Fino a
quel momento conduceva una vita del tutto normale; tralasciando il
fatto che i
suoi genitori stavano per divorziare. Aveva anche un fratellino, a cui
dedicava
tanto tempo a causa del lavoro dei genitori che li portava spesso
fuori. Suo
padre era un camionista, difficile averlo a casa, e quelle poche volte
che
c’era era sempre stanco morto; come gli si poteva dar torto?
Alla madre
non stava comunque bene, si lamentava di continuo delle attenzioni
mancate,
della sua assenza. Dava a lui tutta la colpa, quando invece lavorava
giorno e
notte per far sopravvivere la famiglia. Wendy non aveva mai capito
quell’atteggiamento egoista di sua madre; d’accordo
volere un po’ di
attenzione, ma a lei e al fratello perché non ci pensava?
Perché la madre si
lamentava solo delle attenzioni che mancavano a lei e non ai figli?
Wendy
pensava che sua madre avesse avuto tutto dalla vita: un lavoro, dei
figli, un
marito che la amava, una bella casa. Ma evidentemente non era
così, se arrivò
al punto di chiedere il divorzio.
Pensare
che quella realtà era ormai così lontana non le
sembrava vero. Ne ricordava
come se ne fosse estranea, quasi. E le sue amiche, chissà
come stavano. I
compagni di scuola, il suo locale preferito, la sua stanza, i suoi
vestiti, il
salvadanaio a forma di maialino, così antiquato e fuori
moda, che svuotava ogni
mese per le piccole spese.
Ulquiorra
l’aveva portata via senza fargli salutare nessuno. Nemmeno la
sua migliore
amica, quella con cui spesso e volentieri dormiva, quella che era nella
sua
stessa classe, che la aiutava nello studio, che la portava sempre a
prendersi
un milkshake nei momenti no.
L’unica
che le era rimasta accanto anche quando i genitori le diedero la bella
notizia
del divorzio. Avevano già firmato i documenti, il padre
doveva solo cercarsi
una sistemazione, per questo viveva ancora con loro e cercava di
mantenere
l’atmosfera pacifica. Eccetto la sua amica, tutti gli altri
sparlavano, ma le
facevano comunque buon viso a cattivo gioco. Ripensando a quelle
circostanze,
le faceva quasi schifo essere umano. Aveva incontrato un sacco di gente
ipocrita, opportunista, meschina e piena di malsane idee.
Si
ritrovava, ora, in un mondo nuovo, non umano, dove l’unico a
comandare su tutti
era un certo Sosuke Aizen, ex capitano shinigami della quinta
divisione.
L’aveva voluta, proprio lei, per farla diventare un arrancar,
darle una nuova
vita e un nuovo nome.
Quando
Wendy tornò nella stanza numero quattro, trovò
dentro il padrone, seduto a capo
di una tavola rettangolare e lunga, apparecchiata per due persone; era
ora di
cena. Ulquiorra chiese con il semplice sguardo alla ragazza di
accomodarsi al
suo posto, alla sua sinistra, dove il piatto era già stato
messo.
Wendy si
era ambientata perfettamente, ormai. Si mise seduta, prese le posate e
iniziò a
mangiare, augurando il buon appetito all’espada.
Dopo un
bel po’ di tempo, in cui il silenzio veniva spezzato solo dal
masticare e dal
rumore delle posate col piatto, Ulquiorra prese parola.
« Sembra
che ti sia ambientata bene. »
Wendy
posò la forchetta, sazia, e col tovagliolo si
ripulì i rimasugli di carne dalla
bocca. « Pare di sì. »
« Bene. »
concluse lui, prendendo un bicchiere ricolmo di tè caldo,
soffiandovi sopra
lievemente e iniziando a sorseggiare con calma.
Quando
lo vedeva compiere quei gesti così umani, a suo dire, Wendy
restava a
guardarlo, captando ogni movimento ed eventuale espressione. Orihime
aveva
ragione; in confronto agli altri espada, Ulquiorra era
l’unico che la trattava
come una persona più o meno normale. Bastò
ripensare a Barragan, il più
anziano; vuoi la vecchiaia o il suo passato da re dell’Hueco
Mundo prima dell’arrivo
di Aizen, era un tipo che se la tirava tantissimo, a suo dire. Se le
capitava
di incrociarlo per strada, doveva assolutamente inchinarsi e dire
chiaro e
tondo “Buongiorno, signor Barragan”. La prima volta
che l’avevo visto e non lo
aveva salutato, trattandosi di un perfetto sconosciuto, lui si era
arrabbiato a
morte con lei e mancava poco che le puntava la spada contro. In seguito
all’arrivo dell’ex shinigami, era diventato il
numero due. Un vecchio decrepito
che non sa di essere in pensione, ecco come lo considerava Wendy.
Poi
c’era Halibel, la donna del gruppo, numero tre, superiore ad
Ulquiorra solo di
un posto; la salutava giusto per essere educata, per il resto non
l’aveva mai
presa in considerazione. Anche lei era profondamente devota ad Aizen, e
se ne
stava sempre per fatti suoi. Perlomeno, non cercava rogne. Le ragazze
che la
accompagnavano sempre, invece, ridacchiavano ogni volta che la
vedevano.
Ulquiorra le spiegò che erano fracciòn di
Halibel, cioè dei subordinati, quelli
di cui magari l’espada nutre più fiducia.
Grimmjow,
ad esempio, ne aveva cinque. L’espada e lei cercavano di
evitarsi
accuratamente, sebbene qualche battutina malevola da parte di lui
volava ogni
tanto. Così come non smetteva di fare battute sarcastiche
Nnoitra, il numero cinque,
di cui però non si era fatta ancora un’idea
precisa.
Aveva da
poco conosciuto il numero otto, Aporro; in una parola, uno scienziato
pazzo.
Ventitre ore su ventiquattro se ne stava nel suo laboratorio a studiare
chissà
cosa. Molte ricerche sull’Hougyoku le aveva condotte lui.
Aveva il classico
aspetto da nerd, magro, con gli occhiali, una pettinatura fuori moda,
ma un
ghigno malefico che solo uno scienziato pazzo, di quelli che vedeva nei
film di
fantascienza, avrebbero potuto fare. E, come era prevedibile, la
trattava come
se fosse stata l’ultimo anellino della catena alimentare.
Di
Zimmari, il numero sette, non sapeva nulla, non lo aveva mai
incontrato, così
come non sapeva nulla del numero nove. Ricordava invece Yami, il numero
dieci,
grande e grosso. Si azzardò a pensare che lui provava una
certa stima per
Ulquiorra, o quantomeno simpatia. Poi, non l’aveva mai presa
a battutacce, la
lasciava vivere in pace.
L’ultimo
era Stark. Non sapeva quale fosse il suo numero, ma a rigor di logica
doveva
essere il primo. Sì, proprio quello svogliato. Nonostante
tutto, gli stava
decisamente simpatico; aveva contribuito a farla andare via da
Grimmjow, e
poteva scommetterci che il suo motto era “vivi e lascia
vivere”.
« Cosa
c’è? » chiese Ulquiorra, ridestandola
dai suoi pensieri.
«
Niente, pensavo. Pensavo che è strano vederti mangiare.
»
« Il
corpo di un arrancar non hai poi tutte queste differenze da quello di
un umano.
Abbiamo degli organi interni, un sistema nervoso, e anche un apparato
digerente. Percepiamo anche il senso del gusto, anche se in maniera
diversa
dalla vostra. Per esempio, sappiamo che anche le anime hanno un gusto,
e se ci
va le mangiamo. »
A Wendy
venne spontaneo pensare “vi manca solo un cuore”.
Ma fu abbastanza saggia da
tacere e tenerselo per sé.
« Altre
differenze? » chiese invece.
« La
nostra pelle è più resistente di quella umana. Un
vero e proprio scudo. »
Ah, ecco
perché non mostrava ferite, l’ultima volta.
«
Davvero? Sembra una figata. »
« Non
c’è nulla di eccitante in questo. »
rispose con indifferenza lui. Poi si
accorse che Wendy stava avvicinando velocemente la mano sulla sua
faccia, e si
fece indietro subito.
« Cosa
hai intenzione di fare, donna? »
«
Volevo… Solo toccarti. Per vedere se questa pelle
è davvero così dura. »
Ulquiorra
ci rimase di sasso, ma come al solito non lo diede a vedere.
«
Perché? » chiese con stupore.
« Sono
curiosa, tutto qua. » rispose lei con
tranquillità. Poi fece un sorriso
sarcastico. « Non dirmi che hai paura che ti faccia del
male… »
Anche in
quel frangente Ulquiorra restò sorpreso. Ultimamente quella
donna si stava
prendendo molte confidenze, lo trattava quasi come un amico di vecchia
data.
Forse si era ambientata anche troppo bene.
Comunque, se era solo per sentire la sua pelle, non ci vedeva nulla di
male.
Acconsentì, e vide di nuovo la sua mano avvicinarsi,
stavolta più lentamente, e
sfiorargli la guancia, fino a far aderire il palmo completamente sul
suo viso.
Lo sfiorava, lentamente, gli dava qualche piccolissimo pizzicotto; poi
passava
le dita sul naso, sulle orecchie, sulla fronte scostando i capelli,
sulle
labbra e poi nuovamente sulla guancia.
Ulquiorra
aveva ragione, quella pelle era davvero dura. Resistente, molto diversa
dalla
pelle della ragazza che lo stava toccando. Sembrava irreale, non aveva
mai
visto niente del genere. Ed era fredda, come la neve. Anzi, no, persino
la neve
trasmetteva un po’ di calore. L’unico paragone che
venne in mente a Wendy fu
con la catena di una qualunque altalena.
Le righe
che scendevano sulle guance, ora che guardava bene, non erano dovute a
un
trucco strano. Erano simili a un tatuaggio, aderivano perfettamente
alla pelle,
non c’erano protuberanze o rialzamenti della pelle. E il
labbro superiore, poi;
era nero, ma non era dovuto a un rossetto, come pensava fino a quel
momento.
Probabilmente aveva quelle caratteristiche sin dalla nascita.
A forza
di toccare quella pelle così fredda, alla ragazza vennero i
brividi, e ad
Ulquiorra non sfuggì di certo.
« Hai la
pelle d’oca. »
« Sei…
freddo… Come se avessi davvero una corazza. »
diceva, quasi trasognata. Come se
invidiasse quella pelle, così strana ai suoi occhi.
Il
ragazzo, dopo un altro po’ di silenzio, disse «
Bruci. »
Lei
sbatté più volte le palpebre, toccandosi la
fronte. « Che strano, eppure non ho
la febbre… » poi pensò che
evidentemente lui non era abituato alla temperatura
corporea. Forse non sapeva neanche cos’era. « Non
hai mai toccato nessun umano
prima d’ora? »
«
Normalmente non possono vedermi. Come avrei potuto? »
« Ah,
già… »
« E’
normale per un umano scottare così tanto? »
chiese, senza un motivo
particolare.
« Bè,
dipende. Non so come spiegartelo… Diciamo che noi umani
nella norma abbiamo una
determinata temperatura. Se siamo freddi come te, o siamo morti oppure
viviamo
in Siberia. » disse, facendo una risatina. « Ma a
sentire la tua pelle, non mi
stupisce che ti sembri rovente la mia. »
Lui
restò in silenzio, a meditare su quella risposta.
Così, ogni essere umano aveva
una “temperatura”. Gli tornò in mente
quando arrivò a Seattle la prima volta;
gli era venuto un leggero senso di caldo. Forse era dovuto a tutte
quelle pelli
così calde attorno a lui?
« Anche
la mia pelle… Diventerà così?
» chiese Wendy continuando a sfiorarlo.
« Sì. »
rispose lui. « Il tuo corpo sarà più
simile al mio. » poi si incuriosì nel
vedere quello sguardo quasi affascinato. « Non sembri
dispiaciuta. »
«
Diciamo che ho preso coscienza di molte cose. Anto, provare a scappare
è
impossibile, e se ci riuscissi non saprei come tornare a casa, senza
contare
che mi avranno dato per morta. E in parte non ci voglio nemmeno
tornare. Poi,
vista l’ultima battaglia con gli shinigami, dubito che
riuscirei a fuggire con
loro. L’unico posto che mi rimane è
questo… »
« Saggia
scelta, donna. » concluse lui, e Wendy staccò
definitivamente la mano dal suo viso.
Tutto
poi venne interrotto dall’arrivo di un arrancar, il quale
disse che Wendy era
desiderata da Aizen, e che Ulquiorra la poteva accompagnare. Lei
tirò un
impeccertibile sospiro di sollievo. Se non altro, Aizen non la voleva
per una
notte di sesso, almeno in quel momento.
Tuttavia,
non si aspettava neanche l’iniziativa del capo supremo.
« Wendy,
ti trovo bene. Ho saputo che sei diventata piuttosto brava nei
combattimenti. »
Vedendo
che Ulquiorra si inchinava, anche lei fece altrettanto.
« Ehm…
Sì… Signore. »
Aizen
allargò il sorriso. Ulquiorra aveva fatto davvero un ottimo
lavoro con lei.
«
Cercherò di essere conciso. Tra non molto subiremo un altro
attacco da parte
degli shinigami. Anche se l’incontro dell’altra
volta non ha determinato un
vincitore, abbiamo perso diverse forze. Ho bisogno di aiuto; del tuo aiuto. » fece una piccola
pausa,
prendendo una sfera dalla tasca dell’abito bianco.
« Sai cos’è questo? »
« Mai
visto prima. » rispose lei, cadendo dalle nuvole.
« Questo
è l’Hougyoku; è un oggetto meraviglioso
che ti renderà una creatura splendida.
Un arrancar. »
Wendy
sussultò, mentre Aizen sorrise.
«
Gioisci, Wendy, perché oggi hai la possibilità di
diventare un arrancar, una
nuova persona. Lascia che usi questa sfera per renderti perfetta.
»
La
ragazza iniziò a sudare freddo. Si aspettava una cosa
simile, ma credeva che
sarebbe passato molto più tempo. E poi, diventare arrancar
significava
automaticamente diventare nemica degli umani e degli shinigami. E di
Orihime,
che le aveva allungato la mano e dato la possibilità di
unirsi a lei e
salvarsi. Sarebbe stato un tradimento. O forse no. Del resto, nemmeno
Orihime
si era data tanta pena per andare a salvarla da Ulquiorra che la
portava via,
pensando invece a guarire quel Kurosaki Ichigo. Si trovò in
ballo, non sapeva
cosa decidere.
Aizen si
avvicinò a lei, sorridendo, e accarezzandole una guancia. A
differenza di
Ulquiorra, la sua pelle era più simile a quella umana.
« Non
avere paura. Il tuo posto non è più con gli
umani, e non meriti di stare con gli
shinigami. Presto vedrai delle cose totalmente nuove. Un modo diverso
di vedere
le cose. Vedrai che ti piacerà, Wendy. » notando
che lei restava in silenzio,
si voltò verso Tousen e Gin, chiedendo di andarsene.
Rimasero solo in tre, lui,
Wendy e Ulquiorra.
«
Guarda, c’è anche Ulquiorra. Sorridi, Wendy, per
te si prospetta un futuro più
glorioso e splendente. Diventerai un essere meraviglioso, potente, un
qualcosa
che supera ogni tua aspettativa. »
In quel
momento Wendy si rivide bambina. Sognava di fare la super eroina,
bella,
coraggiosa, che riusciva a battere tutti. Mentre tutti sognavano di
fare il
calciatore, la ballerina, la maestra, l’attrice, lei voleva
diventare come
Catwoman, Batman, la donna invisibile, Tempesta*, persino le
Superchicche. Era
come se Aizen fosse lo scienziato che le stava offrendo quel potere.
E
comunque, aveva ragione; dagli umani era impensabile tornare, e con gli
shinigami sarebbe stato difficile. L’unico problema era
Orihime. Sarebbe stato
come tradire un’amicizia. Era combattuta, ma non vedeva
alternative.
Probabilmente, se avesse rifiutato, Aizen l’avrebbe giudicata
inaffidabile e
l’avrebbe uccisa. E poi, Ulquiorra, che la guardava senza dir
nulla. Lui cosa
si aspettava da lei? Ci sarebbe rimasto male nel vedere una negazione
davanti a
quell’offerta?
« Va
bene. » disse alla fine. « Mi renda pure un
arrancar, Aizen. »
Lui
sorrise, Ulquiorra non cambiò espressione ma
sospirò leggermente.
« Molto
bene. Ti devo chiedere di sdraiarti su quel tavolo, allora. »
indicò un tavolo
in marmo, poco più lontano dal centro della stanza. Wendy,
sbrigativa e
ansiosa, si sdraiò, cercando di trascurare il freddo del
marmo.
Aizen
alzò il braccio con la sfera in mano, la quale fece una
strana luce. Prese poi
un coltello dalla tasca. Wendy sussultò a quella vista, ma
lui sorrise ancora.
« Non ti
preoccupare, ti farò solo un taglietto. »
alzò la maglietta, lasciando scoperto
la pancia, e velocemente fece un taglio orizzontale vicino
all’ombelico. Lei si
lamento, e iniziò a tremare.
Tutto
quello che successe dopo non sapeva bene come descriverlo. Sentiva
delle forti
fitte allo stomaco, sentiva una violenta pressione che la trascinava in
basso,
facendola schiacciare contro il tavolo, la testa le girava. Sentiva
come se
qualcuno avesse messo le mani nel suo corpo. Urlò, accecata
dal dolore, e
strinse i denti.
Ulquiorra
chiuse gli occhi; non per impressione, la vista del sangue non gli
faceva certo
effetto e non era la prima volta che vedeva Aizen usare quella sfera.
Ma
preferì solo sentire le urla della ragazza, senza guardarla.
Per
Wendy sembrò un’ora, ma l’operazione
durò pochi minuti. Respirava
affannosamente. Si toccò la pancia, ma non sentì
più nessun taglio e nessuna
traccia di sangue. Si toccò ancora la pelle, sulla faccia,
sulle braccia. Era
fredda, e resistente come l’acciaio. Si sentì
anche un qualcosa sulla testa.
Alzò il braccio, e sentì come un teschio che le
ricopriva metà della testa, con
un corno che sporgeva a scendeva verso il basso. Si alzò, un
po’ a fatica,
continuando a riprendere fiato.
«
Osserva, Ulquiorra. » disse Aizen soddisfatto. «
E’ meravigliosa, non trovi?
Guarda che colore hanno preso i suoi occhi… »
Wendy
non aveva uno specchio a disposizione. Voleva vedere in
cos’altro era cambiata;
voleva scoprire se, guardandosi ad uno specchio, si sarebbe
riconosciuta.
«
Caliel! » disse Aizen contento. « “Dio
pronto a soccorrere ed esaudire”. Sì, è
perfetto. Racchiude tutta la tua essenza. Soccorrere, aiutarmi nel mio
scopo…
Caliel Lenain Khethel*! Così ti chiamerai da oggi in poi!
»
Ulquiorra
osservava in silenzio la nuova Wendy, o meglio, Caliel.
Finché Aizen non si
voltò verso di lui.
« Sono
sicuro che da qui all’essere espada il passo è
breve. Nel frattempo lei
continua a stare sotto le tue cure. Sarà la tua
fracciòn. Ulquiorra, questo è
un nuovo, splendido giorno anche per te. »
Fracciòn?
Cioè, diventava una sua subordinata? Continuava a restare al
suo fianco, anche
nella sua forma?
Aizen
si voltò nuovamente verso di lei. «
Come ti senti, adesso? »
Quando
iniziò a parlare si sentì strana; aveva ancora la
sua voce. « Sto… Bene. Mi
gira solo un po’ la testa… »
« Molto
bene. Caliel Lenain Khethel; d’ora in avanti,
finché lo vorrò, sarai la
fracciòn dell’espada numero quattro, Ulquiorra
Schiffer. »
Lei
chinò il capo, scendendo dal tavolo, e si
inchinò. « Sì… Signore.
»