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Autore: Jolene    12/08/2005    3 recensioni
La storia di Tom dalle origini. secondo una personale rilettura------------------------------ Seduto sulla poltrona accanto al finestrino, unico ragazzo, c’era un quattordicenne bruno e dinoccolato, con il braccio appoggiato alla finestra e un gatto spelacchiato in grembo. Aveva sottili capelli castani, lunghi appena sopra il collo, occhi scuri e lineamenti abbastanza evidenti. Non sorrise quando li vide, anzi, li scrutò con sospetto.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tom Riddle/Voldermort
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Importante per chi legge!

Questo racconto si basa esclusivamente su quello che viene detto a proposito di T. O. Riddle nei primi quattro libri e sulla mia fantasia.

Tom I si riferisce all’infanzia di Tom.

Tom II invece si riferisce alla sua adolescenza, e più in particolare ai suoi ‘famosi’ sedici anni

 Per quelli che rimarranno perplessi ecco delle esplicazioni sul personaggio di Tom:

Ha quattordici anni, è ancora legato all’infanzia, non sa cos’è l’amicizia ma invidia i legami affettivi altrui. La sua fiducia si basa sulla fretta e sulla contentezza di avere stabilito un rapporto amichevole per la prima volta a scuola. Quello che voglio è rendere Tom un personaggio umano, perché credo che un assassino non nasca mai assassino.

 

SuperEllen: Offesaaaaaa?????!!!!!! Ma quale offesa, anzi, sei stata provvidenziale. Mi hai permesso di chiarificare la situazione e di aggiustare certi punti. (Ho messo tutto nella ‘Premessa’)

1) Ebbene: Tom non è quello che viene descritto nel secondo libro semplicemente perché ho deciso di iniziare la descrizione dai suoi quattordici anni, l’inizio dell’adolescenza (ahah ah che malvagia che sono!). So che ti può essere sembrato strano, e non come te lo immaginavi. Ma… non preoccuparti, ho un piano preciso per il mio prediletto, e ci tengo a svelare lentamente tutti gli aspetti del personaggio.

2) Il personaggio di Mary è praticamente la mia fotocopia parlante, quindi sono felice di capire che sono un incrocio tra Hermione e Luna! J Comunque proverò lo stesso a limarla un po’, e vediamo cosa ne esce fuori.

Ly: Caaaara, grazie per un commento così lungo e ristoratore!

1) Ebbene sì, mentre scrivevo stavo proprio leggendo It (Tra l’altro uno dei miei libri preferiti), per cui inevitabilmente Wally è ispirato a Richie. Sei davvero attenta!

2) Tutta la storia ruota intorno alla nostalgia, al passato, al velo di polvere che lo nasconde e che io stò accuratamente cercando di spolverare JJJ

3) Nella parte del letto in realtà le scene sono divise: prima c’è Daniel che riflette steso sul letto. Poi (Dopo lo spazio bianco che ho provvidenzialmente messo) c’è Tom, anche lui in quel momento

4) Riguardo all’epoca, mi sono accorta di alcune mostruose trascuratezze e ho subito corretto. Il tutto si svolge nel 1940

5) Riguardo la disponibilità di Tom, mettiti nei suoi panni: ha quattordici anni, è ancora legato all’infanzia, non sa cos’è l’amicizia ma invidia i legami affettivi altrui. La sua fiducia si basa sulla fretta e sulla contentezza di avere stabilito un rapporto amichevole per la prima volta a scuola. Quello che voglio è rendere Tom un personaggio umano, perchè un assassino non nasce mai assassino.

 

P.S. Ho semplicemente adorato la vostra sincerità, mi ha permesso di rendermi conto di parecchie cose e di frenarmi per tempo. Tornate a commentare!

 

 -I miei passi parevano rivolgersi con tanta naturalezza verso l’ingresso della bottega, dopo che ebbi letto quelle parole dall’altra parte della via, che attraversai e guardai nell’interno-

Charles Dickens

 

14 aprile 1964

Caro Wally, risponderò alla tua domanda.

A volte ho l’impressione che i libri mi osservino. ho spesso pensato a come un libro possieda un’anima più profonda di molti. Un libro non pensa al modo più vantaggioso di pavoneggiare sé stesso, la copertina di un libro tanto è bella quanta più polvere la ricopre, e tanto le parole saranno belle quanto esse saranno affilate.

Un libro ha sempre qualcosa da dire, non è mai del tutto insignificante, è il miglior e più gradito maestro che mai abbia abitato questa terra. Ed un libro non pretende nulla ma vive tra le sue parole, ed alzi la mano a chi di voi non ha mai pianto il cuore leggendo l’ultima pagina di un libro.

Di notte, quando c’è solo il silenzio, e tanto più in campagna, quando il fringuello, il gallo e la volpe hanno già trovato il loro riposo, è di notte che corro nella biblioteca.

Faccio poca luce, non vorrei che qualcuno si svegliasse, e quindi con le dita sfioro ogni copertina, fino a quando l’alba non ritorna.

Giorno, sera, notte, ed ogni momento della mia vita è votato a tutti i miei libri. Ho vissuto tra i libri per così a lungo che ho dimenticato di distinguere le parole che ho letto dai ricordi reali; e tanto a lungo che mi sembra quasi di essere diventata il personaggio di uno di quel mucchio di libri.

Di giorno scendo al fiume, nella sua parte più selvaggia, siedo sulle radici e sento il fiume scorrere.

Lynn raccoglie fiori per me, parla con gli animali, intreccia ghirlande di legno e gelsomino. Aspetto che un giorno tu venga.

- Mary

 

1 settembre 1940

 

Wallace Hard sbarrò le porte scorrevoli dietro di sé e tirò giù le tende.

Non era stato facile trovare uno scomparto vuoto, sul treno. La maggior parte di essi era zeppa di ragazzine schiamazzanti, ragazzi impegnati in forti questioni goliardiche, e bambini babbani del primo anno curiosi di sapere qualcosa di più sul mondo della magia.

Su per il corridoio gufi raccolti in gruppetti si rincorrevano giocando. Wally, camminando, aveva virato loro la rotta.

“Ed i tuoi hanno intenzione di comprartelo un gufo almeno quest’anno?” aveva domandato ad un ragazzino gracile e pallido al suo fianco, che cercava di tenere il passo, nonostante le orde di gufi.

“ Sto pensando di racimolare qualche soldo. Te l’ho detto, avevo visto un bellissimo gufo reale al serraglio stregato. Se solo potesse essere mio!”.

I due avevano continuato ad avanzare, ma via via gli scomparti sembravano essersi fatti ancora più pingui, se possibile.

Daniel Finger, suo amico fin dal primo ad Hogwarts, non aveva certo contribuito, continuando sbuffare e a profetizzare: “Non troveremo nessun posto. Restiamo nel corridoio e basta”.

Seduto sulla poltrona accanto al finestrino, unico ragazzo, c’era un quattordicenne bruno e dinoccolato, con il braccio appoggiato alla finestra e un gatto spelacchiato in grembo.

Aveva sottili capelli castani, lunghi appena sopra il collo, occhi scuri e lineamenti abbastanza evidenti. Non sorrise quando li vide, anzi, li scrutò con sospetto.

 Alla comparsa di due coetanei stanchi, sperduti e allampanati, si limitò ad allungare la mano.

“Thomas Riddle” sollevò un sopracciglio, guardingo.

Wallace e il compagno si scambiarono degli sguardi d’intesa, perplessi entrambi, ma non appena Wallace ebbe rimesso a posto i suoi occhiali con un colpo di bacchetta, i due ragazzi si presentarono.

“ Chiamami Wally. Sono al quarto anno di grifondoro. Te, mi sembra di averti già visto dalle parti dei sotterranei. Mica sei dei serpeverde?” domandò.

“Sì, sono dei serpeverde ”.

Wally prese Daniel per il braccio “Non è molto loquace, eh?”. L’altro ignorò l’amico e tese la mano anche lui.

 “Daniel, ma se ti và puoi chiamarmi Dan – Dan. Sono un tassorosso” disse con un gran sorriso e l’aria sognante che lo contraddistingueva. Senza dubbio il carattere più bello di quel ragazzo erano gli occhi, grandi e chiari, e quando sorrideva sembrava  esprimessero una placidità tale da dimostrarsi sconosciuta a qualunque altro individuo,  in modo che il corpo fragile e il viso scavato sembravano quasi invisibili di fronte a tanta bellezza.

“Lo chiamiamo Dan Dan perché è un po’ suonato, capito?” sibilò Wally, mentre Daniel non ascoltava distratto, e picchiandosi la testa con l’indice e sporgendo gli occhi all’infuori.

Non appena tutti si furono messi comodi ai loro posti, la cabina del treno si riempì di un silenzio assordante. Wally guardava Dan, e Dan guardava Tom, e la situazione stava lentamente volgendo ad un epilogo imbarazzante, senz’ombra di dubbio. Tom si alzò in piedi ed aprì il suo baule. Afferrò un paio di occhiali dalla montatura semplice e dalle lenti quadrate, quindi li inforcò. Poi richiuse il baule.

“Allora da dove venite?” domandò con scarso entusiasmo.

“Io sono del Galles, Wally del Middlesex” rispose Dan, notando che Tom metteva particolarmente attenzione nell’ascoltare, sebbene ad un occhio poco perito potesse sembrare assolutamente disinteressato.

Seguì un religioso silenzio di qualche minuto, fino a che Dan Dan non raccolse un vecchio strumento dal suo baule, marchingegno che aveva tenuto fino ad allora rinchiuso in una scatola di latta. Era una trottola colorata che girava e fischiava a più non posso. La tenne in mano per un secondo, quindi la passò a Wally, chiedendogli di cosa si trattasse.

“L’ho trovata per strada, a Diagon Alley. E siccome nessuno la reclamava..”

“L’hai intascata tu” concluse Wally con l’aria di chi la sa più lunga. Inforcò meglio gli occhiali ed esaminò l’oggetto con cura.

“Wally è uno che d’oggetti magici se ne intende. È un vero genio” disse Dan Dan con orgoglio, l’orgoglio cieco che in genere si prova verso chi si vuole bene.

“Non sono un genio, è solo che mio nonno è il proprietario di Mondomago a Hogsmeade. È lui che mi ha insegnato tutti i trucchi che conosco. Ma per lo più mi limito a cose semplici” precisò l’amico.

Tom annuì. “Si, ho sentito parlare di Mondomago. Dicono che sia ben fornito”

“non sei mai stato da Mondomago?!” disse Wally scandalizzato mentre girava la trottola su di un fianco e cacciava la bacchetta dalla tasca posteriore del jeans. “Pazzesco! Cosa fai quando sei ad Hogsmeade? Vai da madama Piediburro?” disse in un falsetto femminile non molto riuscito.

“A dire il vero non sono mai stato a Hogsmeade” fece Tom freddamente.

Sia Wally che l’amico sollevarono la testa bruscamente, in un movimento solo.

“Cosa!? Mi sa che qui non c’è un solo Dan Dan…. Ma dico, sei matto?” puntò la bacchetta sulla trottola che smise di fischiare. “ Hogsmeade è in pratica l’unica cosa per cui a scuola riesco a sopravvivere. Non è vero Dan Dan?”

Daniel annuì, apparentemente sconcertato. Tom sollevò le spalle.

“Ma io non posso farci niente se nessuno vuole firmare l’autorizzazione. L’anno scorso ho provato anche a falsificarla, ma Dippet non è stupido. Non ha voluto accordarmi il permesso per nessun motivo”

“Bhè, in questo caso sono i tuoi genitori ad essere suonati completi!” disse Wally.

“Non ho mai conosciuto i miei genitori” lo interruppe Tom in un sussurro “Vivo in orfanotrofio da quando sono nato, o almeno credo”

Il viso di Wally assunse una sgradevole tonalità prugna “Oh, bè, scusa”

Proprio in  quel mentre la gatta acciambellata sulle cosce di Tom balzò a terra e si stiracchiò. Aveva il pelo rado ma regolare, e grossi occhi neri.

“Come si chiama il tuo gatto?” chiese Dan Dan, il quale aveva una vera passione per gli animali, che allevava a schiere nella sua villa in campagna a est di Bradbury.

“York, si chiama così.”.

 Dan Dan aveva già preso a snocciolare tutte le dinastie di Porlock che la sua famiglia allevava da secoli, quando la porta scorrevole dello scomparto si spalancò.

Vista la violenza con cui si era aperta, pensarono subito a qualche teppistello. Di tutta risposta davanti a loro non si parò altri che una ragazzina, anche piuttosto bassa, che richiuse immediatamente la porta dietro di sé.

“Scusate” mormorò imbarazzatissima. Evidentemente non doveva essere nuova alle figuracce.

 Con sé trascinava il fardello di un baule enorme che sembrava frusciasse ad ogni minimo movimento, come se vi avesse rinchiuso qualcosa di simile ad un mucchio di colombe.

Spinse il baule sotto il sedile più vicino e si sedette sul sedile vuoto più vicino alla finestra.

Allora, come di solito succede secondo le normali regole di cortesia, una persona dovrebbe ragionevolmente chiedere di poter occupare il posto, o quantomeno presentarsi agli altri, invece lei sprofondò nella sua poltrona, appoggiò il gomito sul bracciolo e si perse nella contemplazione del paesaggio.

La ragazzina dal lucente caschetto nero indossava una salopette di jeans, e sotto una maglia a righe bianca e rossa. Il rosso delle sue guance ricordava vagamente quello stesso colore vermiglio delle mele mature.

“Scusa” azzardò Wally. “Non per sembrare maleducato, ma.. come ti chiami?”

La ragazzina si voltò presa alla sprovvista, e arrossì furiosamente per la seconda volta.

“Ah, giusto, scusa. Mary Sue di corvonero” disse. Poi, come folgorata, puntò gli occhi sulla gatta di Tom, prese York in braccio e le diede una carezza.

“Di chi è questa bellissima gattina?”

Tom alzò la mano. A dire la verità nessuno prima d’allora aveva mai definito York bellissima. Spelacchiata al massimo, magra, ma bellissima mai.

 

In genere pochi amano la domenica. Si tratta di un giorno pigro e sonnacchioso, di quei giorni che stancano al solo pensiero. Le saracinesche giù in strada sono disperatamente serrate, la città è in esodo, e l’unica cosa che sembra respirare è la torpedine che ci ammanta. 

Perfino noi stessi, contagiati dalla domenica, restiamo intrappolati in stasi perenne, e desideriamo con tutto il corpo e l’anima di ritornare alla vita.

Quel giorno, macchiato di pioggia, era proprio la classica domenica.

Tom, un volume di incantesimi tra le mani, era immerso nella lettura. Aveva la schiena premuta contro una colonna, lì nel cortile di servizio. Raramente ci passava qualcuno, era silenzioso. Per questo piaceva. Quando pioveva, poi, tutto assumeva una caratteristica spettrale. Le gocce di pioggia che echeggiavano, l’erba bagnata, il boato del pozzo.

Tom chiuse il libro di scatto. I suoi occhi erano stanchi. Si distese su un fianco, sulla pietra del parapetto, e continuò a guardare l’acqua scrosciare fino a quando i suoi sensi  non lo abbandonarono.

 

La prima lezione di pozioni dell’anno si tenne, per i serpeverde, nella solita squallida segreta sotterranea, con l’unica differenza che stavolta sarebbero stati in compagnia dei grifondoro, e non dei corvonero, come era consuetudine da un anno a quella parte.

Il professor Grinwich annunciò che avrebbe insegnato loro la pozione fumigante. Quindi mosse la bacchetta in direzione della lavagna  e subitaneamente vi apparve la procedura della ricetta.

Il posto per la cattedra di pozioni era appartenuto fino a quel momento al professor O’Dustin, un Irlandese grasso e cocciuto che era antipatico alla maggioranza della popolazione scolastica.

Il suo successore era l’esatto opposto: poco attaccato ai suoi alunni da sembrare talvolta indifferente, insegnava la sua materia con fermezza e disciplina, ma soprattutto a guidarlo era la mano della rettezza equa.

Era alto e filiforme e talmente pallido in viso da sembrare affetto da una grave malattia del sangue. I suoi capelli erano molto radi, e portava dei baffetti neri e folti che lo facevano apparire ancora più buffo.

“Se vi occorre aiuto, sono qui per questo, ragazzi” disse con il suo tono limpido, prima di congedarsi.

Tom, seduto in prima fila, scorse Wally e Dan Dan poco lontano. Tom pensò a come fossero entrambi terribilmente invadenti, e desiderò non averli mai incontrati. Tuttavia non poteva fare a meno di sorridere, pensando a come fossero buffi.

Wally lo salutò alla maniera dei soldati, scherzoso. Tom ricambiò, mentre rovistava nella borsa in cerca di bile d’armadillo. Senza accorgersi, invece, urtò con il gomito la sua riserva di polvere di pipistrello, che rovinò per terra e si sparse ovunque.

“Riddle! Hai idea di quante poche scorte avevo di quella roba? Mi toccherà ordinarne ancora via gufo, e non è facile farmele pervenire dall’Australia in poco tempo” sbraitò l’insegnante bruscamente. “cinque punti in meno a serpeverde” “e vedi di non rovesciarne ancora” aggiunse dopo avergli posto la razione che occorreva. 

Qualche minuto dopo Grinwich venne richiamato dal preside.

“niente chiasso, ragazzi. Chiaro? Non voglio sentire una mosca volare”. La scolaresca annuì con mansuetudine. E infatti non appena il professore si fu chiuso la porta dietro, la classe si riempì del vociare della gran parte dei giovani.

Tom n’approfittò per avvicinarsi ai due compagni.

“ehi, mangiatore di serpenti, smamma!” ridacchiò Dan Dan

“come mai qui? Non ce la fai a fare la pozione da solo?” disse Wally mentre gli mollò una sonora pacca sulla spalla che lo fece tossire per due minuti buoni. “ehi, sei più delicato del nostro eroe picchiatello!”

“picchiato ci sarai sempre tu!” borbottò Dan Dan.

“ a proposito di te, Dan Dan…” Wally estrasse la trottola fischiante della sera prima dalla tasca anteriore della borsa.  “sono sicuro che sia uno spioscopio. Ho trovato un’immagine molto simile su enciclopedia tascabile della strumentazione magica

Serve a captare la presenza d’inganni. Nel tuo caso si tratta di un modello piuttosto anzianotto, un KG24, roba che agisce entro il raggio di due metri. Non ti servirà a molto, se non per l’antiquariato.”.

“ah, dimenticavo”

Sempre dalla stessa tasca Wally cacciò via un pacchetto voluminoso e chiaramente solido. Tom lo prese in mano, e quando lo scartò vide tre specchietti non più grandi di un palmo di mano, senza cornice e, a quanto sembrava, abbastanza comuni.

“che cosa..”

Ma prima che Tom terminasse la frase, Wally disse: “ Tom”, e sullo specchio di Tom apparve la faccia di Wally, esattamente come la vedeva in quell’istante. Wally strabuzzò gli occhi. Anche l’immagine li strabuzzò. Wally parlò, e l’immagine fece lo stesso. Accadde anche per Tom nello specchio di Wally.

“forte!” dissero Dan Dan e Tom a una voce sola.

“questo, amici miei, si chiama specchio trasporta immagine, un cimelio piuttosto utile. Mio zio me li ha approntati con una bella magia. Così potremo comunicare tra noi senza doverci muovere. Abbastanza utile tra amici che fanno parte di case diverse, non credete?”

Tom rise, intascò il suo specchio e tornò al banco.

Alla fine della lezione, come sempre era successo, Tom risultò essere l’alunno più riuscito del professor Grinwich.

Alle sette, mentre l’orario della cena si avvicinava lesto, Daniel Finger, ginocchioni sul materasso, aveva appena finito di leggere la lettera della settimana dei suoi genitori.

Daniel si distese lungo il letto a pancia in su, con le mani incrociate sul petto. Nonostante fosse una posizione cadaverica, la trovava piuttosto confortante, almeno nei momenti in cui veniva colto dalla paura o dalla nostalgia.

Ricordava molto bene Daniel il giorno in cui aveva dovuto trasferirsi a Hogwarts, e non era certo stato un giorno dei più felici. Ad undici anni non è facile in ogni senso lasciare casa propria,  per quanto sgradevole possa dimostrarsi il posto in cui vivi.

Non appena si era steso per la prima volta sul baldacchino della sua stanza a Hogwarts, aveva provato una sensazione di gelo e si era trovato in una morsa di panico terribile.

Non aveva voglia di dormire in quel posto, per quanto il letto fosse soffice, e per quanto la temperatura fosse accogliente. Non aveva voglia di dormire con tutta quella gente sconosciuta, e semplicemente desiderava il suo usuale materasso a molla, scalcagnato e cigolante ma così confortevole!

Su, Dan, non fare il bambino si era detto allora coraggio, piccolo, stai tranquillo e prova a dormire.

Così, in quella posizione tanto stramba quanto comoda, venne colto da un sonno dolcissimo.

Per questo motivo, ogni volta che assumeva “la posizione del cadavere”, gli ritornava alla mente il modo in cui quella volta aveva trovato la pace, e quindi anche stavolta sapeva che l’avrebbe raggiunta.

È buffo a volte come i bambini e gli uomini trovino conforto nelle abitudini, non credete?

 

Comunque, proprio in quel momento, una voce estranea lo colse alla sprovvista. Steso com’era, balzò subito in piedi. Nella stanza, oltre a lui, non c’era alcun segno di vita. Però, per la seconda volta gli arrivò ancora il richiamo.

“Tom! Picchiatello! Che fine hai fatto?”

Allora capì. Prese da terra la borsa di scuola e ne rovesciò l’intero contenuto. Tra carte di caramelle Tuttigusti +1, penne spezzate e ritagli di pergamena, c’era lo specchio di Wally, caduto al rovescio.

“ehi, girami!” disse lo specchietto.

Thomas lo voltò, e subito il viso lentigginoso di Wally gli esplose davanti.

“era ora! Sapevo che ti saresti dimenticato del mio aggeggio, lo sapevo con certezza matematica.”

“dove sei?”

Wally  evidentemente spostò lo specchio altrove, perché ora inquadrava la biblioteca, e più precisamente la ragazzina del treno, quella dal caschetto nero, impegnata nella ricopiatura di qualcosa.

“fai cheese, Mary!”

Mary Sue sollevò lo sguardo, e non appena ebbe visto lo specchio sembrò sinceramente sbalordita.

“uau! Fantastico! Come hai fatto? Dev’essere uno specchio trasporta immagine. So che è una magia molto illegale, però…”

“shh! Sta zitta!” bisbigliò Wally concitatamente mentre Madama Pince si voltava verso di loro e puntava loro uno dei suoi sguardi al veleno.

La donna, dall’aspetto costantemente sulla difensiva, dall’aspetto sembrava sfiorare il quarantesimo anno d’età. Stando alle limitate conoscenze di Wally sul tema, doveva essere lì ad Hogwarts da almeno una quindicina d’anni. Si diceva che Wilma Pince avesse interrotto gli studi a diciassette anni per scappare di casa assieme al fidanzato del tempo, ma per quanto ne potevano sapere gli studenti, potevano essere delle semplici insinuanti voci di corridoio. Parlavano anche molto di questo tale che pare l’avesse abbandonata di punto in bianco lasciandola alla sola possibilità di ritornare nella scuola che in passato lei stessa aveva volontariamente allontanato.

Questa storia, secondo l’opinione comune, era l’unica e sola giustificazione alla sua aria perennemente arrabbiata. Quel giorno doveva aver sentito di sfuggita le parole ‘Magia’ e ‘Illegale’, entrambe delle quali le si rivelavano sospette, nella sua biblioteca.

A pronunciarle era stata una ragazzetta bruna seduta al fianco di Wallace Hard, un pel di carota di un metro e ottanta che si ritrovava sempre tra i piedi, per un motivo o per un altro. Non solo non gli trasmetteva una buona impressione, ma una volta aveva anche provato a sgattaiolare nella sezione segreta sotto il suo stesso naso. Si ripromise di scoprire che cosa mai avesse in mente e gli lanciò un’occhiata malevola. Le piaceva molto quell’attività investigativa da volpino di salotto. A Wally invece non piaceva per niente.

Si rivolse subito a Mary, visibilmente infuriato

“ma sei proprio una furbona!”

Dopo che la Pince fu ritornata ai suoi doveri di bibliotecaria, Tom ritornò a rivolgere la sua attenzione ai due.

“Cosa ci fate insieme in biblioteca?”

“ per mia sciagura l’ho incontrata per strada mentre venivo qui. Così non mi fa nemmeno studiare come si deve”

Mary scattò, ironicamente indignata. “non è vero che non riesci a studiare per colpa mia. A quanto ne so i tuoi voti non sono poi così brillanti, di solito”.

“ah si? Vediamo allora il tuo compito su giove, quant’è brillante!”Wally afferrò la pergamena, Mary cercò in vano di riprendersela, ma prima che ci riuscisse, lui aveva già iniziato la sua lettura.

“se solo fossi in grado di capire come mai adesso non sei più qui..” ma un fendente di Mary gli impedì di leggere alcunché.

 la pergamena si strappò irreparabilmente e scivolò dal davanzale fin oltre la finestra.

“ahi! Che roba è, poesie?” disse Wally ridendo, nonostante avesse un graffio fresco sul dorso della mano.

Mary si affacciò dalla finestra allungando le braccia, ma il foglio era caduto ormai chissà dove. Si voltò rossa in viso, carica di rabbia folle.

“era la cosa migliore che avessi mai scritto!” gridò, e spinse Wally con uno strattone.

“non toccare mai più le mie cose! Capito? Non toccare mai più!”. Gli altri ragazzi in biblioteca si voltarono per assistere alla scena.

Wally era sconvolto da quel cambiamento repentino in Mary, che fino a quel momento si era comportata in modo quieto e pacato. Quello scatto, e il fatto che fosse accaduto in modo più che imprevisto, lo irritò incredibilmente.

“Bella? Quella cosa? Era orribile, se proprio ti interessa saperlo”

Per un attimo Tom aveva creduto che sarebbe saltata addosso all’amico; invece uscì dalla biblioteca portandosi dietro la borsa, con le mani sul viso e senza dire una parola.

Wally si ricompose e afferrò lo specchietto.

“non credo sia sana di mente, sai”.

 

Nella settimana seguente Daniel e Wally, che entrambi avevano avuto dei pessimi voti sia in pozioni che in trasfigurazioni, iniziarono a prendere ripetizioni da Tom.

Il suddetto, al contrario, ormai stabile nella sua posizione di alunno modello, svolgeva i suoi compiti con tanta facilità e costanza, che gli restava sempre una riserva i tempo per dare ripetizioni e contemporaneamente per occuparsi dei propri passatempi.

Ma se Wally faceva progressi, Dan- Dan proprio non riusciva ad infilarsi in testa le nozioni base di trasfigurazioni.

“ trasfigurazioni è molto simile ad aritmanzia, come requisiti di base: stabilità, costanza e razionalità. In fondo possono arrivarci tutti con un po’ di impegno. Sei tu che non ce la metti tutta.” Ripeté Tom per l’ennesima volta, durante una lezione di Silente. Dan- Dan guardava il suo papero, che avrebbe dovuto trasformarsi in una cialda, con aria estremamente depressa.

Mary Sue, qualche banco più in là, accarezzava il suo papero senza la minima intenzione di volerlo trasfigurare. Se ne stava china, come se niente fosse, con la frangetta che svolazzava ad ogni soffio di vento, e la bacchetta adagiata accanto al suo braccio. Aveva la testa appoggiata al pugno, lo sguardo perso nel vuoto. A volte restava per ore nella stessa posizione. Non di rado sembrava che qualcosa, in quel vuoto, l’avesse risvegliata. Afferrava qualunque cosa su cui si potesse scrivere, e buttava giù parole, come se le sarebbero potute sfuggire lasciando scorrere i secondi.

Quella volta invece non scrisse niente. Solo fissava il suo papero.

Un gruppo di ragazzine ridacchianti adocchiavano sottecchi la sua strana collana di cimeli, diversi fili lungo cui erano sparsi oggettini dall’uso più vario: una chiave d’ottone grossa e pesante, una piuma di cardellino, un cetriolo secco, un avvincino morto, cosa che disgustava buona parte della popolazione studentesca. Il che non era poi una gran perdita, considerato che Mary passava volentieri il suo tempo da sola.

Il professor Silente le si avvicinò silenziosamente con un fruscio della veste.

“è successo qualcosa, Mary?” chiese.

Mary scosse la testa. Di solito non si limitava nemmeno a quello quando si trattava di un insegnante, ma per Silente nutriva un profondo rispetto.

“credo di essermi dimenticato che tu non ritieni giusto trasfigurare gli animali, giusto?”

Mary assentì.

Silente prese il papero e lo ripose delicatamente nella scatola di cartone da cui era uscito. Poi, con un movimento della bacchetta, fece comparire al suo posto una statuina di cera.

“professore?” disse la ragazzina in ultimo.

“si, cara”

“potrei tenere il papero?”

“sarà tuo a fine lezione, ma adesso pensa alla magia”

Mary esibì un grosso sorriso. “grazie” disse semplicemente.

L’ora dopo sarebbe toccata ad incantesimi, e tutti i ragazzi sapevano bene che con la professoressa

Charles proprio non si scherzava. La maggior parte di loro taceva e obbediva, chi non era d’accordo con i suoi metodi autoritari, invece, taceva e basta.

Era molto avanti con gli anni, indossava sempre lo stesso logoro abito di fustagno e portava costantemente i capelli raccolti nell’inappuntabile nodo alla testa.

Sorrideva raramente, e quando non lo faceva non era certo un buon segno. Adorava scaricare sui suoi alunni la sua rabbia covata, e in particolare su Brenda Doots, una ragazzina debole e alquanto malaticcia.

Quel giorno Brenda aveva la pelle particolarmente bianca, e la Charles era particolarmente arrabbiata. Nessuno si era azzardato a fiatare per primo, e i più furbi si erano impossessati dei banchi all’ultima fila.

La professoressa aprì il registro con un colpo secco, e mentre la classe aspettava con il fiato sospeso, spuntava dei nomi dalla lista degli interrogati del giorno. “Corrigan, Wilson, Veronica e…”  si soffermò un attimo verso l’inizio dell’elenco, e, come era prevedibile, “Doots, sperando in un’interrogazione lontanamente decente, considerate le precedenti gravi insufficienze. Quando metterai quella testa sui libri, Brenda? Quando la smetterai di pensare solo ai ragazzini?”

A dir la verità Brenda non aveva un fidanzato, e come tutti sapevano, passava l’intera giornata a studiare, cercando disperatamente di recuperare incantesimi.

Era una ragazzina molto dolce, ma non aveva spina dorsale, e quell’insegnante proprio non riusciva a reggerla. Si mise in piedi con un sussulto e raggiunse la cattedra.

Mary Sue ci mise tutta la comodità possibile per alzarsi. All’ultimo momento lasciò evidentemente cadere la matita, e nel raccoglierla rovesciò per terra il quaderno. Prima che avesse raccolto tutti i fogli sparsi, furono passati cinque minuti buoni.

Si risollevò e mise matita e quaderno sul banco. Quindi si avvicinò alla cattedra.

“era ora, Wilson. Con quella lentezza non mi meraviglierei se ti chiamassero lumaca!”

Buona parte della classe esibì una sonora risata. Mary si sentì montare da una grande tristezza per quei poverini. Guardando le loro maschere che ghignavano provò anche una gran pena.

Wally, Dan- Dan e Tom assistevano dalla seconda fila, all’erta.

In ogni caso restò in silenzio.

“bene, Doots. Mi reciti pure l’incantesimo di rilancio. Dovrebbe ricordarselo, ho saputo che sta cercando di recuperare in incantesimi, o mi sbaglio?”

Brenda non lo sapeva, perché era un incantesimo del primo anno, appena citato, e nessuno in quella classe avrebbe saputo dire di cosa si trattasse. Ma alla Charles non importavano poi tanto le competenze degli studenti, perché in fondo era lei che decideva quando era il caso di favoreggiare qualcuno o mettere nei guai. Nel caso di Brenda, lei non era mai stata favoreggiata.

In ogni caso Mary restò in silenzio.

“ma come studiamo bene! Spero almeno che mi sappia dire l’incantesimo di rottura avanzata”

Brenda sussultò. Un paio di lacrime affiorarono dagli occhi e le scivolarono giù per le guance.

“ma che fate, piangete? Non è il caso di piangere per una stupidaggine del genere. Non mi sembra di averle fatto alcun torto” borbottò, nemmeno lontanamente dispiaciuta. “non è certo mia la colpa se voi non vi impegnate e passate il vostro tempo a scorrazzare felicemente. Mi rincresce, ma non posso darle un voto più alto di due. Vada pure a posto” disse con fare irritato. Brenda tornò al banco e appoggiò il viso sul braccio piangendo piano. Nessuno la degnò di una parola di conforto.

In ogni caso, Mary restò in silenzio.

“invece lei, Wilson, cosa ne dice della signorina Doots? Merita un voto più alto?”.

Dapprima Mary sembrò ignorare la domanda dell’insegnante, ma piano e poi sempre più forte prese a ridere.

L’intera classe ora la fissava a bocca aperta, la Charles più interdetta che mai.

“ah, ride? Ma co..” fu interrotta da uno scoppio di risa ancora più grosso. Quindi si voltò verso Mary, ma le parole le morirono in bocca quando si rese conto che questa volta non era stata lei a ridere. Tom Riddle ora la stava osservando dal suo solito primo banco, con la mano alzata e le labbra scosse da fremiti di risa.

Dan- Dan si voltò anch’egli verso Tom e, guardandolo, proprio non riuscì a trattenersi. Anche lui scoppiò a ridere. Wally invece, senza dire una parola si alzò e si avvicinò agli amici. Anche lui rideva.

“Finger, Hard e Riddle! Mi meraviglio di voi, degli studenti così ottimi contagiati da una lavativa come questa Wilson! Mi rincresce ma sono costretta a mettervi in punizione… credo che una settimana vi farà più che bene. E da soli, naturalmente, ognuno per conto proprio.”

Ma i ragazzi proprio non ce la facevano a smettere di ridere. Dunque cos’avrebbero potuto fare? Non piangere, piangere mai. E troppo a lungo avevano ignorato ed ignorato e maledettamente ignorato. E ancor più a lungo avevano taciuto, e i pomeriggi passati a soffocare il viso in un cuscino, e quando avresti voluto gridare che tu vali di più di quanto loro possano giudicarti, e quando avresti voluto urlare il modo in cui non capiscono, e il modo in cui non capiscono il modo in cui puoi librarti con una sola parola, e il modo in cui costruisci un mondo e il modo in cui lo porti in poesia e il modo in cui puoi uscire dal mondo reale e il modo in cui il bambino della soffitta guarda le stelle.

Stringimi, bambino. Stringimi, bambino perché le mie braccia  proprio non ce la fanno.

 

Nonostante settembre fosse già agli sgoccioli, Tom non  aveva perso l’abitudine di passeggiare per il parco, con York alle calcagna. Subito dopo pranzo aveva raccolto i libri che gli occorrevano ed era andato a studiare fuori. A pancia in giù sotto i rami del faggio non gli riusciva tanto faticoso studiare la distanza della bacchetta dall’obiettivo in un incantesimo di rialzo istantaneo. Finalmente quando il sole iniziò a tramontare chiuse definitivamente il testo di antiche rune e rovistò nella borsa alla ricerca delle sue personali cimici magiche che aveva comprato dopo tre mesi di lavoro sudato al Set Inn di Londra. Se le infilò nelle orecchie e subito la musica di Bob Tratcher gli riempì la testa. Lentamente lasciò che le palpebre gli scivolassero sugli occhi.

Come sarebbe stato fantastico incontrare Bob Tratcher! Sarebbe stato così uguale a lui! Che stupido sogno da ragazzino…

E come si può impedire di sognare a chi ancora ne è capace.

Guarda, vedi la secchezza di quell’uomo che vive appoggiato per terra!

Vedi come si allunga e cerca di succhiare le immagini scintillanti

E con le mani vorrebbe strappare i sogni a chi ne ha

Quell’uomo afferma che la realtà è l’unica verità,

ma come sa bene che il sogno è assai più vero!

E vorrebbe anche lui, ma non ne è capace.

 

Mostragli la tua luce: l’accecherà.

Vola via, bambino, con ali piumate.

 

  
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