Autore:
Nemeryal
Titolo:
Il
Cammino Attraverso la Foresta
Fandom: Star Trek
moooooolto post TOS
Genere:
Drammatico,
Malinconico
Avvertimenti:
What
if? One Shot
Musica: Passing Sorrow
– Final Fantasy IX Original Soundtrack
Note: Hn. Allora..da cosa è
nata questa fic? Semplice. Togliendo la distorsione temporale dell’XI film,
cosa si sa degli ultimi anni di vita, degli ultimi giorni di Spock? Nulla, solo
che ha continuato la sua carriera da ambasciatore. Punto. Stop. Fine dei giochi.
Nemmeno nelle TimeLine ho trovato la data della sua morte.
E il mio piccolo cervellino
Spock-malato poteva accontentarsi di una cosa del genere?
Ma assolutamente no.
Così, togliendo di torno il film di JJ
Abrams –bel film, per carità, avventuroso e tutto quello che si vuole, ma forse
meno..trekker, dei primi VI e della TOS- ecco come mi sono immaginata il tutto.
Qualche piccolo appunto per capire
meglio alcuni pg non propriamente presenti, ma comunque menzionati..
Ad un certo punto sentirete Spock e
Sarek –no, non quel Sarek. Un altro,
ma capirete leggendo- parlare di madre e moglie riferendosi ad una Romulana con
una buone dose di potere in campo militare. Ebbene sì, miei signori e signore,
la Romulana è quella Romulana, la
Comandante dell’Episodio “Incidente all’Enterprise”. La trovo molto affascinante come personaggio
e sinceramente, Spock e lei ce li vedo
abbastanza bene assieme!
La pace fra Romulus e la Federazione
c’è mai stata, mai ci sarà? Forse nel canon no, non ne sono sicura, ho cercato
di informarmi ma ho trovato informazioni piuttosto vaghe. Insomma, su Memory
Alpha ho letto che nel film “Nemesi” William T. Riker conduce una task force
per una pace fra Federazione e Romulus.
Poi, il buio..
Quindi..boh. Fingiamo che qua la pace
ci sia stata!
Comunque..sebbene abbia letto che in
un romanzo di ST la moglie di Spock sia Saavik –che, a quanto pare, è una Mezza
Romulana- ho deciso di tralasciare codesto futile dettaglio –i romanzi non
fanno teoricamente parte del canon,
no?- in favore della Comandante.
E poi Saavik aveva un tenero inciucio
con David..anche questo è praticamente canon XD
Dunque, per concludere queste note
lunghissime –cui seguiranno alcuni appunti relativi ai nomi alla conclusione
della Shot- ribadisco che questo scritto non tiene conto degli eventi del film
di JJ Abrams.
Niente distorsione temporale. Niente
Nero. Niente distruzione di Romulus.
Okay, Good Luck my dears!
Ringraziamenti:
ad Abdulla per aver recensito “Oh Canzone, Canzone di una Ragazza”; a SpockMc, Abdulla e PersefoneFuxia per le
recensioni ad “Affetto”, a Lady Amber e Birbabirba per averla
messa fra le preferite e ancora ad Abdulla e ShundiAndromeda per aver recensito “Eppure so cosa dovrei
ricordare”
Dedica:
Ma
come farei senza di loro? Le migliori amiche che si possano desiderare in tutti
i quadranti dell’Universo! Silentsky e
Pimplemi_chan!
Il
Cammino Attraverso la Foresta
Il Capitano Carons chinò il capo, poi
tese il braccio alla sua destra, indicando una donna dai capelli scuri con indosso
la divisa dorata della Sezione Comando e un giovane dalla pelle bruna, membro
della sfera Tecnica.
-Le presento i miei Ufficiali
Maggiori. Lei è il Comandante Inep, il Primo Ufficiale-
-Benvenuto sulla Atropos- disse
gentilmente la donna, sorridendo con fare cordiale.
-Il piacere è mio- rispose Spock, la
voce arrochita dagli anni e i piccoli occhi scuri illuminati da un bagliore
gentile, sebbene offuscato dall’età.
-Lui, invece- continuò il Capitano -E’
il signor Odin, Tenente Comandante-
L’Ambasciatore chinò il capo e scese
con mal celata fatica dalla pedana del teletrasporto; il Comandante Inep fece
per aiutarlo, ma lui alzò una mano nodosa e le fece segno di rimanere indietro.
La donna rimase interdetta per un
attimo e lanciò un’occhiata fugace al suo superiore, che annuì piano e le
consigliò, in silenzio, di tornare al proprio posto.
-La sua missione su Elisys è stata
molto faticosa, Ambasciatore?-
Il vecchio Vulcaniano alzò il viso
nella direzione del Capitano e socchiuse gli occhi, come se stesse facendo
fatica a metterlo a fuoco, poi fece un segno di assenso con la testa.
-Allora la prego di riposarsi, prima
di raggiungerci per la cena Ufficiale. Il Tenente Sarek la accompagnerà ai suoi
alloggi-
Un giovane Romulano, coi capelli neri
e gli occhi vivaci si fece avanti e si inchinò rispettosamente.
-Ambasciatore, Spock, da questa parte,
prego- e lo precedette fuori dalla Sala, camminando composto al suo fianco,
adattando il proprio passo veloce a quello claudicante dell’anziano.
Il Tenente chiamò il TurboLift e
quando le porte si aprirono ne indicò l’interno con un gesto leggero del
braccio, per poi seguire dentro l’Ambasciatore.
-Finalmente la missione di pace è
finita- disse Sarek, voltandosi con un sorriso verso Spock, mentre il Turbo
Ascensore scendeva con un ronzio sommesso –Altrimenti mia madre avrebbe avuto
le sue buone ragioni per infrangere il trattato tra Romulus e la Federazione..e
avrebbe sguinzagliato tutte le sue truppe per venire a cercarti-
Rise e Spock gli restituì un sorriso
sincero, reso malinconico dalle profonde rughe che solcavano gli angoli delle
labbra.
-Tua madre ne avrebbe il potere..e la
propensione caratteriale per farlo, logicamente-
Sarek gettò la testa all’indietro,
continuando a ridere.
-Per fortuna non hai preso troppo da lei, figlio mio- constatò il
Vulcaniano raddrizzando la schiena e fissando il giovane Tenente.
-Se ti stai riferendo a quando ho
tentato di convincere mamma a mandare in missione una parte dell’esercito per
ritrovare il mio Sehlat, posso dire a mio discolpa che l’affetto per gli
animali fa parte del tuo patrimonio
genetico..
-E poi avevo solo quattro anni, non me
ne puoi fare una colpa. Non troppo, almeno-
Spock annuì e sorrise, ma il suo viso
venne immediatamente trasfigurato da un forte, gorgogliante colpo di tosse, che
lo fece piegare su stesso.
-Padre!- gridò Sarek sostenendolo con
le braccia –Padre, chiamo subito l’Inferm..-
-Non ne vedo alcun bisogno, figlio
mio- lo interruppe secco il Vulcaniano, allontanandolo con fermezza e
raddrizzando la schiena, per poi pulirsi l’angolo sinistro delle labbra –macchiato di verde- con un fazzoletto
estratto dall’ampia manica dell’abito scuro –Non era nulla di cui preoccuparsi-
-Ma, padre..- provò a farlo ragionare il
giovane mezzo Romulano, ma l’Ambasciatore socchiuse gli occhi e storse la
bocca.
-La pregherei di portarmi ai miei
alloggi senza ulteriori indugi, Tenente Sarek- gli ordinò, secco, mentre le
porte si aprivano, scorrendo sui propri cardini –Mi sento molto stanco-
Il giovane strinse le labbra e chinò
il capo.
-Naturalmente, Ambasciatore. Mi segua-
Arrivarono alla stanza designata per
il Vulcaniano senza parlare, mentre il mezzo Romulano tremava per l’orgoglio
ferito e Spock lo fissava con sguardo comprensivo.
-La cena sarà pronta fra tre ore,
Ambasciatore- disse il Tenente, fermandosi
poco oltre l’ entrata
dell’alloggio e fissando il padre osservare con interesse ogni dettaglio
della camera, soffermandosi su piccole cose come la disposizione degli oggetti
o il colore delle lenzuola –Nel
frattempo, come ha già detto il mio Capitano, si riposi-
Spock annuì e si sedette sul bordo del
letto, le mani posate sulle cosce, la schiena rigida e gli occhi vacui, fissi
nel vuoto.
Sarek trattenne il fiato e corse ad
inginocchiarsi davanti al padre, capendo all’istante che quello era uno dei
suoi sempre più frequenti attacchi in cui la parte umana riemergeva prepotente,
facendolo evadere dalla realtà e dal presente, mentre la sua mente si perdeva
nel passato e nei ricordi.
Il primo di cui avesse memoria
risaliva a quando aveva solo sette anni: erano entrambi seduti nel Salone della
loro dimora su Romulus, e Spock gli stava raccontando, con voce calma e
profonda, l’esperienza della Ragnatela
Tholiana; ad un certo punto, proprio quando erano arrivati al momento in cui
anche il Dottor McCoy aveva iniziato a risentire di quella porzione di spazio,
suo padre si era fermato e i suoi occhi si erano alzati verso la parete,
divenendo opachi, vuoti. Poi, aveva cominciato a ripetere, come una litania, Lasci perdere, Bones, fino a quando non
era arrivata sua madre, che aveva passato i quindici minuti successivi a
scuoterlo gentilmente e chiamarlo.
-Padre- lo pregò con un filo di voce
–Padre, sono io. Padre, torna da me. Padre, non perderti nei ricordi. Padre..-
Lo sguardo di Spock ebbe un guizzo.
-Jim..?- chiese, con voce impastata,
il respiro ridotto ad un soffio gorgogliante di sangue –Capitano, per quale motivo ha raggiunto il
mio alloggio? E’ successo qualcosa in plancia? Arrivo subito, allora..-
Fece per alzarsi, ma Sarek lo prese
gentilmente per le spalle e lo costrinse a sedersi.
Spock sussultò e tossì, sputando un
grumo di liquido verde che andò ad infrangersi sulla divisa del mezzo Romulano.
La vista del giovane tremolò, incapace
di oltrepassare il velo di lacrime che era calato con forza sui suoi occhi;
prese un respiro profondo e poggiò la testa sul petto del padre, tenendo le
labbra strette e imponendosi di mantenere il controllo, obbligando la sua parte
Vulcaniana a prendere il sopravvento, per una volta.
Aveva pianto anche troppo da bambino,
quando Spock si perdeva dentro la sua malinconia e smetteva di riconoscerlo, e
lo chiamava Jim, e lo pregava di
tornare, e gli chiedeva cosa dovesse fare, e quando sarebbero partiti per una
nuova missione con la Enterprise.
Il momento che però lo aveva messo a
dura prova era stato il giorno in cui aveva deciso di arruolarsi all’Accademia.
Negli occhi di suo padre aveva visto l’orgoglio per la sua scelta di vita, ma piano
piano, lentamente, un’ombra scura si era allungata nel suo sguardo,
avvolgendolo in un manto di ricordi nitidi e dolorosi.
E quando Spock aveva aperto la bocca
per parlare, lui era scappato via con le lacrime che scivolavano veloci sul
viso. Perché sapeva che suo padre non si sarebbe rivolto a lui, ma a qualcun
altro di lontano, di passato, di morto.
Quando sua madre lo aveva raggiunto
nella stanza, Sarek l’aveva ascoltata con lo sguardo fisso nel vuoto e per
alcuni istanti aveva pensato a quanto poco gli importasse della sofferenza del
padre, della parte umana, della malinconia che essa portava con sé, e aveva
odiato, maledetto lui e il nome che gli aveva dato.
Nomi di ombre, di fantasmi perduti, la
cui voce, il cui lamento potevano essere sentiti, e sofferti, rimpianti, solo
da sua padre.
Avvertì una mano sulla testa e alzò lo
sguardo di scatto, forse sperando che Spock fosse tornato da lui, ma si
sbagliava.
Gli occhi erano ancora fissi nel passato
e il gesto che stava compiendo, le carezze che gli stava facendo, erano solo il
riflesso di ciò che stava vedendo, di ciò che stava vivendo.
Il giovane Tenente prese le mani del
padre e vi posò sopra la fronte,
bagnandole appena con le lacrime tenacemente appese alle ciglia, e poi lo aiutò
di alzarsi.
Spock si lasciò svestire senza
parlare, senza muoversi; permise a suo figlio di infilargli la veste per la
notte e di condurlo nuovamente a letto; Sarek prese un respiro tremante e coprì
con le lenzuola scure il corpo del padre. Almeno, una parte di lui avrebbe
avvertito il caldo del presente e non il freddo vuoto dei ricordi.
Fece per andarsene, ma le dita di
Spock si chiusero ferree attorno al suo polso.
Il mezzo Romulano sussultò, per poi
chinarsi in fretta, inginocchiandosi accanto al letto e prendendo la mano del
padre fra le sue.
-Padre..cosa c’è?- chiese, tentando di
mantenere la voce ferma.
Né Spock né sua madre gli avevano mai
fatto pressioni perché scegliesse un modo di vivere piuttosto che un altro. Era
mezzo Vulcaniano e mezzo Romulano, ma invece di farsene una colpa, o di vederlo
come uno svantaggio, Sarek aveva cercato di prendere il meglio di entrambe le
sue radici, mescolando la logica alla passione, la razionalità all’impulsività.
Aveva anche pregato suo padre perché
gli insegnasse alcune tecniche di meditazione e di controllo vulcaniane da
usare nei momenti in cui sentiva la parte romulana di sé prendere troppo il
sopravvento, oppure quando sapeva fossero necessarie la fredda logica e l’autocontrollo
rispetto al bollente istinto e all’impulsività.
Ma in quel momento, mentre teneva fra
le dita quella mano sottile e nodosa, come il ramo di un albero secolare, Sarek
non riusciva a controllarsi.
Suo padre stava morendo ogni giorno di
più, lo sapeva.
I suoi attacchi erano sempre più
frequenti, sempre più profondi. Solo durante le missioni d’ambasceria riusciva
a tenere la sua mente ancorata alla realtà, ma il fisico debole, anziano,
stanco, non gli permetteva sforzi e fatiche troppo prolungati. I polmoni
avevano cominciato a cedere, riempiendosi di sangue e il cuore sembrava
faticare a mantenere il battito regolare.
E quando non c’era nulla sui cui
potesse rivolgere ogni sforzo, tutta la concentrazione, allora suo padre si perdeva,
vagando nella nebbia opaca dei ricordi.
Spock si stava allontanando da lui e
da sua madre, il giovane lo capiva, e non sapeva come fare a trattenerlo lì con
loro, si sentiva inutile.
Osservò il petto del padre alzarsi e
abbassarsi con rantoli gorgoglianti, e fissò il proprio sguardo negli occhi
annebbiati con ancora qualche debole sprazzo di lucidità a illuminare le iridi
scure.
Il cuore si strinse nel petto e gli
sembrò quasi di avere una terza parte dentro di sé, che andava oltre il
Romulano e il Vulcaniano.
Si sentiva quasi..umano.
-Sarek James Leonard- mormorò con voce
spezzata Spock, posando stancamente gli occhi su di lui –Che nome ingrato ti ho
dato, figlio mio-
-No! No, padre, io amo il nome che hai
scelto per me- lo rassicurò il giovane con un sorriso triste –Sono le tre
persone che hanno fatto di te quello che sei ora, che hanno fatto di te mio
padre- sbatté più volte le palpebre, ma una lacrima sfuggì comunque dai suoi
occhi –E’ un onore portare i loro nomi. Un privilegio-
-Un privilegio, dici?- Spock scosse la
testa lentamente –No, ti ho incatenato ai ricordi, al rimpianto..dandoti quei
nomi, io speravo di mantenere vivi tutti loro, anche dopo la morte..era un
desiderio così sciocco, così..così umano-
-Padre..-
-Sai, figlio mio- continuò il
Vulcaniano, fissando lo sguardo sul soffitto –Una volta tua madre mi disse che
non sarebbero bastati tutti i figli che mi avrebbe potuto dare per i nomi che
avevo in mente..-
Sarek rise di una risata spezzata,
mentre stringeva ancora di più la presa attorno alla mano di suo padre.
-Le dissi- Spock prese un roco respiro –Che se avessimo
avuto altri maschi avrei voluto che portassero il nome di Scott, che avessero
la sua..esuberanza e gioia di vivere..e la sua maestria con tutto ciò che era
elettronico- chiuse un istante gli occhi –E poi..Pavel, quel giovane
ragazzo..Bones, come mi riferì una volta Jim, disse che secondo lui lo avevo
traviato..e forse aveva ragione, anche se non ho mai fatto in tempo per
dirglielo..-
Sarek posò il viso sulle proprie dita
intrecciate a quelle del padre, percependo il flusso di ricordi e di malinconia
scorrere come un fiume dentro quel corpo vecchio e stanco.
Rigenerandolo e uccidendolo alla
stesso tempo.
-E Hikaru..oh, con quel nome avrei
voluto donargli la passione per il viaggio, per il volo..anche se, certamente,
non l’altezza..- una risata soffocata scosse le membra secche di Spock, mentre
nella sua mente stanca turbinavano desideri e rimpianti che il giovane
percepiva con troppa chiarezza –Ma tua madre cercò di farmi ragionare, mi disse
che..che ero poco logico. Potevamo avere anche una femmina..una figlia..-
-Come l’avresti chiamata?- domandò
Sarek mentre dietro le palpebre chiuse poteva quasi vedere il volto sorridente
di una possibile sorella, con gli occhi scuri di suo padre e la bellezza rigida
di sua madre –Quale sarebbe stato il suo nome?-
-Amanda..- mormorò in risposta Spock –E
Nyota, e Christine..ma non dissi mai a tua madre perché pensai..pensai anche a
Zarabeth..quello fu..molto tempo..fa-
-Mia madre non ha mai detto nulla sul
fatto che avevi scelto tutti i nomi da solo?-
-Solo che ero..illogico-
Il giovane rialzò il viso e osservò le
rughe sul volto del padre distendersi in un sorriso stanco, malinconico,
rassegnato.
-Disse che così facendo avrei vissuto
nel presente incatenando il mio futuro al passato- sussurrò con amarezza
–Quante storie, quanti ricordi ti ho mostrato, figlio mio..- si girò e Sarek
fissò il proprio sguardo in quello appannato e quasi cieco di Spock.
Era così fragile in quel momento, non
aveva nulla del forte e testardo Ambasciatore che tutti rispettavano e
veneravano.
La sua maschera fredda e composta si
era sgretolata, lasciandolo perso, confuso, indifeso.
-Mi hai raccontato la tua vita e la
tua storia, in modo che potessi diventare ciò che sono- rispose il giovane
sorridendo –E non perché fossi solo un’ombra di qualcuno che è stato..-
-Jim..-
la voce roca dell’Ambasciatore di spezzò, gli occhi si sgranarono, il respiro
si mozzò nella gola, il corpo venne scosso da un tremito, da un singhiozzo –T’hy’la-
T’hy’la.
Amico. Fratello. Amante.
Sarek non aveva mai chiesto a suo
padre a quale significato in particolare facesse riferimento quando chiamava
così il Capitano Kirk.
Per un po’ era stato curioso, certo,
ma poi si era accorto di quanto poco gli importasse veramente.
Il sentimento che lo legava a Kirk
trascendeva qualsiasi sentimento, Umano o Vulcaniano che fosse.
James Kirk non era l’amico di suo
padre, come non era il fratello o l’amante.
Era solo il suo T’hy’la.
E tanto bastava.
Anche se molto, troppo spesso Sarek si
era sentito messo in disparte a causa di quell’ombra tanto legata a suo padre.
Anche se molto, troppo spesso, Sarek
aveva odiato quell’ombra, con tutto se stesso.
-Riposa, padre- gli disse il giovane
con dolcezza –Verrò a svegliarti quando sarà il momento-
-No!- la voce di Spock era stato come
lo schiocco di un ramo spezzato nel silenzio pesante di una foresta, i suoi
occhi erano sgranati, folli, vedevano ombre scure, spaventose, invisibili al
figlio –No! Lascia che..lascia che ti mostri..prima di..andare-
***
Camminava
in una foresta silenziosa, immersa nel nero cupo della notte.
Le cime
degli alti cipressi sfioravano il cielo e coprivano con le fronde scure il
baluginio argentato delle stelle.
Eppure
non si sentiva perso.
Per
anni aveva sognato quella foresta, per troppo tempo vi aveva vagato senza una
meta precisa, guidato da sussurri e lamenti indistinti, dal roco ondeggiare dei
rami nodosi e l’infrangersi scrosciante di un fiume di lacrime contro le rive
verdeggianti.
Dapprima
era stato solo un buio confuso, coi limiti indistinti, ma comunque presenti. Ma
all’epoca, non era ancora solo. C’erano altri con lui, insieme, in quella
foresta di tenebra, che lo aiutavano, gli prendevano la mano quando faceva per
avviarsi nel cuore del labirinto di rami e cortecce, e gli dicevano di
aspettare.
Che
c’era ancora tempo.
Che per
lui vi era ancora.
Ma col
passare degli anni, tutti loro lo avevano abbandonato, svanendo fra gli alberi
come fili di fumo.
Lo
avevano guardato un’ultima volta e poi si erano voltati, per non tornare più
indietro.
Quando
anche l’ultimo di loro se n’era andato, aveva fatto per seguirlo, ma lunghe
dita affusolate l’avevano preso per il braccio e una piccola mano di bambino
aveva cercato la sua, stringendola forte.
E
allora aveva capito che, forse, per lui il tempo non si era ancora fermato.
Per molti
anni non si era voltato a guardare dietro di sé, verso il cuore della foresta ed
era rimasto accoccolato in quello spazio vuoto riempito da una moglie e da un figlio.
E un
poco il loro calore lo aveva avvolto.
Ma più il
tempo passava, più la stanchezza e la tentazione si facevano forti,
insopportabili.
E piano
piano, quasi senza accorgersene, aveva cominciato a voltarsi verso il buio dei
rami, socchiudendo gli occhi per vedervi attraverso, ma scorgendo solo il
bagliore soffuso di un fuoco dalle fiamme dorate.
Alla
fine, però, guardare non gli era più bastato.
Allora
alcune volte si alzava e rimaneva fermo, altre si avvicinava un poco al
limitare della foresta, ma non appena provava ad entrarvi la mano della moglie
e le dita del bambino tornavano a trascinarlo a sedere.
A
costringerlo verso quel calore che era divenuto freddo e quasi vuoto.
Ma ora
li aveva lasciati, tutti e due, e loro non avevano fatto nulla per fermarlo.
Li
aveva baciati sulla fronte e lasciato al figlio ogni suo ricordo, ogni suo
respiro.
E poi
era entrato.
Senza
luce, senza guida.
Ma era
entrato.
E non
poteva più tornare indietro.
Eppure
non si sentiva perso.
Avanzava
svelto e ad ogni passo sentiva gli anni scivolare via dal suo corpo, la
giovinezza posarsi come un manto leggero sulle spalle. Una giovinezza eterna
che sapeva di vecchiaia e di riposo.
La luce
del fuoco si stava facendo sempre più vivida, come lo scoppiettare delle fiamme
che lambivano il legno e il canto dolce, profondo, che si levava sempre più in
alto.
Ora,
davanti a sé, aveva solo un ramo.
Gli
sarebbe bastato scostarlo, un gesto semplice, ma definitivo.
Si
voltò lentamente e fissò lo sguardo negli occhi scuri del giovane che lo aveva
seguito come un’ombra, scorgendo e facendo sue ad ogni passo tutte le proprie esperienze
passate, tutte le emozioni, tutte le risate e l’amarezza.
Gliele
aveva donate con gioia, senza rimpianto.
Mentre
lui l’abbandonava, il giovane aveva accolto in sé la vita di entrambi.
Chinò
il capo verso l’ombra, che rispose chiudendo gli occhi e soffocando un
singhiozzo.
Gli
mise le mani sulle spalle e gli sorrise.
Il
giovane fece per abbracciarlo, ma lui non aveva più un corpo che potesse
accogliere quel gesto.
Gli
lasciò andare le spalle e si allontanò lentamente, senza smettere di guardarlo.
Poi
alzò la mano destra e sorrise.
-Lunga
Vita e Prosperità, figlio mio-
Avvertì il muro dietro la schiena,
gelido contro la divisa sudata.
Si lasciò scivolare contro la parete,
gli occhi sbarrati, la bocca aperta e le lacrime che solcavano silenziose il
viso pallido.
Trattenne a stento un singhiozzo prima
di portarsi le mani alla testa e affondare le dita fra i capelli, tirandoli
fino a sentire la pelle bruciare, serrando le palpebre e mordendosi le labbra
per non urlare.
Ma anche nel buio poteva vedere
immagini e suoni e odori e colori rincorrersi, intrecciarsi, fondersi, fino a
diventare una piccola sfera lucida, di cristallo lucente.
I ricordi la riempivano e palpitavano
al suo interno, racchiusi in uno scrigno d’ombra che avrebbe conservato
gelosamente in un angolo non illuminato della sua memoria.
Come lui gli aveva chiesto senza parlare.
Come lui gli aveva chiesto prima di..
Le sensazioni estranee stavano già
filtrando dalla loro gabbia, intrecciandosi alle sue, mettendo radici nel suo
animo e trasferendovi la loro forza, la loro debolezza, il loro dolore, la loro
gioia.
Il suo corpo venne scosso da un
singhiozzo strozzato, mentre raccoglieva le gambe al petto e le circondava con
le braccia, come da bambino; poggiò la fronte sulle ginocchia, continuando a
piangere, strappando a se stesso respiri e ansimi, con le lacrime che
continuavano a cadere, bollenti, dagli occhi chiusi.
Immagini di luoghi e persone
conosciute solamente attraverso storie e racconti lampeggiavano nella sua
mente, come il palpito di un cuore che, almeno dentro di lui, non avrebbe mai
cessato di battere.
Alzò il viso fino a sentire la nuca
poggiare contro il muro e urlò, urlò con tutta la rabbia e il dolore che aveva
in corpo, un suono inarticolato e straziante strappato di forza dalla gola
infiammata dalle lacrime e dai singhiozzi.
Non voleva credere a quello che era
successo, non era pronto!
Non voleva soffrire così, non era
giusto!
Non voleva dirgli addio, non era
preparato!
Gridò ancora, e ancora e ancora,
allontanando con occhi folli e rossi di lacrime tutti coloro che cercavano di
aiutarlo; agitava la mano con violenza, continuando ad urlare, mostrando i
denti come una belva impazzita.
Emise un gemito strozzato e si alzò,
incerto sulle gambe, per poi cadere in ginocchio in un istante dopo, colpendo
il pavimento coi pugni, quasi godendo del dolore alle dita e osservando le
lacrime infrangersi a terra come gocce di pioggia.
Smise di agitare i pugni e si
raggomitolò su stesso, la fronte bollente contro il freddo pavimento, senza
smettere di piangere.
Perché, perché?
Perché?
Due mani fresche gli si appoggiarono
con dolcezza sulle spalle e lo costrinsero delicatamente ad alzare il viso.
-Sarek? Che succede?- gli occhi
ambrati del Comandante Inep erano colmi di confusione, ma una macchia di
consapevolezza stava già incupendo il suo sguardo brillante.
A quella domanda tutto il peso di
quello che era successo si abbatté con violenza contro di lui, facendolo
gridare di nuovo, incapace di parlare, di rispondere.
-Sarek!- la donna lo scosse, la voce
incrinata.
-Mio padre!- urlò fra le lacrime
incandescenti e i singhiozzi laceranti –Spock! L’Ambasciatore!-
Quando
scostò il ramo, per un attimo la luce del fuoco lo abbagliò.
Si
coprì viso con il braccio, per poi abbassarlo e fissare con un sorriso le due
persone che lo osservavano con interesse, comodamente sedute davanti ad un falò.
-Signori,
perdonate il ritardo. Non è mia abitudine- si scusò, avvicinandosi lentamente,
con le mani intrecciate dietro la schiena.
-Se
solo ti fossi presentato prima- sbottò un sempre burbero McCoy alzando un
sopracciglio e accompagnando la frase con un gesto eloquente del braccio –Ti
avrei rispedito indietro a calci, diavolo dal sangue verde-
-Suvvia,
Bones!- lo raddolcì un giovane James Kirk sorridendo –Sappiamo che sei contento
di vederlo, è inutile che lo nascondi-
-Sì,
dottore, il suo comportamento è alquanto illogico-
Il
medico sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
Sarebbe
quasi potuto sembrare infastidito se non fosse stato per la piega sorridente
delle labbra.
-Forza,
vieni a sederti- Kirk gli fece cenno di avvicinarsi, ma lui rimase ancora
fermo, in piedi, lo sguardo che vagava per il cerchio delimitato dagli alti
cipressi e illuminato dal bagliore del fuoco.
Avvertiva
una presenza fra gli arbusti, l’ombra selvaggia di un gatto dai capelli chiari,
lo spirito di un passato che lo aveva reso impulsivo, ma libero.
La
sensazione di dolci labbra contro le proprie, e sospiri, ansimi, nel calore di
una grotta frustata da un vento gelido.
-Gli
altri sono qui, non preoccuparti- lo rassicurò Jim, vedendo la sua espressione
–Sulu e Chekov sono andati a cercare della legna per il falò, mentre Uhura si è
allontanata un attimo insieme alla Chapel e Scotty, mentre ti aspettavano. Tuo
padre e tua madre, invece..bhè, credo che abbiano molte cose di cui parlare.
-Ah!-
Kirk si batté una mano sulla fronte -Uhura mi ha espressamente raccomandato di
ordinarti di scaldarti la voce, perché è da troppo tempo che non canta più
accompagnata da te- e nel finire la frase il Capitano prese la lira vulcaniana
posata contro il ceppo su cui era seduto e gliela mostrò con fare allusivo.
Lui
sorrise e chinò il capo, prima di andarsi a sedere accanto a Jim e prendere lo
strumento fra le mani.
-Allora-
cominciò McCoy fissandolo con interesse –E’ anche venuto il momento di parlare
di filosofia, vita.. morte..vita.. mi sembra. Dopotutto, ora lo abbiamo quel
famoso “comune presupposto di riferimento” di cui parlavi anni fa-
-Credo
che ci sarà tutto il tempo che vogliamo, dottore- rispose gentilmente, con un
largo sorriso.
Jim
rise, gettando la testa all’indietro.
-Hai
ragione! Ora abbiamo davvero tutto il tempo che vogliamo, Spock!-
Il Comandante Inep lo abbracciò,
posandogli il viso sulla nuca e stringendolo forte.
Sarek continuò a piangere contro il
petto della donna, mentre dietro di loro gli altri ufficiali e il Capitano si
scambiavano sguardi afflitti, gli occhi resi lucidi dalle lacrime.
Il silenzio calò gelido sulla Atropos.
Ma nella
foresta tre uomini cominciarono a cantare, avvolti dal calore del fuoco.
-Row, row, row your boat..-
-Gently dawn the stream..-
- Merrily, merrily, merrily, merrily..-
-Life is all but a dream-
Atropo:
La
Moira che tagliava il filo della vita.
Caronte:
il
Traghettatore dei Morti
Inep
(nome egizio di Anubi): il Dio della Mummificazione
Odino: il Signore dei Morti
nella mitologia vichinga.