Un viaggio nel tempo, la MBT e …
quella donna!
Potrei dire che è la prima storia che scrivo, ma mentirei perché non è assolutamente così. Diciamo che non ho mai pubblicato perché credo di avere un’autocritica che rasenta letteralmente il suolo. Ho proposto una storia differente, al di fuori dei soliti canoni coi quali vengono narrati gli episodi di Inu-Yasha descritti nel fandom. Perché, perché … vediamo, perché a me piace ritagliare scorci dei personaggi in maniera totalmente fuori dagli schemi in contesti puramente assurdi, o che comunque sfiorano proprio l’illogicità. Spero di divertirvi e soprattutto di regalarvi qualcosa di insolito, premettendo che apprezzo tutti gli scritti (o quasi) presenti nel sito. Ho dato solo un tocco di personalità ai soliti e oramai consunti intrecci di vite alternate universe. Buona lettura gente!
Introduction
La luce folgorante
dello schermo del computer acceso, all’interno della stanza buia era
dannatamente accecante, e per quanto l’indice tentasse con forza di premere il
tasto giusto per la regolazione dell’intensità luminosa, l’apparecchio pareva
proprio non volerne sapere di respingere i fasci stile messaggi dal futuro.
Lo sentiva, avrebbe
dato di matto per non essere riuscito a registrare quel ricordo. Aveva scritto
e cancellato quel documento per circa venti minuti buoni, e non solo ci si
metteva il nervosismo, dato dal fatto che quel gruppetto di fottutissimi Dei
che s’erano divertiti a regalargli un così ben congegnato cavillo sul quale
doversi spremere le meningi sino alla nausea, ma anche la beneamata tecnologia
che proprio venti minuti prima del novilunio aveva deciso di accecarlo con il
led dello schermo, perché il fato voleva
così e lui quel giorno non lo avrebbe ricordato.
«Merda!» pronunciò
con il tono di chi sapeva già dove dover mettere le mani, ovvero sulle
interiora meccaniche del diabolico marchingegno.
«Giuro che se mi
fai perdere anche solo altri cinque minuti, ti sventro come un tacchino
americano il giorno del ringraziamento» gridò minaccioso, contro l’oggetto
inanimato che parve ignorarlo della grossa. Il volto del mezzo demone, sì, proprio uno spirito maligno, di quelli
che s’incontrano di tanto in tanto nelle leggende scintoiste o si leggono tra
gli agglomerati di polvere nelle biblioteche; si corrucciò in un’espressione
che non avrebbe potuto essere più eloquente di quella: mascelle tirate come
corde di violino, palpebre spalancate, denti spaventosamente digrignati, e
iridi pericolosamente accese in una fiammella di puro e sano istinto omicida.
Possibile che la fortuna restava bendata solo quando incontrava lui?
Da cinque anni
circa si dilettava nel registrare su quel minuscolo netbook qualsiasi cosa: immagini, discorsi uditi per caso, diatribe col
commercialista, fughe pericolose di rabbia, momenti di rara ma intonsa felicità e qualsiasi altro evento, anche idiota,
gli succedesse attorno, solo per il semplice fatto di essere stato castigato da
padre tempo. Essì, perché il semplice fatto di essere
in quel mondo ed in quel tipo di corpo, erano stati un mero
errore di battitura voluto dal caso, destino, avversità, malasorte o come si
voleva far chiamare quel cavolo di evento. Era nato, od almeno così non
ricordava, in un epoca ben diversa, priva di strutture rassomiglianti a
grattacieli, love hotel, discoteche, karaoke, night né di ragazzine il cui
divertimento più grande consisteva nel truccarsi come l’idol
visual kay del momento, o
di infarcirsi di cosmetica e vestiari da far accapponare la pelle persino al
premio oscar più rinomato sugli effetti speciali. Lui era nato, vissuto e
sarebbe dovuto morire circa … , ma, diciamo qualche secolo prima, cifra più
cifra meno; ed invece era stato simpaticamente sballottato nel tempo come una
marionetta, ritrovandosi a dover fare i conti con una realtà totalmente
diversa. Peccato, e bisogna sottolineare, peccato che la sua memoria, durante
il passaggio tra i due mondi, avesse subito una specie di black
out a detta di molti psicologici, medici, e chi si considerava degno della
nomina di professore delle arti del cerebro (incluse le medium); irreversibile.
Chi conosce il significato impenetrabile di span(*), saprà sicuramente a cosa si riferisce questa sigla, e fu
proprio per quelle quattro semplici lettere, che a loro volta formano una
parola, che la storia cominciò a prendere una piega decisamente storta.
Dunque avevamo
inquadrato un mezzo demone, proveniente da un’era ignota, seduto su di un
letto, dinanzi ad un portatile impegnato a fondersi i neuroni dall’ira, che dei
sette capitali rappresenta sicuramente quello più infido. Non avrebbe senso
però perdersi in particolari inutili, dopo aver specificato il protagonista e i
mali – immancabili – dai quali è afflitto, quindi potremmo anche continuare da
dove avevamo interrotto.
«No scusa, dico,
hai terminato?» potrei aver giurato di udire uno dei protagonisti narrati
rivoltarsi al sacro ruolo del narratore, che avrebbe dovuto rimanere
onnisciente, ma che per qualche motivo ha deciso di introdursi nel racconto
perché così gli va e così farà sino alla fine.
Dunque, dicevamo …
«Il narratore non
dovrebbe essere una figura marginale?»
Sì, sarebbe così in un mondo dove riceverei un lauto stipendio e dove non
dovrei combattere la calvizie precoce, ma cosa ci vuoi fare tu, che in fondo
sei solo il mezzo demone iellato
della storia?
«Se hai finito
d’infamare potresti, non cortesemente,
continuare a raccontare la mia storia?»
tutto a tempo debito mio sciagurato Lessie
…
«Inu-Yasha!» quello che è, sempre cani siete, no? Anche se
dovrei protestare al sindacato per quella miseria di stipendio che mi
forniscono per dover raccontare quattro favole, andrò avanti, solo perché io
sono professionale.
«Eh sì, infatti,
per mezzo capitolo abbiamo notato tutti la professionalità»
senti Rintintin,
qua c’è gente che deve sfamare tre figli più una moglie divorziata, non
dormiamo tutti sugli allori come fai tu!
«Infatti
dall’incipit s’è visto proprio quante foglie della suddetta pianta troneggino
nel mio letto … fa un favore al mondo, spegni il disco e continua a leggere ciò
che devi leggere, e basta».
Quando dicono che
il cane è il miglior amico dell’uomo, dategli la parola e guardate come
ringraziano, non c’è più religione! Continuiamo, comunque, da dove avevamo lasciato
…
«Alleluia!» Non
dovevi parlare in questa riga, vedi di attenerti al copione mezzo parente di un
chiwawa!
«Se continui vedrai
dove il chiwawa deciderà di lasciare un ricordino…»
Ignoriamo commenti
poco igienici per tornare al punto cardine della questione …
Premette così forte
i palmi sulle tempie, da immaginare d’aver in qualche modo schiacciato anche le
cervella nel gesto. Scosse la testa, rigettando indietro schiena ed arti
spalancati sopra il materasso.
«Basta, ci
rinuncio!» aveva veramente pronunciato quelle parole? Lui che si arrendeva di
fronte ad un mero surrogato della mente umana? Mai!
Si alzò con il
chiaro intento di far funzionare quel dannato tasto. Inspirò un paio di volte,
alzando ed abbassando le braccia dall’alto verso il basso in una strana pratica
di “inspirazione – espirazione” che aveva imparato il giorno prima durante un
fastidioso zapping, nel quale, oltre alla consueta telenovela filippina dal
funesto titolo : “napakalaki pag-ibig”, si era soffermato sull’ammirare
in modo decisamente poco interessato, le tecniche di respirazione del dottor nonmiricordoilnome.
«Io sono la mente, tu sei la macchina, e quindi devi obbedirmi!»
se la forza bruta non aveva convinto l’aggeggio, allora ci sarebbe riuscito
sicuramente il potere del suo inattaccabile carisma. Si chinò in avanti, prono,
avvicinando il volto al netbook per sussurrargli più
di una volta la medesima frase per convincere l’oggetto delle sue reali
intenzioni. «Vedi di capirla con le buone questa volta» sussurrò
pericolosamente, arcuando le sopracciglia nere.
SLAM
La
porta della stanza si aprì con ferocia sulla stanza, mentre la luce accesa nel
corridoio penetrava violenta al suo interno. Una donna dai capelli disordinati,
le labbra piegate in una smorfia piuttosto eloquente e due occhiaie che
avrebbero fatto rabbrividire Tutankamon stesso, si
palesò sull’uscio inferocita.
«Devo
chiedere il permesso a te per poter dormire più di cinque ore?» ringhiò
inviperita, muovendosi successivamente a passo vigile verso il mezzo demone per
fermarsi al capezzale del letto coi palmi ben piazzati sui fianchi. Avvolta da
un alone oscuro, segnale d’avvertimento che la sua pazienza sarebbe durata
ancora per pochi minuti.
Inu-Yasha
indietreggiò sul materasso carponi, ritrovandosi con i piedi rivolti in
direzione della testata del letto. Passarono dieci secondi buoni prima che
riuscisse a metabolizzare di chi si trattasse, immersa nel buio, la figura di
quella donna diveniva ancora più inquietante, e ci pensò bene prima di
scambiarla per un ladro o qualcosa del genere.
«Higurashi» sillabò, prima di tirare un sospiro di sollievo
e tornare seduto dinanzi al computer. «Potresti…»
cominciò, sventolando la mano perigliosa dinanzi al volto, per poi lanciarle un
chiaro segnale di sfida con lo sguardo «bussare prima di entrare in camera di
un uomo?» puntualizzò piuttosto contrariato, senza scivolare con lo sguardo
sulla tenuta da notte dell’altra che lasciava ben poca immaginazione.
La donna sembrò non
voler demordere, avanzando ancora per poggiare un ginocchio sopra il materasso «vedi
bene di leggere queste labbra» era giunta l’ora di ricordargli le cosiddette: regole di Kagome
per una convivenza pacifica e poco burrascosa, stilate proprio di suo
pugno.
«Punto primo: dopo
mezzanotte non sono ammessi rumori di alcun genere e natura atti al disturbo
della quiete dei coinquilini, soprattutto mia
…» sottolineò, prima di continuare «Punto secondo: Non collegare la presa
del tuo stupido portatile per più di tre ore, non sguazziamo nel vil denaro, e non possiamo permetterci ulteriori sprechi»
mentre stilava il regolamento a memoria, le dita si sollevavano una dopo l’altra,
sino a giungere alla terza e più importante direttiva «Punto terzo: non
contraddire Kagome Dea tua, all’infuori dell’orario
nel quale non può controllare gli spasmi di nervosismo dovuti dall’insonnia, perché
potrebbe riportarti laddove ti ha raccolto» concluse con un sorriso, di quelli
larghi e sadici, avvicinandosi al volto di lui così tanto che i loro respiri
parvero fondersi.
Lui rimase in
silenzio per pochi istanti, prima di sospirare e raggiungere la finestra per
spalancarla «Ho capito l’antifona, esci di qui prima che ti scaraventi di sotto»
volse il capo sopra la spalla, alzando un sopracciglio per rafforzare il suo
gesto con le parole, come per dire che se non l’avesse inteso, la finestra era
stata aperta proprio per l’intento sopracitato.
La mora scosse il
capo freneticamente per poi mostrargli infantilmente la lingua e raggiungere l’entrata
della porta. «Signore e signori, sua maestà il barbone ha deliberato» scosse il
bacino per poi fermarsi di nuovo e volgersi di nuovo indietro a spostare l’indice
sotto l’occhio destro, ad evidenziare con più intensità la pernacchia di poco
prima.
«Ah ah ah …»
ribatté ironico l’altro «potresti sfondare nel cabaret, ti prenderebbero senz’ombra
di dubbio» erano usuali, quasi giornaliere le piccole diatribe tra i due, che
si concludevano puntualmente senza vinti né vincitori, e con un immancabile
commento finale, solitamente …
«Fumo
blu, fumo blu. Una nuvola e dentro tu. E poi, e poi se un uomo sa di fumo. Ma
sì, ma sì è veramente un uomo. E ti amerò finché vorrai proprio perché sei
così …»
Una vocina
stridula, dall’esterno della stanza, comparve come per magia a distruggere l’intermezzo
ironico dei due, mentre una testa bionda, dal lato della porta faceva il suo
ingresso a passo di danza. Piccola, decisamente bassa, immersa coi piedini da
cenerentola nei suoi stivaloni neri che venivano impropriamente utilizzati come
pantofole. I capelli cotonati, simili alle acconciature anni ottanta americane,
spiccavano al di sopra degli occhi grandi e scuri che ora fissavano la scena
divertiti.
«Ta ra ta ta ta ta - ta ra ra ta ta …Un uomo (è un uomo) quando sa (di fumo) ra ta ta, e un bacio vale dieci da-to da te!
» fece una piroetta in mezzo al corridoio, fermandosi di spalle per abbracciarsi e far correre entrambi i palmi lungo la schiena come se ci fosse qualcuno dall’altra parte che la stesse stringendo con passione inaudita. «Fumo blu, fumo blu!
»
Lei era quella che più propriamente veniva definita una buffa e pittoresca
concezione di essere umano. Era strana, decisamente. Comunicava per lo più
tramite canzoni occidentali, orientalizzate dal timbro vocale che oramai aveva
preso l’accento giapponese da tempo.
Il
mezzo demone e l’altra donna, rimasero a fissarla per una quantità indefinita
di istanti, nei quali si chiedevano per quale strana legge della fisica quella
ragazzina era capace di apparire nei momenti meno consoni cantando e ballando
come una folle per la casa.
«Tu
cosa ci fai qui? Torna di là, Keichirou.»
esatto, proprio così, quella piccola donna, oltre ad essere stramba di nome, possedeva
un nominativo altrettanto inusuale. Un nome propriamente maschile, che
significava oltretutto “figlio”, i suoi genitori dovevano proprio esser stati
mal ricompensati dagli dei per darle un nome così poco femminile.
La
minuscola donna mosse pochi passi all’interno della stanza, saltando sulle
punte per poi fermarsi davanti a Kagome, che a
differenza del suo metro e cinquanta scarso, sembrava una torre. «Sì, stupendo!
Mi viene il vomito! E’ più forte di me, non lo so, se sto qui o se ritorno, se
ritorno, tra poco, tra poco …». Miss Higurashi
sollevò una mano alla fronte, per poi portarsi alle spalle della piccoletta,
che come potesse avere la veneranda età di ventiquattro anni era ancora un
mistero, e spingerla fuori dalla camera del mezzo demone.
«Ci
vediamo domani Hen,vedi di non fare casino …» gli ricordò
la mora, richiudendosi la porta alle spalle con la chiara intenzione di
sbatterla.
«Mi
stavo appunto chiedendo quando avevate intenzione di togliere il disturbo»
professò Inu-Yasha, tamburellando le dita sopra il
davanzale della finestra con un’espressione del tutto ironica dipinta in volto.
Mossa
sbagliata mezzo demone! Kagome riaprì la porta,
giusto uno spiraglio per far penetrare chiare e dirette le parole che avrebbe
pronunciato poco dopo «Balla stanotte, tipo
strano, perché domani è il ventuno di questo mese» gli fece l’occhiolino e
fuggì prima di udire la risposta.
Lui
osservò per una quindicina di secondi la porta, alzando successivamente le
spalle per estrarre una sigaretta dal pacchetto poggiato sopra il comodino ed
accendersela indisturbato. «Il ventuno, eh?» ripeté, lasciando fluire al di
fuori delle labbra fini una consistente quantità di fumo.
Ci
vollero altri dieci secondi, prima che spalancasse gli occhi e si volgesse verso
la porta col chiaro intento di lanciare qualcosa sulla figura della padrona di
casa che oramai era svanita da un pezzo.
«Mi
avverti ora che domani è il termine di scadenza dell’affitto? Brutta strega!»
ringhiò, borbottando e gridando come un ossesso per la stanza, mentre
probabilmente Kagome se la rideva della grossa in
camera sua ed un sorriso le si allargava soddisfatto sul volto prima di immergersi
di nuovo nel sonno.
«Chi
rompe le scatole alla gente, paga, Hen».
Direi
che il primo capitolo è concluso, e che posso anche tornarmene a casa per
questa sera. Mia moglie mi ucciderà se non passo a comprare il latte per il
bambino più piccolo, eh, accidenti, credo di essermi anche dimenticato di
acquistarle le compresse per la cefalea, mi ucciderà di sicuro!
«Nessuno
ti ha chiesto di fare il riassunto della tua vita privata» senti, Fido, se non vuoi che la tua storia si
interrompa proprio qui, vedi di non disturbare con i tuoi fuori campo non
richiesti.
«Veramente,
quelli non richiesti sono proprio i tuoi»
ma, ma … esiste la libertà di parola, quindi, potrò essere libero di esprimere
le mie considerazioni?
«No»
Questo
mondo fa schifo.
Siamo giunti alla fine del preludio di quest’avventura, spero di aver suscitato un po’ di curiosità e di aver catturato l’attenzione di qualche lettore che si è disturbato nel fermarsi a leggere questo scempio. Grazie a tutti quelli che seguiranno questa storia.
Vocabolario :
Span : Piccole quantità di informazioni di cui conserva memoria la MBT (memoria a breve termine).
Fumo blu : E’ una canzone di Mina.
Stupendo : E’ una canzone di Vasco Rossi.
Hen : Significa strano, in giapponese.