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Autore: Cle    15/04/2010    5 recensioni
Credo che il titolo basti a sottolineare la follia di cui è intrisa questa storia gente. Irriverente, ironica, e un po' fuori dalle righe. Dove il narratore onnisciente sbuca fuori quando vuole ad interrompere la sua stessa narrazione, dove Inu-Yasha questa volta si ritrova nel futuro dal passato, dove ci sono personaggi strambi che escono da ogni angolo e dove i colpi di scena non sono mai abbastanza. Orsù dunque, siete ancora là?
Genere: Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Un viaggio nel tempo, la MBT e … quella donna!

 

Potrei dire che è la prima storia che scrivo, ma mentirei perché non è assolutamente così. Diciamo che non ho mai pubblicato perché credo di avere un’autocritica che rasenta letteralmente il suolo. Ho proposto una storia differente, al di fuori dei soliti canoni coi quali vengono narrati gli episodi di Inu-Yasha descritti nel fandom. Perché, perché … vediamo, perché a me piace ritagliare scorci dei personaggi in maniera totalmente fuori dagli schemi in contesti puramente assurdi, o che comunque sfiorano proprio l’illogicità. Spero di divertirvi e soprattutto di regalarvi qualcosa di insolito, premettendo che apprezzo tutti gli scritti (o quasi) presenti nel sito. Ho dato solo un tocco di personalità ai soliti e oramai consunti intrecci di vite alternate universe. Buona lettura gente!

 

 

 

Introduction

 

 

 

 

La luce folgorante dello schermo del computer acceso, all’interno della stanza buia era dannatamente accecante, e per quanto l’indice tentasse con forza di premere il tasto giusto per la regolazione dell’intensità luminosa, l’apparecchio pareva proprio non volerne sapere di respingere i fasci stile messaggi dal futuro.

Lo sentiva, avrebbe dato di matto per non essere riuscito a registrare quel ricordo. Aveva scritto e cancellato quel documento per circa venti minuti buoni, e non solo ci si metteva il nervosismo, dato dal fatto che quel gruppetto di fottutissimi Dei che s’erano divertiti a regalargli un così ben congegnato cavillo sul quale doversi spremere le meningi sino alla nausea, ma anche la beneamata tecnologia che proprio venti minuti prima del novilunio aveva deciso di accecarlo con il led dello schermo, perché il fato voleva così e lui quel giorno non lo avrebbe ricordato.

«Merda!» pronunciò con il tono di chi sapeva già dove dover mettere le mani, ovvero sulle interiora meccaniche del diabolico marchingegno.

«Giuro che se mi fai perdere anche solo altri cinque minuti, ti sventro come un tacchino americano il giorno del ringraziamento» gridò minaccioso, contro l’oggetto inanimato che parve ignorarlo della grossa. Il volto del mezzo demone, sì, proprio uno spirito maligno, di quelli che s’incontrano di tanto in tanto nelle leggende scintoiste o si leggono tra gli agglomerati di polvere nelle biblioteche; si corrucciò in un’espressione che non avrebbe potuto essere più eloquente di quella: mascelle tirate come corde di violino, palpebre spalancate, denti spaventosamente digrignati, e iridi pericolosamente accese in una fiammella di puro e sano istinto omicida. Possibile che la fortuna restava bendata solo quando incontrava lui?

Da cinque anni circa si dilettava nel registrare su quel minuscolo netbook qualsiasi cosa: immagini, discorsi uditi per caso, diatribe col commercialista, fughe pericolose di rabbia, momenti di rara ma intonsa felicità e qualsiasi altro evento, anche idiota, gli succedesse attorno, solo per il semplice fatto di essere stato castigato da padre tempo. Essì, perché il semplice fatto di essere in quel mondo ed in quel tipo di corpo, erano stati un mero errore di battitura voluto dal caso, destino, avversità, malasorte o come si voleva far chiamare quel cavolo di evento. Era nato, od almeno così non ricordava, in un epoca ben diversa, priva di strutture rassomiglianti a grattacieli, love hotel, discoteche, karaoke, night né di ragazzine il cui divertimento più grande consisteva nel truccarsi come l’idol visual kay del momento, o di infarcirsi di cosmetica e vestiari da far accapponare la pelle persino al premio oscar più rinomato sugli effetti speciali. Lui era nato, vissuto e sarebbe dovuto morire circa … , ma, diciamo qualche secolo prima, cifra più cifra meno; ed invece era stato simpaticamente sballottato nel tempo come una marionetta, ritrovandosi a dover fare i conti con una realtà totalmente diversa. Peccato, e bisogna sottolineare, peccato che la sua memoria, durante il passaggio tra i due mondi, avesse subito una specie di black out a detta di molti psicologici, medici, e chi si considerava degno della nomina di professore delle arti del cerebro (incluse le medium); irreversibile. Chi conosce il significato impenetrabile di span(*), saprà sicuramente a cosa si riferisce questa sigla, e fu proprio per quelle quattro semplici lettere, che a loro volta formano una parola, che la storia cominciò a prendere una piega decisamente storta.

Dunque avevamo inquadrato un mezzo demone, proveniente da un’era ignota, seduto su di un letto, dinanzi ad un portatile impegnato a fondersi i neuroni dall’ira, che dei sette capitali rappresenta sicuramente quello più infido. Non avrebbe senso però perdersi in particolari inutili, dopo aver specificato il protagonista e i mali – immancabili – dai quali è afflitto, quindi potremmo anche continuare da dove avevamo interrotto.

«No scusa, dico, hai terminato?» potrei aver giurato di udire uno dei protagonisti narrati rivoltarsi al sacro ruolo del narratore, che avrebbe dovuto rimanere onnisciente, ma che per qualche motivo ha deciso di introdursi nel racconto perché così gli va e così farà sino alla fine.

Dunque, dicevamo …

«Il narratore non dovrebbe essere una figura marginale?» Sì, sarebbe così in un mondo dove riceverei un lauto stipendio e dove non dovrei combattere la calvizie precoce, ma cosa ci vuoi fare tu, che in fondo sei solo il mezzo demone iellato della storia?

«Se hai finito d’infamare potresti, non cortesemente, continuare a raccontare la mia storia?» tutto a tempo debito mio sciagurato Lessie

«Inu-Yasha!» quello che è, sempre cani siete, no? Anche se dovrei protestare al sindacato per quella miseria di stipendio che mi forniscono per dover raccontare quattro favole, andrò avanti, solo perché io sono professionale.

«Eh sì, infatti, per mezzo capitolo abbiamo notato tutti la professionalità» senti Rintintin, qua c’è gente che deve sfamare tre figli più una moglie divorziata, non dormiamo tutti sugli allori come fai tu!

«Infatti dall’incipit s’è visto proprio quante foglie della suddetta pianta troneggino nel mio letto … fa un favore al mondo, spegni il disco e continua a leggere ciò che devi leggere, e basta».

Quando dicono che il cane è il miglior amico dell’uomo, dategli la parola e guardate come ringraziano, non c’è più religione! Continuiamo, comunque, da dove avevamo lasciato …

«Alleluia!» Non dovevi parlare in questa riga, vedi di attenerti al copione mezzo parente di un chiwawa!

«Se continui vedrai dove il chiwawa deciderà di lasciare un ricordino…»

Ignoriamo commenti poco igienici per tornare al punto cardine della questione …

 

Premette così forte i palmi sulle tempie, da immaginare d’aver in qualche modo schiacciato anche le cervella nel gesto. Scosse la testa, rigettando indietro schiena ed arti spalancati sopra il materasso.

«Basta, ci rinuncio!» aveva veramente pronunciato quelle parole? Lui che si arrendeva di fronte ad un mero surrogato della mente umana? Mai!

Si alzò con il chiaro intento di far funzionare quel dannato tasto. Inspirò un paio di volte, alzando ed abbassando le braccia dall’alto verso il basso in una strana pratica di “inspirazione – espirazione” che aveva imparato il giorno prima durante un fastidioso zapping, nel quale, oltre alla consueta telenovela filippina dal funesto titolo : “napakalaki pag-ibig”, si era soffermato sull’ammirare in modo decisamente poco interessato, le tecniche di respirazione del dottor nonmiricordoilnome.

«Io sono la mente, tu sei la macchina, e quindi devi obbedirmi!» se la forza bruta non aveva convinto l’aggeggio, allora ci sarebbe riuscito sicuramente il potere del suo inattaccabile carisma. Si chinò in avanti, prono, avvicinando il volto al netbook per sussurrargli più di una volta la medesima frase per convincere l’oggetto delle sue reali intenzioni. «Vedi di capirla con le buone questa volta» sussurrò pericolosamente, arcuando le sopracciglia nere.

 

 

SLAM

 

La porta della stanza si aprì con ferocia sulla stanza, mentre la luce accesa nel corridoio penetrava violenta al suo interno. Una donna dai capelli disordinati, le labbra piegate in una smorfia piuttosto eloquente e due occhiaie che avrebbero fatto rabbrividire Tutankamon stesso, si palesò sull’uscio inferocita.

«Devo chiedere il permesso a te per poter dormire più di cinque ore?» ringhiò inviperita, muovendosi successivamente a passo vigile verso il mezzo demone per fermarsi al capezzale del letto coi palmi ben piazzati sui fianchi. Avvolta da un alone oscuro, segnale d’avvertimento che la sua pazienza sarebbe durata ancora per pochi minuti.

Inu-Yasha indietreggiò sul materasso carponi, ritrovandosi con i piedi rivolti in direzione della testata del letto. Passarono dieci secondi buoni prima che riuscisse a metabolizzare di chi si trattasse, immersa nel buio, la figura di quella donna diveniva ancora più inquietante, e ci pensò bene prima di scambiarla per un ladro o qualcosa del genere.

«Higurashi» sillabò, prima di tirare un sospiro di sollievo e tornare seduto dinanzi al computer. «Potresti…» cominciò, sventolando la mano perigliosa dinanzi al volto, per poi lanciarle un chiaro segnale di sfida con lo sguardo «bussare prima di entrare in camera di un uomo?» puntualizzò piuttosto contrariato, senza scivolare con lo sguardo sulla tenuta da notte dell’altra che lasciava ben poca immaginazione.

La donna sembrò non voler demordere, avanzando ancora per poggiare un ginocchio sopra il materasso «vedi bene di leggere queste labbra» era giunta l’ora di ricordargli le cosiddette: regole di Kagome per una convivenza pacifica e poco burrascosa, stilate proprio di suo pugno.

«Punto primo: dopo mezzanotte non sono ammessi rumori di alcun genere e natura atti al disturbo della quiete dei coinquilini, soprattutto mia …» sottolineò, prima di continuare «Punto secondo: Non collegare la presa del tuo stupido portatile per più di tre ore, non sguazziamo nel vil denaro, e non possiamo permetterci ulteriori sprechi» mentre stilava il regolamento a memoria, le dita si sollevavano una dopo l’altra, sino a giungere alla terza e più importante direttiva «Punto terzo: non contraddire Kagome Dea tua, all’infuori dell’orario nel quale non può controllare gli spasmi di nervosismo dovuti dall’insonnia, perché potrebbe riportarti laddove ti ha raccolto» concluse con un sorriso, di quelli larghi e sadici, avvicinandosi al volto di lui così tanto che i loro respiri parvero fondersi.

Lui rimase in silenzio per pochi istanti, prima di sospirare e raggiungere la finestra per spalancarla «Ho capito l’antifona, esci di qui prima che ti scaraventi di sotto» volse il capo sopra la spalla, alzando un sopracciglio per rafforzare il suo gesto con le parole, come per dire che se non l’avesse inteso, la finestra era stata aperta proprio per l’intento sopracitato.

La mora scosse il capo freneticamente per poi mostrargli infantilmente la lingua e raggiungere l’entrata della porta. «Signore e signori, sua maestà il barbone ha deliberato» scosse il bacino per poi fermarsi di nuovo e volgersi di nuovo indietro a spostare l’indice sotto l’occhio destro, ad evidenziare con più intensità la pernacchia di poco prima.

«Ah ah ah …» ribatté ironico l’altro «potresti sfondare nel cabaret, ti prenderebbero senz’ombra di dubbio» erano usuali, quasi giornaliere le piccole diatribe tra i due, che si concludevano puntualmente senza vinti né vincitori, e con un immancabile commento finale, solitamente …

«Fumo blu, fumo blu. Una nuvola e dentro tu. E poi, e poi se un uomo sa di fumo. Ma sì, ma sì è veramente un uomo. E ti amerò finché vorrai proprio perché sei così …»

Una vocina stridula, dall’esterno della stanza, comparve come per magia a distruggere l’intermezzo ironico dei due, mentre una testa bionda, dal lato della porta faceva il suo ingresso a passo di danza. Piccola, decisamente bassa, immersa coi piedini da cenerentola nei suoi stivaloni neri che venivano impropriamente utilizzati come pantofole. I capelli cotonati, simili alle acconciature anni ottanta americane, spiccavano al di sopra degli occhi grandi e scuri che ora fissavano la scena divertiti.

«Ta ra ta ta ta ta - ta ra ra ta ta …Un uomo (è un uomo) quando sa (di fumo) ra ta ta, e un bacio vale dieci da-to da te!

» fece una piroetta in mezzo al corridoio, fermandosi di spalle per abbracciarsi e far correre entrambi i palmi lungo la schiena come se ci fosse qualcuno dall’altra parte che la stesse stringendo con passione inaudita. «Fumo blu, fumo blu!

» Lei era quella che più propriamente veniva definita una buffa e pittoresca concezione di essere umano. Era strana, decisamente. Comunicava per lo più tramite canzoni occidentali, orientalizzate dal timbro vocale che oramai aveva preso l’accento giapponese da tempo.

Il mezzo demone e l’altra donna, rimasero a fissarla per una quantità indefinita di istanti, nei quali si chiedevano per quale strana legge della fisica quella ragazzina era capace di apparire nei momenti meno consoni cantando e ballando come una folle per la casa.

«Tu cosa ci fai qui? Torna di là, Keichirou.» esatto, proprio così, quella piccola donna, oltre ad essere stramba di nome, possedeva un nominativo altrettanto inusuale. Un nome propriamente maschile, che significava oltretutto “figlio”, i suoi genitori dovevano proprio esser stati mal ricompensati dagli dei per darle un nome così poco femminile.

La minuscola donna mosse pochi passi all’interno della stanza, saltando sulle punte per poi fermarsi davanti a Kagome, che a differenza del suo metro e cinquanta scarso, sembrava una torre. «Sì, stupendo! Mi viene il vomito! E’ più forte di me, non lo so, se sto qui o se ritorno, se ritorno, tra poco, tra poco …». Miss Higurashi sollevò una mano alla fronte, per poi portarsi alle spalle della piccoletta, che come potesse avere la veneranda età di ventiquattro anni era ancora un mistero, e spingerla fuori dalla camera del mezzo demone.

«Ci vediamo domani Hen,vedi di non fare casino …» gli ricordò la mora, richiudendosi la porta alle spalle con la chiara intenzione di sbatterla.

«Mi stavo appunto chiedendo quando avevate intenzione di togliere il disturbo» professò Inu-Yasha, tamburellando le dita sopra il davanzale della finestra con un’espressione del tutto ironica dipinta in volto.

Mossa sbagliata mezzo demone! Kagome riaprì la porta, giusto uno spiraglio per far penetrare chiare e dirette le parole che avrebbe pronunciato poco dopo «Balla stanotte, tipo strano, perché domani è il ventuno di questo mese» gli fece l’occhiolino e fuggì prima di udire la risposta.

Lui osservò per una quindicina di secondi la porta, alzando successivamente le spalle per estrarre una sigaretta dal pacchetto poggiato sopra il comodino ed accendersela indisturbato. «Il ventuno, eh?» ripeté, lasciando fluire al di fuori delle labbra fini una consistente quantità di fumo.

Ci vollero altri dieci secondi, prima che spalancasse gli occhi e si volgesse verso la porta col chiaro intento di lanciare qualcosa sulla figura della padrona di casa che oramai era svanita da un pezzo.

«Mi avverti ora che domani è il termine di scadenza dell’affitto? Brutta strega!» ringhiò, borbottando e gridando come un ossesso per la stanza, mentre probabilmente Kagome se la rideva della grossa in camera sua ed un sorriso le si allargava soddisfatto sul volto prima di immergersi di nuovo nel sonno.

«Chi rompe le scatole alla gente, paga, Hen».

 

Direi che il primo capitolo è concluso, e che posso anche tornarmene a casa per questa sera. Mia moglie mi ucciderà se non passo a comprare il latte per il bambino più piccolo, eh, accidenti, credo di essermi anche dimenticato di acquistarle le compresse per la cefalea, mi ucciderà di sicuro!

«Nessuno ti ha chiesto di fare il riassunto della tua vita privata» senti, Fido, se non vuoi che la tua storia si interrompa proprio qui, vedi di non disturbare con i tuoi fuori campo non richiesti.

«Veramente, quelli non richiesti sono proprio i tuoi» ma, ma … esiste la libertà di parola, quindi, potrò essere libero di esprimere le mie considerazioni?

«No»

Questo mondo fa schifo.

 

 

 

 

Siamo giunti alla fine del preludio di quest’avventura, spero di aver suscitato un po’ di curiosità e di aver catturato l’attenzione di qualche lettore che si è disturbato nel fermarsi a leggere questo scempio. Grazie a tutti quelli che seguiranno questa storia.

Vocabolario :

Span : Piccole quantità di informazioni di cui conserva memoria la MBT (memoria a breve termine).

Fumo blu : E’ una canzone di Mina.

Stupendo : E’ una canzone di Vasco Rossi.

Hen : Significa strano, in giapponese.

 

  
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