Storie originali > Azione
Ricorda la storia  |       
Autore: Kiary92    26/04/2010    2 recensioni
La storia di una ragazza: Angelica, che cerca di avere una vita tranquilla benché abbia compito davvero strano; diverso, più che altro. Questa ragazza fa parte di una misteriosa Agenzia, la quale la ingaggia per missioni, a volte pericolose, contro strane “entità” corporee e non; anche se la gente comune li chiama fantasmi e demoni. Il suo compito, e quello degli altri agenti chiamati anche Demons Hunter, è quello di sterminare ogni demone, e convincere i fantasmi con aure maligne di altri a “passare oltre” a trovare la pace in un altro posto. Benchè compia questo insolito mestiere, anche Angelica ha una vita normale: va a scuola come una semplice diciottenne, viene trascinata in strane feste dai suoi amici, nonché compagni di classe, litigi e risse con la più odiosa delle compagne e, chi può dirlo, magari troverà anche l’amore, chi lo sa? Magari sotto forma di un bellissimo ragazzo dagli occhi blu? Tra un insolito incontro in biblioteca, varie vicende sui banchi di scuola e, diciamolo chiaro e tondo, momenti di vera sf...ortuna, ecco a voi, la storia di una Demons Hunter. Una cacciatrice di demoni.
Genere: Romantico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A






Lunedì, 9 febbraio 2009
La sveglia suonava insistentemente, una figura sdraiata sul letto di quella piccola stanza, si rigirò portandosi il morbido cuscino sulla testa, cercando di ignorare la canzone degli Evanescence impostata come tono di sveglia del cellulare. Aspettava con impazienza che la canzone si fermasse, ma niente, non ne voleva sapere di piantarla.
 Si rigirò ancora lasciando penzolare la mano dal letto, cercando a tentoni il cellulare abbandonato sul parquet; lo trovò dopo qualche tentativo, premette qualche tasto a casaccio e lo lanciò in fondo al letto. Si coprì ancora con le coperte fino alle orecchie, pregando che la madre, che l’avrebbe chiamata di lì a poco, la credesse in coma per lasciarle la giornata libera dalla scuola e dormire un po’ di più. La maniglia si girò lentamente con un lungo cigolio sinistro, e una donna dai capelli corvini spettinati e gli occhiali sul naso leggermente storti, fece capolino con la testa dalla porta, strizzando gli occhi, cercando di abituarli all’oscurità della stanza.
- Angelica? - la chiamò la donna con un lieve sussurro.
- mmm - mugolò con il viso soffocato nel cuscino, spostando appena la testa.
- Alzati - disse la madre, come se desse degli ordini, poi, senza aggiungere altro, sparì di nuovo dietro la porta.
Si alzò stiracchiandosi le braccia, ed accese la luce, mugolando non appena fu accecata dalla luce del lampadario appeso al soffitto; e, non appena gli occhi si abituarono alla luce, cominciò a vestirsi, afferrando le prime cose che le capitavano a tiro: un paio di jeans e una camicia nera; dopodiché, prese lo zaino abbandonato ai piedi del letto, vi infilò i libri di scuola e lo appoggiò da una parte. Uscì dalla stanza con la camminata degna di uno zombie.
Percorse il piccolo corridoio, e scese le scale, cercando di non inciampare ed evitare una ruzzolata con stile alla mattina di buon’ora; in cucina, la madre era rivolta verso la mocca sul fornello, con le mani sui fianchi.
Prese due toast e li mise nel tostapane, poi si avvicinò al frigorifero e prese un succo di frutta, burro e una marmellata di pesche. La madre le lanciò un’occhiata, giusto per assicurarsi che non vada a scuola vestita da sgualdrina e poi ritornò con lo sguardo sulla caffettiera.
- Anche oggi vai in autobus? - chiese la donna spegnendo il fornello non appena la caffettiera emise un acuto sibilo.
- Si - rispose in tono freddo prendendo il toast caldo - Perché? - le chiese sedendosi a tavola e cominciando ad imburrare il toast, per poi spalmarci sopra la marmellata.
- Hai la patente...hai la macchina. E potresti svegliarti più tardi invece di prendere l’autobus a queste ore -
- È la mia routine mamma...e mi piace -
- Prendere l’autobus più tardi? - chiese ancora la donna, versando il caffè in una tazzina.
- No...è sempre pieno - rispose automaticamente, sorseggiando il succo di frutta.
In realtà, cercava di evitare gli autobus successivi, perché era sicura di incontrare i vecchi compagni, e non riusciva a farseli piacere in alcun modo, anche se non le avevano fatto niente - Mettimi in punizione se non ti va bene - disse dando un morso al toast.
La madre insisteva dal giorno in cui il padre le aveva comprato una Ferrari f430 nera, per il suo diciottesimo compleanno, avvenuto quasi un anno fa, più precisamente, il 21 marzo. Il primo giorno di primavera. Naturalmente, aveva il permesso di girare con quella macchina, benché fosse solo una neopatentata.
- Fai quello che ti pare... - disse la madre finendo il suo caffè con un ghigno sul volto; ma non la stava nemmeno ascoltando.
La madre fece per andarsene, ma si bloccò sulla porta dell’enorme cucina, si voltò alzando un sopracciglio - Il foglio dei voti? -
Il foglio dei voti, era semplicemente una tabella dove si scrivevano i voti scolastici, ad ogni interrogazione o verifica, sua madre non vedeva l’ora di firmare i suoi eccellenti risultati.
- Hai già firmato tutto -
La donna si voltò e sparì dietro la porta. Non appena terminò la sua colazione, andò in bagno e si mise davanti allo specchio. I lunghi capelli neri scompigliati, il viso pallido eccetto per le labbra che erano leggermente rosee, un paio di piccole borse sotto gli occhi verdi. Iniziò a pettinarsi finchè i non sciolse tutti i nodi lasciando che i capelli mossi cadessero ordinati sulle spalle, si lavò i denti e ritornò in camera. Afferrò le inseparabili All Star, abbandonate sotto al letto e le infilò ai piedi; poi indossò la giacca in pelle, appoggiata alla sedia della scrivania; ed infine si mise in spalla lo zaino.
Afferrò l’mp3 sulla scrivania e si mise le cuffie nelle orecchie e lo accese; poi recuperò il cellulare che giaceva in fondo al letto senza nemmeno un graffio, lo infilò nella tasca dei jeans e uscì dalla camera, chiudendosi la porta alle spalle. Scese l’enorme rampa di scale in marmo bianco, scivolando semplicemente lungo la balaustra, e atterrando in piedi nel lussuoso ingresso, immerso nell’oscurità; arredato con mobili antichi e quadri; c’erano solo tre porte: quella della cucina, quella del salotto e quella d’entrata, che era il doppio, se non il triplo, più grande delle altre.
Si avvicinò alla grande porta in legno, la spinse con forza ed uscì, sentendo subito l’aria gelida che le sferzava il viso con violenza; la porta si richiuse con un tonfo, per via del vento. Attraversò il giardino di quell’enorme casa; lanciò un’occhiata al garage e alla macchina nera, immobile e che, se non fosse per le amorevoli cure di suo padre, avrebbe fatto le ragnatele. Affianco alla Ferrari, la macchina dei genitori: un’Audi bianca; ed infine, nell’angolo del garage, la sua Yamaha R6 nera, con un casco dello stesso colore appoggiato sulla sella.
Distolse lo sguardo non appena arrivò al cancello in ferro battuto; abbassò la maniglia e lo aprì con un cigolio, richiudendolo alle sue spalle; osservando la villa dall’altra parte della strada. Non ci abitava nessuno da diverso tempo, ma quella mattina, davanti alla villa, erano parcheggiati cinque camion di una compagnia addetta al trasloco, intenti a trasportare i mobili all’interno della casa. Non si soffermò ad indagare oltre, e si incamminò velocemente uscendo dalla piccola via; voltò l’angolo e, in meno di un minuto, aveva raggiunto la fermata.
Si appoggiò distrattamente ad un muro ed osservò l’ora sul display del cellulare: 6.38; l’autobus sarebbe arrivato tra qualche minuto, contando anche che, gli autobus, non erano mai puntuali. Chiuse gli occhi ascoltando la canzone che le rimbombava nelle orecchie, muovendo appena le labbra come se volesse cantarla.
“ I miss you, miss you so bad. I don't forget you, oh it's so sad…I hope you can hear me, I remember it clearly…The day you slipped away, as the day I found it won't be the same…”
L’autobus arrivò poco dopo, con la solita scritta in arancione: Verona. Quando si fu fermato, salì e si sedette agli ultimi posti, continuando a pensare alle parole delle canzoni che aveva in testa. Soltanto il cellulare la riportò alla realtà, vibrando nella tasca, lo prese e lesse la scritta sul display: “nuovo messaggio da: Elisabeth ”. Aprì il messaggio.
“ Oh merda! dimmi che non c’era niente da studiare!! ”
“ Interroga solo in matematica” si affrettò a rispondere, per poi premere invio e rinfilare il cellulare in tasca.
Nemmeno il tempo di fissare il misero panorama fuori dal finestrino che il cellulare vibrò ancora.
“ Oddio matematica!!! No no...è un incubo...adesso mi sveglierò e sarò ancora nel mio letto”
“ Ma dai, stai tranquilla...se ti interroga ti faccio i segni dal posto ;) eh...guarda che amica che sono”
“ Sei un tesoro!” rispose l’amica dopo nemmeno un minuto.
Rimise il cellulare in tasca e ritornò a fissare fuori dal finestrino.
L’autobus frenò appena ad un semaforo, e lei concentrò il suo sguardo su un uomo; alto, capelli ed occhi scuri, il volto coperto di sangue, i vestiti laceri e delle ferite un po’ ovunque.
Rabbrividì. Certo, era abituata a vedere cose del genere, ma ogni volta le sembrava la prima.
Una macchina passò a tutta velocità, e per un istante perse il contatto visivo con l’uomo, che poi, era misteriosamente scomparso in un battito di ciglia.

______________________________________________________

La scuola, fortunatamente, non era proprio in centro città, e dopo una quindicina di minuti, l’autobus si bloccò alla sua fermata. Scese e s’incamminò verso il parco, dove si fermava ogni mattina in attesa dell’amica.
Era abbastanza triste vedere quel piccolo angolo di paradiso a febbraio; gli alberi erano spogli, l’erba un po’ ingiallita e coperta di brina, come la ghiaia del sentiero, le panchine sparse qua e là, i rami spogli degli alberi e qualsiasi altra cosa. Guardò l’ora sul display del cellulare: 7.15. Elisabeth sarebbe arrivata di li a poco.
Si sedette sulla panchina, fregandosi se fosse asciutta o meno, portò indietro la testa e osservò il cielo grigio solcato da alcune nubi minacciose di un grigio più intenso.
- Ehi! Tu laggiù!!! - urlò una voce lontana - Su presentati -
Si riscosse dai suoi pensieri, si voltò velocemente e fulminò la migliore amica con uno sguardo glaciale - Non ora! -
- Su presentati! - disse Elisabeth arrivando volteggiando al suo fianco, come se danzasse al ritmo di una musica inesistente.
- Elisabeth, sono le sette e un quarto, la gente normale non va in giro a urlare -
- Va bene, va bene - disse abbassando la voce e sedendosi accanto a lei sulla panchina accavallando le gambe.
Elisabeth era tutto il contrario di lei. Aveva dei lunghi capelli color del rame, gli occhi azzurri come il cielo ed era molto più abbronzata, dato che la famiglia, ogni estate, la portava in qualche isola tropicale.
- Andiamo a scuola? Entriamo e ficcanasiamo nella biblioteca? - chiese l’amica aprendosi un po’ il giubbotto in pelle.
- Eli, ormai li abbiamo letti tutti i libri che ci sono là - rispose sorridendo.
- No! Li ha letti tutti. Allora andiamo e aspettiamo gli altri -
Iniziarono ad attraversare il parco, lei in silenzio che ascoltava lo scricchiolio dei sassolini sotto le sue scarpe, mentre Elisabeth rideva sotto i baffi, stringendosi le spalle.
- Che hai da ridere? - chiese calciando un sasso.
- Una barzelletta...la vuoi sentire? -
- No -
- Allora, c’è un tassista con la sua Mercedes, per strada incontra un amico, allora si ferma e tira giù il finestrino. L’amico guarda lo stemma della macchina, e gli chiede “Ma...cos’è quella roba attaccata?” e il tassista, per prenderlo in giro fa “è un mirino” e il tizio fa “Se?” e il tassista “Così centro i pedoni per strada, salta su che ti faccio vedere” allora il tizio sale, e il tassista comincia ad accelerare quando vede un pedone, ma all’ultimo secondo si sposta, ma il pedone viene colpito comunque...allora l’amico si gira e gli fa “Eh...vedi di mettere a posto il mirino...perchè se non aprivo la portiera non lo prendevi!” -
La guardò inarcando un sopracciglio - Dovresti farti vedere da uno bravo sai? -
- Ah ah...dai che fa ridere -  
Non rispose e continuarono a camminare per la piccola stradina in fondo al parco.
- Ehi! c’è la biblioteca aperta! - disse Elisabeth aguzzando la vista, ed indicando un vecchio edificio con la facciata di mattoni rossicci, con una grande porta in legno scuro, e un’insegna appesa in alto a destra.
- Allora andiamo - rispose accelerando il passo per attraversare la strada.
Elisabeth la superò con un paio di volteggi, si fermò davanti alla biblioteca; dove la porta si aprì, senza che la toccasse, e sull’uscio, apparve il vecchio custode del palazzo, con i capelli bianchi arruffati e gli occhiali sul naso, che mettevano in risalto i suoi occhi grigi e stanchi.
- Alla ricerca di nuovi libri? - chiese il vecchio custode mentre infilava uno spolverino marrone.
- Come sempre - rispose con un sorriso - Possiamo salire? -
- Certo -
Salirono velocemente la rampa scale, poi la rossa aprì una porta in legno sulla destra delle scale, ed entrarono.
Si bloccò qualche secondo, osservando gli scaffali in legno, che sostenevano la cosa che amava di più al mondo: i libri. Un sorriso apparve sulle sue labbra, poi si precipitò al solito tavolo, tra gli ultimi due scaffali della biblioteca, isolato completamente dal resto del mondo. Appoggiò lo zaino su una sedia e cominciò a guardare i libri, Elisabeth, dietro di lei, appoggiò lo zaino a terra, incrociò le braccia e sorrise osservandola mentre guardava i libri, incantata.
- Sembri una bambina che scarta i regali di Natale -
- Lo so, ma mi fa questo effetto -
- Ah...per me cerca un thriller - disse chinandosi sul suo zaino e aprendo la tasca anteriore - Vado a prendere qualcosa giù al bar. Non vuoi niente? -
- No grazie, sono a posto - rispose passando ad un altro scaffale.  
- Ok, allora torno subito -
Elisabeth prese il portafogli e sparì dietro la porta. Lei era come incantata.
La maggior parte di quei libri li aveva già letti, e si affannò ancora di più in cerca di un libro mai letto.
- In biblioteca di prima mattina? - disse qualcuno accanto a lei.
Non conosceva quella voce e, d’istinto, arretrò sbattendo contro lo scaffale dietro di lei che oscillò appena. Qualcosa di pesante, all’improvviso, le finì in testa, facendole annebbiare appena la vista e lasciandosi sfuggire un “ahi”.
Alzò lo sguardo e osservò il nuovo personaggio che aveva parlato, e rimase incantata come se osservasse un libro vivente.
Era un ragazzo, alto, benché indossasse un maglione nero, si poteva notare il fisico degno di un’atleta, i capelli castani in disordine, un paio di occhi blu come un cielo in tempesta e un sorriso smagliante stampato sulle labbra.
- Scusa, non volevo spaventarti - disse il ragazzo.
Si sedette a terra con la schiena appoggiata allo scaffale, tenendo premuta la mano sinistra sul colpo appena ricevuto.
- Non ti preoccupare...sono io che mi ero incantata -  
Lui si inginocchiò davanti a lei e le porse la mano - Mi chiamo Matteo Dall’Angelo, sono nuovo di qui -
- Angelica Vetra, tanto piacere - si presentò in un sussurro stringendogli la mano.
- Piacere non tanto, dato che ti è caduto un libro in testa -
- Dipende dal libro -
- Ti è caduta in testa “L’ombra dello scorpione”; io sarei entrato in coma -
- Rassicurante - sussurrò alzandosi da terra.
- Aspetta, tieni questo - disse lui porgendole un fazzoletto bianco - stai sanguinando -
- Grazie - balbettò, afferrando il fazzoletto e premendolo sulla ferita alla testa, lo scostò appena e osservo una piccola macchia di un rosso scarlatto - Mi dispiace per...il fazzoletto...te lo restituirò...un giorno -
- Tienilo pure, mia madre ne ha una valanga - disse ancora sorridendo afferrando un libro dallo scaffale più alto.
- Beh...ehm...ci vediamo...in giro...allora... - disse fissando prima Matteo, e poi Elisabeth apparsa dal nulla con il suo caffè, che osservava divertita la scena.
- Ci vediamo - disse il ragazzo che girò i tacchi, lanciandole un’ultima occhiata prima di avvicinarsi al bancone e comprare il libro che teneva sottobraccio. L’amica si avvicinò furtiva sorseggiando il caffè.
- E quello pezzo di gnocco chi era? - chiese curiosa.
- Uno nuovo -
- Avete fatto amicizia eh...-
- Eli... -
- Oddio non dirmi che ti ha picchiata?!?! - chiese notando il fazzoletto che teneva premuto sulla testa.
- Ma cosa dici! -
- Abbassa la voce che ci fai buttar fuori -
- Sei tu! Mi stai innervosendo! -
- Ah...Angelica, Angelica...hai trovato un thriller per me? -
Si avvicinò allo scaffale e prese il primo libro che le capitò a tiro - To...leggiti questo -  
- La verità del ghiaccio? -
- Sì, è un thriller -
- Va bene allora; tu? -
- Non ho trovato niente -
- Per caso eri troppo distratta? -
- Figurati... -
Uscirono dalla biblioteca e si avviarono verso scuola, percorrendo una piccola stradina.
Dopo nemmeno cinque minuti, erano arrivate a scuola.
Appena fuori dall’entrata principale, alcuni ragazzi erano appoggiati al muro o seduti sulle loro moto e fumavano tranquilli la loro sigaretta mattutina, non appena notarono le due, tutti si misero ad osservarle avvicinarsi. Un ragazzo biondo diede una gomitata al compagno dai capelli castani sussurrandogli qualcosa; poi gettò a terra la sigaretta e si avvicinò a lei, che cercava di ignorarlo con tutte le forze.
Era alto, con dei capelli biondi come il grano gli cadevano sugli occhi un po’ ribelli, indossava una giacca nera, un paio di jeans scuri e delle Adidas bianche.  
- Ehi dolcezza - disse lui appoggiandole la mano sul sedere, ricevendo come risposta uno ceffone in pieno viso.
Lo spinse contro il muro, seria come non mai, fissando i suoi occhi di una strana tonalità dorata.
- Oh, come sei cattiva oggi Angelica -
Lei gli puntò l’indice sul petto - Fallo ancora e giuro che dovrai andare all’anagrafe a cambiare sesso...-
- Angelica tesoro, noi due siamo fatti per stare insieme - disse ancora il ragazzo biondo sogghignando.
- Nei tuoi sogni forse... - disse dandogli le spalle, ed incamminandosi verso l’entrata.
Elisabeth, ancora accanto al biondo, sorrise - Non ti sei ancora stancato Sergio? -
- Io posso avere tutte le donne ai miei piedi -
Si voltò - Tutte tranne me - disse passandosi una mano nei capelli e voltandosi di nuovo, prima di sparire oltre la porta. Elisabeth, salutò Sergio, e la seguì.
All’entrata della scuola c’era solamente un grande muro di mattoni rossicci, completamente ricoperto dall’edera e dal gelsomino; il grande cancello in ferro battuto, che dava sulla strada, era vecchio, ed ad ogni soffio del vento, cigolava in modo sinistro.
All’interno c’era un piccolo giardino riservato agli studenti, con qualche panchina sparsa qua e là.
Arrivò ai gradini in marmo all’entrata principale, dove dei ragazzi stavano seduti tranquillamente, fumando o ripassando le materie della giornata.
Tutti si voltarono, guardandola avanzare, e si spostavano se le intralciavano la strada; mentre lei dava il buongiorno a tutti, facendoli sorridere.
Elisabeth, appena dietro di lei, le afferrò la spalla, facendola voltare.
- Non aspettiamo Alice e Vittoria? -
- Si, ma vado in biblioteca -
Non appena entrò, davanti a lei, c’era la solita rampa di scale che saliva per tre piani, dove altri studenti, se ne stavano seduti, ridendo e scherzando con i loro compagni.
Svoltò subito a destra, dove si stagliava un lungo corridoio, con diverse stanze riservate agli insegnanti e all’ufficio della direttrice. Si bloccò di colpo, osservando un gruppo di bambini che cercavano di trovare la strada per la classe, provando a capire una delle tante piantine infisse sul muro; si avvicinò sorridendo e, non appena questi la notarono, assunsero immediatamente un’aria spaurita.
- Ehi, non mangio i bambini a colazione - disse con un sorriso abbassandosi appena - dove dovete andare? -
Nessuno le rispose, finchè una bambina non si fece avanti; aveva otto anni circa, i capelli castani erano legati con una classica “coda di cavallo”; il viso paffuto e roseo, vestita con un semplice maglione scarlatto e un paio di jeans.
La bambina alzò lo sguardo, scuro come il buio assoluto, e le sorrise.
- Ciao, ci hanno fatto cambiare classe a metà anno scolastico, e adesso dobbiamo andare nell’aula 34 -
- L’aula che cercate è in quel corridoio - rispose indicando il corridoio che aveva appena superato, che portava alla zona ricreazione, e all’uscita sul giardino - Non potete sbagliare, ogni stanza ha una targhetta sulla porta con il numero -
- Grazie mille! - le disse la bambina partendo in quarta, facendo segno agli altri di seguirla; ed il gruppetto sparì oltre il corridoio che aveva appena indicato.
- Angelica GPRS versione 4.0 - disse Elisabeth, dietro di lei, con le mani nelle tasche, mentre osservava fuori dalle grandi finestre alla sua sinistra - Senti Angi, devo andare un attimo in segreteria, mi aspetti in biblioteca? -
Annuì, ed osservò la rossa percorrere tutto il corridoio in fretta e furia; poi ripartì verso la biblioteca.
Si bloccò di scatto, quando una ragazza bionda e una mora, al suo seguito, le tagliarono la strada.
- Non ti hanno insegnato che le persone più importanti si lasciano passare per prime? Eh secchiona? -
- Laura... -
Era una ragazza alta quasi quanto lei. I lunghi capelli biondi un po’ laccati, le arrivavano fino a metà schiena, il viso pallido le metteva in risalto gli occhi grigi. Indossava una camicia bianca aperta fino al limite della decenza, una mini gonna color cachi, e un paio di scarpe con un tacco vertiginoso. Dietro di lei c’era l’inseparabile amica Veronica, abbronzata al contrario di Laura, vestita quasi allo stesso modo; i capelli castani erano legati in una coda, e la guardava con occhi socchiusi.  
- Quanto siamo acide oggi. E a te e alla tua amica non hanno insegnato che non si viene a scuola vestite da puttane? -
- E tu non ti pettini mai? - disse ancora Laura fissandola dall’alto in basso.
- Beh, a te sembra che ti abbia leccato in testa un mucca -
Si guardarono in cagnesco. Elisabeth, tornata di corsa dalla segreteria, la prese per un braccio, facendola allontanare, fissando in cagnesco le nemiche di sempre - Avete il ciclo o ci siete nate con l’esaurimento nervoso? -
- Sta zitta piattola, non sto parlando con te -
- Vieni Angelica, lasciale perdere - sussurrò piano Elisabeth trascinandola via con la forza.


Entrarono in biblioteca che si trovava all’inizio del corridoio, gettò lo zaino a terra e si sedette a malo modo su una sedia.
- La odio! - urlò passandosi una mano nei capelli corvini.
- Eh questo lo sappiamo tutti. La guerra con lei va avanti da quattro anni ormai -
- Ma che le ho fatto di male? -
- È solo invidiosa...questo lo sanno tutte -
- Invidiosa? Di chi? -
- Di te -
- E cos’ho io che lei non ha? -
- Beh tu sei bella, intelligente, buona e gentile...lei è solo bella con un carattere di merda -
Sembrò calmarsi, sospirò e si alzò prendendo lo zaino da terra, tirandogli via la polvere. Non era solo per quello che Laura la odiava. Osservò l’amica con i suoi soliti occhi verdi, che da minacciosi, erano diventati dolci e gentili - Andiamo, sta per suonare -
- Io non mi muovo finche non...-
Nemmeno il tempo di finire la frase che la campanella prese a suonare.
 - ...suona - continuò Elisabeth terminando la frase lasciata in sospeso - Ma tu sei una veggente o cosa? -

______________________________________________________

Salirono velocemente le scale, e per poco Elisabeth non si ruppe l’osso del collo, ma fortunatamente, le aveva preso la giacca facendole tornare l’equilibrio.

- Non so come fai a non cadere mai...- disse la rossa.
Come risposta, ricevette soltanto un sorriso.
Raggiunsero la loro classe, dove ormai, c’erano quasi tutti.
La classe era molto grande, all’interno, solo diverse file di banchi sistemati a coppie, una cattedra in legno, una libreria che occupava tutta una parete in fondo all’aula, e la lavagna esattamente dietro alla cattedra. Con un piccolo volteggio, la rossa raggiunse la penultima fila, gettò lo zaino a terra e si sedette sul suo banco; lei la seguì, sedendosi al suo posto, accanto all’amica.
- Che materia c’è adesso? - chiese Elisabeth mentre stiracchiava le braccia, allungando le maniche del maglione marrone che indossava, guardando il cielo grigio fuori dalla finestra, che diventava sempre più cupo e minaccioso.
- Economia - rispose mentre frugava nello zaino.
- Ah...che due...- si bloccò appena in tempo sentendo la professoressa tossicchiare.
Tutti si sedettero ai propri posti e salutarono l’insegnante. La donna era alta e magra, i capelli rossi le sfioravano appena le spalle; indossava una camicia bianca con sopra un maglione marrone, un paio di jeans e degli stivali anch’essi marroni con un tacco non troppo esagerato. Si sedette alla cattedra, infilò un paio di occhiali da vista e aprì il registro, iniziando a scrivere qualcosa.   
- Quanto è allegra stamattina - sussurrò Elisabeth in tono sarcastico.
- Signorina Vetra -
- Si? - chiese alzandosi in piedi.
- L’attendono in Direzione - disse la professoressa senza staccare gli occhi dal registro.
“ In direzione?” - Devo andare subito? - chiese titubante.
- Immediatamente. Si farà passare gli appunti dalla sua compagna -
- Oh...d’accordo -
Lasciò il suo banco, e attraversò l’aula, sentendosi addosso gli occhi di tutti; e uscì. Camminò lentamente per il corridoio, cercando di ritardare l’incontro; sbuffò dopo due minuti, vedendo davanti a lei una porta in legno con una targhetta infissa: “Direzione”. Fece un respiro profondo e bussò. Una voce gentile si fece sentire dall’altra parte della porta.
- Avanti signorina Vetra -
Entrò con lo sguardo alto - Buongiorno direttrice -
La direttrice era una donna giovane, sui trent’anni, i capelli ricci e neri come la pece erano sempre sciolti, il viso abbronzato, le labbra sottili con un po’ di rossetto di un bel rosso lampone. Era seduta dall’altra parte di una grande scrivania in legno, con un po’ di carte sparpagliate qua e là; teneva le braccia incrociate, stropicciando appena la camicia bianca che indossava. Sospirò stancamente e trafisse la ragazza con i suoi occhi neri. Restò in piedi davanti alla scrivania, tendendo alto lo sguardo.   
- Naturalmente si chiederà perché l’ho convocata in direzione. Bene, abbiamo un nuovo studente ed entrerà nella vostra classe, ma prima vorrei che fosse al passo con gli altri compagni e, dato che lei è la più brava della classe, se non della scuola, e caposcuola, le affido il nuovo studente -
- Direttrice, non credo di essere all’altezza di questo compito - disse abbassando lo sguardo.
- Oh, non essere sciocca, te la caverai egregiamente. Il nuovo arrivato ti aspetta giù in teatro. Per oggi sei esonerata dalle lezioni... -
- Buona giornata direttrice -
- Anche a te -
Si chiuse la porta alle spalle, notando appena un sorriso sulle labbra della direttrice. Scese velocemente le scale e arrivò in teatro, aprì la porta che si richiuse subito dopo con un tonfo sordo. La stanza era immersa nella semi oscurità, ma distinse la figura di un ragazzo seduto sulle prime sedie.
- Sei tu quello nuovo? - chiese accendendo la luce e avvicinandosi.
- Sono io -
- Bene, io sono...AH!!!! TU!! -
Sussultò sul posto, vedendo il nuovo arrivato.
- E tu che ci fai qui?!?! - chiese Matteo alzandosi in piedi.
- Ehm...sono a scuola...o forse non l’hai notato -
- Ah...e...perchè non sei in classe? -
- Perché qualche minuto fa, la direttrice mi ha convocato e mi ha affidato l’incarico di portarti allo stesso passo degli altri. Comunque...ti ha fatto vedere la scuola? -
- No a dire la verità...- rispose lui passandosi una mano nei capelli castani.
- Bene, vieni...facciamo un giro, e poi ci fermeremo in biblioteca e vedremo a che punto sei arrivato...-

______________________________________________________

Lei e Matteo girarono quasi tutta la scuola, parlando del più e del meno; ed infine, dopo un tour della durata di dieci minuti andarono in biblioteca.
La biblioteca, di solito, era piena di studenti che copiavano i compiti all’ultimo momento, ma adesso era completamente vuota, e non volava una mosca. Si sedettero ad un tavolo sedettero ad un tavolo e Matteo iniziò a parlare degli ultimi argomenti che aveva trattato nella vecchia scuola; e lei lo ascoltava con attenzione, incantata dalla sua voce.
Dopo dieci minuti, scrollò la testa e si alzò, sorridendo - Vieni... -
- Dove andiamo? - chiese il ragazzo rimettendosi lo zaino in spalla.
- In direzione. Devo informare la direttrice, e verrai anche tu -
- Io? -
Annuì semplicemente, aprendo la porta della biblioteca, ed uscendo al fianco del ragazzo.
Percorsero il corridoio principale e si trovarono davanti alla porta della direzione; bussò piano, e appoggiò la mano sulla maniglia.
- Avanti -
Aprì la porta, facendo un piccolo cenno a Matteo appena dietro di lei. Entrarono e restarono in piedi sulla porta.
- Signorina Vetra, Signor Dall’Angelo, prego venite -
I due si avvicinarono alla scrivania della direttrice. Lei si schiarì la voce prima di parlare.
- Direttrice, il signor Dall’Angelo non ha bisogno di nessun aiuto; è un ragazzo intelligente, e non avrà problemi a studiare quei pochi argomenti che non ha fatto; per il resto è al nostro stesso punto -
- Bene, allora può presentarlo alla classe. Signor Dall’angelo, per qualunque necessità, la signorina Vetra sarà a sua disposizione -
- Grazie Direttrice - la ringraziò lui.
- Potete andare. Buona giornata -
I due uscirono e salirono di corsa le scale, fino ad arrivare alla porta della loro classe.
Guardò l’orologio appeso nel corridoio: la seconda ora era appena iniziata; bussò e l’insegnate la fece entrare.
- Professoressa, posso rubarle due secondi? - chiese aprendo appena la porta e infilando la testa dentro.
L’insegnante di italiano, seduta alla cattedra, alzò lo sguardo incrociando i suoi occhi marroni, con quelli verdi della studente. Aveva i capelli castani raccolti in un chignon, la pelle rosea come quella di un bambino, le labbra sottili e rosse. L’insegnante si raddrizzò sulla sedia incrociando le braccia e accavallando le gambe - Ma certo -
- Vorrei presentare alla classe un nuovo studente - disse facendo entrare Matteo.
- Buongiorno a tutti. Io sono Matteo Dall’Angelo -
La classe rispose all’unisono con dei ciao, le ragazze si diedero delle piccole gomitate, e mangiavano il nuovo arrivato con gli occhi. Laura si avvicinò all’amica Veronica sussurrandole qualcosa all’orecchio.
- Bene signor Dall’Angelo, immagino che la direttrice vi abbia affidato alla signorina Vetra, quindi, prenda un banco dall’aula accanto e si sieda vicino a lei -
Si sedette al suo posto, facendo un piccolo cenno al ragazzo che scomparve dietro la porta, ma per rientrare subito dopo tenendo tra le braccia un banco e una sedia; che sistemò accanto a lei, dove poi, si sedette.
- Ma non è il ragazzo di questa mattina? - chiese Elisabeth in un sussurro avvicinandosi appena. Come risposta, annuì semplicemente.
- Ciao. Sono Elisabeth - disse la rossa porgendo la mano al ragazzo.
Matteo la guardò sorridendo - Matteo, tanto piacere -
- Non so se te ne sei accorto Matteo, ma c’è la fauna femminile di questa classe che ti sta mangiando con gli occhi, alcune stanno pure allagando la classe con la bava... -
- Elisabeth...- l’ammonì dandole una gomitata.
- Pure la zoccola ti guarda - continuò la rossa.
- La zoccola? - chiese il ragazzo.
- Si...Laura. Ti racconteremo tutto a ricreazione, vedrai quante risate che...-
- Signorina Hall, vuole caffè e pasticcini per caso? - disse l’insegnante senza smettere di consultare il registro.
- Mi scusi professoressa -
La professoressa iniziò a spiegare e, per tutta l’ora, prese appunti su un block notes, Elisabeth, al suo fianco in silenzio, copiava i suoi appunti aggiungendo vari smile e disegnetti; mentre Matteo ascoltava semplicemente.

- Bene ragazzi...per la prossima volta ripassate; ora state buoni che l’insegnante di matematica arriverà con quindici minuti di ritardo - disse l’insegnante raccogliendo i suoi libri e andandosene dalla classe.
- Matematica? - chiese la rossa.
- Esatto... -
- NOO!!! NO NO NO!!! -
Elisabeth iniziò a correre per la classe.
- Cosa le è preso? - le chiese Matteo.
- Preoccupata per l’interrogazione - rispose - ELISABETH! VIENI QUI IMMEDIATAMENTE!!! -
- Cavolo interroga! -
- Cosa ti ho detto questa mattina? -
- Ah già...mi fai i segnali -
- Brava...quindi datti una calmata -
Matteo iniziò a ridere osservandole, poi, una ragazza bionda apparve lì accanto.
- Ciao. Sono Laura - disse lei con un sorriso, porgendo la mano al ragazzo.
- Piacere, Matteo -
Laura gettò un’occhiataccia a lei e ad Elisabeth, e poi si rivolse ancora al ragazzo con un tono dolce - Il primo giorno e già ti mettono con la Secchiona & Company. Non vorrai stare con loro vero? Naturalmente sei il benvenuto nel gruppo di quelli più...importanti -
“ CHE RABBIAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!!!!! GRRRRRRRRRRRR!!!”
Stava per prendere a schiaffi la ragazza, ma Matteo rispose cortese alla sua nuova ammiratrice - Grazie per l’offerta, ma credo che resterò con la Secchiona & Company -
- Beh, se cambi idea...- disse Laura andandosene, lasciando la frase in sospeso.
- Attento che quella ci prova ragazzo...- disse la rossa.
- Che ci provi pure...la rifiuterò tutte le volte -
- Oh, finalmente abbiamo incontrato un uomo che non è attirato dalle sgualdrine, e che pensa con il cervello che ha in testa e non quello nei pantaloni - disse Elisabeth tirando fuori dallo zaino i libri di matematica e sedendosi.
Sorrise appena per poi portarsi una mano alla tasca dei jeans, dove il cellulare stava vibrando.
“ L’avevo spento”
Afferrò il cellulare e guardò il numero sul display.
“ 045 0505033; l’Agenzia” pensò facendo un profondo respiro.
Si alzò di scatto, ignorando gli sguardi di Elisabeth e Matteo.
Entrò nel bagno, mandando fuori, a malo modo, le matricole che massaggiavano tranquillamente; poi si chiuse nel primo bagno libero, prese di nuovo il cellulare e rispose.
- Pronto? -
- Agente 33? -
- Sono io - rispose tranquillamente.
- Mi dispiace disturbarla Agente 33 -
- Non si preoccupi. Categoria? -
- E -
Sbuffò appena. L’avevano chiamata per una banale Categoria E? Di solito la chiamavano per cose ben peggiori.
- Posizione? -
- Nella scuola, nel teatro -
- Cosa? Le zone scolastiche di Verona sono protette -
- È riuscito ad entrare, probabilmente si sarà legato a qualcuno che ha visto -  
Sorrise. La cara vecchia Agenzia aveva bisogno del suo Agente 33: lei. Il suo piccolo segreto.
Questa insolita agenzia radunava delle persone un po’ particolari; in grado di contrastare delle entità soprannaturali, più comunemente note come fantasmi, e vari tipi di demoni, classificati in cinque categorie dalla A alla E in base alla loro pericolosità.
- Non ci sono degli altri agenti? -
- Darebbero nell’occhio; e poi, lei è già nell’edificio signorina Vetra -
- Con chi ho a che fare? - chiese rassegnata.
- Fantasma -
- Esigo di non essere più chiamata per questi semplici incarichi di far passare oltre un Categoria E -
- Certamente 33 -
Riattaccò e si infilò di nuovo il cellulare in tasca.
Uscì dal bagno, e si ritrovò davanti le due ragazzine di prima; sospirò mettendosi le mani sui fianchi - Andate in classe altrimenti vi porto io con la forza -
Una delle due la guardò dall’alto in basso - Ma che vuoi? Non puoi dirci quello che dobbiamo fare -
“ Trattieni la rabbia...non pensare di investirla con l’auto, e di passarci sopra un paio di volte” - Andate immediatamente in classe o quei vostri cellulari del cazzo fanno un volo fuori dalla finestra -
Le due non si mossero - State mettendo a dura prova la mia pazienza - sussurrò tra i denti, battendo velocemente il piede a terra, mentre le due ragazze si guardavano con un ghigno stampato in faccia.
- FUORI HO DETTO! - urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
“ La tattica delle urla, in perfetto stile esaurimento nervoso, funzionano sempre” pensò ghignando, osservando le due che tornavano in classe, guardandola di sottecchi. Uscì finalmente dal bagno, e si guardò intorno, sperando che non ci fosse nessuno, e partì in quarta, scendendo i gradini a due a due; non appena vide la porta d’ingresso, scese un’altra rampa di scale, che si bloccavano davanti ad una grande porta in legno. Spalancò la porta del teatro con un calcio, e si guardò intorno per un po’, prima di fermarsi a guardare l’uomo immobile sul palco.
- Ah, allora sei tu l’anima in pena. Sai, io odio essere interrotta durante le lezioni - disse all’uomo; lo stesso uomo che aveva visto quella mattina fermo sulla strada.
- Dove sono? -
- In un posto dove non dovresti essere. Andiamo al sodo...tu sei morto -
- Sono morto? -
Il tizio sembrava un tantino confuso. Ma in fondo, tutti quelli che aveva visto lo erano, ma dopo sembravano calmarsi non appena vedevano la luce - La vedi la luce? - chiese mettendosi le mani sui fianchi.
- Si - disse l’uomo chiudendo appena un occhio - È forte -  
- Devi andare, è quello il tuo posto, non qui tra i vivi. Là ci sarà il perdono, l’amore e delle persone che ti aspettano -
- Chi? -
- Sta a te scoprirlo -
- Tu la vedi? -
- No -
- E perché credi a queste cose? -
Non rispose, e si mise le mani in tasca.
- Come mai riesci a vedermi? -
- Una storia troppo lunga da raccontare. E poi, non vedo solo te -
- Chi altri  vedi? -
“ Mi sto confidando ad un fantasma” pensò cercando di rendere ironica la cosa - Persone come te, persone che non sono più vive; anziani, uomini, donne e bambini, una volta ho visto pure un cane -
Il fantasma le sorrise e tese una mano verso in nulla; e scomparve senza lasciare traccia.
Sospirò voltandosi di nuovo verso l’uscita “Speriamo di non essere in ritardo”
Salì di corsa la rampa di scale, arrivando in cima con il fiatone. Sfrecciò in classe, e si sedette al proprio posto, sotto lo sguardi di Elisabeth e di Matteo.
- Dove sei stata? - le chiese l’amica.
- In bagno -
- Bugiarda -
Sospirò - In teatro -
- A far cosa? -
- Affari -
- Che tipo di affari? -
- Fai troppe domande per i miei gusti - sussurrò incrociando le braccia, cercando ancora di riprendere il fiato.
- E tu stai mentendo troppo per i miei gusti -
Si voltò osservando l’amica, che aveva le guance completamente rosse di rabbia, ed era un miracolo che fosse ancora viva e vegeta.
- Un giorno saprai -
- Sapere cosa? -
- La verità -
- Cosa stai nascondendo Angelica? Cos’è che non puoi dire nemmeno a me? -
- Una cosa troppo grande per essere svelata -
Entrò l’insegnante di matematica: una donna alta e robusta, tutti la chiamavano Trinciabue, per la somiglianza con l’attrice Pam Ferris - Bene ragazzi, interrogo - annunciò andandosi a sedere alla cattedra.
Elisabeth batté la testa sul banco - No... -
- Signorina Mancini...prego -
Con un sorriso sulle labbra si voltò verso Laura, che sbuffò sonoramente e si avvicinò alla lavagna.
- Evvai evvai... - disse la rossa - Sono salva! Satana oggi non mi avrai!! -
Lei e Matteo si misero una mano sulla bocca per soffocare le risate.

______________________________________________________
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Azione / Vai alla pagina dell'autore: Kiary92