NO. STRESS.
L'odore
del disinfettante mi colpisce come uno schiaffo
appena attraverso quella porta scorrevole automatica che mi
avverte ogni
volta a quale posto sto andando incontro.
Saluto qualcuno che dovrei ricordare, o che a quanto pare
conosce me, e come un automa mi dirigo all'ascensore dell'ala C. Sono
le otto e
non c'è troppo movimento.
L'ascensore si lascia chiamare senza intoppi e quando
quelle porte argentate si aprono mi fiondo dentro e premo il pulsante
numero 6.
Sesto
piano dell'ospedale di Konoha, girando a destra, una
volta viste scorrere nuovamente le ante argentee, si arriva al Mio
reparto di
Veterinaria.
Annuso leggermente l'aria.
Hinata è già arrivata. Sicuramente
starà seduta alla sua
scrivania tutta intenta a sistemare chissà che cosa. Non
c’è nessun altro.
« Buongiorno Hinata. »
Apro la porta del mio studio e
tolgo il giaccone forse troppo pesante, visto che nonostante siamo
Ottobre
l’aria è ancora piuttosto calda, e infilo il
camice candido.
Lei è una brava ragazza. Il suo
lavoro lo fa per bene ed è una così brutta
sensazione aver voglia di mandarla
via ogni volta che incrocio il suo sguardo.
Così odiosamente simile al Suo.
I muri così bianchi e anonimi d’ogni
ospedale che si rispetti sono stati volutamente ricoperti dai miei
cartelloni e
poster. Varie classificazioni animali, gigantografie delle mie specie
preferite, foto degli animaletti mandate dai pazienti e, piccolo ed
esattamente
perpendicolare alla mia scrivania, James Dean mi guarda dandomi
coraggio.
Questo posto è diventato più umano.
« Dottore… »
« Dimmi. »
« Il… p-primo appuntamento è
fissato per le nove. Se v-v…vuole può scendere a
fare colazione… »
« No dottore, ho già mangiato. »
Annuisco. Distolgo lo sguardo.
« Se arrivano emergenze chiamami
al cercapersone. Ma non dovrei metterci molto…»
Mi alzo e torno all’ascensore.
Al
bar dell’ospedale, a qualsiasi
ora, c’è sempre confusione e bisogna sempre
aspettare minimo dieci minuti per
poter provare ad ordinare. Quando finalmente tocco con le dita la
tazzina del
mio caffé la musichetta di quel maledetto cercapersone
risuona in tutto il
locale.
La gente mi guarda preoccupata. Io
guardo nervoso l’apparecchio che continua a suonare.
Lo spengo e bevo tutto d’un fiato
il caffé bruciandomi la gola e iniziando a correre verso
l’ascensore.
Un minimo di dieci persone sono
davanti le porte argentate.
« Porca…»
L’ospedale sta iniziando a
movimentarsi.
Inizio a salire di corsa le
scale. Solo al pensiero di sei piani mi fa venire un dolore alla milza
ma se
Hinata mi ha chiamato deve averlo fatto per un’emergenza. No?
Al quarto piano e mezzo mi metto
una mano sul fianco destro e cerco di riprendere le forze.
Sono un dottore e dovrei essere
al mio piano a curare il mio paziente. Magari è una
questione di vita o di
morte.
Il battito cardiaco aumenta. E
dire che alle superiori ero il più veloce della mia sezione.
Quella velocità e
quella resistenza dove diavolo si nascondono in momenti del genere?
All’Università avrebbero dovuto
continuare a farci allenare per situazioni come queste.
Continuo
a salire e faccio gli
ultimi piani volando quando l’odore di Hinata, altre due
persone sconosciute e
un gatto mi colpiscono il naso.
Sono praticamente senza fiato.
« Hi... Hinata, qual è l’e...
emergenza?! »
Mi fermo a fissare di sbieco un
gatto rossiccio completamente bagnato e con la testa incastrata in
quelle
tipiche bolle che fanno da acquario ai soliti due, tre pesci rossi.
E questa sarebbe un’emergenza?
Mi spalmo la mano sinistra sulla
fronte con ancora l’affanno e la gola bruciante.
Non guardo la mia segretaria,
alla quale dovrò spiegare quali sono i gradi
d’importanza per cui chiamarmi, e
mi rivolgo alle due persone.
Oh.
Sono
un uomo e dovrei comportarmi
come tale ma la bocca rimane chiusa per una mia espressa
volontà di non fare
una figuraccia colossale. Eppure quel ragazzo meriterebbe davvero un
quarto
d’ora d’osservazione intensa. Di quelli senza mai
staccargli gli occhi di dosso
per poter cogliere ogni minimo particolare.
Alto. Tanto alto.
La pelle chiara e perfetta.
Capelli castani raccolti in un
codino. Il che mi lascia immaginare come possa essere con la coda
sciolta.
Occhi tipicamente giapponesi di
un nero tremendamente intenso.
Fisico da paura.
Probabilmente
fidanzato con la
tipa che ha al fianco.
Cerco
di riprendermi dalla mia
parentesi da omosessuale in calore, che tra l’altro
è in astinenza non voluta
da circa due mesi, e guardare la ragazza che stringe il gatto tra le
braccia.
Probabilmente, se fossi etero,
sarebbe carina. Bionda con gli occhi azzurri, evento raro da queste
parti.
«
Dottore, dottore abbiamo
provato di tutto per far uscire la testa... Non bisognerà
rompere la boccia
vero? Si potrebbe fare male giusto? »
Ecco
perché sono gay... Mamma mia
quanto parlando le femmine.
Di tutte quelle che ho conosciuto
nei miei ventisei anni, solo la mia segretaria sembra di un altro
pianeta.
Visto che parla così raramente e solo se interpellata.
Con un gesto piuttosto seccato li invito ad entrare nel mio studio.
Mi verso un bicchiere d’acqua da
dietro il tavolo cercando di dar sollievo alla mia povera gola.
«
Allora. La situazione è
abbastanza chiara. »
La
ragazza annuisce con quasi le
lacrime agli occhi. Questo non è proprio il tipo di
interventi per il quale mi
sono specializzato in veterinaria.
«
Non sarà un’azione difficile.
Signora..? »
« Signorina Yamanaka. »
« Ok signorina Yamanaka, - faccio
il giro della scrivania e mi avvicino ai due ancora vicino la porta.
– deve
solo darmi il suo gatto e vedrà che non ci
metterò molto. »
Annuisce.
Il ragazzo sbadiglia portandosi
le mani dietro la nuca.
Nascondo l’impulso di sciogliermi
ad ogni suo movimento e mi avvicino al lettino nella stanza vicina,
quella delle visite, e mentre cerco di controllarmi
penso che dovrei necessariamente andare al locale con gli altri stasera.
Cerco
di fare conversazione, quando
lavoro odio il silenzio.
« Allora... Come si chiama il
gatto? »
« Moody. Si chiama Moody. »
« Bel nome... – dico appoggiando
il gatto. – veda signorina, il gatto in questo momento
è terribilmente teso. In
una situazione normale riuscirebbe benissimo ad uscire completamente
solo da
una situazione del genere. »
Lei mi guarda e annuisce
preoccupata.
« Se volete potete sedervi. Anche
se non ci metterò molto. »
Entrambi
accolgono la mia
proposta, anzi sembrerebbe che il tipo non vedeva l’ora di
stravaccarsi. Si
siede scomposto al bordo della sedia lasciando scivolare la schiena
contro lo
schienale.
Una gamba stesa e l’altra un po’
piegata. Le braccia ancora ricurve dietro la nuca.
Gli occhi chiusi e un’espressione
beata sul volto. Non si direbbe molto in pena per il gatto.
Non devo distrarmi
mi ripeto
distogliendo la mia attenzione dal moro e portandola
all’animale.
«
Allora. Moody-chan, adesso devi
rilassarti... »
Con una salvietta cerco di
asciugarlo e intanto lo accarezzo. Inizia a fare le fusa e sento i suoi
nervi
distendesi. Sorrido..
Il gatto inizia solo a muoversi
per uscire da quella scomoda situazione.
Sento i loro sguardi addosso.
Alzo la testa e mi rendo conto che anche il ragazzo mi fissa.
Arrossisco.
Continuo ad accarezzare il micio
fino a quando non è completamente fuori.
La bionda si alza in piedi
battendo le mani.
Io e il tipo col codino la
guardiamo con aria cinica e un sopracciglio alzato e così
dopo una risatina
isterica si risiede e io non posso far altro che sorridere.
Con
Moody ancora in braccio,
continuando ad accarezzarlo torno dietro la scrivania, il che mi
dà un’aria da
cattivo dei fumetti.
« Allora, grazie di tutto...
Dottore. »
Stringo
un po’ troppo la presa e
con un salto, decisamente felino, il gatto schizza via.
Cazzo. Tutto questo solo perché
per la prima volta in tutta la mattina lo avevo sentito
parlare… E diamine che
voce.
Senza controllare i graffi che
bruciano ma ai quali non faccio caso cerco di recuperare il gatto,
andato a
sbattere contro la parete e…
Oh no.
No, no, no, no.
Perchè?
Perchè su duecento poster
appesi alla parete si doveva andare a schiantare proprio contro il bel
viso di James?
Il segno d’artigli non troppo
sviluppati hanno squartato la carta esattamente sul bellissimo volto
del mio
idolo, proprio come sul mio braccio.
Guardo i resti di quel mini
poster e mi sento quasi le lacrime agli occhi.
Dove ne trovo uno del genere di
nuovo? Me lo aveva regalato… -
morsa al
cuore – me lo aveva regalato Neji.
«
Dottore, si è fatto male? »
La
ragazzina dagli occhi azzurri
mi guarda preoccupata.
No, che non sto bene.
Non si
vede?
Stacco i rimasugli del viso di
James Dean e li butto nel cestino con un’aria da funerale.
«
Dottore, le sanguina il
braccio. »
Effettivamente
sento qualcosa di
caldo scivolarmi sul camice.
Guardo la ferita che ha tagliato
la pelle e la stoffa candida macchiandola di rosso. Cerco di
riprendermi dallo shock
e mi rivolgo ai due con un mezzo sorriso.
«
Non si preoccupi signorina
Yamanaka. »
Tolgo
il camice rivelando una
maglietta nera a mezze maniche con uno scollo a V non intaccata dal
liquido
rossastro.
Cerco di disinfettante e
versandone un po’ su un batuffolo di cotone tampono la ferita.
«
Allora. – dico riprendendo
fiato – il suo gatto è fuori dalla boccia e quindi
il mio lavoro è andato a
buon fine. Sono contento, non si preoccupi per il mio braccio...
Può riprendesi
l’acquario, io non me ne faccio molto. »
Sorrido, tirando con sforzo i
muscoli delle guance.
«
Mi dispiace per il poster.
Sembrava tenerci molto. »
« Ma no. Era solo uno stupido
ricordo. »
Ormai
sei rimasta solo tu,
Hinata, a ricordami Lui in ogni singolo momento.
Guardo
i due padroncini andare
via e quella dispettosa lacrima che avevo trattenuto scivola sino allo
scollo a
V della maglia nera.
***
«
No, Naruto ti ho detto di no. »
So
che non si arrenderà mai.
Ormai me ne rendo conto da solo che è patetico continuare a
rimanere a casa.
Per questo, dall’altra parte del
telefono il mio migliore amico continua ad insistere…
«
Ma daaai.
La vuoi smettere di
piangerti addosso? Ho deciso, sto venendo a casa tua, quindi pronto o
no ti
prendo e ti porto di peso al Nine lo stesso. »
«
Fai come vuoi. »
Chiudo il telefono e mi stendo
sul letto.
Ho
ventisette anni, cazzo. Ho
ventisette anni e non ho più la voglia di uscire a
divertirmi.
Ho in mente il ragazzo di
stamattina che si sovrappone a James Dean e ad un paio
d’occhi talmente chiari
da sembrare bianchi. Si sovrappongono e dentro ho come uno strano senso
di
colpa.
Perché continuo a pensare a quel
codino ad ananas?
Non so neanche il suo nome. Non
ha parlato per tutta quella strana visita, tranne quel ringraziamento
che ha
avuto come risultato la distruzione di quell’unico cimelio
della mia ultima
storia.
Mi
alzo e vorrei dare un pugno a
qualcosa ma il braccio mi fa ancora male. E le mie nocche non
sopportano più
questi miei sfoghi ogni volta che ripenso a tutto questo.
Non
mi riconosco più.
Chi
è quel ragazzo nello
specchio?
Così patetico. Che sente come
unico impulso per uscire il desiderio di vedere un tipo che neanche
conosce,
che probabilmente non rivedrà mai più e che
è sicuramente etero.
Perché continuo a pensare a quel
ragazzo?
Mi
spoglio e mi butto sotto la
doccia. Tanto so che Naruto sarà qui tra una
mezz’oretta e mi butterà fuori di
casa, perché non mi riconosce più neanche lui.
L’acqua
è calda e mi fa stare
bene.
Non penso a niente. Mi costringo a
non pensare a niente.
La ferita di questa mattina
brucia per colpa del bagnoschiuma. Lo shampoo mi entra negli occhi come
ogni
volta e li chiudo cercando di fare il più veloce possibile.
L’acqua calda non mi sta aiutando
a rilassarmi.
Esco
e strofino forte
l’accappatoio contro gli occhi. Mi guardo allo specchio e
osservo il mio riflesso.
Sono un bel ragazzo no?
Scuoto i capelli bagnati per
liberarmi gli occhi dorati.
Stasera esco e mi diverto.
Stasera esco e faccio casino.
Esco e cerco di tornare il Kiba
di sempre.
Stamattina
quel gatto è stato un
segno. Ha distrutto la foto per farmi capire di tagliare i ponti col
passato ed
andare avanti.
Annuisco a me stesso. Sorrido
convinto.
Stasera esco e faccio casino…
Era il mio locale preferito. Lo è
stato dall’inaugurazione avvenuta circa sette anni fa.
All’inizio io e i miei amici,
eravamo alcuni dei pochi clienti abituali. Ci andavamo quasi ogni sera,
adesso
si è fatto il suo nome ed è il più
famoso di tutta Konoha.
Dietro il bancone degli alcolici
Sai, con il suo sorrisino finto, fa girare gli shaker con maestria.
Una piccola folla si è riunita
per guardarlo fare i suoi giochini.
«
Sbrigati Sai, e dammi una Vodka
alla pesca. »
« Si, e a me un angelo azzurro. »
Naruto
mi si avvicina e mi mette
una mano sulla spalla, sorridendo per poi sedersi ad uno degli sgabelli
liberi
e aspetta la sua ordinazione.
Mi guarda con quegli occhi di un
impressionante azzurro. Sposta una ciocca di capelli dorati dietro un
orecchio.
«
Sono contento che hai deciso di
venire…»
« Mi avresti lasciato
alternative? »
« No. »
Sorride,
ed il suo sorriso
contagia chiunque gli capiti a tiro.
Quindi abbozzo un sorriso anche
io.
Il
barista si avvicina con i due
bicchieri.
«
Documenti…»
« E dai Sai non fare l’idiota e
dammi il mio angelo…»
« Ah-ha. Non sono sicuro che tu
sia maggiorenne dato il pisello così piccolo che ti ritrovi.
»
« Io t’ammaz…»
Cerca
di scavalcare il bancone
senza risultati il mio migliore amico, prontamente bloccato dal suo
Fidanzato.
Eh già, Fidanzato con F maiuscola.
Sasuke Uchiha, ragazzo storico
del biondo lo prende per la vita e lo riporta per terra, come se nulla
fosse.
«
Sas’ke! Lasciami devo andare a
picchiarlo! »
« Stai fermo dobe. E poi perché
dovresti picchiarlo se sai che ha ragione? »
« Teme!! Ma come ti permetti? Te
la faccio vedere io la ragione stanotte poi... »
Rido
come non ridevo da mesi, non
mi ricordavo quanto mi facesse stare bene uscire con loro.
Il loro piccolo teatrino è sempre
lo stesso dalle superiori, ma mi fa divertire ogni volta.
Prendo
il mio bicchiere e bevo un
sorso della mia bevanda preferita in assoluto.
La sorseggio piano assaporando il
primo impatto dolce sulla lingua aspettando il retrogusto amaro della
vodka sul
palato.
Appoggio
i gomiti al bancone
dandogli le spalle.
Stasera devo fare casino.
Guardo la marmaglia di gente
rinchiusa nel locale.
Nonostante sia un pub gay, quindi
la maggioranza delle persone sono di sesso maschile, si riescono ad
individuare
anche elementi classificabili come donne.
Una
si avvicina al mio appoggio e
ne riconosco l’odore, prima di distinguere il volto.
La signorina Yamanaka. Il gatto...
E se da qualche parte ci fosse anche lo sconosciuto col codino?
Mi guardo convulsamente attorno
con ancora metà vodka in mano.
«
Dottore! »
Una
specie di urlo mi arriva alle
orecchie.
Do un altro sorso al bicchiere e
mi giro verso gli stessi occhi azzurri di stamattina.
«
Salve. La signorina Yamanaka
giusto? »
Annuisce.
Sorride, probabilmente
contenta che mi ricordi il suo nome.
Mi porge la mano.
«
Mi chiami Ino, dottore. »
« E allora lei mi chiami Kiba. »
Le
stringo la mano e continuo a
guardarmi attorno.
La ragazza ordina qualcosa e poi
si rivolge di nuovo a me. Possibile che non si possa cercare qualcosa
ossessionatamene senza essere disturbati?
«
Come va il braccio, Kiba? »
« Brucia un po’, ma niente di
preoccupante. E Moody come sta? »
« Credo bene. Shikamaru se lo è
portato subito a casa, appena usciti dall’ospedale.
»
« Shikamaru? »
« Si, il ragazzo che mi
accompagnava stamattina. Lo so, è stato abbastanza scortese
a non presentarsi
per tu…»
La
ragazza continua a parlare e
io non la ascolto più.
Allora si chiama Shikamaru. Bel
nome... Dovrebbe significare qualcosa come ragazzo del cervo. I cervi
sono dei
bei animali, fieri ed eleganti.
Do un altro sorso. Mi è rimasto
veramente poco liquido nel bicchiere.
«
…mi ha anche accompagnato
stasera, ma non so dove si sia cacciato... »
« Come scusi? »
« Shikamaru, è qui, ma l’ho perso
poco fa.. »
Perdita
di battito.
Qui? Significa che è in questo
locale?
Il cuore recupera quel rintocco
iniziando a battere furiosamente.
Che
reazioni strane sta avendo il
mio corpo.
«
Ah... »
Lo
sguardo perso nel vuoto. Bevo
l’ultima goccia che sa lontanamente di pesca.
«
Sai, un altro. – mi rivolgo un
attimo al barista per poi tornare a guardare la biondina. – e
lei ha perso il
suo ragazzo in un locale come questo? »
La
domanda inizialmente, nella
mia testa aveva più o meno una diversa forma, tipo:
“e tu hai lasciato
scorrazzare un bono di quelle dimensioni in un locale pieno di gay
arrapati?”
Lei però risponde in maniera del
tutto inaspettata.
«
Shika, il mio ragazzo? Ma no,
deve aver frainteso… Lui mi ha, anzi io ho accompagnato lui
oggi in ospedale ma
è solo un mio carissimo amico. E poi, una piccola
confessione, anche se in un
locale come questo non è poi di molto scalpore, sia io che
lui abbiamo gusti
completamente diversi. »
Ino
mi fa l’occhiolino.
Per poi sparire tra la folla con
il suo bicchiere in mano e facendo “ciao ciao” con
l’altra.
«
Shikamaru... » sospiro.
Mi
giro e trovo Sai porgermi
l’altra vodka.
«
Te l’ho fatta più forte. C’hai
una faccia.. »
« Grazie. Dove sono andati Naruto
e Sasuke? »
« Nel priveè, credo. »
« Ok, grazie. »
Mi
guardo intorno completamente
spaesato. Da che parte è il priveè? Perché
ho questo schifo di senso dell’orientamento?
Perché
ho questa paura matta di
incontrarLo? Di scorgere il Suo codino tra la folla?
Mi
fermo un secondo tra la folla
con un sorriso idiota. Dopo mesi, nella mia testa, un’altra
persona sta avendo
il privilegio della maiuscola. È una cosa infantile ma
speciale.
La sento chiaramente. Nei pronomi
personali soggetto.
In quel Lui che nonostante sia
così indefinito si può associare solo a quel viso
dall’espressione scocciata.
Questa cosa mi fa sorridere.
Poi,
una mano sulla sua spalla.
Mi volto e occhi acquamarina mi
guardano seri.
So che quello era un modo
affettuoso di salutare, per Gaara, il proprietario del locale. Quindi
lo guardo
sorridendo.
«
Ciao Gaara. Senti, da che parte
il priveè? »
Indicò
una porta esattamente
davanti a lui.
“Giusto!” urlò la sua mente. Una
porta abbastanza grande era aperta e su un cartello illuminato, la
scritta Priveè. Come
diamine avevo fatto a non
vederlo?
Dopo una grattatina alla nuca
imbarazzato saluto il Sabaku per andare verso Naruto.
Devo necessariamente trovarlo e
parlargli.
«
Naruto! »
Lo
vedo seduto a quello che solo
adesso mi ricordo era il nostro solito tavolo.
Mi guarda e con la mano mi dice
di avvicinarmi.
«
Che succede? Sei tutto rosso... »
Sono
tutto rosso? Non
respiro più tanto bene, sarà per quello? Cerco
di riprendere fiato con più calma.
«
Naru, credo di essermi preso
una specie di cotta. »
« E ti sembra una cosa da dire
con quella faccia? E’ una cosa bellissima! »
Lui
sorride. Lui ha sempre quel
fottutissimo sorriso sulle labbra che addolcisce tutti e tutto.
E poi la gente si chiede perché
sia tanto popolare. O perché l’Uchiha sia
così geloso.
«
No, non capisci Naru. Questa
cosa, questa specie di cotta è stata una cosa
strana… Non mi sto capendo solo.
L’ho visto solo stamattina, ha portato il gatto da me, e da
quel momento non me
lo sono tolto dalla testa capisci? Prima lo ho pensato con la
maiuscola… Le
maiuscole erano solo per Neji… Come ha fatto? Non si
è neanche presentato e mi
ha scombussolato la vita. »
« Ti ha fatto dimenticare Neji? »
Il
solito Naruto. Diretto, come
un pugno sul naso.
Che ne so io, se mi ha fatto
dimenticare quel bastardo? In neanche 24 ore e avendolo visto solo una
volta.
«
Probabile. »
Confesso
alla fine.
«
Ho paura. E io odio avere
paura… Perché la paura è un sentimento
debole e io odio sentirmi debole. Ho
paura perché non lo conosco e non ci si può
infatuare di una persona che non si
conosce perché poi si può rivelare uno stronzo,
oppure non ti fila, oppure
qualsiasi altra scusa idiota per farmi soffrire di nuovo. Preferivo
stare male
per Neji. Ormai mi sono abituato a quel dolore…»
Sembro
una ragazzina. Una di
quelle di dodici anni alle prese con la prima cotta.
Sono corso dal mio migliore amico
e sto facendo una scenata mentre lui continua a sorridermi come se
sapesse
tutto dalla vita.
«
Non ci si abitua mai a un
dolore del genere, lo sai. »
« Lo so. »
« Quindi, se questo ragazzo, che
tra l’altro non mi hai detto come si chiama, ti
farà soffrire ma in compenso ti
ha fatto dimenticare Neji, dovresti ringraziarlo e basta. »
Ringraziarlo?
Perché parla in
codice questo Cretinuto?
«
Non fare quelle faccia.
Significa solo che soffrire per lui sarà meno doloroso. Con
lui non hai
condiviso niente e quindi se ti farà male sarà
più facile per il tuo cuore
sopportarlo. »
« Si, ma... »
La
voce rimane incastrata nella
gola.
Non si può mica rispondere ad un
discorso come questo. È umanamente impossibile.
«
Impossibile. »
Sussurro.
Impossibile ma stranamente
esaltante.
«
Come si chiama?? »
« Shikamaru, si chiama Shikamaru.
Mi ha portato i gatto stamattina. Non è un bel nome
Shikamaru? »
Seduto
sulla poltrona di pelle
rossa, Naruto scoppia a ridere.
Tenuto in vita dal suo Fidanzato
mi guarda e ride.
«
Si, è un bel nome. Ma smettila
di dirlo così tante volte. E del gatto me lo avevi
già detto. –cerca di
ricomporsi e la sua faccia diventa stranamente seria ma serena- sono
contento
Kiba. Sii felice. »
Tipico
del mio migliore amico,
sorprendermi così.
Lo guardo imbambolato per un po’,
poi gli sorrido –un sorriso vero, sincero- e mi alzo, per
andare via.
Esco
dalla porta del priveè e la
serata mi appare diversa.
La
gente che balla, che ride, che
beve. È diversa.
I colori erano così nitidi anche
prima? La musica era davvero così alta e elettrizzante?
Perché riesco a sentire
tutto così chiaramente?
Il
mio cuore è più leggero.
E ora mi sembra di riprendere a
respirare senza problemi. Senza quel peso indigesto sui polmoni, nella
cassa
toracica.
Sono tornato me stesso.
Ritorno
al bancone e Sai è già
pronto con l’ennesima Vodka alla pesca. Gli sorrido e anche
lui abbozza un
sorriso sereno.
Senza godermela al meglio bevo
l’alcolico che mi porge e lo saluto.
Stasera torno a vivere.
Stasera sono uscito e faccio casino.
La
musica mi muove le gambe, mi
porta al centro della pista e mi fa muovere il corpo.
Ho bisogno di ballare, di
scatenarmi.
I
don’t wanna work
today
Maybe I just wanna stay
Just take it easy cause there’s no stress
Me
la ricordo questa canzone.
Mi ricorda intere nottate nella
macchina del mio ex ragazzo, a correre per le strade di Konoha, per
fare i
pazzi. Questa canzone era in ogni cd, perché gli piaceva
tanto. Ed al massimo
volume, nel mini abitacolo, saltavamo ballandola e cantandola a memoria.
Ma non fa male.
Non fa più male,
I
text my baby on her
phone,
Try to get her sexy body on
That’s the way I wanna spend my day.
Non lo ricordo più. Ma non ne ho
bisogno. Ballo e basta.
Muovendo le mani e la testa.
È divertente. E io mi stavo
privando di tutto questo per rimuginare tra ricordi dolorosi.
Oh Shikamaru, ti avessi
incrociato prima… So, con tutta la certezza di cui sono
provvisto, che sarebbe
stato tutto più facile.
Mi agito, gli occhi serrati e una
risata incastrata nella gola.
It’s not that
I’m lazy
I think I’m just crazy
It’s not that I’m lazy
I think I’m just crazy
No stress
Apro
gli occhi e mi posso
guardare attorno.
Sulla pista, vicino a me, troppo
vicino a me, balla proprio Lui.
Il cuore in gola mi impedisce di
muovermi con movimenti fluidi. Lo osservo distrattamente, cercando di
non farmi
accorgere, lanciando occhiate fulminee alla mia destra, proprio dove
molleggia.
Non sta propriamente ballando.
Muove la testa e ciondola le
braccia. Ha gli occhi chiusi e una strana espressione per una persona
che è nel
bel mezzo di una folla di gente accaldata e rumorosa.
È proprio carino. Strano ma
carino.
La musica elettronica mi confonde
e le luci psichedeliche lo fanno apparire e scomparire da sotto i miei
occhi.
Aspetto che torni la luce bianche
che gli azzurra la maglia.
All’ennesimo bagliore i suoi
occhi sono su di me, concentrati e profondi. Stanno fissando proprio
me. Poi
scompaiono.
Torna la luce e lui non c’è più.
Anche la canzone sta finendo e la
testa inizia a farmi male, essendomi messo troppo vicino alle casse del
dj.
Premo due dita sulle tempie
cercando di ricacciare indietro il lieve dolore senza avere grandi
risultati.
Sospiro per il tasso d’idiozia nei miei pensieri dopo il
terzo bicchiere di
vodka. So che al prossimo non me ne renderò nemmeno conto, e
allora saranno
guai.
Sento chiaramente i polmoni invocare
una sigaretta e decido di esaudire il loro desiderio. Vedo Naruto che
è tornato
a bisticciare con il barista e quando alza gli occhi su di me con una
mano
faccio un segno, indicando la porta secondaria.
Lui annuisce e storce il naso. Ha
passato anni interi a cercare di convincermi di smettere di fumare
senza mai
riuscirci, come invece ha fatto con Sasuke.
Spingo la maniglia antipanico ed esco nella stradina buia e bloccando la porta con una vecchio pacchetto di sigarette. Se qualcuno mi chiude la porta dovrei fare tutto il giro per poter rientrare.
Dopo un paio di tentativi e un
dito mezzo incenerito la piccola fiammella illumina la via rivelando
una figura
dall’altra parte della strada. Una persona con uno strano
codino proprio al
centro della testa.
Il cuore rimbalza contro la
gabbia toracica e a stento riesce a tirare per accendere la sigaretta.
«
Lo sai che fumare fa male? »
Oh,
la sua voce è meglio di
quanto mi ricordassi.
Stringo il filtro tra le due dita
ed espiro facendo uscire il fumo grigiastro nella sua direzione. Non
riesco a
vederlo bene ma la maglia bianca e il viso pallido si distinguono dal
muro di
mattoni dell’edificio che confina con il locale di Gaara.
«
Lo so, ma non riesco più a
smettere. »
Non
che ci avessi mai provato,
effettivamente. Se lo voglio, posso fare tutto io. O non mi sarei
chiamato Kiba
Inuzuka.
Chiudo gli occhi beato e mi godo
l’aura della sua presenza e l’aroma della mie
sigarette preferite, appoggiando
la testa all’indietro e sorridendo lievemente.
Il sorriso però, non dura più di
tanto visto che una mano mi toglie la LS dalle mani gettandola in terra.
Senza che me ne rendessi conto
Lui si era mosso e ora si trova davanti a me, con un tacco sopra la
punta
infuocata della ormai defunta sigaretta.
Provo ad aprire la bocca per
protestare ma le sue labbra sono sulle mie e io rispondo senza riuscire
a
controllare la mia lingua e le mie mani che sono già su di
lui. È così perfetto
che sarebbe indecente non rispondere al bacio.
Un bacio vero. Come quelli che
piacciono a me.
Intenso e combattivo. Senza
passività ma azione, mosse false e passione.
È umido. È perfetto.
Riesco a sentire il suo aroma. Le
mie narici si riempiono di acqua di colonia, esattamente
l’odore che mi sarei
aspettato da una persona come Lui.
Stringo le mani attorno alle sue
spalle per non cadere. Sono larghe e lui è molto alto,
troppo per essere un
giapponese.
Poi, lentamente, si allontana.
« Kiba. Io sono Kiba. »
« Ah, lo so. »
Era solo un bacio, non voleva
dire niente.
Mi spingo di più verso il muro
leggermente umido, cercando di unirmi ad esso o sprofondare per la
vergogna.
Era
girato verso di me, con una
mano tesa nella mia direzione e sorrideva.
Quello era un sogno, perché di
altre spiegazioni non ce ne erano. Quella serata era stata troppo
assurda
contando che la fortuna non mi aveva mai accompagnato. Mi chiedevo se
non ci
fosse lo zampino di Naruto che magari aveva affittato uno
gigolò per farmi
sfogare, almeno una sera.
Eppure non mi importava nulla di
quei pensieri squallidi, volevo solo Lui.
Fine.
Fine, già. Ho scritto tanto di quel
tempo fa questa fic, lasciata a metà, che sinceramente avevo
perso ogni speranza su di una pubblicazione e invece eccomi qua. Ci
sono affezionata a questa storia, senza nessun motivo particolare se
non che me la porto avanti da più di sei mesi senza essere
mai riuscita a rivederla e finirla. Pensavo che sarei riuscita a
scriverci una lemon, almeno una volta, invece neanche questa volta i
miei due prediletti sono riusciti a copulare. Poveri tesori.
Mi piace, e piace soprattutto alla mia Sacchan, il fatto di lasciare
questo finale aperto.
Se vi è piaciuta questa andate a leggere Lucky Strike che ne è strettamente collegata. La canzone che cito nel mezzo e nel titolo si chiama proprio "No stress" di Laurent Wolf, una canzone House che conosco in questo mondo e non ho intenzione di conoscerne altre, comunque questa è... Ehm, carina.
Con questo vi saluto.
Nacchan (_ _)