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Autore: Annoiata    02/05/2010    4 recensioni
Sono arrivati gli Americani. E nel piccolo paesino di Lovino, la realtà cambia. {LovinoXAlfredXAntonio}
Genere: Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ho
deciso di scrivere questa fic influenzata dalle storie che mia nonna mi
raccontava a proposito dello sbarco dei soldati americani in Sicilia. E
anche grazie alla fic "del poco, del niente e dell'illusione" di
renge_no_han, che tratta anche di questo tema. E grazie anche ad una
ragazza sul web, che ha detto "la coppia AlfredXLovino è
canonissima ma non se la caga nessuno". Ovunque tu sia, mi sei stata di
grande aiuto

“A ginucchiune cugghiennu cuttune, essennu cu’ tìa cuttune cugghìa…”

Lovino ripensava a quel detto popolare, quello scioglilingua che sua madre gli ripeteva sempre nei momenti di tristezza e di noia per mettergli allegria, per stuzzicare la sua mente, impegnandolo così a non pensare alla loro misera cena. Qualcosa che non fossero cipolle, le bucce di patate o u pani ri avantere inzuppato nel latte. Era buffo, si ritrovava nella stessa situazione. In ginocchio, con la terra che gli sporcava gli orli degli  sdruciti pantaloncini e gli pizzicava le ginocchia sbucciate, sudato, assieme ad Antonio, Nino, per tutti. Solo che, invece di stare a raccogliere ispida bambagia, Lovino era intento a cercare la biglia di vetro che il suo migliore amico, non lui, ma Nino –quello scemo- aveva perso.

<< Allora, l’hai trovata? >> la voce irritata di Antonio che se ne stava beatamente seduto qualche metro più in là, gambe divaricate in una posa bambinesca, a giocherellare con la dura terra come se fosse soffice sabbia, lo fece arrabbiare ancora di più. Già non bastava che avessero dovuto giocare a biglie, quel gioco da bambini, come aveva deciso lui, mentre lovino voleva giocare alla guerra, o ai pirati, no, non bastava a quello scemo. Doveva anche andare a riprendere la stupida biglia che quello scemo aveva lanciato troppo lontano, tra i cespugli e le erbacce che crescevano tra le umide crepe dei marciapiedi. -Unni ci piscianu li cani! – aveva pensato storcendo il naso, disgustato. E per di più, come ciliegina sulla torta, Antonio si permetteva di criticarlo.

<< Hola? Parlo con te! >>  disse Antonio, smettendo per un attimo di mettere in riga i sassolini come se fossero soldati. Lo faceva sempre, era uno dei suoi giochi preferiti dopo le biglie. Poi, una volta allineati perfettamente l’uno di fianco all’altro, si divertiva a colpirli con l’indice come faceva con le biglie di vetro e a farli schizzare lontano. Fucilava i suoi soldatini.

Lovino non gli rispose e infilò il braccio tra i cardi pungenti. Le spine gli graffiarono le mani e le dita << Ah! >> gridò, e ritrasse il braccio di scatto, fissando poi deluso il pollice tagliato di striscio che subito s’infilò in bocca. Succhiò per lenire il dolore e sentì il sapore dolciastro del sangue sulla lingua. Si ricordò di avere fame.

<< Estúpido >>   rise Antonio. Lovino, il pollice ancora in bocca, guardò in cagnesco il suo amico. Ad Antonio Fernandez Carriedo, madre trapanese e padre di Saragossa, talvolta capitava d’inserire qualche parolina in spagnolo. Le sentiva uscire dalla bocca del padre quando gli capitava d’imprecare ora per una martellata data su un dito, ora per un casciune riuscito male. Le osservava  in quei ghirigori a lui sconosciuti ed incomprensibili sulla carta che suo padre chiamava “lettere” e che mandava ai parenti in Spagna o a qualcuno del paese, affidandole al veloce ragazzino di turno che prontamente le consegnava e poi riceveva, col fiato corto ed i piedi nudi sporchi e callosi, le poche lire in cambio. Molti lo prendevano in giro per la sua particolare inflessione, che non era mai precisa a quella degli altri. Un misto di castillano e siciliano  influenzato dalle male parole che uscivano di bocca a suo padre e alla lingua che tutti, compresa la madre, parlavano in paese, che lo aveva spinto ad avvicinarsi a Lovino. L’unico ragazzino che non si burlava di lui. Silenzioso e taciturno quanto irritabile e suscettibile, Lovino era pian piano diventato il suo migliore amico. Passavano giornate a gareggiare, destreggiandosi tra gare di corse e tornei di strummalo, interminabili –e noiose- partite a biglie e a calcio con un pallone fatto di vecchi stracci, tuffi dal molo, giorni trascorsi a raccogliere olive arrampicandosi sugli alberi e giorni a girare per il paese con biciclette rumorose con le quali riuscivano a malapena a toccare terra appartenute ai loro nonni, ai loro padri e fratelli maggiori, ed infine a loro. Ricordava che al tramonto arrivavano fino al molo a contemplare il volo dei gabbiani, gli occhi che bruciavano al sole. Poi si toglievano le scarpe e facevano ciondolare i piedi nell’acqua, tirando pietre, facendo a gara a chi sapeva farla saltare sibilando sull’ acqua più volte o a chi riusciva a farla arrivare il più lontano possibile. Finivano sempre col colpire le barche ormeggiate, e dovevano correre a casa per sfuggire all’ira del pescatore di turno, ridendo mentre lo sventurato gli lanciava maledizioni

<< Disgrazziati! Monellacci! Ora vi fazzu virire jo… se v’acchiappo… U sacciu cu è vostru patri! >> ma nessuno terminava mai la frase, le minacce non si avveravano. Lovino ed Antonio si rifugiavano nelle loro case, dietro le gonne delle loro madri. Dietro ai loro volti innocenti da bambini di dodici anni, dietro ai sorrisi furbi e compiaciuti di averla fatta franca ancora una volta. Ed i giorni passavano, tra risa, nascondino, acchiapparello, un due tre stella, conte e file di sassolini e biglie di vetro.

<< Va fa’ ‘nto culo!>> ringhiò Lovino in risposta all’insulto scherzoso dell’amico. Antonio non smise di ridere, ma lasciò perdere il gioco con i sassolini  e si unì alla ricerca.

<< Dai t’aiuto io >> si offrì così inginocchiandosi tra i cespugli. Lovino lo guardava, il dito ancora in bocca, con aria di sfida.

<< Tanto non la trovi>>  Non la trovi,disse, il pollice tra le labbra che gli rendeva difficoltoso e buffo parlare.

<< Tu statti a guardare, estúpido >> detto questo Si stese a pancia in giù sulla terra sporcandosi la camicia, cucita da sua madre, sarta provetta. S’infilò tra le erbacce, tastando alla cieca, stringendo i denti ogniqualvolta le spine lo ferivano, suscitando il divertimento di Lovino, che lo stava a guardare convinto che non sarebbe riuscito nel suo intento. Se non ci era riuscito lui, anche Nino doveva miseramente fallire. L’avrebbe odiato. Antonio intanto si spingeva sempre di più tra l’erba, e s’insozzava sempre di più i vestiti. Alla fine, con un gemito di fatica, uscì dai cespugli, la camicia imbrattata di terriccio ma un sorriso di trionfo stampato sul volto. La mano destra era stretta a pungo.

<< Non ce l’hai! Non è vero!>> gridò Lovino arrabbiato.

<< Tu lo dici >> ribattè calmo Antonio. << Scemo>> aggiunse subito dopo, scoppiando a ridere.

Lovino gli si lanciò contro, buttandolo a terra, diretto al pugno che Antonio teneva serrato. Cercava invano di graffiargli le dita, di costringerlo ad aprirle per dimostrare che aveva ragione. Si sedetta a cavalcioni sul suo petto, tentando di afferrargli il polso, ma Antonio rideva, scalciava e strepitava, e teneva la sua stupida mano in cui forse era racchiusa la sua stupida biglia di vetro ben a distanza da lui, alzato sulla testa. Ruzzolarono fino al cancello aperto del piccolo orto del padre di Antonio, azzuffandosi avvinghiati tra i pomodori freschi. Antonio si rialzava, facendo rotolare giù Lovino, Lovino gli premeva le mani sul petto  e lo faceva sprofondare nella terra bagnata, Antonio opponeva resistenza, aiutandosi con la mano libera. Lovino riuscì ad acchiappare il braccio dell’amico, stava per schiudere quelle dita con la forza, quando…

<< Disgrazziati! Chi stati facennu? Matri mia, Signuri meo… >> una donna si stava sbracciando sull’uscio della porta, imprecando contro i due ragazzini, che la guardavano in silenzio, Lovino con il braccio dell’amico ancora stretto tra le unghie, Antonio con la mano libera sollevata a mezz’aria. La donna corse subito nell’orto, le mani tra i capelli. Subito i bambini si alzarono da terra, incespicando tra di loro, timorosi di ricevere come sempre qualche ben assestata sculacciata. La donna, una volta arrivata, si limitò a dare a ciascuno dei due qualche scappellotto, rassettando i loro vestiti alla meno peggio, pulendoli dal terriccio attaccato con energiche pacche, provocando così macchie ostinate che non sarebbero sparite facilmente. Tirò i bambini per un orecchio.

<< E lassami! Lassami! >>  grugnì Lovino.

<< Sueltame! Sueltame! >> piagnucolò Antonio.

La vecchia li fece sedere in un angolo e rientrò in casa, lasciando i piccoli a massaggiarsi le orecchie dolenti, con una raccomandazione:

<< Si vi muviti ri ccà a prossima vota l’aricchi vi li staccu, u capiste? >>

Antonio e Lovino per un po’ non spiccicarono parola. Il silenzio era interrotto solo dal loro respiro irregolare, sfiniti per la lotta. Finchè Antonio non si girò a guardare Lovino e gli strappò un sorriso, che subito dopo si trasformò in una sonora risata. Rise anche Antonio, ma mentre sghignazzavano, un grido di donna lacerò l’aria, seguito da un penetrante pianto di neonato.

<<  Nascìu! Nascìu! >> gridava una voce orgogliosa da uomo, la voce di un padre. Antonio e Lovino curiosi si diressero sotto la finestra della casa da cui provenivano le urla di giubilo della gente.

Vi trovarono riversato tutto il vicinato.

*In ginocchio raccogliendo cotone, stando con te raccoglievo cotone. (La musicalità è più nel dialetto)

*Dove ci pisciano i cani (questo era facile)

*Casciune significa, cassa, cassettone.

*Lo strummalo è la trottola

*Disgraziati! Monellacci! Ora vi faccio vedere io… se vi acchiappo… Lo so chi è vostro padre!

*Disgraziati! Che state facendo? Mamma mia, Dio mio…

*Se vi muovete di qua la prossima volta le orecchie ve le stacco, capito?

*è nato! è nato!

 

  
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