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Autore: Botan    12/04/2010    2 recensioni
Tutte le ragazze predestinate come me, convivono sapendo che un domani non ci saranno. Perché il nostro destino è non avere futuro. Ma io non volevo più essere una fanciulla delle corde. L’ennesima. Volevo solo che qualcuno mi slegasse. Ciò che desideravo, era solo restare con lui.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo guardavo da quella finestra mentre passeggiava in giardino, con la brezza che lasciava scivolare giù dai rami degli alberi una cascata di petali rosa confetto

                                                          Volevo solo vivere

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo guardavo da quella finestra mentre passeggiava in giardino, con la brezza che lasciava scivolare giù dai rami degli alberi una cascata di petali rosa confetto. Il suo viso bianco e fresco, che sapeva di vita, mi incuriosiva molto. Sembrava una persona gentile, calma e ben educata. Non avevo ancora potuto guardarlo bene negli occhi, ma quando ciò avvenne, scoprii il significato della parola “dolcezza”.

Non avrei mai dovuto lasciare che quello sconosciuto mi guardasse in viso, benché io lo stessi spiando di nascosto, fu un avvenimento fortuito, che neppure riuscii a prevedere.

 

Perché il mio volto aveva iniziato a scottare?

Mi posai le mani sulle guance.

 

Subito dopo mi resi conto che c’era dell’altro.

 

Perché il mio cuore stava battendo così forte?

Mi posai le mani sul petto.

 

Non avevo mai provato una cosa simile. Tant’è che io stessa non riuscivo a dare un titolo a quella strana sensazione. Il prete che mi teneva sotto sorveglianza mi avrebbe di sicuro sgridata. Eppure io non avevo fatto niente di male, ma in realtà anche spiare di nascosto quel giovane sconosciuto non mi era consentito.

 

Mi dissero che per un po’ di tempo non dovevo più guardare dalla finestra.

Ubbidii.

 

E poi, inaspettatamente, un giorno lui venne a farmi visita. Fu per me quella che le persone normali chiamano “sorpresa”.

Passeggiamo a lungo nel cortile del palazzo, e parlammo di tante cose. Mi insegnò i nomi di ogni fiore, e lo fece con pazienza, benevolenza.

Per lui ero buffa. Non sapevo niente, o quasi, del mondo che mi stava attorno. Avevo bisogno di essere guidata, proprio come una bambina, di essere presa per mano, e lui lo fece. Quando le sue dita s’intrecciarono con le mie, mi sembrò di ritornare in vita. Era da tempo, ormai, che nessuno mi toccava più le mani. Erano anni, ormai, che nessuno più aveva l’ardire di sfiorarmi anche solo con la punta di un dito. Temevano di trasmettermi, come la chiamavano loro, la “voglia di vivere”, mentre io dovevo rinunciare a questo mondo e non avere più legami con nessuno.

Tra un pensiero e l’altro ritornai in me, ricordandomi amaramente di essere una fanciulla delle corde. Ritirai la mano, lui mi guardò con curiosità soltanto, ma garbatamente non aggiunse altro.

 

 

Mi ero innamorata.

Ecco cos’era quella strana sensazione.

Ma io non potevo farlo. Dovevo adempiere al mio dovere.

Mi avevano insegnato fin da piccola a non amare mai nessuno. Però nessuno mi aveva spiegato come scacciare l’amore se io mi fossi veramente innamorata di qualcuno.

 

 

Successe ancora. Un’altra volta ci incontrammo. Mi portò in cortile, dopo essere venuto nella mia cella, e lì parlammo ancora. Stavolta i fiori non centravano nei nostri discorsi.

Mi lasciai sfuggire qualcosa, riguardo al mio compito, e lui si rattristò. Forse aveva già capito tutto.

Mi abbracciò, mi strinse così forte che per un attimo desiderai di vivere.

 

Già, perché io non lo avevo mai desiderato prima d’ora.

Può una persona scegliere di non avere desideri?

Può una persona scegliere di non vivere nonostante essa sia ancora in vita?

Me lo sono chiesto tante volte. Ma non riuscivo a darmi una risposta.

 

Prima di incontrare lui, io questo non lo sapevo.

Prima di incontrarlo ero vuota.

Ero solo una figura di carne a cui le ancelle facevano indossare tutti i giorni un kimono bianco.

Nulla più.

In verità, non mi sentivo neppure di essere una persona. Ero come un grande oggetto ornamentale che guarniva quella cella.

Non mi era consentivo fare nulla, nella mia esistenza c’era una lunga scia di obblighi, regole e divieti da rispettare solennemente.

Mi sentivo legata, benché io non avessi corde indosso. Eppure io appartenevo oramai a loro.

Innegabilmente.

Ed innegabilmente, ancora corde attorno ai miei polsi. Tutto il giorno. Mi esercitavo a non sentirne il peso, per ore ed ore. Seduta a fissare il nulla da dietro a quella frangia che spesso mi accecava gli occhi. Così li abbassavo, li chiudevo per non sentire più dolore. Isolata da ogni cosa, con essi anche il mio cuore si chiudeva. 

Non ho mai pianto una volta. Non potevo farlo, per il rituale era sinonimo di debolezza.

Non ho mai detto basta o chiesto di essere slegata anche solo per distendere le gambe. Loro non avrebbero mai acconsentito perché presagio di sventura. 

E quando una volta ebbi la dabbenaggine di sorridere ad una delle ancelle che veniva a porgermi il pranzo, fui severamente richiamata. Così, da quell’istante smisi di farlo.

 

Ho vissuto a lungo con una vita che non era più la mia. Una vita che non mi apparteneva.

 

Ma da quando cominciai a desiderare qualcosa, tutto cambiò improvvisamente.

Dapprima in bene.

Poi in male.

 

Non avevo mai pensato di incontrare qualcuno che mi avrebbe distolto dall’unico scopo a cui ero indissolubilmente legata.

Lui non mi trattava come una reliquia umana il cui corpo nudo veniva fasciato ogni mattina da vesti bianche come il latte.

Per quello straniero io ero una persona.

Una ragazza.

Sì, lui mi fece sentire come una ragazza che poteva avere la sua volontà, i suoi sogni, le sue speranze.

E furono proprio queste ultime che mi fecero desiderare con entusiasmo di restare in vita.

Per lui.

Per vederlo ancora sorridere.

Per sentirlo ancora chiamare il mio nome.

 

 

Quel desiderio fu la rovina di ogni cosa.

 

 

Non lo rividi più da quel giorno.

I preti mi dissero che era dovuto partire.

Ma il suono delle loro voci mi fece male al cuore.

 

Non mi aveva neppure salutato. Forse non ne aveva avuto il tempo.

Però una persona con quel sorriso così gentile, penso che lo avrebbe trovato.

Eppure io mi tormentavo in ogni istante della giornata, mille perché affollavano la mia mente, cento ricordi riempivano le mie ore passate chiuse in quella cella buia e lignea.

Pensavo a lui, a quello straniero. Provavo rammarico, forse rabbia verso me stessa. E quando cercai di rimembrare il giorno in cui lo vidi per la prima volta nel giardino, bagnato da quella cascata di petali rosa, il dolore al petto aumentò a dismisura, e quei pensieri mi arrecarono dolore. Nient’altro che dolore.
Forse aldilà delle mura di palazzo Himuro, quello straniero aveva una famiglia a cui volere bene. Perché mai avrebbe dovuto perdere tempo con una persona che presto non ci sarebbe stata più? Con me, una fanciulla sacrificale.

Una delle tante.

 

L’ennesima sacerdotessa delle corde che futuro davanti a sé non ha.

 

Sì, perché quando una di noi nasce, sa che la sua permanenza su questa terra non sarà lunga.

Tutte le ragazze predestinate come me, convivono sapendo che un domani non ci saranno.

Perché il nostro destino è non avere futuro.

Viviamo nel passato, legate a quei ricordi che ci fanno compagnia quando ci sentiamo più sole che mai, e poi continuiamo ad esistere nel presente.

Ma nessuna di noi potrà mai immaginarsi come sarà il futuro.

Perché esso non ci sarà.

 

Io avrei voluto però averne uno. Non desideravo altro.

 

Forse, quello straniero era andato via perché i preti avevano intuito qualcosa.

Per il mio bene, anzi, per il bene della cerimonia stessa, lo avevano allontanato da palazzo.

Da me.

Dalle mie mani che non smettevo mai di fissare nelle ore morte della giornata, quando il suo ricordo più profondo mi assaliva all’improvviso.

Spesso ho desiderato che lui me le stringesse ancora, come quella volta. La prima ed unica volta.
Ma sapevo di dovermi assoggettare al volere della rassegnazione. Perché non l’avrei più rivisto. E c’era qualcosa in me che mi faceva credere a ciò.  

 

 

 

 

Scoprii la verità una settimana dopo.

 

 

 

 

Credetti di impazzire.

 

 

 

 

Mi assalì una voglia incontrollabile di urlare.

Ma dovetti contenere in me quelle grida.

Tutto quel male, tutto quel dolore. Sempre e solo dolore.

E consumata da esso giorno dopo giorno, aspettai in silenzio. Muta come non lo ero mai stata in tutta la mia non vita.

 

 

 

Il rituale si sarebbe compiuto molto presto.

Ma io non volevo più essere una fanciulla delle corde. L’ennesima.

Volevo solo che qualcuno mi slegasse.

Tuttavia al tempo stesso pretendevo di adempiere al mio dovere perché questo era il mio compito. O forse, il mio era più un volere vincolato, quello di portare a termine il rituale.

Eppure…

 

Ciò che desideravo, era solo restare con lui.

 

Chiedevo solo di vederlo ancora una volta. Una soltanto.

Forse in questo modo sarei riuscita a placare il mio animo inquieto e a rinunciare alla mia vita.

Anche se, oramai, grazie a lui non volevo più morire.

 

 

 

 

 

Ho imparato in pochi attimi il significato di parole come amore, gioia e libertà.

Cose che comunemente si cominciano a conoscere fin da bambini.

Avrei potuto riversare questi sentimenti alle persone che mi avevano in qualche modo voluto bene.

Un bene strano agli occhi degli altri, ma per me, che non avevo mai ricevuto affetto da nessuno, era pur sempre bene.
Non me ne hanno dato la possibilità.

Non hanno accolto la mia richiesta. Hanno tutti finto di non sentire.  

Ed ora loro proveranno quello che ho provato io in tutti questi anni.

 

Non avranno neppure il tempo di gemere, perché facendo ciò, da me non otterranno nient’altro che dolore.

 

Perché io volevo essere salvata, e non sacrificata.

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                                                    Fine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Kirie.

Solo e semplicemente Kirie. Senza dubbio la mia sacerdotessa preferita.

Cosa aggiungere? Purtroppo questo è uno dei personaggi meno amati della saga. Sono in molti a preferire Sae e Reika. Soprattutto la prima. Niente in contrario… Però, a storia di Kirie è stata quella che mi ha fatto provare più dolore delle altre.

Il motivo è uno soltanto: quando lei dice “I don’t want to die!” in una scena dell’ultimo capitolo che si chiama proprio come lei. Ebbene, Kirie a differenza delle altre due, non voleva morire. E ce lo ha comunicato con la sua stessa voce, e fatto capire più volte.

Nel secondo capitolo, Sae si vedeva chiaramente che voleva diventare un tutt’uno con la sorella, mentre nel terzo, Reika non aveva fatto granché per opporsi al rituale. Sembrano in un certo senso entrambe consenzienti, anche se la cosa ovviamente le spaventa, però dentro di loro sentono che va bene così.

Kirie al contrario è l’unica che fa del tutto per opporsi. Piange, cerca di dimenarsi, e soprattutto durante il rito la si vede soffrire fisicamente più delle altre, proprio perché non preparata a ciò.

A me fanno rabbia i preti che, nonostante lo sapessero, hanno voluto lo stesso sacrificarla, giusto per fare un tentativo. Ma come si può costringere una persona a morire in quel modo, quando sai che ella ha cambiato idea e desidera vivere?

E poi ciò che hanno fatto a quello straniero, è orribile. Se penso a quanto lei abbia sofferto in completa solitudine, dopo aver scoperto la verità, mi sale l’amaro in bocca.

Tutto ciò che voleva, era solo restare con lui. Lei dice che voleva rivederlo ancora una volta. Una banalissima richiesta, ma purtroppo sappiamo tutti com’è andata.

Penso che Kirie sia, tra le tre sacerdotesse (evito di menzionare la quarta, dato che non la conosco come le altre), la più “umana”, quella che ha mantenuto una lucidità mentale maggiormente elevata. Quella che a differenza di Sae e Reika, è stata uccisa non da un rituale, ma dalle persone che ne facevano parte.

Tuttavia, ciascuna di loro ha una particolarità diversa che le rende uniche agli occhi di ognuno di noi. E, nel mio caso, Kirie lo è per me perché è stata quella che mi ha fatto sentire dentro più emozioni.

Ho creato questa fanfic per darle maggiore luce. Se lo merita.

Spero di aver fatto un lavoro decente, ma soprattutto spero vivamente di aver ricostruito al meglio la sua “non vita” da ragazza che voleva essere salvata e non sacrificata.

 

Grazie come sempre a tutti coloro che recensiranno la storia! Ogni commento sarà più che gradito perché mi darete l’opportunità di conoscere persone che stimano Kirie come me!

 

Un forte abbraccio a tutti voi!

Niko niko,

Botan

 

   
 
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