_____Finalmente ci siamo incontrati
by Melitot Proud Eye
Era la Siberia
settentrionale quella che si stendeva, apparentemente infinita, innanzi a lui.
Senza sprecare un attimo di più e lasciando la corda che gli permetteva di
scivolare a terra, Yuriy Ivanov affrontò un salto di tre metri e atterrò nella
neve ghiacciata. Poi s’affrettò a liberare la zona. Pochi secondi dopo un altro
tonfo risuonava nell’aria, segno che anche il suo compagno era sceso.
Allora alzò la testa e guardò il
portellone aperto dell’elicottero.
‹‹ Voi non scendete? ›› fece
segno.
‹‹ Proseguiamo ›› rispose, con lo
stesso linguaggio, un ragazzino alto e biondo, di due anni più vecchio e due
volte più grande di lui. Alle sue spalle, due figure discutevano animatamente
su chi avesse ora la precedenza d’atterraggio; sembravano sul punto di venire
alle mani.
‹‹ Buona fortuna ›› fu lì per
dire. Ma alla fine sentì che sarebbe stato ridicolo e alzò semplicemente il
braccio, indicando che aveva capito e che loro erano a posto.
Colto il suo gesto, il pilota
dell’elicottero tolse il velivolo dallo stallo e questo si rialzò, inclinandosi
sulla parte anteriore sino a raggiungere la quota desiderata.
Yuriy lo guardò allontanarsi con
la stessa espressione che aveva avuto per tutto il viaggio. Se qualcuno gli
avesse chiesto cosa provava, avrebbe risposto con tutta probabilità
l’eccitazione della caccia, l’entusiasmo del nuovo oppure (magari in un momento
di particolare sconforto) persino apprensione… Ma in realtà sapeva che era solo
e semplicemente noia, il peso greve e affannoso che gli premeva sempre di più
sul petto, a mano a mano che la sua infanzia veniva derubata di ciò che la
rendeva tale e lui entrava, stringendo i denti, nell’età adulta.
‹‹ Yuriy? ›› disse il suo compagno
di viaggio.
Il ragazzino si volse e annuì, e
insieme s’addentrarono nella steppa.
Li aspettava una prova durissima.
Ma chi erano questi due bambini la
cui testa quasi scompariva nel colbacco, che s’erano calati senza paura da un
elicottero e che, neanche decenni, intraprendevano un viaggio tanto rischioso
quanto disperato attraverso la più crudele delle regioni russe? Chi poteva
averli mandati? Chi poteva esser diabolico al punto da sottoporli a un simile
trattamento? Un giorno, noi possiamo dirlo, sarebbero stati famosi e capaci di
conquistarsi l’agognata libertà, ma per adesso erano solo due orfani cresciuti
in un monastero del centro di Mosca - un posto i cui mattoni non eran stati
messi uno sopra l’altro per i deboli.
Proprio in quei giorni,
nell’antica abbazia era successo qualcosa che aveva fatto sputar bile al
direttore, Vladimir Vorkof. Pare che, cercando di migliorare i risultati di un
esperimento segreto, alcuni scienziati impegnati dietro le quinte avessero
fatto esplodere il laboratorio principale, mandando all’aria anni e anni di
lavoro nonché perdendo la vita dei migliori bit-beasts in possesso
dell’organizzazione. Come fosse possibile uccidere degli spiriti Yuriy proprio
non riusciva a concepirlo, ma sapeva che nei laboratori succedeva di tutto e
Vorkof era stato sul punto di ammazzare gli scienziati con le proprie mani. Per
loro fortuna, erano indispensabili al progetto - qualunque esso fosse –
ed erano stati risparmiati.
E qui è dove ci andiamo di mezzo
noi…
Il direttore, infatti, era stato
colto a quel punto da una delle sue trovate geniali. Il mondo era costellato di
spiriti animali, giusto? Giusto, avevano risposto loro in coro. E si poteva
affermare che un blader non era un vero blader senza uno spirito animale? Sì,
lo si poteva affermare. Dove voleva arrivare? Il pazzo aveva gettato indietro
il mantello e spalancato le braccia in uno dei suoi soliti gesti plateali. I
più grandi beybladers del passato avevano conquistato i propri bit-beasts da
soli! Avevano sentito la presenza di quelle creature ed erano riusciti a diventarne
i padroni, senza che alcuna fosse facilmente concessa, senza che fossero loro
offerti già pronte in un comodo bit-chip. E dunque, aveva sogghignato, ai
ragazzi più abili del monastero sarebbero stati concessi due giorni, due giorni
di completa e assoluta libertà, senza limiti di spazio nel mondo per trovare il
loro spirito animale. Se al termine di quei due giorni vi fossero riusciti,
allora il loro nome sarebbe stato scritto nella lista dei componenti della
squadra che un giorno avrebbe portato la Borg al successo. Se non vi fossero
riusciti… nessuno poteva dire che non era stato generoso. E aveva sogghignato.
Stronzo bastardo. In realtà non aveva la più pallida idea di come rimpiazzare i
bit-beasts perduti.
E Yuriy certo non si faceva
illusioni sui suoi scopi. Come sperava non se le facessero gli altri ragazzi.
Vorkof aveva sicuramente i suoi
interessi a trattarli bene, ma il lato sadico della sua personalità era
marcato, molto marcato. Oh, non li malmenava, certo, non faceva loro soffrire
la fame né era mai stato visto dare un ordine esplicito perché uno di loro
scomparisse; ma qualche buon ceffone, una razione più dosata del solito e
l’esistenza delle celle dei sotterranei, per non parlare di certi esercizi
“fortificanti” come la sbarra sul nido dei serpenti o il salto della cinta
elettrica, creavano in ogni abitante del monastero una fortissima tensione, che
generalmente sfociava in due mari: nevrosi cronica o crollo. Il giovane Yuriy
non sapeva dire a quale fosse più vicino.
E aveva solo nove anni.
In quel momento avvertì un rumore
e scrutò i dintorni. Anche Boris l’aveva sentito, perché si mise in posizione
difensiva. Il rado boschetto in cui s’erano addentrati era sommerso dalla neve,
e non si vedeva nulla… ma certo un cespuglio non poteva nascondere un orso.
‹‹ Andiamo. ››
Il compagno di viaggio continuò a
puntare qualcosa.
Doveva essere solo la neve, pensò Yuriy con impazienza.
E in quell’istante l’altro si
voltò, seguendolo. Ecco uno degli aspetti positivi della vita al monastero.
Boris Kuznetsov.
Erano pressoché coetanei,
alloggiavano nella stessa stanza e spesso si ritrovavano insieme agli
allenamenti (giocavano sì e no allo stesso livello). Non aveva problemi a farsi
capire, con Boris. Un’occhiata, una parola e tutto era chiaro. E poi erano bravissimi
nelle scazzottate a quattro, per cui con loro ogni contesa era persa dal
principio… Quell’anno avevano riempito di botte anche due ragazzi di tredici
anni, svicolando qualsiasi punizione, e da quel momento un nuovo rispetto aveva
brillato negli occhi di chi li incrociava – misto sempre a paura, perché in un
ambiente come quello si annusa sempre l’avvento di due capi. Solo una persona
li guardava con un certo, compiaciuto divertimento. Era il ragazzino biondo a
bordo con loro dell’elicottero. Sergej, credeva si chiamasse.
Un altro da tenere d’occhio.
Tornando a Boris, insomma,
quand’erano vicini si sentivano a proprio agio.
Yuriy aveva anche contemplato, per
qualche tempo, la possibilità che fossero fratelli. Ma alla fine, per quanto
l’idea gli piacesse, la sua mente aveva scartato l’idea: se esistevano al mondo
due ragazzi diversi come il sole e la luna, “quelli erano Ivanov e Kuznetsov”.
Ma la loro vicinanza restava
comunque incredibile. Era come se avessero stretto un tacito patto di mutuo
soccorso, un filo per la vita che sconfiggeva, a insaputa di Vorkof, qualsiasi
nuova perversione del monastero. Almeno per il momento.
Anche adesso non era diverso. Se
sospettava che gli altri otto blader partiti con loro non avessero le idee
molto chiare, era sicuro che Boris non nutrisse la minima illusione sulle
intenzioni di Vorkof. Innanzitutto, l’assoluta e decantata libertà d’azione era
una palla bella e buona; anzi, peggio, uno specchietto per le allodole. Yuriy
non dubitava che i liquidi iniettati loro sottopelle (vaccinazioni, le avevano
chiamate) contenessero qualche chip ad alta tecnologia, capace di rintracciare
e monitorare ogni loro minimo movimento. Qualcuno avrebbe cercato di fuggire… e
sarebbe stato punito adeguatamente. E poi restava il numero effettivo dei
componenti della squadra - quattro ragazzi, tre titolari e una riserva. Un
numero che restringeva molto le singole possibilità.
Quando il sole ebbe oltrepassato
lo zenit si fermarono, sedendo su alcune rocce per consumare il loro pranzo
(alcune barrette da viaggio, nutrienti e vitaminiche e piene di chissà quante
porcherie). Non erano ancora usciti dal boschetto e il terreno cominciava a
presentare una leggera pendenza, segno che vicino s’innalzavano delle alture.
‹‹ E se non stesse parlando di bit-beasts
liberi? ›› disse Boris all’improvviso.
Yuriy inarcò un sopracciglio
rosso, strappato alle proprie riflessioni.
‹‹ Vuoi dire che- ››
‹‹ Camminiamo dalle sei di
stamattina. Cos’abbiamo trovato? ››
‹‹ Dovevamo ›› tutt’a un tratto si
sentiva lo stomaco legato ‹‹ rubarli? ››
L’altro lo guardò. ‹‹ Comincio a
pensare di sì. ››
Yuriy s’appoggiò al tronco
dell’albero più vicino, cercando di raccogliere le idee e soprattutto di non
far trapelare la propria agitazione. Le sue mani erano ghiacciate.
‹‹ Eppure gli altri hanno fatto
come noi. ››
‹‹ Non tutti. ››
Già… solo cinque dei dieci bladers
prescelti avevano chiesto l’ausilio dei mezzi della Borg. Gli altri avevano
semplicemente imboccato il grosso portone del monastero.
‹‹ Eppure… ››
No, il problema non era il furto…
gliel’avevano istillato sin dalla più tenera infanzia, il furto di bit-beast
doveva essere uno degli strumenti principali per la realizzazione del progetto…
eppure-
‹‹ Eppure sentivo di dover venire
qui. ››
Al che Boris guardò altrove.
‹‹ Già. ››
Mentre Yuriy lo fissava,
desiderando potergli leggere in testa, all’orizzonte risuonarono le prime
minacciose avvisaglie d’una tempesta. Cupi e sordi brontolii sotto nuvole di
piombo.
Quella notte, fedele alle
promesse, la bufera s’alzò dalle steppe imbiancate. Era qualcosa che i due
bambini conoscevano e non conoscevano – poiché spesso tormente simili s’erano
abbattute su Mosca ma mai, neanche una volta, loro vi si erano trovati in
mezzo.
I continui soffi di ghiaccio
frustavano i boschi di pini, scuotevan le case e le palizzate e uniformavano
tutto sotto una spessa cortina di bruma. I due arrancarono verso il riparo,
sbatacchiati qua e là dal vento, tenendo stretto il collo di pelliccia dei
cappotti. La zona era disabitata (avevano passato un minuscolo villaggio ore
prima) e c’era solo boscaglia. Uno dei due accennò un gesto. Proseguirono,
scomparendo nel bosco.
La situazione stava rapidamente
peggiorando. Se non avessero trovato un riparo, e alla svelta, la loro
avventura si sarebbe presto conclusa. Per fortuna, una catapecchia emerse dal
paesaggio nevoso.
Poco dopo sedevano al suo interno,
riscaldati da un incerto fuocherello.
‹‹ Non resisterà molto. ››
Il giovane Boris Kuznetsov non
rispose. Disegnava qualcosa nel terriccio, copiandolo da chissà quale ricordo.
‹‹ Che cosa fai? Oh, questo
dannato vento! ›› imprecò Yuriy, e s’alzò per barricare con assi e fasciame
l’entrata, abbattuta dalla forza degli elementi.
Sentendo che il compagno non aveva
voglia di parlare, estrasse la cena dallo zaino e l’addentò. Ormai il
crepuscolo stava scendendo sulla Siberia e c’era poca speranza di continuare,
per quel giorno.
Ancora uno.
Ancora uno e poi…
Ma ci sarebbero riusciti.
Strinse le dita intorno alla
barretta e corrugò la fronte, deciso. Non era arrivato sin lì per fallire. Si
fidava del proprio istinto – era qualcosa di forte e rassicurante che l’aveva
guidato sin dai disastrosi inizi, rendendoli meno disastrosi – e se
quell’istinto l’aveva condotto lì, allora doveva esserci un motivo più che
valido.
Con la coda dell’occhio osservò
Boris.
‹‹ Eppure sentivo di dover venire
qui. ››
‹‹ Già. ››
Possibile che qualcosa li stesse
chiamando? Uno spirito animale libero, selvaggio, intenzionato a…
Scosse un poco la testa,
liberandola dal leggero velo di neve che vi si era posato. Ah, dannazione.
Smettila di far castelli in aria, Ivanov. Sognare non ha mai portato da nessuna
parte.
Sognare è inutile.
E con quel pensiero, la testa
china, si preparò a dormire un lungo sonno silenzioso.
Ma il momento era giunto, e
s’annunciò col rumore d’un bastoncino che si spezzava. Era il bastoncino con
cui Boris aveva disegnato nella sporcizia della capanna. Il bambino, adesso,
sembrava essersi liberato del cupo umore meditativo in cui Yuriy l’aveva visto
per tutto il pomeriggio e, senza indugiare oltre, s’alzò in piedi.
‹‹ Devo andare. ››
Difficile sarebbe descrivere la
faccia con cui l’altro lo guardò.
‹‹ Andare dove? ››
‹‹ Alla montagna. ››
‹‹ Con questo inferno?! ››
Finalmente Boris uscì dalla trance
e ricambiò lo sguardo di Yuriy, ora in piedi innanzi a lui.
‹‹ Non fermarmi. ››
‹‹ Ma cosa diavolo ti salta in te-
›› lasciò la frase in sospeso. Boris aveva tolto il fasciame dalla porta,
levandolo di mezzo come se quella roba gli impedisse di respirare, e guardava
nella bufera. ‹‹ Che cos’è? ››
‹‹ Mi sta chiamando. ››
‹‹ Chi? ››
Il bambino parve sul punto di
rispondere, ma doveva sapere che la sua espressione sarebbe stata sufficiente,
perché non aggiunse altro. Mentre l’amico faceva un passo indietro, scioccato,
uscì nella tormenta.
‹‹ Aspetta! ››
Si fermò.
‹‹ Davvero è uno spirito? ››
‹‹ Non lo so. ››
‹‹ Vuoi che venga con te? ››
Scosse la testa.
Si guardarono ancora, e qualcosa
di quel momento parve ad entrambi solenne.
‹‹ …Buona fortuna, allora. ››
Così si separarono. Yuriy restò a
guardare la sagoma di Boris che s’allontanava, sbiadendo a poco a poco,
chiedendosi se l’avrebbe rivisto. Poi tornò dentro e colpì rabbiosamente il
mucchio di ciarpame con cui avevano barricato l’uscio, i pugni stretti contro i
fianchi. La neve e il ghiaccio avevano spento il fuoco, il freddo avanzava e
tutto era sopraffatto dall’urlo del vento, ma lui non voleva darvi importanza.
Voleva soltanto sfogarsi, gridare contro il destino e il sadismo di Vorkof e la
testardaggine di Kuznetsov - perché in realtà sapeva di aver soltanto paura.
Adesso era solo. Non doveva aver paura – la paura è dei deboli – ma era solo!
Boris se n’era andato senza
compagnia quanto lui, ma non era la stessa cosa. Una voce lo guidava… o almeno
credeva che lo guidasse.
Lui invece non sentiva niente.
Non sentiva niente oltre il gelo e
il grido lugubre del vento e la paura!
Rimase a lungo al centro della
catapecchia, i pugni stretti, il respiro affannoso e gli occhi serrati. Il
riparo stava iniziando a saturarsi di neve.
Io…
Che cosa devo fare, io?
Poteva davvero restare sapendo che
Boris era là fuori, da qualche parte? Doveva andargli dietro? E poteva del
resto arrischiarsi a seguire il suo esempio, se non sentiva niente? Non voleva
andarsene senza sapere. Non voleva morire in quel modo, in quel posto, senza
conoscere tutte le cose che popolavano e, in qualche luogo molto lontano,
rendevano il mondo un luogo migliore!
Nel muoversi, fece cadere qualcosa
dalla tasca del cappotto e lo raccolse, fissandolo con occhi illeggibili.
Era il suo beyblade. L’unico
oggetto, l’unica arma che possedesse per farsi strada nella vita. Era potente,
sì, ma… anche un semplice mucchio di metallo - anzi, un’inutile prigione. Tanto
per bit-beast quanto blader. Se la sorte gliene avesse dato l’occasione,
inconsciamente sapeva che l’avrebbe barattato con un’esistenza normale. Qualunque
cosa significasse “normale”.
In quel mentre accusò un giramento
di capo.
Voglio uscire.
A poco a poco, il rumore del vento
divenne più forte.
Voglio uscire…
Il rumore del vento fra gli
alberi.
Attraversare…
I suoi arti affondavano nella
neve, rendendo difficoltoso il cammino.
…la steppa nell’immenso gelo…
Udì la voce di un ragazzino, sì,
un ragazzino che credeva di conoscere.
‹‹ Devo andare. ››
Lontano, sì, lontano. La sua anima
gemella…
La mia anima gemella-
…stava lottando contro la forza
del vento, digrignando i denti per risalire la scarpata, attenta alle profonde
e pericolose tane dei conigli.
-sta lottando per venire da me!
Sì, sì! Adesso era tutto chiaro!
Dove sei?
Era vicina.
Dove?
Vicinissima.
Dove?!
Ancora poco…
Esci dal bosco per me!
All’improvviso, proprio come se
uscisse da una trance, Yuriy riebbe piena padronanza di sé.
Si guardò intorno. Davanti a lui
c’era una radura sconosciuta, deserta e circondata di pini alti, possenti e
severi, quasi fossero stati eletti dalla volontà divina a custodi della
foresta. Guardò avanti, poi dietro di sé, infastidito dai capelli che gli
volavano negli occhi. Dove dirigersi? Perché quel… sogno s’era spezzato?
Non ne hai più bisogno.
No… non ne ho più bisogno.
Sentiva qualcosa, infatti. Oppure
era la sua immaginazione? Era stato davvero lui a sognare quel sogno? Non era
forse lui che si trovava nel bosco, che doveva uscirne? Sentiva l’ululato del
vento e il freddo della neve, quel magnifico gelo che gli carezzava la
pelliccia, pettinandola quasi con dolcezza…
Spalancò gli occhi.
Aveva visto…
Ho visto attraverso gli occhi di…
Rimase lì per quella che gli parve
un’eternità, in attesa di qualcosa.
Che non venne.
Allora ricadde preda dei dubbi. Il
freddo, si sa, può provocare allucinazioni come il caldo. Sedette ai piedi d’un
abete e appoggiò la testa alle ginocchia, esausto.
Basta… forse era semplicemente
destinato a finire così. Bello, bravo, furbo – ma non oltre favorito dalla
fortuna. Si sa, i migliori condottieri della storia (quelli da cui dovevano
prendere esempio per diventare gli uomini che Vorkof desiderava) erano stati
piantati in asso dalla loro stella sul più bello. Sperava soltanto che a Boris
andasse meglio.
No.
No, non sperava un bel niente! Lui
era il capo – lui era il futuro capobranco – lui sarebbe diventato qualcuno!
Anche a costo di camminare da solo per molto tempo. E un giorno…
Eccomi…
…avrebbe snudato le zanne e si
sarebbe rivoltato contro il vecchio capo.
Eccomi!
Una raffica di vento lo spinse
violentemente in avanti, costringendolo a tirarsi in piedi. E passando tra i
pini con un poderoso ululato.
Strinse le palpebre. Un ululato?
Gli occhi azzurri del bambino
cercarono nella bufera. E poi lo sentì ancora.
Sembrava l’ululato del vento, ma
non lo era.
Animato da qualcosa di misterioso,
s’inoltrò nella radura e proseguì giù per una scarpata, simile a una che
credeva d’aver già salito prima, sino a trovarsi sul limitare del bosco. Allora
un coro di ululati l’avvolse, sovrastando la tempesta. Si sentì attraversare da
una scarica di paura. Lupi!
Fulmineo, estrasse il proprio
beyblade e l’agganciò al lanciatore, fiatando vapore dal naso congelato.
Che venissero pure.
Tenne sotto stretto controllo
tutti i nascondigli, cambiando di tanto in tanto l’angolazione di lancio.
Perché non accadeva niente? Lo stavano accerchiando senza che lui se ne
accorgesse? No…
No.
Era giunto il momento.
Sto arrivando.
Era una sensazione-
Aspettami!
-indescrivibile.
Io ti ho atteso a lungo.
L’aveva già sentita! L’aveva
sentita da sempre, quand’era solo, quando sentiva repulsione del branco – no,
degli altri ragazzi. Quel traditore di Kei aveva ragione.
‹‹ E’ parte di te. ››
Che cos’era? Che cos’era? Voleva
incontrarlo!
E, in quel momento, lo vide.
Era quasi oltre i confini del
percettibile, avvolto dal biancore della steppa. La neve gli turbinava intorno
alle zampe, lo avvolgeva e deformava, ma poteva vederlo. Cercò i suoi
occhi e, quando li trovò, scoprì con un brivido che erano uguali ai suoi. Era
il più grande, possente lupo che avesse mai visto. E non un lupo mortale. La magnifica
bestia gettò indietro la testa e ululò, indugiando ad osservarlo.
Sembrava aspettare… qualcosa.
Chiamalo. Chiamalo!
Col cuore in tumulto, il giovane
Yuriy strinse il beyblade e levò il braccio.
Il centro del beyblade cominciò ad
emettere luce.
Vieni da me, Lupo d’Argento.
La belva indugiò ancora,
aggirandosi al limitare del visibile con le sue brillanti ali di ghiaccio; poi,
con un ultimo, glorioso ululato, proruppe in corsa e si lanciò verso di lui,
lasciandosi risucchiare dall’oggetto. Per la forza dell’impatto Yuriy cadde
all’indietro.
Rimase lì per qualche tempo,
stordito. Poi il formicolio alla mano lo destò.
Era buio, ma la luna ed il lucore
della neve rendevano visibile il beyblade.
Sorrise.
‹‹ Finalmente ci siamo incontrati,
Wolborg. ››
La tormenta era cessata.
E lui c’era riuscito. Aveva dato prova del proprio valore.
Qualcosa che nessuno, mai, avrebbe potuto togliergli.
__Fine
****
Nota dell’autrice: ok, lo
ammetto. Chi conosce Saint Florence (Demolition Boys Fan club) avrà
riconosciuto il finale. In realtà era un po’ che mi solleticava l’idea di
trasformare il pezzetto che avevo scritto su Yuriy e Wolborg in una one shot
dedicata a loro. Che ne dite? Vi è piaciuta? Secondo me potrebbero benissimo
essersi incontrati così. Anche se forse, alla fine, Wolborg è solo un prodotto
di laboratorio…
Ah, spero che le lunghe riflessioni non abbiano appesantito la
narrazione. Se l’hanno fatto, certo non era mia intenzione – ma la storia non
poteva parlare unicamente dell’incontro, sarebbe venuta troppo corta!
Beh, leggete… e commentate! ^^
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Disclaimer: Beyblade e tutti i suoi personaggi appartengono a Takao Aoki e agli altri aventi diritto... io li ho solo rpesi in prestito per un po', per loro immensa gioia XD