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Autore: MrEvilside    11/04/2010    6 recensioni
[Alice Human Sacrifice]
« Altre Alice? » Sua sorella aggrottò la fronte in un gesto perplesso. « Chi è Alice? »
« Non lo so » ripeté il ragazzino. « Credo... persone che sono state qui prima di noi. Nel sogno che ho fatto prima di svegliarmi, la voce le chiamava Alice. Diceva che noi siamo i prossimi ».
Che uno di noi deve morire, rifletté, pur astenendosi dal rivelarglielo.
[Kagaminecest]
Genere: Dark, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Len/Rin
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Yonbanme Arisu Wa Futago No Ko

[Following the small path through the forest, having tea beneath the rosebush
The invitation card from the palace was the Ace of Hearts.]

« Sono arrivate delle nuove Alice ».
« Delle nuove Alice, davvero? »
« Sì. Sono due gemelli: Kagamine Rin e Len ».
« Oh, dobbiamo inviare loro l’invito immediatamente! Chissà chi dei due sarà la nuova Alice! »
« Le ultime tre Alice sono state deludenti… Speriamo che loro riescano a sopravvivere ».

Rin gli teneva la mano. Intrecciate alle proprie, le sue dita erano piccole, morbide e calde.
Sua sorella non l’avrebbe mai ammesso, che era un po’ intimorita dagli alti sempreverdi dalle foglie a forma d’ago scure e profumate e dal silenzio che aleggiava nella foresta.
La sua mano impercettibilmente tremante ed i suoi grandi occhi azzurri screziati di curiosità mescolata all’inquietudine, tuttavia, erano eloquenti quanto bastava perché il gemello potesse intuire la sua irrequietezza.
« Forse dovremmo tornare indietro » suggerì, istintivamente in un sussurro, poiché spezzare quella solenne assenza di suoni sembrava quasi un sacrilegio.
« Non avrai paura, fratellino? » lo canzonò la ragazzina, permettendogli di godere d’uno dei suoi soffici sorrisi affettuosi. « Continuiamo a camminare, per favore » lo pregò, stringendosi ad un suo braccio, e premette la testa contro la sua spalla. « Voglio restare con te soltanto un poco, da sola: mamma e papà non capirebbero quanto ci vogliamo bene » borbottò contro il tessuto della sua camicia, ostinata, aggrottando la fronte.
Len tese la mano libera e le accarezzò dolcemente i capelli biondi, tanto simili ai suoi ed al tempo stesso diversi, più vellutati, più scintillanti, più belli, tanto che infine non poté trattenersi dall’affondarvi le labbra per baciarli. « Come vuoi, » soffiò su quei fili dorati « ma poi dovremo tornare ».
« Sì, lo so ».
Il mormorio mesto di Rin si mescolò alla consapevolezza che, quando avessero fatto ritorno a casa, sua madre non gli avrebbe consentito di starle vicino come poteva fare adesso che erano soltanto loro due – lei glielo leggeva negli occhi, che quel che provava nei confronti della sorella andava ben oltre il semplice amore fraterno –, e gli fece anche più male.
« Guarda, Len, dei cespugli di rose! »
D’improvviso, la ragazzina sollevò il capo e gli indicò una coppia di bassi arbusti cresciuti in una piccola radura, sgombra dagli alberi quel che occorreva affinché le rose potessero crescere baciate dal sole ed al contempo riparata dalle loro fronde sempreverdi.
« Non è strano? »
Rin affrettò il passo, pur senza lasciargli andare la mano, e lo condusse in quella direzione. Si chinò su uno dei fiori, ne cinse delicatamente la base, laddove si congiungeva con il gambo, ed accostò il naso ai suoi petali. La rosa profumava di fiore e di fresco e spiccava attorno alla sua testa bionda al pari d’un’aureola scarlatta.
« Rin, vieni qui ».
La voce di suo fratello proveniva dall’altro lato del cespuglio: ridotta a poco più d’un sussurro, pregna di meraviglia, echeggiò tra le foglie dell’arbusto e la strappò alla contemplazione del fiore.
La ragazzina compì un mezzo giro intorno al cespuglio e trovò Len, che le dava le spalle, rapito da un bianco tavolo rotondo, troppo piccolo perché vi si potessero sedere attorno più di due persone, dove riposava un vassoio da the. Dalla teiera di candida porcellana si elevava del fumo mescolato ad un odore piacevole di the caldo.
« Forse qualcuno vive qui vicino? » suggerì, avvicinandosi di qualche passo alla tavola.
Le tazzine e la teiera erano impolverate e la tovaglia aveva l’orlo scucito, come se non fossero state usate da molto tempo, eppure il the sembrava essere stato preparato da poco.
Da sotto la teiera spuntava timidamente l’angolo di quel che doveva essere un foglio di carta.
« Rin, aspetta… » l’ammonì il fratello, ma lei aveva già scostato la teiera e portato all’altezza del volto quella che si rivelò essere una busta sigillata da un cuore di lacca gialla.
« Fratellino » disse, incredula. « Ci sono scritti i nostri nomi ».
Il ragazzino le prese dolcemente un polso, di modo che gli accostasse la busta per poter leggere il destinatario.
Ai sig. ni Kagamine Len e Rin.
Poi vide la sorella che si accasciava su una delle sedie – e non erano più rose rosse, bensì sangue cremisi, ad adornare i cespugli, gli alberi e l’erba, creando un sentiero vermiglio che si perdeva nella direzione dalla quale erano venuti.
Si aggrappò al bordo del tavolo, vomitò sul servizio da the e si sentì mancare il respiro.
Ed il dorso della mano bruciava, come fosse stato ustionato.

[The fourth Alice was twin children, entering Wonderland out of curiosity.
Passing through countless doors, they had only just recently come.
A stubborn sister and an intelligent brother.]

« Chi sarà la prossima Alice? Chi sopravviverà a Wonderland? Kagamine Rin o Kagamine Len? »
« La prossima Alice? Io… non capisco. E… dov’è Rin? »
« Tu vuoi vivere, Kagamine Len? Se lo desideri, dovrai essere la vera Alice e tua sorella il sacrificio: uno di voi due dovrà obbligatoriamente morire ».

« Len! Len, svegliati! »
Era dolce, la voce di Rin, malgrado fosse tinta d’un’angosciosa preoccupazione, ed il suo fiato si posava sul suo volto come una morbida carezza.
Len socchiuse gli occhi con lentezza, quasi faticosamente, e distinse il sorriso sollevato della sorella a poca distanza dal proprio viso.
« R-Rin…? »
I contorni delle cose erano offuscati e la testa era immersa in una nebbia dolorosa che gli impediva di ricordare che cosa fosse avvenuto, tuttavia sapere che lei stava bene lo rasserenò.
« Fratellino, stai bene? » chiese la ragazzina, stringendogli una mano.
Se stava bene.
Prima di rispondere, attese che il dolore al capo si attenuasse e che i ricordi emergessero dalla nebbia che si diradava: Rin che gli teneva la mano, cespugli di rose, un tavolo apparentemente preparato per un festino del the, una busta chiusa da un sigillo a forma di cuore indirizzata a loro, Rin che perdeva i sensi, il sangue che formava il medesimo percorso che loro avevano inconsciamente fatto ed il respiro che gli veniva meno, come se gli avessero schiacciato con violenza un polmone contro la gabbia toracica. Infine una voce sconosciuta che parlava nella sua mente di un luogo chiamato Wonderland e di una ragazza, Alice, e gli chiedeva se voleva vivere.
« Credo… di sì » rispose, stropicciandosi gli occhi.
Il suo sguardo spaziò tutt’attorno ed incontrò i confini di una piccola stanza dal soffitto alto quanto i pini della foresta – a proposito, dov’era la foresta? –, delimitata da otto porte.
« Dove siamo? »
« Non lo so ». Rin scosse la testa e gli mostrò il palmo d’una mano dove, impresso nella carne parimenti una cicatrice, era disegnato un cuore dorato. « Ne hai uno anche tu. Guarda ». Gli indicò il braccio, affinché verificasse da sé che diceva la verità, e poi una porta che recava lo stesso simbolo inciso nel legno.
Sostenendosi alla parete contro la quale appoggiava la schiena, Len si alzò in piedi e s’avvide che il tavolo che era stato presente nella foresta ora si trovava in quella camera, sebbene il fiele che aveva rimesso ed il vassoio d’argento fossero svaniti.
La busta era stata aperta e quel che v’era all’interno giaceva sopra di essa.
Il ragazzino tese una mano, esitante, e prese l’asso di cuori che era stato il contenuto della lettera.
« Len… » Sua sorella gli tirò una manica della camicia, inquieta. « Che cosa significa? »
« Non lo so » ammise, malgrado avrebbe preferito poterla rassicurare e dirle che andava tutto bene, poiché la sua espressione intimorita e la sua voce tremante – e la consapevolezza di non poterla proteggere da qualcosa che non conosceva – lo addoloravano più d’ogni altra cosa. « Ma forse, se attraversiamo quella porta, troveremo una strada per tornare a casa » suggerì, scrutando il battente contrassegnato dal cuore, e ripose la carta da gioco nella tasca dei pantaloni.
« Su, vieni ». Le strinse le dita nelle proprie per trasmetterle una decisione che in realtà non provava e la condusse in direzione della porta.
« È meglio che tu resti qui » osservò, quando il battente cigolò sui cardini, sotto la spinta della sua mano. « Io andrò a controllare che non sia pericoloso ».
« No » protestò la ragazzina. « Non ho nessuna intenzione di farti andare da solo ».
« Rin, potrebbe essere… »
« Io vengo con te » l’interruppe Rin con quanta più fermezza potesse ostentare nella sua paura. « Voglio sapere dove siamo e perché ci troviamo qui » aggiunse, ostinata, e, prima che Len potesse ribattere ulteriormente, varcò la soglia della stanza.
Istintivamente, suo fratello tese un braccio e riuscì a prenderle nuovamente la mano prima che fosse inghiottita dall’oscurità oltre la porta.
La camera successiva era molto più piccola e stretta della precedente, dal soffitto poco più alto di loro e spoglia, eccezion fatta per sei battenti, dalle forme differenti: trifoglio, rombo, cuore e quello che doveva essere un fiore che non riconobbero.
« Len, » mormorò Rin con un fil di voce, precedendo il rimprovero che il ragazzino si apprestava a cominciare « credi che ci sia stato qualcun altro qui, prima di noi? Qualcuno che ha attraversato le porte che noi non sceglieremo, forse ».
« Non lo so » egli scrollò le spalle. « Forse erano… altre Alice » commentò fra sé, assorto.
« Altre Alice? » Sua sorella aggrottò la fronte in un gesto perplesso. « Chi è Alice? »
« Non lo so » ripeté il ragazzino. « Credo… persone che sono state qui prima di noi. Nel sogno che ho fatto prima di svegliarmi, la voce le chiamava Alice. Diceva che noi siamo i prossimi ».
Che uno di noi deve morire, rifletté, pur astenendosi dal rivelarglielo.
Rin ridacchiò nervosamente. « Tu credi in quel che dicono nei sogni, fratellino? » lo canzonò. « I sogni non sono mai veri » affermò con traballante fermezza. « È la nostra mente a crearli: non sono la realtà ».
« No, hai ragione tu » concordò Len – eppure a lui, quel sogno, non era apparso così irreale. « È meglio se torniamo a casa » tagliò corto, incamminandosi verso il battente a forma di cuore.
Una seconda volta, l’attraversarono.
Non potevano fare nient’altro, dopotutto.

[They came the closest to being the true Alice, but...]

« E dunque, chi è la nuova Alice? »
« Ancora non lo so. Sono vivi entrambi ».
« Nessuno dei due è diventato la nuova Alice? »
« Per il momento, no ».
« Potrebbe essere pericoloso per noi se si trattenessero troppo qui: dobbiamo ucciderne uno ».
« Ma chi dei due? »

Rin si lasciò cadere seduta sul pavimento dell’ennesima stanza. « Sono stanca » si lamentò, stringendo al petto le gambe doloranti. « Possiamo fermarci per un poco? »
« Dobbiamo uscire di qui » obiettò Len, chinandosi e tendendole una mano per aiutarla a riportarsi in posizione eretta. « Suvvia, sono sicuro che a breve troveremo un’uscita » la rassicurò, ostentando una speranza che non possedeva.
« Solo qualche minuto » l’implorò la ragazzina. « Non ce la faccio più ».
« Va bene, riposeremo un po’ » dovette arrendersi infine il fratello, poiché, dopotutto, era molto stanco anche lui; le si sedette accanto e le cinse le spalle con un braccio, conducendo gentilmente la sua testa a posarsi contro il proprio petto.
Nulla aveva senso, in quel luogo, ovunque fossero capitati: non avevano fatto altro che varcare le soglie di innumerevoli camere, ognuna di esse vuota, ognuna di esse con delle nuove porte che riportavano i quattro simboli: trifoglio, rombo, cuore e quel che, che fosse per rispettare le regole delle carte da gioco o per trovare un dettaglio, per quanto piccolo, che accostasse quella situazione al mondo reale, avevano ritenuto dovesse essere picche.
E tuttavia quanto era stato in grado di comprendere era soltanto che a loro apparteneva il cuore, perché, quando avevano tentato, gli altri battenti erano rimasti chiusi.
Ed ancora, Len temeva il sogno che aveva fatto – come poteva esistere un essere tanto crudele da chiedere l’omicidio d’una persona da parte del suo stesso fratello?
Così tante domande, nessuna risposta.
Socchiuse le palpebre, ascoltando il respiro regolare della sorella contro il suo cuore.
Ed avrebbe potuto assopirsi, non fosse stato per i flebili singhiozzi che, se dapprima erano eccessivamente deboli perché potesse darvi peso, adesso si facevano strada nella sua mente, terrorizzati ed infinitamente tristi.
« Len, » lo chiamò Rin sottovoce « chi è che sta piangendo? »
« Proviene da quella porta ». Il ragazzino si costrinse a sollevare a malincuore il capo e a guardare in direzione del battente che recava il disegno d’un trifoglio verde.
Sua sorella si alzò in piedi e si accostò alla porta. « C’è qualcuno? » domandò, esitante.
Dall’altra parte della parete vi fu un singulto che avrebbe potuto essere una frase e la ragazzina tese un braccio per bussare sul legno. « Chi c’è? Che cosa ti è successo? »
« A-aiuto… » sussurrò una voce femminile. « Aiuto… per favore… Io mi sto… consumando… »
Rin serrò le dita attorno al pomello del battente e lo girò, tentando di spezzare la serratura che lo immobilizzava. « Fratellino, vieni, » disse, senza voltarsi « c’è qualcuno qui dentro! »
E poi percepì una mano sulla spalla, che stringeva sin quasi a conficcarsi nella pelle e penetrare sino alle ossa. La ragazzina emise un gemito, lasciò andare la maniglia, strattonata indietro da quello stesso braccio, e si volse, incrociando gli occhi screziati di scarlatto di Len.
Gridò, atterrita da ciò che vide in quello sguardo.
Non ebbe parole per esprimere l’orrore e lo strazio: semplicemente, sapeva che aveva perso suo fratello e che ora v’era l’anima di un assassino nel suo corpo di ragazzo.
Infine vi furono il sangue cremisi e l’oblio nero.
E tuttavia, quegli occhi d’ambra offuscati dal rosso della follia non l’abbandonarono mai.

[They won’t wake from their dream.
They’re lost in Wonderland.]

« Oh, sembra che alla fine non ci sarà nessuna Alice ».

Il cadavere pesava fra le sue braccia stanche.
La testa era reclinata all’indietro, lo sguardo vitreo e la bocca socchiusa in un atroce lamento erano rivolti al nulla. Di Rin Kagamine, oramai, non era rimasto che carne per i vermi che dimoravano nella sua salma.
E di suo fratello Len, nient’altro che un corpo svuotato dalla pazzia e dal dolore, che attraversava Wonderland con il morto stretto al petto e non trovava pace da nessuna parte.

« Che peccato, dovremo attendere i prossimi candidati ».



Vaghi riferimenti a Meiko ed Hatsune, la prima e la terza Alice - Kaito non ho saputo dove infilarlo, devo ammetterlo, a parte che nei simboli delle porte XD - : Meiko si riconosce nel cammino insanguinato che Len vede nella foresta prima di svenire, mentre Hatsune è la ragazza chiusa nella stanza dietro la porta che Rin ha cercato di aprire.
Le voci che parlavano tra loro - ed una volta con Len - dopo ogni strofa della canzone appartengono al "piccolo sogno" che racchiudeva Wonderland, da me diviso in due diverse entità.
Ed il titolo, preso dal testo giapponese translitterato, dovrebbe significare "La quarta Alice erano due gemelli". Dovrebbe. Liberissimi di correggermi, anzi, ve ne sarei grata.
E poi, niente.
Solo una piccola storiella a proposito della quarta Alice, Rin e Len, che ripercorre le ultime strofe della canzone Alice Human Sacrifice.
Chu.
  
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