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Autore: yesterday    20/04/2010    20 recensioni
Non è mai una scelta vantaggiosa condividere una stanza di quattro metri per quattro con il tuo ex ragazzo. Soprattutto se l'ex ragazzo in questione è Akito Hayama, e siete più o meno in pessimi rapporti.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Aya Sugita/Alissa, Fuka Matsui/Funny, Sana Kurata/Rossana Smith, Tsuyoshi Sasaki/Terence | Coppie: Sana/Akito
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.31: Breathless: to have difficulty in breathing properly. PART ONE.



Sbadigliai sonoramente, del tutto sorpresa: era sabato, nessuno lavorava né studiava, quindi Aya, Tsuyoshi e anche Hayama dovevano per forza essere a casa.
Beh, ero orgogliosa di me stessa: per quanto fosse una deduzione puramente logica e ovviamente elementare, ero sveglia da una manciata di secondi, e per me pensieri del genere in occasioni simili sfioravano persino il filosofico.
Ma non era tutto così facile. Mi sfuggiva un dettaglio: visti i miei precedenti risvegli, come mai Akito non mi aveva ancora amorevolmente buttata giù dal letto con uno dei "suoi metodi"? Non che la cosa mi dispiacesse, era solo piuttosto strano.
Mi strinsi nelle spalle e raggiunsi il tavolo in cucina, su cui Tsuyoshi ed Aya avevano appena appoggiato le borse della spesa.
« Buongiorno dormigliona! » fu il benvenuto di Aya in quella giornata, come se avesse dimenticato il discorso della sera precedente.
Biascicai un "orno" molto poco convinto prima di abbandonarmi su una delle quattro sedie spaiate.
Mi guardai intorno, e notai con piacere che mancava proprio chi non avevo voglia di vedere.
« Dov'è andato quell'altro? » masticai insieme ad un boccone di brioche.
Bloccai le allusioni a qualsiasi interesse di tipo anche solo vagamente romantico con un'occhiataccia ad entrambi i miei interlocutori.
« Maratona » spiegò Aya, con un risolino.
Beh, era da Akito. Mi alzai, pulendomi gli angoli della bocca, e sparecchiai.
« Sai che è il suo modo di smaltire il malumore » aggiunse Tsu.
Mi fermai accanto al lavabo. Oh, ecco qualcosa di strano.
Per meglio dire, anche quella sarebbe stata una reazione puramente nel suo stile, peccato non avesse motivi per essere di cattivo umore. Soprattutto dopo un venerdì sera.
Deglutii. Pensieri sbagliati, pensieri sbagliati, cattiva Sana.
Un interrogativo non meno inquietante era che non mi avesse svegliata in malo modo, soprattutto se, come dicevano gli altri, il suo umore era tanto nero.
Hayama marciava su queste cose: se era arrabbiato per un motivo, se la prendeva con tutto il resto.
« E come mai tanto arrabbiato? In fondo ieri era venerdì » azzardai, sperando che i miei amici non traviassero il senso della domanda.
Cioè ci scovassero un interesse prettamente amoroso, come loro solito.
Fu Tsuyoshi a ridere, stavolta. « Appunto, era ieri »
Rimasi ghiacciata nella mia posizione, interdetta, e qualcos’altro di certo non tornava.
Provai davvero a connettere risolini, arrabbiature, maratone e ieri, ma non riuscii a scovare alcun punto di incontro.
« Potete smetterla di parlare per enigmi? » sbottai dopo che non riuscii a cavarci un ragno dal buco.
« Nessun enigma, Sana. Ad Akito semplicemente non piace l'idea che dopo il venerdì ci sia il sabato, tutto qui »
Annuii, per niente convinta, ma decisa a far credere di non essere così ritardata da non capire. Probabilmente non mi credettero, ma se non altro lasciarono cadere l'argomento.
Quindi, io ero stupida. Non c'erano altri significati. Ma voi, voi, provate a dirmi cos'avreste capito da un "ad Akito non piace l'idea che dopo il venerdì ci sia il sabato". Perchè io onestamente non ci avevo capito un granché, se non che le mie capacità cognitive si erano pesantemente abbassate.
O forse non erano proprio mai state presenti.

 

***


"Ad Akito non piace che dopo il venerdì ci sia il sabato" poteva voler dire un sacco di cose, in effetti.
Ma quali?
Pigiai distrattamente un tasto del telecomando.
Avevo passato tutto il pomeriggio in "stato catatonico di fronte alla tv", a detta di Tsuyoshi e fidanzata, e davvero non lo potevo negare.
Ma se nelle loro teste vorticava l'idea che il motivo fosse qualsiasi genere di preoccupazione per la prolungata assenza di Akito Hayama (che non si era fatto vedere nemmeno per pranzo), la realtà era ben più umiliante: avevo cercato in tutti i modi di capire a cosa alludessero con la loro ultima frecciatina, sinceramente curiosa come mio solito di sapere il motivo del malumore del mio ex ragazzo nonché attuale croce personale. Fosse anche solo per riderci un po' su.
Ma non avevo ottenuto grandi risultati, purtroppo.
Inarcai un sopracciglio, avvertivo un fastidio dentro alla testa - sorrisi, sapevo di cosa si trattava. (oh, mi capitava spesso. Probabilmente al resto del mondo non prude il cervello quando quest‘ultimo esala un‘idea, ma a me sì.)
Lampadina nel cervello a ore dodici, l'afferrai mentalmente: oh, che idiota.
Ad Akito sarebbe piaciuto avere la proprietà della nostra stanza anche al sabato. Come avevo fatto a non arrivarci prima?
Quasi sorrisi della banalità della risposta, e dire che ci avevo passato sopra tutto quel tempo.
In ogni caso, se lo poteva scordare.
Avevamo pattuito una specie di accordo - ideato peraltro da lui stesso - e l'avrebbe rispettato, volente o nolente.
Venerdì di Akito, sabato di Sana, domenica cena tutti insieme. Erano i pilastri dell'appartamento numero undici, le tre leggi.
Spensi il televisore, e accaddero due cose contemporaneamente: il display del mio cellulare cominciò a illuminarsi ad intermittenza e qualcuno girò la chiave nella serratura.
Dato che la componente fidanzata dei miei coinquilini era uscita da poco meno di un'ora, dubitavo si trattasse di loro, così afferrai il cellulare e, dopo aver accettato la chiamata, lo portai accanto all'orecchio.
Mi nascosi sul piccolo terrazzo oltre la portafinestra della cucina, magari l'altro coinquilino non mi avrebbe notata subito.
Un po' ci speravo; strani malumori o no, non mi era ancora passata la nausea da troppi brutti pensieri della sera prima. E non volevo alimentarla vedendolo.
« Sì? » risposi, appuntando mentalmente che il vizio di guardare chi mi stava chiamando non era dannoso alla salute, anzi tutt'altro.
« Sana! Come stai? » i muscoli facciali si sciolsero in un sorriso, quell'entusiasmo l'avrei riconosciuto ovunque.
« Nao! Accidenti quanto tempo! »
E vidi spuntare una testa alquanto bionda e spettinata dall'angolo della cucina.
Argh, il tempismo di Hayama.
Mimò un "oh, salutamelo" che non capii in che percentuale fosse da ritenersi puramente sarcastico, data la persona e dato il suo umore.
Dimenticavo: in primis, Naozumi era diventato un attore di fama mondiale, si era guadagnato la stima di grandi registi e la sua carriera era decisamente decollata, motivo per il quale soggiornava spesso, terribilmente spesso all'estero.
Non avevamo mai smesso di tenerci in contatto ma, ovviamente, visti tutti i suoi impegni rintracciarlo era assolutamente complicato.
In secundis ma non troppo, il rapporto tra il mio migliore amico e il mio ex ragazzo era senz'altro teso a causa di un diverbio risalente a - mese più mese in meno - un anno prima, in coincidenza con la mia rottura con il secondo.
Kamura era più o meno del partito di Fuka, non aveva mai perdonato ad Akito di “avermi lasciata”, come diceva lui, per quanto in un anno gli avessi ripetuto circa una sessantina di volte che la decisione era stata presa in due, manina sul cuore e manina sulla coscienza.
« Puoi dirlo! Come vanno le cose? »
E così iniziai a raccontare, senza curarmi che quell’altro sentisse i taglienti commenti nei suoi confronti.
Scoprii che Nao sarebbe tornato in Giappone di lì a una decina di giorni per una campagna benefica e, spinta dalla voglia di rivederlo, gli avevo rifilato il nuovo indirizzo così da poterci incontrare in tutta tranquillità.
Chiusi la chiamata con un sorrisino ancora stampato in faccia.
« Quindi ecco chi ti viene a trovare stasera » spuntò dal nulla Hayama, intento a rimirare il sushi che, con tutta probabilità, sarebbe stato la sua cena di quella sera come delle precedenti quattro.
Capii in quell’istante che era totalmente privo di doti recitative: il tono che voleva sembrare disinteressato e un po’ ironico stonava con l’espressione del viso, un chiaro specchio del suo livello di arrabbiatura.
Sempre il solito musone.
Se non altro non aveva origliato la telefonata, dato che “stasera” e “tra una decina di giorni” non erano concetti così simili, né in quel contesto né in nessun altro.
« Non ti riguarda » asserii tranquilla, mentre chiudevo la porta a vetri dietro di me.
« Non che mi interessi, chiedevo e basta. » ma aveva tutta l’aria di chi non molla la presa fino a quando non ottiene una risposta.
Il mio programma per la serata, a dir la verità, era decisamente deprimente: nient’altro che un DVD e una coperta calda.
« Allora? » riprovò, appoggiando entrambe le mani sul tavolo.
Così sembrava molto poliziesco, un interrogatorio.
Alzai gli occhi al cielo.
« No » ammisi, ma non appena le pieghe di una probabile preoccupazione sparirono dalla sua fronte, mi affrettai ad aggiungere « non lui »
Le pieghe ricomparvero, e mi infastidii. Era forse il momento di fare l’apprensivo?
« Ah » lasciò cadere il discorso allo stesso modo in cui io lasciai vagare lo sguardo sul suo abbigliamento: per niente convinto.
La tuta da ginnastica aveva lasciato il posto ad un paio di jeans ed una camicia nera. Ridussi gli occhi a due fessure. Akito in camicia significava serata pseudo-importante.
« Tu invece stasera che fai? » mi lasciai vincere dalla curiosità, le parole uscirono di bocca senza poterle fermare.
« Non credo ti riguardi » rigirò la frittata, lui in queste cose era proprio un genio, bisognava ammetterlo.
Mimai delle virgolette con le dita. « “Non che mi interessi, chiedevo e basta” » ripetei le parole che mi ero sentita dire poco prima.
Spostò lo sguardo sul frigorifero, e allungò una mano per aprirlo.
Strinsi un pugno fino a sbiancarmi completamente le nocche.
Al diavolo!
« Allora? » continuai.
Si voltò, leggermente scocciato - come sempre quando non era arrabbiato.
« Al cinema » concluse, quasi in un sussurro.
Sollevai entrambe le sopracciglia. Akito detestava il cinema.
« Con Keiko? » buttai lì, sicura che comunque non l’avrei mai più rivista, come tutte le altre. Avrebbe ovviamente risposto di no.
Sembrò pensarci un po’ su.
Mi innervosii.
« Può darsi. »

« Hayama, tu odi il cinema » commentai freddamente « e Keiko non parla, starnazza. Inoltre non ha un minimo di decenza, o sbaglio? » marcai bene le parole con cui l’aveva descritta all’epoca.



***


« Sarò sincera: ti deve star lontana di almeno dieci metri. Non mezzo centimetro in meno » mi abbandonai sull’erba fresca del giardino del liceo Jimbo, al nostro solito posto, sbuffando scontenta.
« Come siamo gelosi, oggi » commentò compiaciuto lui, al mio fianco.
Mi voltai di scatto.
« Hayama? Io. Non. Sono. Gelosa. » sillabai concentratissima sulle sue reazioni.
Riuscii quasi a farlo ridere.
« Ovvio che no » ammise ironico « sei tutto tranne gelosa. E per essere precisi sei anche una ragazza gentile, femminile, silenziosa, ordinata e puntuale » sorrise sornione, mentre si stendeva sull’erba, le mani dietro la nuca.
Contai mentalmente fino a dieci per evitare una risposta a tono che evidenziasse quanto
non fossi una ragazza gentile.
Arrivata al nove mi convinsi di prolungare fino al
ventinove, non si poteva mai sapere.
Mi interruppe sul tredici.
« E non è un segreto che sei tutto fuorché gentile, femminile, silenziosa, ordinata e puntuale » mi scoccò un’occhiata dorata piuttosto eloquente
« ..sei gelosa. Ammettilo. »
Corrugai la fronte.
« Stai scherzando spero »
Scosse la testa in senso di diniego, poi osservò verso il cortile gremito di studenti.
Seguii il suo sguardo, e non riuscii a non sbottare vedendola fare avanti e indietro per il viale con lo sguardo fisso su di noi - su di lui.
« Ma guarda questa! E‘ insopportabile! » alzai leggermente entrambe le braccia, andando poi a stendermi accanto a lui.
Voltò il viso verso di me, e il cuore nel petto sembrò scoppiarmi. Akito avrebbe mai smesso di farmi quell’effetto?
« You. Are. Anything. But. Jealous. » sillabò piano divertito, e dovetti ammettere di aver del tutto cancellato la brillante risposta che volevo rifilargli: guardare le sue labbra che si incontravano per pronunciare quel “but” mi distraeva, decisamente.
Non eravamo il genere di coppia fissata con le date, non avremmo materialmente potuto trovare il giorno in cui era nato tutto - troppo tempo addietro - ma di certo erano passati anni interi.
Anni, e ancora mi mancava il respiro al sentirlo vicino a me, allo stringerli una mano, o anche solo a restare lì a guardarlo.
Spostai lo sguardo verso qualcosa che non fosse lui - impresa difficile, lui era ovunque per me - per riprendere lucidità.
(*) « Sei in Giappone, parla in giapponese » continuai piccata, facendogli notare per l’ennesima volta il vizio preso durante il suo troppo prolungato soggiorno americano.
« E tu ammetti di essere gelosa? » mi costrinse a tornare a guardarlo girandomi il viso verso di lui; scatenando su di me l’irresistibile forza dei suoi occhi. Che era veramente di proporzioni colossali, considerando il fatto che quando mi abbacinava a quel modo avrebbe potuto chiedermi qualsiasi cosa e alla fine non sarei mai riuscita a dirgli di no.
« Oh » scansai la sua mano da sotto il mio mento, fissando il cielo « e va bene, mi
infastidisce » badai a non usare nessun verbo simile ad “ingelosire” « vedere una certa persona fare le vasche lungo il cortile per guardarti. E per farsi guardare » incrociai le braccia sotto al seno.
« Non la stavo guardando » soggiunse tranquillo, ma ormai avevo imparato a trovare quella nota di emozione nella sua voce quando ammettevo nei più svariati modi quanto tenessi a lui. E anche stavolta c’era.
Cosa dia..?
Facendo leva sulle braccia mi rimisi a sedere, squadrandolo dall’alto.
« Sì che l‘hai guardata, Akito! » quasi urlai, offesa.
Mi mentiva anche?
Soffocò una risata e mi imitò, sedendosi accanto a me.
« Guardala » la indicò discretamente, e lo assecondai.
Si era fermata a circa otto metri da noi, lì impalata ed intenta a ridere con un paio di altre ragazze. Ogni sette secondi lanciava un’occhiatina furtiva e piuttosto interessata verso dove stavamo noi. E mi mandava in bestia.
“Impossibile, ahahah!” disse in quel momento alle altre, e doveva aver proprio urlato, perché riuscissi a sentirla tanto bene da quella distanza.
Possibilissimo, invece. Sciò, vattene.
Guardai nuovamente Akito. « Sei anche riuscita ad ascoltarla, bene. Hai notato che non parla, ma starnazza? » commentò, totalmente di buon’umore.
Boccheggiai. Non era da lui lasciarsi andare a commenti poco carini su altre ragazze, in anni ed anni non l’aveva mai fatto.
« E poi » proseguì « non mi sembra tanto affidabile. E‘ svestita.. E siamo a scuola. Se dovessi invitarla ad uscire, come si concerebbe? »
Si strinse nelle spalle, minimizzando, ed io non riuscii a non sorridere: con due frasi Akito riusciva a confortarmi, divertirmi, a far sì che lo amassi ancor di più - quasi all’inverosimile - se fosse mai stato possibile amare
di più.
Sollevai un sopracciglio, orgogliosa a tal punto da non volere che si accorgesse di come le sue parole erano state in grado di sciogliermi «     In ogni caso non credo avrai possibilità di vedere come si vestirebbe per uscire con te, sai » ammiccai « io lo impedirò in qualunque modo. Non avrai scampo. » gli puntai l’indice contro, seria al mille per mille.
« Che minaccia » finse di rabbrividire « Beh, si da il caso che comunque l‘idea che tu me lo impedisca non mi dispiaccia affatto. Non dovrai lasciarmi neanche un secondo di tregua però, temo »
Finse anche di pensarci su, assorto.
Quante volte l’avevo sentito ripetere “non mi dispiace affatto”? Quell’espressione era un’abitudine che si trascinava dietro sin dalle elementari. E, dovevo proprio ammetterlo.. Per dirlo alla Hayama, non dispiaceva neanche a me.
Mi abbandonai ad una sonora risata, spingendolo indietro con un braccio.
« Vuoi anche prendermi a botte adesso, eh? » si indicò la spalla che gli avevo appena urtato.
Scossi la testa. « No, Akito. Ho detto
dieci metri, e ormai siamo a malapena a otto » allusi alla ragazzina in cortile « ti stavo spostando »
« Oh. Agli ordini » alzò le mani in segno di resa.
Mi aiutò ad alzarmi e, tra le risa, ci sedemmo un paio di metri più in là.

 


***



« Sana, col tempo si cambia idea. Le persone stesse cambiano » mi riportò bruscamente alla realtà che non era il prato verde della Jimbo, né tantomeno la certezza che non sarebbe mai finita.
Guardai fuori dal vetro. « Lo so, genio » lo provocai.
Sembrava proprio che la conversazione fosse terminata; aprì il frigorifero e scelse una bottiglia di Pepsi, ne riempì un bicchiere.
« Kurata, dimmi con chi esci » alzò gli occhi su di me dopo un solo sorso, trafiggendomi nel vero senso della parola.
E notai mio malgrado che quegli occhi non erano cambiati mai.
Cercai una risposta adatta ma il mio cervello non connetteva più, come un modem rotto.
« Senti..preparati la cena. Io vado a cambiarmi » buttai lì scappando letteralmente dalla cucina.
Cosa, come.. perché non si faceva i fatti suoi, una buona volta?
Che rabbia.
Aprii la porta della nostra stanza solo per maledirmi mentalmente e ritornare in cucina.
Era rimasto nella stessa posizione, quasi sapesse che sarei tornata indietro.
Mi accolse sollevando entrambe le sopracciglia.
« E comunque, non ti riguarda »
Suonai ripetitiva.
« Sana, sei ripetitiva »
Ecco, appunto.
« E’ così difficile da capire la frase sono-affaracci-miei? »
Nascose un sorriso, come ai vecchi tempi.
« Eddai, dimmi con chi esci. » continuò imperterrito, esattamente come faceva anni addietro, quando mi faceva collassare il cuore con le domande gelose senza logica.
Ma era un altro tempo, quello, altri noi. Così sbuffai in preda alla tensione, e non riuscii a rifilargli altro se non un:
« Hayama, chi è il ripetitivo poi? »

 

 

 

 

 

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(*) “sei in Giappone, parla giapponese” ripresa dall’ultimo volume di Kodocha.




   
 
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