Rainy Day
Scroscia.
Che rumore fastidioso. Che parola buffa
scroscia!
“Scroscia,
scroscia, scroscia, scroscia, scroscia, scroscia, scroscia …” canticchio fra me. “ scroscia, scroscia, scrioscia, scroccia …” mi
blocco, mi si è attorcigliata la lingua. Che scioglilingua difficile ripeterlo
così veloce! Mamma mi sorride, lo vedo dallo specchietto. Deve aver capito mi
annoio. Non mi piace stare seduta così tanto. Sorrido anch’io e torno a
guardare fuori dal finestrino.
C’è un
bel calduccio dentro, ma guardare attraverso il vetro appannato mi fa sentire
freddo. Tutto è grigio e bagnato quando piove. Tutti quei bei colori si
spengono e le luci s’incupiscono. Il rosso del mio cappotto non è acceso come il
solito e i miei capelli sono umidi. Non li tocco, resistendo alla tentazione.
Ci gioco sempre con i miei riccioli quando mi annoio, ma meglio smettere di tormentarli
per oggi. Mamma è stata parecchio per sistemarli e farmi carina, non voglio
apparire in disordine rovinando il suo lavoro. Ci tengo a fare bella
impressione oggi. Mi annoio ancora però.
Guardo i
piedi che non riesco ancora a posare sul tappetino. La cintura mi tiene la
schiena contro la pelle del sedile e non posso toglierla, anche se mi da
fastidio e mi impedisce il movimento. Mamma dice è pericoloso senza cintura.
Sbatto i tacchi delle scarpette rosse che mi ha comprato per l’occasione. Sono
belle anche se non tanto comode, ma con la calzamaglia bianca non fanno male.
Il prurito è insopportabile però!
Non
riesco a non smettere di grattarmi, ma devo stare attenta a non romperle. Non
sarei carina così. Non riesco a grattarmi bene con i guanti. Li tolgo e finalmente
il fastidio finisce, almeno per ora sembra passato.
Fa caldo.
Ora le guance mi scottano. Meglio mi tolga il cappello, non voglio sudare. Spero
di non essermi spettinata però. Lo appoggio con i guanti sul sedile e mi rigiro
verso il finestrino. Mi annoio ancora.
Ci siamo
fermati. La luce del semaforo deve essere rossa. La cosa bella dell’inverno è
che puoi disegnare con le dita sui vetri. Senza guanti posso sbizzarrirmi: una
linea così; due quasi cerchi di qua e dall’altra parte. Ecco una farfalla. Poi perché
non fare un bel sole in una giornata dove non si vede? Una nuvola magari, ma
solo una o lo copre. C’è già abbastanza
pioggia. Poi tanti fiori che mi piacciono tanto: tanti cerchi. Li colorerei se potessi,
ma mi limito ad annerire i petali.
La
macchina parte e le luci tornano a muoversi. Ho riempito il vetro e non posso più
disegnarci. Che noia!
“Mamma,
quanto manca?”
Non
posso incrociarne lo sguardo: i sedili anteriori ci dividono e lei è
concentrata sulla strada.
“Non
molto tesoro.”
Sbuffo
senza accorgermene, sollevando la frangetta sbarazzina che mi ricade subito
sugli occhi. Incasso la testa nelle spalle, iniziando a giocherellare con le
dita. Non è una bella giornata, ma non m’importa tanto. Non so come sentirmi
oggi. Vorrei arrivare presto o non arrivare affatto.
Stringo
le gambe: inizio a sentire il bisogno di fare pipì. L’ho fatta prima di
partire, ma quando sono nervosa o emozionata è sempre la stessa storia.
“Mamma,
mi scappa.”
Mamma mi
sbircia dallo specchietto retrovisore. Gli occhi della mia mamma sono bellissimi
e tanto buoni.
Le
voglio tanto bene.
“Riesci
a trattenerla per cinque minuti? Manca poco amore.”
“Ci
provo.”
Stringo di
più le gambe. Se solo avessi qualcosa da fare non sarebbe tanto difficile non
pensarci. Mi rimetto i guanti e il cappello per tenermi occupata. Controllo le
calze, le scarpe e se il cappottino ha i bottoni al posto giusto. Manca poco!
Sento il
cuore che comincia a battere più forte e sento caldo di nuovo. Incrocio le dita
fra loro e appoggio le mani sulla pancia. Inizia a farmi male.
Sento la
macchina fare strani rumori. Rallenta e gira a destra in un parcheggio pieno di
belle automobili.
Siamo
arrivati. Respiro profondamente, mentre mamma spegne il motore. Sto per
incontrarlo!
Sono
così impaziente e distratta che non mi accorgo neanche di mamma. È scesa e sta
venendo a prendermi con l’ombrello aperto. Mi rendo conto di dovermi slacciare
la cintura solo quando mi apre la portiera e m’invita a scendere.
Salto
fuori dalla macchina e stranamente non le chiedo di poterla chiudere. Mi piace
schiacciare i pulsanti sulla chiave, ma non ne ho voglia oggi. Ho altro per la
testa.
Tenendomi
la mano entriamo nel ristorante. Mamma appoggia l’ombrello, dove altri stanno
gocciolando. Anche lei è elegante stasera. Mi tolgo il cappello e lei
prontamente mi sistema i ciuffi ribelli. Mi da fastidio, ma è necessario.
Diamo i
cappotti a uno che ce li ha chiesti. Nessuno mi aveva mai fatto una domanda
tanto strana. Mamma mi ha detto che in quel ristorante i camerieri ti appendono
i cappotti e ti fanno sedere. Non ne vedo il senso, io so sedermi da sola.
Parliamo con una donna che sorride in continuazione. Sembra la mia barbie,
quella a cui ho tagliato i capelli. Ci dice che siamo sulla lista e ci portano
al tavolo col nostro numero. Come la fanno complicata gli adulti per cenare.
Passiamo davanti al carrello dei dolci e mi si accende la fame. Che strano, la
voglia di andare al bagno è passata …
Il
cameriere ci indica il tavolo. Lui già ci aspetta. Si alza. Io non riesco ad
avanzare e mi nascondo dietro le gambe della mamma. Ho paura. Mamma dice al
cameriere che può andare, mentre quel signore si alza e viene da noi. Ho voglia
di scappare, ma non ci riesco. Sono molto curiosa di vederlo da vicino.
Chiudo
gli occhi, mentre sento la mamma che mi spinge un pochino e cerca di farmi
coraggio.
E se non
gli piacessi? E se non mi piacesse?
Non ho
tempo di pensare ad altro. Me lo ritrovo chinato e di fronte a me. Non so perché,
ma allento la presa su mamma e lei riesce a spostarsi dietro di me, senza che
me ne accorga. Che bel signore. È bello quasi quanto la mamma. Non lascio
ancora la sua mano: non sono pronta.
“Ciao, Rin.”
Ha una
bella voce e un bel sorriso. Non rispondo.
“Avanti
tesoro. Saluta.”
Obbedisco
a mamma, ma il mio bisbiglio è così basso che non so se mi ha sentito. Muovo
nervosamente i piedi e mi mordicchio il labbro. Non so come comportarmi con
lui. Non ho mai dovuto pensarci prima. Eravamo solo io e mamma e mi bastava.
“Sai chi
sono io?” me lo chiede gentilmente. “Mi chiamo Sesshomaru.”
Lo
sapevo. Mamma me lo aveva detto.
Mi aveva
parlato molto di lui prima di farmelo conoscere, mi aveva raccontato ero molto
piccola quando se ne era andato negli Stati Uniti. Contribuiva al mio
mantenimento, ma non era parte della mia vita. Lo capivo da sola. Ma ora …
“Lo so.
Papà.” sorrido. Che strano dire quella parola. È la prima volta che chiamo
qualcuno così.
Ho voglia
di staccarmi da mamma. Che lo abbia capito?
“Vieni
qui.”
Apre le
braccia. Che voglia che … ?
Rido e
mi fiondo. Com’è diverso il petto di papà: è meno morbido di quello di mamma,
ma mi piace. Credevo di non avere un papà, ma mi sbagliavo. Ha un buon profumo.
Sono contenta.
Ci
stacchiamo e lo guardo. Ci guardiamo e poi incrociamo lo sguardo di mamma.
La mia
mamma e il mio papà …
Non importa
se sono divorziati e non vivono assieme. Finalmente ho due genitori. Almeno so
di averli …
Angolino Autrice: saluti e
chiarimenti
Piccola
one-shot che vuole far sorridere. Non narra molto, ma un piccolissimo episodio
visto con gli occhi di una bambina. Volevo trasmettere l’immagine del rapporto
che ho io di Rin e Sesshomaru, coppia molto gettonata nel fandom. Spero abbiate
gradito.
Porgo
ringraziamenti anticipati a chi avrà la gentilezza di leggere e recensire
questa storia. Grazie.
KissKiss KiraKira90