Anime & Manga > Gundam > Gundam SEED/SEED Destiny
Ricorda la storia  |      
Autore: Tynuccia    14/04/2010    3 recensioni
[Gundam SEED Destiny] Non aveva mai ambito tanto tornare nel suo appartamento come in quei giorni.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Yzak Joule
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Abitudini

 

*

 

 “Va via presto, Comandante Joule,” notò la guardia, scattando sull’attenti. “Sono già alcune settimane che lo fa, posso permettermi una domanda?”

Yzak mise sul bancone il suo cartellino perché l’altro lo scannerizzasse ed annuì silenziosamente. Quel soldato panciuto aveva sempre svolto il suo lavoro in maniera eccellente, la sua curiosità era giustificata e molto più degna di risposta rispetto alle giulive domande delle cameriere della mensa.

 “Ha problemi a casa?” azzardò l’uomo, mentre inseriva le generalità del suo superiore nel computer, insieme all’orario di uscita. “Sua madre sta bene?”

L’albino strinse la presa attorno alla sua ventiquattro ore e scosse piano il capo, la mente che galoppava verso l’ex-Consigliere Joule.

 “Arrestata, ma felice come una Pasqua,” lo informò con una scrollata di spalle. Infilò le mani in tasca ed estrasse le chiavi della sua automobile. “Sa come sono fatte le donne.”

A quest’ultimo commento la guardia scoppiò in una fragorosa risata e gli tese nuovamente il cartellino, stupito dalla spiccia ironia del giovane. Prima che potesse indagare oltre lo vide appoggiarsi al bancone, in maniera quasi confidenziale.

 “Ho solo bisogno di riposo. Le trattative di pace con quelli dell’Alleanza mi stanno soffocando,” spiegò velocemente. “A domani.”

Yzak lo guardò scattare ancora sull’attenti ed uscì dall’edificio. Camminò tranquillamente fino alla macchina, entrandoci ed accendendola. Ascoltò il rombo del motore e, prima di cominciare a guidare, sintonizzò la radio su una frequenza a caso ed alcune note tranquille riempirono la vettura.

 Si concentrò sulla strada, stupendosi come sempre di quanto più complicato fosse guidare un’auto sportiva rispetto a pilotare un Mobile Suit.

Ormai il cielo era quasi completamente scuro ed i lampioni ai lati della strada illuminavano la via verso il suo appartamento.

 Sgranò gli occhi e con un piccolo sorriso scosse rapidamente il capo. Il suo appartamento… Non aveva mai ambito tanto tornarci come in quei giorni.

Continuò a guidare, canticchiando distrattamente le canzoni trasmesse, grato al destino che quel giorno nessuno aveva chiesto se per caso lui fosse al corrente di cosa stesse facendo Shiho Hahnenfuß dopo essersi licenziata dall’esercito.

 Si voltò e lanciò una veloce occhiata al sedile alla sua sinistra, ricordando perfettamente quella sera, un mese prima circa, in cui tutto era cominciato, nonostante pochi minuti prima che lei salisse in macchina era convinto che sarebbe stata la fine di loro due. Se un loro due fosse mai esistito, comunque.

Si passò una mano nei capelli chiari mentre spegneva il motore ed usciva, investito dal vento freddo della sera che soffiava dal mare. Strinse il colletto del suo cappotto contro la pelle e corse in casa, riparandosi nell’ascensore dopo aver salutato con un cenno il portiere. Alzò il dito e schiacciò il pulsante del quinto piano, per poi appoggiarsi allo specchio con le braccia incrociate.

 “Vieni, ti porto io a casa. Dove abiti?”

 “… signore, non so se glielo dovrei dire. E poi posso andare in taxi.”

 “Shiho Hahnenfuß, anche se non sei più un soldato vorrei comunque farti quest’ultima gentilezza.”

Sospirò, stropicciandosi gli occhi stanchi mentre le sue parole ancora gli rimbombavano in testa, il suo sguardo mortificato che vagava in ogni direzione, cercando di evitare il suo. Alla fine gli aveva confessato che aveva sempre vissuto negli appartamenti residenziali dei soldati di ZAFT e che la sua vera casa era su Januarius. Colonia distrutta da quelli dell’EAF durante le ultime fasi della guerra.

 “In questi ultimi giorni mi sono presa una camera d’albergo in periferia. Fino a quando non avrò trovato una sistemazione migliore. E un lavoro.”

 “E ancora mi devi spiegare perché hai lasciato il tuo posto.”

 “Non mi è mai piaciuto combattere.”

Spinse la porta dell’ascensore con una spallata e prese le chiavi del suo appartamento, aprendolo. Sentì le guance diventargli bollenti quando si schiarì la gola, a disagio.

 “Sono a casa,” annunciò con il cuore che gli martellava nelle orecchie.

  “Signore, cosa sta facendo con la mia valigia?”

 “Chiamami per nome, non sono più il tuo superiore. Comunque questa stanza è squallida, vieni a casa con me. C’è abbastanza spazio per due.”

 “Immagino non sia un ordine.”

 “Neanche per sogno.”

Lei gli aveva sorriso ed aveva accettato, dandogli una mano a radunare i suoi pochi effetti personali e ridendo saltuariamente, incredula, e lui si era sentito di mettere in chiaro il fatto che avrebbe potuto andarsene in ogni istante.

 “Non me lo dire, però. Voglio arrivare e non trovarti più.”

 “Perché?”

 “Farebbe meno male. Fidati.”

Ogni sera, quindi, era un’incognita per lui e non sapeva se l’avrebbe vista lì, come sempre, o se si sarebbe ritrovato solo, immerso nella sua stessa tristezza.

 “Bentornato!”

Alzò di scatto lo sguardo e trattenne un sorriso quando udì la sua voce provenire dalla cucina. Buttò il cappotto e la sciarpa sul divano, insieme alla valigetta, e la raggiunse. Era intenta a preparare la cena, come ogni sera, con il suo grembiule, troppo grande, addosso.

 La guardò girarsi e fissarlo per qualche secondo, indugiando sulla sua uniforme bianca di ZAFT, e poi brandire il mestolo di legno, colmo di salsa scarlatta con qualcosa di verde.

 “Assaggia!” esclamò gioiosamente, correndogli incontro. “Attento che scotta.”

Yzak non riuscì a non sorridere di fronte a tanto entusiasmo e soffiò sul cucchiaio, prima che lei glielo mettesse in bocca.

 “Sii sincero e dimmi cosa ne pensi,” aggiunse Shiho, timidamente. “Se non ti piace possiamo ordinare una pizza.”

L’albino alzò una mano, facendole cenno di aspettare, e deglutì il tutto. Si tolse dagli angoli della bocca della salsa ed annuì.

 “Buono. Cos’è, un altro esperimento dei tuoi?” domandò mentre apriva il frigorifero e si prendeva una bottiglietta d’acqua.

 “Ho visto la ricetta in televisione!” spiegò felice, applaudendo se stessa. “E ho pensato di provarla questa sera stessa visto che non sapevo se saresti tornato presto o meno. Il sugo si può sempre conservare, dopotutto.”

 “Scusa, la prossima volta ti telefono,” promise con un sorriso imbarazzato. “Hai fin troppo tempo da perdere, eh?”

Shiho sospirò e si strinse nelle spalle, buttando la pasta nell’acqua bollente. Gli lanciò un’occhiata in tralice e lo trovò appoggiato al tavolo, intento a fissarla. Aveva scoperto che quello era diventato il suo nuovo hobby, ma lei non se ne lamentava, specie quando sapeva che era fin troppo stressato per avere vent’anni.

 “Com’è andata la giornata?”

 “Un inferno, ovvio,” disse Yzak, andando vicino al fornello e mettendo un dito nel sugo. Se lo infilò in bocca ed esalò un sospiro stanco. “Questa roba è davvero buona. Cos’è?”

 “Pomodori e fave.”

 “Strana accoppiata.”

 “Ce ne sono tante, di coppie bizzarre,” sussurrò Shiho, guardandolo con un sorriso timido. “Io non avrei mai pensato di finire a vivere con il mio comandante, per esempio.”

 “Eravamo… compagni, dopotutto,” borbottò Yzak, avvampando. Le diede le spalle e si guardò il dito, ancora leggermente rosso. “Comunque avremmo dovuto iniziare a trattare con l’Alleanza, e solo dopo con Orb. Il Delegato Athha si è dimostrato in gamba. Tremendamente in gamba. Abbiamo risolto il tutto in neanche una settimana.”

La ragazza annuì e si abbassò per controllare il fornello. Rimase in silenzio fino a quando servì la cena e si accomodò di fronte a lui. Adorava la sua compagnia e il suo invito era giunto come un fulmine a ciel sereno, sebbene per lei, alla fine della guerra, il cielo era tutto tranne che sereno. Senza aggiungere che, vivendoci insieme, aveva conosciuto un Yzak Joule più umano e, se possibile, divertente. Ogni tanto la stupiva con qualche battuta o le portava un mazzo di fiori per ringraziarla della sua dedizione ad una casa che, di fatto e sulla carta, non era neppure sua. In neanche trenta giorni si erano conosciuti più che in quattro anni.

 Come tutte le sere cenarono e trascorsero del tempo facendo le cose più normali che, per due giovani veterani come loro, erano già di per sé il più ambito dei premi, per poi cambiarsi e mettersi a letto. Lo stesso letto. Stesse lenzuola, stessa coperta, stessa stanza.

Tutto era routine, ormai, comprese le braccia dell’altro: tra di loro posizionavano sempre un cuscino extra, per prevenire qualsiasi gesto di cui si sarebbero potuti pentire, ma quella barriera tanto odiata e tanto amata al contempo finiva puntualmente sul pavimento e i due si cercavano fisicamente fino a quando il sonno non li coglieva, gettandoli in un oblìo che si ripresentava al mattino, al suono della sveglia, quando si mettevano a sedere sul materasso e trovavano i loro indumenti sparsi a terra come petali e, spesso e volentieri, dei segni scarlatti sul corpo di entrambi, preferibilmente sul collo di lui e sul petto di lei. Fingevano che non fosse successo nulla e pretendevano di essere semplici amici.

 “Shiho?” la chiamò Yzak, pigramente, mentre lei tornava a sdraiarsi sulla sua porzione di letto per non addormentarsi su di lui. La udì mugugnare qualcosa e sospirò, incrociando le braccia sotto alla nuca. “Ci sono cose a cui potrei abituarmi. O forse già mi ci sono abituato.”

Shiho lo guardò nell’oscurità e dovette combattere contro i suoi stessi movimenti per non alzare una mano ed affondare le dita nei suoi capelli chiari. C’era sempre stata una strana tensione sentimentale tra di loro, anche sulla Voltaire e, prima ancora, sulla Vesalius e, di tanto in tanto, senza grande consapevolezza delle loro azioni, si mettevano a flirtare come due normali adolescenti, senza però mai concludere nulla. Non fino alla prima notte sotto lo stesso tetto, almeno.

 Sulle navi da guerra era un continuo stuzzicarsi con le parole, con il tono di voce, con le dita che scorrevano leziose sul dorso della mano dell’altro, sotto il tavolo, durante le interminabili riunioni con l’equipaggio.

 “Tutti ci abituiamo a qualcosa, Yzak,” mormorò Shiho, chiudendo gli occhi. “Perché me l’hai detto?”

L’albino si strinse nelle spalle e si sdraiò sul fianco, la schiena rivolta alla sua ex-sottoposta.

 “Perché la tua presenza fa parte di questa casa. Non voglio assolutamente perderla.”

Rimasero immersi nel torpore delle coperte e del silenzio per qualche minuto, fino a quando lui sentì le braccia di lei circondargli la vita. Gli comparve un sorriso minuscolo sul viso mentre andava a posizionare le mani su quelle di lei.

 “Non sto neppure cercando un nuovo appartamento,” lo informò Shiho, incapace di trattenere una risatina che contagiò anche il suo ex-superiore.

 Sicuramente si sarebbero abituati anche all’assenza del cuscino tra di loro, la sera dopo.

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Gundam > Gundam SEED/SEED Destiny / Vai alla pagina dell'autore: Tynuccia