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Autore: 365feelings    02/05/2010    21 recensioni
Era da poco scoccata la mezzanotte, di un settembre dalle giornate terse e luminose che poco facevano presagire l’inizio dell’autunno, e dalla finestra socchiusa della camera entrava lo spiraglio della luce di un lampione solitario...Seconda classificata parimerito al contest sull' "Uzumaki Family" indetto da Mala_Mela e bacinaru.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Naruto Uzumaki, Yondaime
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Nick Autore: Amaranth93
Titolo: Mi racconti una storia mamma?
Personaggi/Pairing: Naruto Uzumaki, Minato Namikaze, Kushina Uzumaki; accenni a Mina/Kushi
Genere: Generale
Rating: Verde
Avvertimenti: One shot, AU
NdA: poche parole. Ho preso spunto dai miei stessi ricordi, riesaminando le mie paure infantili e la storia che mia madre mi raccontava, quella del “quattro novembre”, cioè quella del giorno in cui sono nata. È stata più difficile di quanto immaginassi, rendere bene ogni personaggio, non scadere nell’OOC, ma sono abbastanza contenta del risultato. Buona lettura.

 

 

 

 

 

Mi racconti una storia, mamma?

 

 

 

 

 

Era da poco scoccata la mezzanotte di un settembre dalle giornate terse e luminose, che poco facevano presagire l’inizio dell’autunno, e dalla finestra socchiusa della camera entrava lo spiraglio della luce di un lampione solitario.
Naruto si rigirò nel letto cercando di trattenere il sonno, ma il dolce abbraccio di Morfeo l’aveva ormai abbandonato, complice l’afa che si appiccicava alla pelle e sì, anche  il film che aveva visto quel pomeriggio con Sasuke e Sakura.
Lentamente aprì gli occhi, pozze cristalline grandi e ingenue, e si guardò attorno guardingo: non importava che non vedesse quasi niente, un controllo lo doveva pur fare per essere certo che non ci fosse nessun mostro appostato dietro l’angolo pronto a divorarlo.
Scrutò con attenzione il profilo morbido del mobilio, riconoscendo il grande armadio color panna e la scrivania di legno su cui soleva svolgere i compiti che la maestra gli affidava per casa. Intravide poi la porta, aperta sul corridoio buio, dove il nero della notte risucchiava tutti i colori annullandoli.
Lo scricchiolio improvviso di un’asse di legno del pavimento, che ruppe il silenzio, lo colse di sorpresa mozzandogli il fiato e facendolo irrigidire.
Non c’è nessuno, nessuno, si disse per calmarsi e quando udì il fischio del treno, che sferragliava sulle rotaie a due incroci da casa sua, riecheggiare nell’aria fino a giungere alle sue orecchie, riprese a respirare normalmente, tranquillizzato da quel familiare rumore. In lontananza delle voci si levarono all’improvviso e un cane abbaiò: sì, non c’era niente per cui preoccuparsi, la vita lì fuori procedeva tranquillamente, era tutto normale.
Ma c’era quel rumore, che tornò a farsi sentire, quel rumore che a distanza di pochi anni avrebbe finalmente scoperto essere causato dall’acqua che scorreva nelle tubature subito sotto le assi.
Timorosamente si alzò a sedere sul letto, le lenzuola aggrovigliate attorno ai suoi piedi, e a tentoni allungò una mano sul comodino per prendere il bicchiere d’acqua che gli faceva compagnia durante la notte.
Temendo che qualcuno, o meglio, qualcosa, potesse artigliargli il braccio mentre lui si prendeva da bere, lo ritirò subito, velocemente, lieto che i suoi timori non si fossero avverati e trangugiò avidamente due lunghi sorsi d’acqua, prosciugandola.
Rimesso al suo posto il bicchiere vuoto, osservò la sottile striscia di luce che entrava dalla finestra, ammirando, non senza un po’ di timore, le graziose ombre cinesi che questa creava sul muro bianco.
Di nuovo il fischio lontano del treno notturno e poi quel sinistro scricchiolio.
Naruto strinse al petto Gamakichi, il ranocchio giallo che lo zio Jiraiya gli aveva regalato un giorno: all’inizio non lo poteva neanche vedere, era così brutto, poi la zia Tsunade gli aveva rivelato che quello era il peluche di quando lo zio era piccolo come lui e la notte da solo aveva paura e così improvvisamente aveva iniziato a piacergli.
Deglutendo rumorosamente si decise a mettere un piede fuori dal letto, sul morbido tappeto arancione; sentendo che nessuno mostro lo afferrava per la caviglia e lo portava via con sé, poggiò a terra anche l’altro e si avvicinò alla porta.
Fermo sulla soglia osservò impaurito il buio in cui era immerso il corridoio e facendosi forza si avventurò fuori della sua camera.
Conosceva la strada a memoria, ma per sicurezza rimase accanto il muro sfiorandolo con le dita per non perderlo mai e compì piccoli passi, tenendo in braccia il fido Gamakichi.
Questa volta proprio non riusciva a vedere niente e per quanto le sue pupille si sforzassero di cogliere un qualche particolare, brancolava nell’oscurità più totale sentendosi tragicamente e pericolosamente allo scoperto.
La mente, birichina, gli riportò alla memoria alcune scene del film facendolo tremare di paura dalla testa ai piedi. Deglutì un’altra volta, desiderando non aver mai insistito per guardare uno dei film di Itachi, il fratello maggiore dell’amico, e di non aver accontentato Sakura che desiderava un bel cartone, ma alla fine aveva vinto lui e Sasuke aveva messo, da bravo padrone di casa, il dvd nel lettore: ricordava bene come lo schermo del grande televisore si era fatto improvvisamente nero mentre un’inquietante colonna sonora veniva riprodotta alla perfezione dalle casse risuonando per il salotto di villa Uchiha e poi delle parole, che sembravano scritte col sangue, avevano iniziato ad apparire, il tutto prima che il film iniziasse realmente facendogli passare due ore, la durata della visione, a tremare sul divano chiaro accanto all’amico, impassibile ad ogni scena e seccato dalla piccola Sakura che quasi in lacrime gli si era attaccata al braccio. E poi, alla fine, gli aveva detto quel “Stai bene, fifone?” con sprezzante superiorità, che gli aveva fatto perdere le staffe.
Ricordando quel particolare ritrovò la forza e il coraggio per avanzare, intenzionato a non farsi più vedere impaurito dall’amico-nemico, perché tra i due il migliore era sicuramente lui e un giorno sarebbe anche riuscito a conquistare la dolce amica dai capelli rosati che al momento era tutta presa dall’Uchiha. Mera illusione, ma lui ci credeva.
I piedi nudi si mossero rapidi sul pavimento di legno aderendo alle assi lisce e pulite, senza incontrare ostacolo alcuno, fino a quando la porta della camera che cercava, non apparve grande, imponente e sicura dinnanzi alla sua minuta figura.
Nella stanza la finestra era completamente spalancata, nel tentativo di far entrare dell’aria che non c’era, e l’illuminazione esterna che vi entrava, flebili raggi di una luna accecata dalle luci artificiali, permise alle iridi del bambino di scorgere il grande letto su cui distingueva le figure dei corpi dei genitori.
Tirò un sospiro di sollievo, lasciandosi anche scappare un sorriso, memore di imprese simili compiute sempre con il fedele Gamakichi, e facendo attenzione a non fare troppo rumore, avanzò sollevato nella camera, dirigendosi con passo sicuro, come aveva più volte fatto, verso la madre.
La donna riposava su un fianco, il corpo coperto da una leggera e chiara camicia da notte; i lunghi e splendidi capelli color della vampa ricadevano morbidi come petali di papaveri sulle nivee spalle scoperte e sulle palpebre abbassate, scrigni di due preziosi smeraldi incastonati in un volto sereno dall’incarnato niveo spruzzato di lentiggini sul grazioso naso alla francese. Le labbra, piene come un frutto estivo, erano dischiuse a rubare l’aria, mentre il petto si alzava ritmicamente. Quelle mani, piccole e perfette, che alla mattina per augurargli il buongiorno andavano a scompigliargli i capelli, ora erano abbandonate a fianco a lei, vicino il capo, immobili e senza occupazioni, come era raro vederle, essendo Kushina ipercinetica. Il padre gli aveva raccontato più volte di come la madre da giovane fosse stata definita tale dagli insegnanti, quando era solo una scapestrata combinaguai che disturbava le lezioni con il brusio continuo della sua voce, e lui amava sentire l’uomo narrare queste storie.
Osservandola dormire apprezzò ancora di più la sua bellezza e il suo unico ed innocente pensiero, nonostante i suoi parametri di confronto fossero limitati ad altre tre donne, zia Tsunade, Mikoto Uchiha e Kaori Haruno, fu: “La mia è la mamma più bella del mondo.”
Più volte aveva visto le madri di Sakura e Sasuke, e sempre aveva pensato che la prima fosse troppo severa e dispotica, per quanto assomigliasse alla figlia, e che la seconda non fosse adatta a fare la madre, era bella certo, ma di una bellezza fredda e distaccata, e quel sorriso dolce che le aveva visto in volto a volte era quello di chi non c’è mai, mentre Tsunade faceva troppa paura. Decisamente, la sua era quella migliore.
-Mamma.-, chiamò sottovoce, per non svegliare il padre che riposava, -Mamma.-
La donna si mosse mugugnando, ma non accennò a svegliarsi.
Allungò allora una mano sul suo braccio e la richiamò, a voce un po’ più alta: la vide scattare seduta, esclamare un “Eh? Cosa?” che fece brontolare il marito e infine girarsi verso di lui passandosi una mano sul volto.
-Naruto, cosa c’è?-
-Mamma, posso venire nel lettone?-
-Non sei un po’ grande per queste cose? Hai già cinque anni.-
-Ma…ma…ci sono i mostri…-
Kushina rise sottovoce, portando una mano davanti alla bocca per trattenere la risata argentina, e gli fece cenno di accomodarsi tra lei e Minato.
Non appena si acciambellò sul materasso guardò l’oscurità del corridoio per dove era passato e gli sembrò di avvertire un altro scricchiolio.
-E…mi racconti una storia mamma?-, chiese ancora un po’ impaurito.
-Va bene. Quale vuoi sentire?-
-Quelle del dieci ottobre!-, rispose estasiato facendo sorridere la madre, che andò a scompigliargli con tenerezza la zazzera bionda annuendo con il capo.
-Era la notte del dieci ottobre e la mezzanotte era scoccata da circa un’ora, per strada non si sentiva passare anima viva, io ero ormai al nono mese e stavo tranquillamente dormendo quando all’improvviso mi sono svegliata con un forte mal di pancia. Eri tu, che scalciavi e scalciavi, come una furia; disperata le avevo provate tutte, in piedi, distesa e seduta, ma niente, non mi lasciavi dormire, e il dolore aumentava, fino a quando, sopra al mio tappeto preferito, non mi si sono rotte le acque. Allora, dicendo addio tappeto, sono andata da papà e ho iniziato a scuoterlo, per svegliarlo, perché sai com’è tuo padre, non lo svegliano neanche la cannonate. Alla fine sono riuscita nell’impresa e lui, non appena ha aperto gli occhi mi ha chiesto se fosse già mattina. Con calma, con molta calma, gli ho spiegato la situazione e per le quattro ero in macchina, seduta sul sedile del passeggero a lanciare grida atroci: erano iniziate le doglie. “Minato, va’ più veloce. Più veloce!”, gli ho intimato, ma lui mi ha detto di restare calma, di respirare e di pensare ad altro, perché c’era il limite di velocità da rispettare. Mai ho tanto odiato tuo padre per il suo senso civico e per il suo attaccamento alle leggi come quella notte. “Me ne frego, sto per partorire ed è colpa tua se sono in questo stato!”, gli ho risposto io e alla fine mi ha dato retta, accelerando e assicurandomi che in cinque minuti sarei stata in ospedale. Ma ecco che una pattuglia di polizia ci fa segno di accostare, allora io, in preda al dolore, ho detto a papà di non osare fermarsi se voleva trovare ancora un piatto caldo alla sera.
Questa volta però non mi voleva ascoltare; ricordo chiaramente di avergli detto: “Ci fosse il diavolo, tu non osare fermare la macchina.”, ma niente, mi ha risposto che loro rappresentano la giustizia e via con la sua solita manfrina sul rispettare le leggi. Allora io, prevedendo che le cose sarebbero andate per le lunghe e che io non potevo permettermelo, dopo un urlo terribile gli ho detto di accostare, sorprendendolo. Uno di quei tizi in divisa ci ha fatto segno di abbassare il finestrino, ma non appena papà lo ha fatto, dalla mia parte, poiché il poliziotto era chino sul finestrino del sedile del passeggero, io l’ho preso per il colletto, prima che potesse dirci che stavamo superando il limite di velocità, come se non lo sapessimo, e gli ho urlato con te che volevi uscire: “Sono una donna incinta e sto per partorire, se non lascia che mio marito mi porti in ospedale io giuro che la sbudello.” Da bravo, ha capito la gravità della situazione e tremante, devo ancora capire perché, ci ha lasciati andare. Dopo cinque minuti eravamo in ospedale, come tuo padre mi aveva promesso, e le infermiere mi hanno subito portata in sala operatoria, dove l’ostetrica è giunta poco dopo correndo, facendomi finalmente partorire. Mentre spingevo, papà mi stringeva la mano e mi rassicurava, dicendomi che sarebbe andato tutto bene. Quando alla fine sei nato, tutto il dolore provato e la stanchezza se ne sono andati, lasciando solo una gioia infinita. Ci hai guardati, con i tuoi occhioni azzurri e hai iniziato a piangere. I medici mi hanno tenuta in ospedale per altri cinque sofferenti giorni durante i quali ho ricevuto tanti regali, così tanti che ti ci vorrebbero tre natali per averne un numero simile, e papà veniva invitato ovunque, ogni secondo riceveva un invito, per un pranzo o per una cena. Tutto perché eri nato tu. Quando alla fine mi hanno lasciata andare, perché non ne potevo più di quel letto scomodo, di quel camice bianco e di quelle pappette che lì chiamavano cibo, il cielo era bello, nonostante fosse autunno, limpido e illuminato da un pallido sole, e ovunque si vedevano alberi dal rosso fogliame. Nel tragitto in macchina per tornare a casa ti avevamo, io e tuo padre, posto sul seggiolino che avevamo comprato tempo prima, e in testa avevi un simpatico cappellino arancione che ogni volta ti cadeva sugli occhi. Quando ciò accadeva tu iniziavi a piangere e…-, sorrise interrompendo la narrazione che fino a quel momento aveva catturato la sua attenzione: sul suo braccio era appoggiato il capo del figlio dormiente, le labbra aperte per respirare e Gamakichi in grembo. Le labbra increspate in un dolce sorriso, osservò intenerita il bambino e spostò il corpicino avvolto da un inconfondibile pigiama arancione, adagiandolo sul materasso e cedendogli parte del cuscino.
Guardò Naruto con attenzione, la semioscurità che non impediva ai suoi occhi di vedere le due persone che più amava, e ripensò a quei cinque anni trascorsi in tre: i litigi che avevano incrinato il rapporto col marito poco dopo la nascita del figlio, causati dalla novità della situazione, e che erano stati coraggiosamente affrontati, la difficoltà da lei provata nel tentativo di ricoprire quel ruolo di madre che strideva con il suo carattere, il disagio di Minato di non riuscire ad essere sempre presente a causa del lavoro e lo stress di doversi svegliare anche in piena notte per stare accanto a Naruto, la morte improvvisa del nonno paterno e tutti gli altri problemi che avevano investito la coppia, si perdevano e venivano annullati nell’oceano infinito di quei ricordi lieti e luminosi.
Il primo sorriso del figlio, i primi passi, la prima parola (“ramen”), il primo compleanno, il primo giorno d’asilo e i primi amici.
Le foto scattate in vacanza, i souvenir e le cartoline, i castelli di sabbia e i giocattoli.
La casa sull’albero costruita da Minato in quel caldo pomeriggio d’estate, le ginocchia sbucciate e i lecca lecca comprati nel negozio dietro l’angolo.
I Natali, con i loro regali, le visite dei parenti e degli amici, le promozioni e le lacrime di gioia.
Le fioriture dei ciliegi e la neve in giardino, l’amaca comprata per la siesta pomeridiana, i vestiti nuovi e le caramelle.
Era un vortice di colori, un turbinio di emozioni.
Era tutto così bello che niente del passato avrebbe mai voluto cambiare: ogni singola azione e decisione, ogni singola scelta e ogni singolo passo, perfino ogni singolo errore, avevano portato a quel presente sereno e felice; e nel vedere che ora, in quel letto, suo figlio e suo marito dormivano senza mostri e senza preoccupazioni per la testa non vi era nessun rimpianto, solo un infinito senso di benessere.
Kushina si chinò a baciare la fronte di Naruto e poi si sporse verso Minato.
L’uomo riposava prono, i capelli come una nuvola d’oro e le pozze cristalline dei suoi occhi celate dalle palpebre abbassate. Le braccia tornite erano slanciate ad abbracciare il morbido cuscino e i muscoli erano rilassati.
Osservò con attenzione il profilo perfetto del volto e del corpo e ancora una volta non riuscì a trovare nessun difetto, costringendosi ad ammettere che il suo era il marito più bello del mondo. Altro che quelle mezze cartucce che le sue amiche esaltavano ogni giorno o quei divi hollywodiani da quattro soldi. Nessuno reggeva il confronto con Minato Namikaze.
Depositò un casto bacio sulle sue morbide labbra, scostando un ciocca di capelli dal volto, e lo sentì sorridere nel sonno.
Senza far rumore si ritirò sul suo angolo di letto, ritornando alla posizione originaria: per un attimo gli ornamenti della stanza assunsero l’aspetto di tesori sconosciuti, l’orologio batté le ore, un cane abbaiò, il pavimento scricchiolò e il treno fischiò poco lontano.
L’attenzione rivolta a quel suono la ricondusse nel sonno, tra le braccia di Morfeo, sulle labbra un sorriso e in mente il ricordo del suo primo incontro col marito. Ma questa, questa è un’altra storia.

 

 

 

 

 

 

Commenti finali

In super ritardo, ma alla fine l’ho pubblicata.

Dire che sono soddisfatta è dire poco. Sono molto legata a questa storia e vedere che è salita sul podio mi ha riempito di gioia. Spero che chi la leggerà l’apprezzerà e mi dirà cosa ne pensa.

Mi complimento con le altre podiste, non vedo l’ora di leggere le vostre storie, e ringrazio i giudici, bacinaru e Mala_Mela per aver indetto il contest.

Cla

___

Correttezza grammaticale: 7,5/10
Attinenza al tema: 10/10
IC dei personaggi: 8/10
Originalità: 8/10

TOT: 33,5

Giudizio:

Davvero una bella storia, abbiamo trovato abbastanza originale l'idea di raccontare il giorno della nascita di Naruto come una storia della buonanotte, prendendo i propri ricordi come spunto. La fan fiction è essenzialmente scritta bene, lo stile è fluido e piacevole.
Per quanto riguarda la grammatica ci sono alcune piccole sviste e alcune virgole fuori posto, oltre ai seguenti errori:
“... complice l'afa che si appiccicava alla pelle e sì, anche del film che aveva visto quel pomeriggio...” .
L'afa e il film, sono entrambi complemento oggetto, quindi “del” va sostituito con “il”; “ … a tremare sul divano chiaro accanto l'amico...” accanto a chi? È complemento di termine, quindi va “all'amico”.
Inoltre pensiamo che la frase “ … e lo sentì sorridere nel sonno...” strida un po’. L'azione è compiuta con gli occhi, quindi un verbo visivo sarebbe stato più appropriato, forse perché anche l’immagine che hai cercato di trasmettere non arriva pienamente al lettore.
Il tema del contest è stato perfettamente rispettato, quindi l’attinenza merita voto pieno, i personaggi sono IC, nonostante Kishimoto li abbia mostrati solo per pochi attimi. Solo nella parte iniziale Minato non ci ha convinte molto, troppo controllato e rispettoso delle regole, ma per il resto è davvero tutto ok.
In conclusione la tua è una storia davvero simpatica e dolce, complimenti.


   
 
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