena terminava così. Con un respiro un po’
più forte. L’ultimo.
Helena
moriva così. E lui non sapeva nemmeno che altre parole avrebbe voluto, in fondo
c’era tutto… ma era solo quel pesante respiro che sentiva nelle orecchie. Sempre.
Ogni giorno, ogni notte, sempre.
Tac.
E
quel respiro.
Soli,
a riempire quel vuoto in testa. Assieme alle parole su Serenity. Ora sapeva
solo pensare alla parte su di lei… a quella su sé
stesso, Draco non prestava la benché attenzione, considerandola assurda. Lei
parlava di amare ancora… e lui invece ora viveva solo per Serenity. Che spazio
ci sarebbe stato per l’amore in tutto questo? Nulla. E nemmeno lo voleva.
Ora
capiva Amos che sorrideva ad un dipinto animato in
salotto con le fattezze di Daisy Diggory… un giorno, avrebbe finito anche lui
il quadro di Helena di cui ora aveva solo gli occhi, rendendolo vivo.
Rendendolo
la sola cosa viva, dopo Serenity, rimasta nella sua vita, si sarebbe perso per
sempre in esso, finendo di morire e restando sufficientemente esistente nella
parte in cui doveva.
Solo,
per proteggere Serenity, garantire che restasse babbana e che i Greengrass non
sapessero di lei.
E
poi, appena avesse affidato Serenity a qualcuno che lo meritasse dato che era più che mai convinto che uno come lui non
avrebbe mai potuto farle da padre, restava una sola cosa nella lista.
Pucey.
Montague.
E,
allora, finalmente poteva morire.
Chiuse
gli occhi, stanco, prese da terra il fermaglio di Helena richiudendolo ancora.
Tac.
Lo
nascose in un cassetto della sua scrivania, chiudendolo a chiave, in modo che
Serenity non lo potesse trovare quando fosse diventata abbastanza grande da
capirne il contenuto ma troppo piccola per comprenderne
l’autentico significato. Si avvicinò a lei, che dormiva ancora sul suo letto,
pancia in giù, e le accarezzò la testa con un sorriso lieve.
La
sua vita, mai come in quel momento, era Serenity. Fin quando la piccola avesse
avuto bisogno di lui, Draco sarebbe rimasto vivo, o perlomeno vivo da
camminare, muoversi e parlare.
Per
il resto, Draco oramai era un essere putrefatto dal dolore, dall’odio e dalla
colpa.
Stava
per mettere Serenity nella sua culla, quando un rumore nel soggiorno attirò la
sua attenzione. Pop. Qualcuno si era Smaterializzato.
Draco
sospirò profondamente, prese Serenity e la poggiò nella sua culla. Considerando
gli incantesimi che c’erano nella stanza e che impedivano qualsiasi
Smaterializzazione, poteva essere solo una persona.
La
sola che non voleva vedere in quel momento. E la più assurda che, anni fa,
avrebbe immaginato come soggetto privilegiato nel poterlo raggiungere in
qualsiasi momento.
“Malfoy!”
urlò la voce con tono autoritario e severo “So che sei in casa, quindi non fare
finta che non ci sei!”.
Draco
sospirò ancora rumorosamente e si trascinò pigramente in salotto, era solo per
quella patina di tristezza, che oramai gli era tipica,
che non strascinò i piedi per terra ironicamente, come un bambino dispettoso.
Potter
era in piedi, le spalle alla finestra e le braccia conserte, in attesa. Era
palesemente spazientito. Aveva l’aria stanca, come ogni volta che lo vedeva, la
tipica espressione da Potter, quello che aveva sempre dovuto portare da solo il
peso dell’umanità come Eroe del Mondo Magico. A questo si era aggiunta la
stanchezza di essere adesso anche il Ministro della Magia, oltre che essere il
solo depositario dei grandi segreti di Draco Malfoy. Se Draco lo avesse pensato anni prima, probabilmente si sarebbe messo a
ridere… ma ora quel misto di ammirazione e di invidia che aveva sempre provato
per lui, lo aveva reso dipendente da Potter più che da ogni altra persona al
mondo. Certo, anche Blaise e Pansy sapevano che era vivo… ma il solo che
sapesse di Serenity, era lui.
Perché?
Si chiese Draco. Perché si era fidato di lui?
Semplice.
Aveva messo la sua vita e quella di Serenity nelle mani di Harry, perché le
considerava le più adatte allo scopo.
Era
rimasto ore nei sotterranei anneriti dall’esplosione, nelle fondamenta del
castello distrutto dei Diggory, Serenity in braccio che piangeva e il fermaglio
di Helena nelle mani.
Alle
prime luci dell’alba, si era stagliata nell’aurora la sagoma di Harry Potter,
apparentemente solo, anche se fuori si sentiva il vociare degli Auror, cosa che
mai come in quel momento, feriva le orecchie di Draco.
Lo
aveva preso per un braccio, aiutandolo ad alzarsi, e
lui come un automa aveva obbedito, poi lo aveva condotto lontano, in un
appartamento che non conosceva.
Aveva
fatto chiamare una donna che si prendesse cura di Serenity, e che portasse a
lui di mangiare. Gli aveva intimato di restare nascosto, e
lui, senza forze, aveva obbedito, trascorrendo le ore a letto e ignorando
persino la vista ormai insopportabile di Serenity per la somiglianza con sua
madre.
Si
era persino occupato, dopo suo esplicito consenso, di inscenare la sua morte,
nel rogo di Malfoy Manor, causato da un incidente con un drago, oltre a
tumulare in gran segreto Amos ed Helena.
Aveva
preferito fare in questo modo, per depistare i Mangiamorte ancora sulle sue
tracce, decidendo di dare l’annuncio della loro morte solo qualche mese dopo,
in modo che fosse escluso qualsiasi collegamento tra loro e la sua “presunta”
morte. In fondo, solo i Greengrass avevano interesse a sapere ciò… ma non
parlavano con la primogenita da tempo, quindi una sua
mancanza di contatti non avrebbe destato sospetti.
Potter
aveva anche accettato che Draco tenesse con sé Serenity. Lo aveva chiamato un
“risarcimento” per la fine dei suoi, e Draco, sebbene non ne volesse e nemmeno
sentisse di meritarlo appieno, accettò di buon grado.
Harry
si impegnò quindi a tenere nascosti entrambi, dai
Greengrass e dal resto del mondo magico.
Inoltre,
e di questo Draco era maggiormente grato anche se non
l’avrebbe mai ammesso, Harry, al momento, semplicemente “pensava” al posto suo.
Lui
era incapace di farlo. Era incapace di fare qualsiasi cosa.
Si
sedette stancamente sul divano ed Harry lo imitò,
senza aspettare un suo invito, mentre Draco guardava in modo malinconico fuori
dalla finestra. Gli occhi grigi si eclissarono per un attimo, ricordando
Helena.
Cercando
di non ripensare ancora a lei, chiese sgarbatamente al Ministro che cosa
volesse, visto che non parlava ma sembrava smanioso di
dirgli qualcosa. Semplicemente sembrava che non sapesse da dove iniziare.
Potter sospirò e chiese: “Hai sistemato le cose? Stai mettendo a punto la tua identità babbana?”.
Draco
annuì, senza troppa convinzione, ed aggiunse
solamente: “Il Petite Peste… il locale che aveva rilevato Helena due anni fa e
che voleva gestire, una volta finita la carriera di modella... lo avevamo
affidato ad un ragazzo fino a quando era incinta, Seth Green… riprenderò
semplicemente la mia qualifica e ci andrò più volte di quanto facessi prima…”.
“Ottimo”.
“Probabilmente
venderò anche quest’appartamento…” commentò laconicamente Draco, guardando le
pareti “Ed andrò a vivere lì… non credo di sopportarne
più la vista…”.
“Capisco…”
soggiunse Harry a disagio, incrociando le braccia al petto “Sbloccherò parte
dei tuoi beni e la convertirò mensilmente in sterline… così non dovresti avere
problemi…”.
“Queste
cose le so già Potter… cosa c’è di nuovo che non
riesci a dire?” lo interruppe Draco bruscamente.
Harry
trasalì, spalancando i grandi occhi verdi. Sorrise tra sé e sé, anche lui
vagamente sorpreso del legame inconcepibile che ora legava i loro destini.
Ricordò
gli anni di scuola e quanto lo aveva odiato, e si chiese, in fondo, che cosa
fosse cambiato. Lui, Harry, era sempre lo stesso.
Preso
da mille problemi e pensieri, forse più grandi di lui. Sempre innamorato della
stessa donna. Sempre gli stessi amici, sebbene di uno oramai non avesse quasi
più notizie. Lei, Hermione.
Ma, nello sguardo di Harry Potter, dopo quei
pensieri si lesse la verità innegabile. Lui era sempre lo stesso.
Tecnicamente
e praticamente, invece, Draco Malfoy, il suo acerrimo
nemico non esisteva più. Davanti a lui, sedeva un manichino con le sue
fattezze, ma vuoto dentro di ogni pensiero, ricordo o volizione.
Finalmente,
Harry si decise con un sospiro seccato a raccontare la spiacevole novità
accadutagli.
Astoria
Greengrass aveva scoperto tutto di lui, di Serenity e del fatto che vivesse da
babbano.
Non
si sa in quale modo ci fosse riuscita, probabilmente collegando la vita babbana
della sorella e lui… evidentemente nelle rare volte in cui si erano visti,
aveva intuito che tra lui ed Helena c’era qualcosa. Ed aveva scoperto tutto. Voleva che lui onorasse la vecchia
promessa tra le loro famiglie e che la sposasse… altrimenti avrebbe rivelato
l’esistenza di Serenity ai suoi. Voleva che si legassero con una Promissio
Gemina con Potter come garante, in modo da legare il patto alla figura di
maggiore autorità del mondo magico.
Draco
chiuse gli occhi per un attimo, se ne fregava ovviamente di tutto, anche di
sposare Astoria. La sciocca non capiva che, facendolo ritornare nel mondo della
Magia, probabilmente i Mangiamorte l’avrebbero cercato ed
ucciso, assieme a lei. La sua cotta idiota per lui, l’avrebbe messa in pericolo
al pari di Helena. Ma se non lo capiva, erano solo
affari suoi.
A
lui importava solo di difendere Serenity. Era la sola promessa ad Helena che era rimasta in piedi e che non avrebbe mai
infranto.
Accettò,
ma chiese tempo.
Sette
anni.
Da
vivere come Danny Ryan. Da babbano, sarebbe stato più facile trovare Pucey e
Montague se erano convinti che era morto. Ed ucciderli.
Intanto,
Serenity sarebbe cresciuta, sarebbe stata in grado di conoscere la verità e
allora l’avrebbe affidata ad una famiglia babbana che
meritasse di averla.
E,
magari, avrebbe trovato anche un modo per sbarazzarsi di Astoria, una volta
nascosta Serenity.
Altrimenti,
l’avrebbe sposata, sarebbe stato seccante, ma sapeva che in quel caso avrebbero
avuto vita breve assieme.
Astoria,
inorgoglita dalla possibilità di diventare una Malfoy, accettò senza pensieri,
anche con le clausole aberranti di essere una babbana per sette anni.
Anche
con la clausola di diventare Summer Breeze Layton e di vivere al 76 di Lancaster Road. Anche con la clausola che Serenity
doveva essere protetta anche da lei, in modo che non mostrasse mai i segni
della magia.
Ad
Astoria, interessava solo diventare la signora Malfoy e sposare Draco, il suo
unico amore. Il suo era un sentimento effimero ed
utilitaristico come pochi, ma si era aggrappata ad esso con tutte le sue forze,
nello sfacelo della sua famiglia e della ricchezza e del prestigio, nemmeno
riparati dal matrimonio di Helena o da quello previsto di Daphne.
In
fondo, nessuno era i Malfoy.
Ed in fondo, il valore di una donna si vede
dall’anello che porta.
Celebrarono
Improvvisamente Draco, in curioso
controsenso con tutto quello che ha fatto fino ad ora e che mi ha fatto
soffrire enormemente, cerca di strapparmi dallo specchio e da un nuovo ricordo
che sta affiorando, assolutamente involontario. Perché? Non mi ha già fatto
vedere tutto quello che di peggio potesse esistere per me?
Mi artiglio allo specchio con tutte le
mie forze, curiosa, con una speranza assurda che quel ricordo celato
goffamente, sia qualcosa che mi porti almeno un po’ di
ristoro dal peso che avverto dentro.
L’immagine resta ferma, sono Harry e
Draco nella sua stanza al Petite Peste. I loro abiti, il loro
comportamento… la data sul calendario…
Una settimana dopo la luna nuova. Io
quindi sono ancora in coma nella stanza accanto… il
momento del loro incontro, quando Ginny ha pensato che Harry fosse andato a
cancellare la memoria a Danny Ryan. Ma in cui invece
dovevano aver parlato di qualcos’altro… erano stati sempre stati sibillini, non
mi avevano mai detto nulla, nessuno dei due. Anzi, solo una cosa…
Al
momento, per la prima volta nella vita, io e Potter una cosa in comune ce l’abbiamo… te…
Io…
hanno parlato di me… per quello non vuole che veda questo ricordo…
Faccio forza sullo specchio con tutta la mia
volontà, so che, se fossimo fuori da questo Pensatoio, lui sarebbe più forte di
me. Ma qui, conta solo la volontà e la mia ora è
evidentemente più forte della sua. Riesce ad
escludermi le immagini, restano fisse in quel flash di loro due che parlano, ma
le parole no… quelle no…
Quelle no… le intendo benissimo…
Ed è lì che mi si spezza il cuore, davvero, anche
se credevo che si fosse spezzato prima, mentre lo guardavo con Helena.
Quello… non era ancora niente…