Just ordinary Madness
«I love to leave the sign of my jealousy, prince.»
Tinte chiare, una
luce soffice, un mondo che si sveglia nello svanire delle ombre, mentre il sole
si alza, mentre la sua ormai
evanescente figura si allontana.
Eppure non è ancora
abbastanza distante, perché tu quei segni rossi li vedi ancora
chiaramente.
Un marchio, una
firma... ha veramente importanza?
L’importante è
vederlo quel rosso, rosso di sangue che i tuoi occhi hanno visto scorrere goccia
dopo goccia.
Non c’erano state
urla, non c’erano stati pianti, non c’era stato niente di quello che ci si
aspetterebbe nel strappare con ricercata accortezza una frammento, un banale
frammento, di una persona.
Come strappare una
foglia da un albero; alla prima chi nota la
differenza?
E ti ritrovi a
ghignare nel pensare che alla fin fine è tipico del genere umano accorgersi
sempre troppo tardi che qualcosa sta inevitabilmente
cambiando.
-Pensavo fosse
un’esclusiva dei bambini il divertirsi nel semplice gesto di strappare
dell’erba...-
-Non sminuirmi Penguin. I miei gesti sono più ricercati.-
-Giusto, lei se la
prende con gli alberi...
Quando foglie e rami
saranno strappati via... cosa le resterà allora
capitano?-
...
Una linea tenue,
sottile, che si dirama in pieghe quasi artistiche; un filo di fumo che lascia
impresso il suo profumo, con l’illusione quasi di poterlo assaporare un’ultima
volta.
La sigaretta è
stretta appena fra le dita, oscilla quasi spinta a cadere a terra da un momento
all’altro, come un gioco di delicato equilibrio in cui sei tu a manovrare i
fili, una superficiale sensazione di potere in fondo.
Prendi l’ultima
boccata, quelli che in molti amano definire la migliore, per te invece è come
tutte le altre, non ti lascia insoddisfatto né desideroso di averne ancora, non
sei mai stato un accanito fumatore del resto. Le poche sigarette che fumi le
rubi a lui, e quasi sempre in quella stessa situazione, lo trovi rilassante
fumare dopo il sesso, è capace di calmare i respiri ancora affannati e coprire
l’odore, quasi inesistente ma comunque fastidioso, dei vostri
corpi.
Spegni con calma
il mozzicone che ti è rimasto fra le dita, e ti fermi solo per un istante a
fissare il biondo sdraiato al tuo fianco. È la sua pelle candida ad urlarti che
è arrivato il momento, tempo di prepararsi, ed è quella farfalla nera nella sua
insopportabile esistenza ad incitarti.
È un sorriso quasi
morboso quello che si delinea nella curva delle tue labbra mentre ti alzi dal
letto, mentre con ricercata lentezza ti aggiri nella penombra della tua cabina,
illuminata dalla tenue luce di qualche candela. Non sono lì per un romanticismo
di ripiego, del resto non vi è mai servito in una relazione iniziata per
lussuria, le hai volute lì per creare il luogo adatto a quel gesto, una sorta di
rito forse, malato ad occhi esterni, ma in sin dei conti la follia è un’amica a
cui non hai mai negato la tua compagnia.
Li raccogli con cura
i tuoi strumenti, adeguatamente preparati in precedenza, proprio come un bravo
chirurgo. Una sala operatoria decisamente poco ortodossa, ma del resto definirti
una persona fuori dagli schemi sarebbe ridicolmente eufemistico, non si può di
certo pretendere un’operazione convenzionale da un’artista del tuo
calibro.
Ed è proprio come
un’opera d’arte in movimento che rigiri il bisturi fra le mani, come fosse un
ventaglio fatto per incantare, come se la luce riflessa delle candele sulla sua
lama fosse un effetto ricercato e non una volgare reazione fisica.
Del resto alla
rigorosità dello scienziato hai sempre preferito la creatività del
folle.
È con la grazia di
un felino che ritorni al tuo posto su quel letto, a quelle spalle ostinatamente
voltate verso di te, a quella farfalla nera che sembra una donnetta succinta che
reclama attenzioni, e tu hai tutta l’intenzione di concedergliele. Tutte quelle
che merita.
Un tocco quasi
distratto, sfiori la spalla scoperta con la punta delle dita, quasi assaporando
il tepore che emana, gustando con una punta di malizia i brividi che senti
scivolare non appena inizi a risalire, in una lenta carezza, verso il collo.
Ascolti in silenzio un lieve sussurro di disappunto quando la tua mano afferra
forse con troppa forza i suoi capelli, costringendolo ad avvicinarsi, e
inconsciamente godi di quella strana sensazione di possesso che ti da il
semplice stringere tra le dita quei fili biondi.
Ti fermi un attimo
ad osservare la sua mano scacciare bruscamente la tua, i suoi occhi voltarsi
verso il tuo viso solo per un istante, il necessario a lanciarti uno sguardo di
blando rimprovero prima di voltarsi nuovamente a fissare le vostre ombre
riflesse sul muro, distorte dal lento muoversi delle fiamme smosse dai vostri
tenui respiri.
Non riesci a
trattenere il disappunto dal mostrarsi nel tuo sguardo a quel gesto, e la senti
quella fitta velenosa colpirti ancora una volta.
L’hai riconosciuto
quel fastidio, sin dalla prima volta, eppure ancora non capisci come un simile
sentimento abbia piantato le sue radici nel tuo sangue. Perché in fondo quel
rapporto aveva fin dall’inizio l’unica premessa di una notte.
Una notte di sesso,
nient’altro.
L’avevi capito al
primo sguardo, in quel bar che puzzava di alcool, nascosto fra i profumi di
tabacco. Lussuria, niente patti e niente promesse, una stanza e un letto,
bastava solo quello.
Una moneta
volteggiava sul bancone sudicio, e i suoi occhi azzurri già mostravano il
seguito della nottata. Un ghigno e una sigaretta, e il giorno seguente
nuovamente due estranei.
Ma quello fu
soltanto il primo di un lungo seguito di incontri sempre meno casuali. E prima
ancora che la puzza arrivasse al vostro naso, quella “casualità” era già
relazione.
Una relazione non
voluta, mai cercata, eppure insolitamente presente, con le sue particolarità e i
suoi difetti; e tu in fondo lo sapevi che lo sbaglio ha sempre più fascino del
pregio, era più facile lasciarsi tentare. Allora una stretta, distratta fino a
poco prima, diventava morbosa al tocco accidentale di un estraneo a quel corpo,
le parole sembravano insolitamente sporche se pronunciate per altre persone, e
in fondo nemmeno ti dispiaceva quella lenta puntura che disperdeva veleno fra i
tuoi pensieri.
Era l’idea di averlo
solo per te ad allettarti.
Ma come in ogni
grande opera che si rispetti, è necessario partire dalle piccole cose, e quella
sera, con lui nel tuo letto volevi fare il primo passo, estirpare con cura
magistrale la prima foglia.
Lo senti sussultare
quando il tuo dito delinea i contorni di quella farfalla nera. È un tocco
insolitamente gelido, lo sai, ma del resto sei pur sempre un medico, non puoi
operare senza le dovute precauzioni, e il disinfettante non può che rientrare
nella categoria.
-Che stai
facendo?-
Quasi sorridi di
cuore mentre gli posi la mano sinistra sugli occhi, mentre sussurri al suo
orecchio parole spudoratamente false, parole a cui sai per certo non crederà
mai. Infatti non passa molto che lo senti sbuffare fuori il suo disappunto, ma
non sarà di certo una fragile protesta come quella a
fermarti.
Hai temporeggiato
fin troppo fra i pensieri, e con la stessa delicatezza con cui hai coperto il
suo sguardo ora stringi fra le dita il bisturi, e lo ammiri mentre con un
silenzio unico si avvicina a quella pelle bianca. La seduce inizialmente,
corteggiandola con i brividi che provoca, come a richiedere un muto permesso, e
quasi la vedi sussultare la sua anima, incerta.
È veloce quel primo
taglio, non concede il tempo materiale per percepire la lama violare la pelle,
solo il sangue che fuoriesce con una puntualità ineccepibile è prova tangibile
dell’atto avvenuto, almeno per te. Per lui il tutto si riduce ad un freddo
dolore, tagliente, nulla confronto a ciò che è abituato a sopportare, eppure
abbastanza fastidioso da spingerlo a scacciare la tua mano dal suo viso e
voltarsi.
Quando vedi gli occhi azzurri offuscarsi dietro una sfiziosa ombra
di paura ti chiedi per un attimo se a provocarla sia il bisturi macchiato di
rosso o l’orrendo sorriso che preme sulle tue labbra deformandoti il volto, ma
il biondo non è certamente così benevolo da concederti del tempo per riflettere
a riguardo.
Il tono è quello di
un animale infuriato, non ti stupiresti nel vederlo mentre ti mostra i denti
nell’inutile tentativo di darsi un tono da maschio alfa. Peccato che in tutta la
sua ingenuità non si sia reso conto che per voler dettar legge, bisogna avere
anche abbastanza forza per mantenerla, e per quanto discretamente abile sia il
cuoco non è certamente in grado di assumere un tono vagamente imperativo in tua
presenza.
-Che diavolo stai
facendo Trafalgar?!- un ringhio, non è una richiesta di spiegazioni, è il tono
di una persona che le esige, e probabilmente se fossi una persona meno discreta
gli avresti già riso in faccia.
-Lascio la mia
firma, Gambanera.- lo pronunci tranquillamente, come se tagliuzzare il collo
alla gente fosse la cosa più naturale del mondo e forse in fondo ne sei pure
convinto che nel tuo modo di agire non ci sia nulla che non rientri in una
logica razionale, non è forse quella una normale reazione a quella velenosa
puntura che ama creare scompiglio fra le tue
sensazioni?
Vedi il suo labbro
tremare, non di paura, è impetuosità repressa, come se fosse sul punto di
lasciarla scivolare fuori da un momento all’altro, e nemmeno ti dispiacerebbe
vederla sfociare violentemente fra voi, ma sai che al momento di più non puoi
concedergli. Ha avuto la sua occasione, il suo momento e tu hai finito col
perderci fin troppo tempo.
Non aspetti che sua
maestà lo chef trovi la forza di mettere in fila un discorso coerente, lo
afferri per i capelli e lo blocchi al letto, non puoi di certo permettere che i
suoi movimenti rovinino il tuo lavoro.
Nemmeno il tempo di
esprimere a voce il suo disappunto che il suo collo porta già il segno della
seconda incisione, ed è forse in quel momento che inizia a lamentarsi. Non sono
lamentele verbali, sa perfettamente quanto sarebbero inutili, sono versi stretti
fra i denti, sono mani che stringono convulsamente le lenzuola quasi a volerle
strappare, è il suo stesso corpo ad urlarti il suo rimprovero. Ma del resto cosa
può un muto lamento contro un freddo muro di falsa
indifferenza?
Un attimo, il tempo
paragonabile a quello di un leggero respiro, e il sangue che inesorabilmente
scorre ha il potere di incantarti. Lo trovi quasi affascinante mentre
silenziosamente tinge quella pelle così candida, mentre nel silenzio delinea i
contorni della tua opera.
E la farfalla grida...
Dita leggere
delineano una figura immaginaria eppure così reale da essere un marchio. Un
simbolo.
Una curva, subito
seguita da un'altra, una forma sinuosa, elegante.
-La smetti di
girarci intorno?- tono scocciato, seccato, quasi fosse il suo marchio di
fabbrica in certe situazioni –È soltanto una farfalla.-
-Non è una semplice
farfalla...- temporeggi, il tempo necessario per avere la sua completa
attenzione, il tempo necessario per vedere quelle iridi azzurre riflettere il
grigio dei tuoi occhi -...non sarebbe tatuata sul tuo collo altrimenti. Un
tatuaggio è come un simbolo principino, ha bisogno di essere legato ad un
sentimento altrimenti perde di significato fino a diventare quasi invisibile.-
-E tu allora? Quale
sentimento ti marchia con forza la pelle, chirurgo della
morte?-
-Non è un
sentimento.-
Lo senti quello
sguardo seguire attento la tua mano mentre con lentezza ripercorri la linea
formata dai tuoi tatuaggi, ed è come se fossero vivi, pulsano come il sangue che
scorre al di sotto.
-Questi segni sono
la mia anima, principino.-
Un ghigno piega le
tue labbra, mentre i suoi occhi si fissano su quei segni, mentre una mano, forse
troppo curiosa, si avvicina a sfiorarli. Perché è inutile negarlo, le parole
cambiano tutto, e forse è proprio per questo che la tua mano torna ad
accarezzare insistente quella farfalla.
E in fondo non
servono altre domande per farlo parlare.
-Quella farfalla è
la mia libertà Trafalgar. Un simbolo a conti fatti, così come il vivere per mare
da pirata.- e per un attimo ti colpisce il suo sguardo rivolto a qualcosa di
indefinito e intangibile –Un marchio, un ricordo, un segno tangibile della mia
vita e dei miei sogni.-
Perché è vero ancora
una volta, le parole cambiano tutto.
Una volta spiegato
qualcosa non si può tornare indietro, e per quanto ti sforzi quella farfalla non
tornerà mai più ad essere un segno come un altro sulla pelle bianca.
E lo senti, ad ogni
carezza su quella nera padrona, il veleno che lentamente inizia a scorrere
insieme al tuo sangue. Amaro, aspro, pungente.
Ora è il bisturi a
sfiorare quella farfalla, è la sua lama ad ucciderla con una delicatezza che
difficilmente potrebbe essere definita umana. Una prigione. Una rossa gabbia, la
circonda, la soffoca, la possiede semplicemente.
Ed è solo quell’ago
velenoso che ha trovato la giusta via.
Nemmeno il tempo di
allontanare il tuo fedele strumento che senti il biondo lottare per liberarsi
dalla tua presa, ringhiando, proprio come farebbe un animale in
gabbia.
Le avvicini
lentamente le labbra al suo orecchio, facendo semplicemente più salda la presa
su quei fili biondi ad ogni tentativo di ribellarsi. E sussurri seraficamente,
parole che non vuole ascoltare, parole che probabilmente non hanno nemmeno un
vero significato, solo una parola si spiega meglio dell’intero
discorso.
-Mio.-
Lo sussurri
nuovamente prima di carezzargli lascivamente una guancia, e di nuovo quando la
fredda lama del bisturi seduce la fiamma della candela. E lo senti l’aspro odore
di sangue bruciato, pizzica, disgusta, infastidisce, per il tuo olfatto è un
profumo semplicemente gradevole.
Continui, continui
non sai nemmeno per quanto a sussurrare quella sola parola, quasi fosse una
nenia, un lento richiamo per farlo addormentare, per farlo sognare quello che tu
vuoi che sogni, un’unica parola come a guidarlo. E cerchi di soffocarli nella
tua cantilena quei lamenti mal stretti fra i denti, quei sibili più simili al
verso di un animale ferito, mentre la lama ritraccia quasi con lentezza il suo
percorso, lasciando dietro di sé solo l’odore di sangue
bruciato.
È un’operazione
veloce, è come ricucire una ferita, doloroso solo perché hai la chiara
consapevolezza di quel che c’è stato prima, e alla fine quello che rimane è solo
un altro marchio che solo ogni tanto pizzica per ricordati ciò che era una
volta.
Forse in fondo è
proprio per questo che il tuo animale
non fugge una volta liberato, perché il pericolo è cessato, ora resta solo una
ferita da leccare fino a quando non diventerà soltanto una vecchia cicatrice.
Una cicatrice che si è portata via un frammento della sua anima, un frammento
meticolosamente custodito dentro una gabbia che tu stesso hai egoisticamente
creato.
E glielo ripeti un
ultima volta prima che il sonno vi accolga fra le sue
spire.
Mio.
...
Gli occhi grigi fissi
verso l’orizzonte, ad osservare il lento cadere di quella prima foglia
immaginaria.
Un ghigno, nulla di più
concedi al verde sguardo inquisitore del tuo
compagno.
-Quando tutte le foglie
saranno strappate e tutti i rami tagliati via,
allora...-
Un tono pacato, una
banale constatazione.
-...quello sarà veramente
il mio
albero.-
Note
d’autrice:
*Sta cercando di
superare lo shock*
Ok... ci sono, forse
ci sono!
Eh no mi sento
ancora fra gli angioletti botticelliani per la felicità, anche se a me gli
angioletti mi danno la nausea.
Ancora non ci credo,
prima classificata, una LaSan, morirò entro domani me lo sento.
Si ok ho finito di
vantarmi ora potete farmi fuori perché la storia fa schifo comunque!
Però prima fatemi
ringraziare il contest, e meli_mao per averlo indetto!
Trovate il tutto qui:
http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9033532&p=6
E ora ringrazio
chiunque leggerà questa one-shot, grazie a tutti davvero.
Ah! Per le vere note
una cosa da dirla l’avrei, no Sanji non ha quel bellissimo tatuaggio per mia
sfortuna è stata una piccola aggiunta per necessità della trama. Grazie ancora a
tutti!