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Autore: LemonKing    27/04/2010    3 recensioni
Guardate che bella la finestra sul cielo!
Guardatela bene!
Sapete che io l’ho raggiunta?
[ In ricordo di tutti i matti legati ai letti nei manicomi ]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La Finestra sul Cielo



Guardate che bella la finestra sul cielo!
Guardatela bene!
Sapete che io l’ho raggiunta?
Ma oltre non c’era una bella donna con cui fare l’amore, non c’era un Dio con cui parlare o lamentarsi.
C’erano tanti tulipani che mi toccavano le ginocchia e c’era un gigante brutto, tutto nero, che li strappava.
Piangevo, gli gridavo di non strappare quella bellezza.
I fiori strappati sono così tristi, eppure rimangono belli.
La bellezza la trovo nella disperazione, anche nella semplicità.
La bellezza se guardi bene, amico mio, è ovunque!
So che sei ansioso di sapere cosa ho fatto a quel gigante, ora te lo dirò, abbi pazienza.
Almeno tu, abbila!
Non fare come me che ho rotto tele di quadri venuti male, in cui vi scorgevo colori troppo simili a me. Non fare come me che ho buttato il pennello contro il muro e mi son messo nell’angolo a tremare. Non fare come me! Io che ho distrutto quei disegni spaventosi che ritraevano il caos che avevo dentro. Ho dato vita a una mostruosa bellezza, che mi faceva piangere e tremare e arrabbiare. Chi sei tu per guardarmi dentro? Chi sei? Vattene via!
E la carta cadeva al suolo, il legno del cavalletto faceva un rumore infernale. Mia madre veniva in camera e mi picchiava. Avevo urlato troppo. Avevo macchiato il muro. Avevo attirato l’attenzione dei vicini.
Papà dove sei? Papà ho le mani che sono magiche! Sono strumenti del Diavolo, papà!
Le mie mani realizzano capolavori struggenti, ritraggono la mia tragedia.
Papà perché piangi mentre parlo?
Papà dov’è mio fratello? Mi avevi detto che era andato a portare la pistola ai soldati nemici in guerra perché non ne avevano e perché lui era buono. Perché non torna da tre anni?
Senza di lui sono solo.

~

Perché mi guardate così, signori?
Perché mi trattate male?
Signori voi insistete che io vi chiami dottori.
Quel posto era buio. Non mi ricordavo nemmeno come ci ero arrivato e non sapevo il perché.
Pensavo che mamma e papà mi avessero portato nella gelateria che mi piaceva tanto.
Ma entrato capii che non c’era la folla, non c’era la scelta dei gusti colorati. Capii che non ci sarebbero più stati.
Era diverso quel posto. E che brutto nome “M a n i c o m i o”. E’ troppo lungo ed è strano. E’ un nome fuori dal comune.
Io vi voglio bene, signori, perché voi mi fate piangere?
Ho pianto troppo.
No, signore, non sono ubriaco.
Io sono me stesso.
Io sono libero e penso e vedo tante cose che voi nemmeno riuscite a scorgere!
Signori voi insistete che vi chiami dottori. E’ vero che ho solo trent'anni e devo portare rispetto, ma voi non trovate la cura alla mia mente di bambino depositata molto lontano e mai ritirata, data via  all’elegante follia ubriaca e vestita d’arcobaleno. Volevo solo farle un regalo. E’ lei che mi ha creato.
Mi diedero una stanza tutta mia. Era uno spazio piccolo all’apparenza e mi apparteneva completamente: intorno a me c’era un mondo gigante! Non ruotava, ma stava fermo per me, che gli ero nel mezzo.
Eppure mi sentivo in prigione. Ero bravo coi presentimenti e non me ne accorgevo.
Signori, perché mi legate?
Perché non mi ascoltate?
Non posso parlare? Io non sono un disco rotto, io canto bene le parole.
E’ un gioco nuovo, signori?
Non mi piace.
Io capisco che questo non è bello, non è piacevole.
Signori, io sento il dolore! Non sono un pupazzo!
Io ho una coscienza!
Cosa? Dite che l’ho persa tanto tempo fa?
Io me ne vado, io ho quella finestra tra le nuvole che mi aspetta tutte le ore.
Voi non siete dottori, nemmeno signori. Siete solo bestie.

Alla fine vi entrai, in quella finestra, come vi dissi all’inizio di questo insensato racconto. E’ un po’ come il mondo, non trovate? O come la vita. Entrambi non hanno senso… se lo avessero non ci sarebbe gusto di fare scoperte e porsi domande.
Ok, ora continuo con il mio giardino oltre la finestra nel cielo – che non è tenuta da un filo, ve lo giuro! E’ magica. Ah, la state guardando, che sciocco che sono, quasi me ne dimenticavo.
Dunque: mi resi conto di stare a stringere la mano del gigante in realtà. {c’è qualcosa di reale in tutto questo?}
Era morbida e grande.
E quei tulipani… ero felice! Ero felice che stessero morendo, che erano stati strappati.
Quei tulipani sembravano le facce di quei signori che si facevano chiamare medici ed erano vestiti di bianco. Non erano angeli. Non avevano le ali e non erano buoni.
Poi scappai via. La mia mano si staccò da quella del gigante, come un bambino che lascia andare il suo aquilone.
Il gigante sembrava un vecchio quadro, vissuto e visto troppe volte.
Mi teneva le mani, ma io non gliele avrei date. Non anche questa volta, non ancora, mai più.
Vattene via anche tu!
Andate via tutti!

Io mi tengo compagnia con la solitudine. Io voglio accanto a me qualcuno che non esiste.
I sogni impossibili vengono definiti irraggiungibili. La gente dice “Tu sei pazzo!”. E poi ride.
Matti siete voi che ridete. E lo sono anche io. Ma io sono un matto “normale”, a differenza vostra. Voi siete solo ibridi.

~

Avete guardato bene la finestra?
Adesso ne sono fuori, perciò abbassate gli occhi, baciate il suolo.
Sto correndo nella terra in cui l’erba alta e chiara mi solletica le gambe.
C’è un buco nero laggiù! Non lo vedo solo io, non lo vedete solo voi, ma anche tanta gente!
Quella gente, però, lo evita, come ha evitato me.
Quel pozzo mi somiglia. Forse anche lui si sente solo.
Lì sotto non ci sono donne, non c’è il Diavolo. Ora ho imparato.
Ma ci sono tulipani? Ci sono giganti?
Voglio tuffarmi in quell’abisso nero e fondermi con lui.
Mi avvicino e tutti quanti intorno a me urlano e mi scacciano. Perché non volete che io sia felice?
E sorrido e salto. Alla faccia vostra.
Sì, sono matto. Io non vi do retta. Io sono fuori dalle righe… aspettate, io non ho righe, né quadretti!
Io sono un foglio scarabocchiato.
Sono la tela nata dalle mie mani pasticciate e maledette.

Ciao gente!
Qui c’è tenebra e silenzio. Qui cado e non tocco terra. Qui ho paura. Qui fa freddo. Qui il cuore batte forte e la luce del sole sopra di me viene oscurata dalle teste dei bambini e le loro mamme.

L’ultima parola che odo non è “Morto”, no.
L’hanno già detta, quindi non sarà l’ultima. Ormai le voci sono lontane, sento grida e una sola spiegazione: “E’ pazzo”.
Poi sotto di me qualcosa di duro.
Fu come se qualcuno mi avesse strappato e poi accartocciato.

  
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