IL PRIMO CAVALIERE
La mia storia inizia nel tempo
delle spezie e del vino. Quando gli elfi non erano ancora il
Popolo Leggendario.
Quando conoscevano il dolore della morte e la pienezza della vita.
Quell’epoca che sembrava una spensierata e perenne
estate.
Un’estate destinata a finire.
Ricordo ancora come io e i miei
compagni sedevamo ogni sera attorno al fuoco danzando e cantando alla
luna.
Ricordo il sapore di mirtilli sulle labbra e le piante che cantavamo
teneramente dalla terra.
Non avevamo molti rapporti con gli altri popoli di Alagaesia,
già allora eravamo superbi e consideravamo i nani come avidi
accumulatori di gemme e i draghi come bestie selvatiche.
I draghi.
Sento ancora le urla e a distanza di centinaia d’anni; a
volte ancora sogno il fuoco, che distruggeva villaggi, disseminando
morte.
Tutto per l’incoscienza d’un giovane poco
più che bambino. Non seppi mai il suo nome, ma spesso mi
sono chiesto cos’ abbia provato inseguendo il drago,
cacciandolo come un cervo e uccidendolo con la magia, come una bestia
qualsiasi. Ma posso immaginare chiaramente la sua fine: inseguito,
cacciato e infine ucciso dalle zanne dei draghi in cerca di vendetta.
Ci dissero di combattere e lo facemmo. Certo, inizialmente solo per
difesa, ma poi arrivammo a macchiarci le mani di crimini orrendi.
Ho visto morire molti elfi in quegli anni. Non solo guerrieri ma anche
vecchi e bambini.
Ma anch’io ho ucciso, sebbene non a cuor leggero.
Specialmente quella notte.
Avevamo localizzato una rupe, nel cuore della Du
Weldenvarden, dove i draghi si erano rifugiati portando
con sé le loro uova. Strisciammo nella caverna silenziosi e
silenziosi uccidemmo.
Eravamo poco più di una ventina. La gran parte di noi uccise
i draghi nel sonno, e molti neppure si accorsero di ciò che
stava succedendo. Soltanto un paio si svegliarono. Se chiudo gli occhi,
posso ancora vedere gli sguardi pieni di terrore. Furono sopraffatti
velocemente dalla magia e uno dopo l’altro caddero nel vuoto.
Io e qualche altro elfo particolarmente versato nelle arti magiche
continuammo senza indugiare la nostra missione: distruggere le
uova.
Spezzai innumerevoli future vite quella sera. Creature innocenti che
non videro mai la luce. Incrociai per un lungo interminabile istante lo
sguardo di uno dei draghi, che si era svegliato. E in
quell’istante capii di essere un mostro.
Con una lacrima il drago
passò nel vuoto.
Danzammo intorno al fuoco, con le mani ancora sporche di sangue.
Ma non potevo. Qualcosa dentro di me era cambiato per sempre. Non mi
unii ai festeggiamenti. Rimasi in disparte indeciso su che strada
prendere.
-Eragon, cosa fai qui in disparte?- Celia s’intromise nel flusso dei miei pensieri.
La guardai come se fosse la
prima volta. Era bella, tremendamente bella.
I capelli castani incorniciavano un ovale perfetto e cadevano in
morbide onde fino a una vita sottile.
Mi guardò con un’aria strana, sbarrando i grandi
occhi verdi.
- Cosa
c’è? Non ti senti bene?-
Un tempo ricordo che avrei dato qualsiasi cosa per sentire quel tono
così preoccupato per me.
Ora non più.
- Sei gentile Celia Svit-kona, ma stasera la luna è bellissima- mentii.
- La luna? … Sei davvero un poeta Eragon: noi festeggiamo la vittoria, che passerà alla storia e tu pensi alla luna. Perfino Tumundora ci ha inviato un messaggio, unisciti a noi fratello!-.
- Una
vittoria dici? Un massacro!-
Mi guardò come se l’avessi schiaffeggiata e mi
resi conto di essermi spinto troppo in là.
Anche se ora avevo preso la mia decisione. Non avrei più
combattuto.
- Ti chiedo scusa. Le mie parole non volevano essere dure. Gli eventi
di oggi mi hanno provato duramente. –
-Accetto le tue scuse e tu, Eragon, perdona la mia insistenza- disse
mentre un sorriso di mesto rimprovero le si disegnava sul viso .
– Hai tutta la mia comprensione, talvolta anche un massacro
di bestie può scuotere le corde dell’ animo.
Ricordo ancora quanto ero scossa la mia prima volta.-
In quel momento un raggio di luna le illuminò il viso.
Le labbra rosse sembravano scintillare di sangue.
Trattenni l’impulso di urlare, mi alzai e sussurrai
– Perdonami Celia, ma devo andare-.
Ricordo ancora la sua espressione sgomenta, ma in quel momento non me
ne curai.
Corsi senza sapere dove. Corsi via. Scappai da un popolo a cui non
appartenevo più.
Non so per quanto tempo vagai quella notte. Nonostante i miei sensi affinati, inciampai e caddi più volte. Finché non mi fermai. E piano piano scivolai in un rassicurante dormiveglia.
All’improvviso un’esplosione infranse il silenzio.
Mi alzai di scatto ma ero completamente stordito.
Nella mia mente risuonò una voce, che sembrava un eco di
altre voci passate, presenti e future.
Il nostro dono per te. Affinché da una fine nasca
un nuovo inizio. Sarai Eragon il primo cavaliere.
La presenza si affievolì sempre più fino a
scomparire.
Mi guardai intorno. C’era uno spiazzo al centro della radura.
Tutt’intorno regnava un’ innaturale silenzio. Mi
avvicinai lentamente e notai una grande pietra bianca.
Pietrificato mi chinai per guardarla meglio. La riconobbi subito grazie
ai ricordi della sera precedente.
Era un uovo.
Un uovo di drago.
Riluceva fiocamente alla luce
del sole. Piccole venature d’argento lo avvolgevano
completamente. Non avevo mai visto un uovo di quel colore. Non avevo
mai visto un bianco così puro.
Stesi il braccio per toccarlo e appena avvertii la superficie liscia
sotto le dita, sentii un dolore atroce risalirmi il braccio e invadermi
il corpo.
Infinite scene, visioni,
passavano sotto i miei occhi. In un attimo, nemmeno un secondo, rividi
quell’insensata guerra. Vidi me stesso distruggere le uova
senza la minima esitazione. Bruscamente la scena cambiò e
vidi nuovamente me stesso mentre a dorso di un gigantesco drago bianco,
il mio drago, sorvolavo Alagaesia.
Osservai una bellissima città al centro di
un’isola. Il mio sguardo si fermò per un lungo
interminabile istante su una fanciulla.
Era molto bella ma non sembrava un elfa. Sperai di poterla incontrare
nel futuro.
Improvvisamente tutto si fece scuro, e quando tornai a guardare capii
subito che quelle nuove visioni non mi appartenevano
più.
Scorsi, attraverso contorni indistinti, un giovane seminare morte e
distruzione. Lo vidi posarsi una corona sul capo e seppi chiaramente
che era l’oscurità.
Un altro giovane riempì la mia visuale, questo a differenza
del precedente sembrava veramente umano. Lo vidi chinarsi a raccogliere
una pietra blu.
Un uovo. Alzò lo sguardo e
incrociò i miei occhi.
Eragon.
Aveva le dimensioni di un piccolo gatto, ma anche così
appariva maestoso. Arruffò le ali e punto i suoi piccoli
occhi neri su di me. Lo studiai con diffidenza ma qualcosa
più forte di me mi spinse a sfiorarlo.
Un dolore più lieve del precedente mi paralizzò
la mano e vidi comparire una cicatrice ovale, che riluceva.
All’improvviso il drago mi parlò con una voce che
sembrava provenire da secoli passati.
Eragon. Il mio nome è Bid'Daum.
Sarò il tuo drago e tu il mio cavaliere. Sono stato inviato
per porre fine alla Du
Fyrn Skulblaka. Insieme fonderemo
una nuova era. Insieme per sempre.
E all’improvviso capii di essere sempre stato destinato a questo momento.