Effettivamente fu così; le sue fracciòn stavano
combattendo contro degli
shinigami, ma lui se ne stava seduto sul suo trono personale, un enorme
poltrona, atteggiandosi a re.
Ulquiorra invece non mostrò sorpresa, era tipico del numero
due muoversi
solo se necessario.
« Se
davvero vuoi chiedere aiuto a lui, donna, fallo ora che non
è occupato. Anche
se vedessero altri movimenti, sono tutti troppo impegnati per darti
retta. »
disse, ricomponendosi. « E poi ci sono anche Halibel e Stark,
senza contare
Aizen, Tousen e Ichimaru. »
« Stai
già meglio? » chiese lei.
Ulquiorra
ci pensò un po’ su. « Diciamo che ho
avuto momenti migliori. Ho un paio di
costole fratturate e qualche lesione interna; ci metterò un
po’ a rigenerarmi. »
«
Allora, andiamo? »
«
Calmati, donna, e ragiona: se anche andassi da lui, cosa gli
chiederesti?
“Ulquiorra è ferito, potresti dargli una
mano?”. Scordati un “sì” da
parte sua.
E poi, se anche facesse qualcosa, non cambierebbe nulla. Quello
shinigami mi ha
solo colto di sorpresa; ora che so qual è il suo potenziale,
so come
affrontarlo. »
Caliel
annuì, constatando con tristezza che effettivamente Barragan
non sarebbe stato
così felice di aiutarla. « Ma loro hanno Orihime,
che può curare qualsiasi
cosa. Non credi che il suo potere sia superiore rispetto alla tua
rigenerazione? »
Ulquiorra
si fece meditabondo, e poi rispose « Hai ragione. Riesce a
rigenerare molto più
in fretta di me qualsiasi cosa, e non solo a sé stessa, ma
anche agli altri.
Inoltre, può rigenerare anche organi vitali e ricostruire in
brevissimo tempo
un intero corpo; per me, invece, comincia a essere un problema se vengo
colpito
in qualche organo vitale. »
« Che
facciamo, allora? E’ come se loro avessero un sacco di chance
rispetto a noi. »
Ulquiorra
si mise le mani in tasca, e aveva un espressione tranquilla.
« Mi è venuta
un’idea. Seguimi, donna. »
Percorsero,
in silenzio e cercando di non farsi scoprire, tanti corridoi, fino a
scendere
le scale per un piano sotterraneo, arrivando a una grande porta bianca
su cui
era appeso un cartello con su scritto: “Laboratorio
dell’espada numero otto,
Szayel Aporro Grantz. Possono entrare solo gli addetti autorizzati e
Aizen”.
Dunque
stavano entrando lì senza permesso, ma non era importante al
momento.
Quando
Caliel entrò, non credeva ai suoi occhi; nemmeno nei
laboratori più avanzati
aveva visto così tanti computer, boccette, fiale,
armadietti. Il regno dello
scienziato pazzo, che avrebbe fatto invidia a tutti, sulla Terra. Le
pareti
erano immacolate, come i grandi tavoli che ospitavano fogli e bottiglie
contenenti liquidi vari e di tutti i colori.
Ulquiorra,
dopo una perquisizione sommaria, si fermò ad un tavolo, si
rimboccò le maniche
e inizio a maneggiare diverse fialette, accendendo il fuoco sul mini
fornello
appostato vicino. Sapeva anche improvvisarsi chimico, a quanto sembrava.
« Che
stai facendo? » chiese Caliel incuriosita.
« Cerco
di creare un modo che posso dividere Inoue con tutti gli altri.
»
« Ah,
bene; e io nel frattempo che faccio? »
« Chiudi
a chiave la porta, disattivi le telecamere e apri
l’armadietto che è in fondo,
vicino a quel monitor. Per le telecamere non sarà difficile
per te capire che
tasti premere. »
Caliel
fece tutto diligentemente, ma quando aprì
l’armadietto si trovò di fronte una
nuova sorpresa; era pieno di spade, di ogni lunghezza e di ogni tipo,
su cui
erano attaccate delle etichette.
« E’
meglio se te ne prendi una tutta tua, donna. Non hai che
l’imbarazzo della
scelta. » disse Ulquiorra, senza distogliere lo sguardo dalle
sue fialette. E
aveva ragione; Caliel quasi si emozionò a vederle tutte a
sua disposizione.
Iniziò a pescarne alcune a caso, scartandole velocemente.
« Questa
no, questa no, questa nemmeno, questa è troppo corta; dio
mio, questa neanche
per sogno! Questa chissà che ci fa qui…
»
Ulquiorra
cercò di ignorare il vociare della ragazza, ma per poco non
si faceva cadere a
terra le boccette, quando la ragazza esclamò felice
« Ehi, questa sì che mi
piace! »
Aveva
l’impugnatura rossa; la lama era ben disegnata e a doppio,
lunga poco più della
metà dell’altezza di lei, tirata a lucido e con
degli splendidi riflessi alla
luce. Ciò che più l’affascinava era la
doppia crociata; argentata e con
scolpiti sopra, in bassorilievo, delle forme che ricordavano vagamente
delle
onde. Buttò l’occhio sull’etichetta,
attaccata con un nastro all’impugnatura;
Sangrienta*. Decise di provarla.
Diede
qualche stoccata a vuoto, e ci si trovava benissimo; non era troppo
pesante,
riusciva a maneggiarla anche con una mano sola e non le impediva i
movimenti.
Rise tra sé e sé, soddisfatta della sua nuova
arma.
Girò la
testa verso Ulquiorra, ancora concentrato con quelle boccette, ma aveva
un
coltellino in mano; stava per aprire a metà un qualcosa di
simile ad una
scatola nera.
Caliel
gli arrivò vicino di soppiatto, e con un gesto veloce e
preciso taglio a metà
quella scatola, senza neanche ferire l’espada. Lui
osservò la lama, e chiese «
Hai trovato qualcosa che ti appaga? »
Lei
annuì contenta. « Si chiama Sangrienta. »
Lui
distolse nuovamente lo sguardo, tornando su quella scatola e iniziando
a
giocherellare con dei fili.
« Stai
costruendo una bomba? »
«
Qualcosa del genere; sono solo piccoli ordigni che spargeremo un
po’
dappertutto, faranno un gran bel fumo. E non solo; ci sto mettendo
anche
qualche droga, giusto per confondergli un po’ di
più le idee. »
Caliel
annuì impressionata; tanto di cappello, insomma. Si chiese
perché non ci stava
lui a fare esperimenti, invece di Aporro.
Dopo
un’oretta circa, passata a familiarizzare ancora con
Sangrienta e a terminare
quelle mini bombe, Ulquiorra poté finalmente fare un punto
della situazione e
stabilire dove mettere esattamente quegli aggeggi.
« Ci
divideremo a qualche corridoio, ne piazzeremo due o tre al massimo;
credo che
il fumo riuscirà a espandersi velocemente. »
« Credi
o sei sicuro? Non sarà meglio provarla, prima? »
« Se
conosci un posto adatto e soprattutto dove poter stare tranquilli, a
parte
questo, dillo pure; ma non credo che tu voglia fare da cavia.
»
Lei
rabbrividì. « No, grazie. »
« Bene. »
diede un po’ di marchingegni alla ragazza, ma prima di dare
il via
all’operazione rimase un po’ a fissarla. Poi disse
« Vieni qui, donna. »
Lei chiese
perplessa cosa stava succedendo, ma Ulquiorra, in silenzio,
posò il pollice vicino
alle sue labbra, sfregando lievemente, e aumentando di poco sulla
guancia.
« Eri
sporca di sangue. »
Caliel
si toccò la guancia, imbarazzata. « Ah…
Grazie. »
Non si aspettava
che Ulquiorra avrebbe continuato a parlare. « Certo che
è strano. »
« Cosa? »
« La tua
pelle continua a bruciare. »
Lei non
ci aveva minimamente fatto caso; pensava che, diventando un arrancar,
la sua
pelle si sarebbe raffreddata, fatta di ghiaccio come quella del
ragazzo. Come
una vera e propria corazza. Forse era proprio lei ad avere una
temperatura un
po’ più alta del solito, o forse era lui ad essere
troppo freddo. In effetti,
non aveva toccato ancora nessun altro arrancar, a parte lui, e comunque
Ulquiorra non aveva toccato nessuno a parte lei. Quella sì
che era una
stranezza.
«
Muoviamoci. » disse Ulquiorra, cambiando argomento.
« Abbiamo circa un’ora di
tempo. »
Caliel
corse verso la porta, togliendo i catenacci e le chiavi, e riprese a
correre.
Ulquiorra la guardò con un fare perplesso.
« Che
stai facendo, donna? »
« Hai
appena detto di muoverci… »
Fu in
quel momento che sorprese ancora una volta la nuova arrancar,
sollevando i
piedi in aria, e levandosi in volo fino a sfiorare il soffitto con la
testa.
«
Volando si fa prima, sai? »
Lei ci
restò di sasso; poi, innervosita, disse « Che
aspettavi a dirmi che potevamo
volare? »
Era una
sensazione meravigliosa, mai provata prima; non era come stare in
bicicletta o
affacciarsi al finestrino di una macchina in piena corsa. Si sentiva
quasi un
tutt’uno con l’aria circostante, che le passava in
mezzo ai capelli, la
punzecchiava sul volto, le muoveva le vesti sinuosamente. Era
straordinario,
poteva volare davvero! E non si sentiva minimamente in imbarazzo
davanti ad
Ulquiorra, che non capiva il perché di tutto
quell’entusiasmo; ma soprattutto,
constatò che volare a occhi chiusi doveva essere un
tentativo di suicidio. La
ragazza era talmente trasognata che aveva chiuso gli occhi, e non si
era
accorta che un muro era proprio davanti a lei.
« Donna!
» gridò lui « Vuoi aspettare di essere
un tutt’uno col muro prima di
svegliarti? »
Caliel li
sbarrò, e urlò spaventata di fronte a quel muro
troppo vicino per fermarsi.
Prese per il polso Ulquiorra, il quale girò senza
difficoltà.
«
Fiuuuu! » disse lei sollevata. « Grazie! »
« Io non
ho fatto niente, sei tu che ti sei appiccicata a me. »
Lei
scoppiò a ridere, e lui non riusciva proprio a capire
perché. O era pazza o
trovava divertente il fatto che stava per essere uccisa da un muro
inanimato.
Poi lo
sorprese esclamando entusiasta « Eccolo! Ma allora ce
l’hai! »
« Di
cosa stai parlando? »
« Del
cuore; riesco a sentirlo dal polso. E batte, batte davvero, pure
abbastanza
forte! Immagino che volare sia un po’ come correre, vero?
Anche il mio sembra
la batteria di Pete Parada*! »
Quella
ragazza era decisamente strana, secondo lui; nonostante fosse diventata
un suo
simile, manteneva ancora diversi atteggiamenti umani. Era ovvio che
avesse un
cuore che pulsava, se no come campava? Davanti a quella considerazione
scema
non trovava le parole adatte per rispondere.
Lei
continuava a ridere, al che lui disse « Cosa
c’è di così divertente
nell’aver
scoperto che ho un muscolo che mi fa vivere? Per la cronaca, ho anche
un
cervello che fa battere il cuore. »
« Eh? »
chiese lei dubbiosa. « Ma cosa dici? È il cuore
che fa muovere il cervello! Del
resto, se spari a una persona al cuore, ed esso smette di battere, non
può far
circolare il sangue. »
« Guarda
che è il cervello che manda gli impulsi al cuore, anche per
far scorrere il
sangue. Se uno spara alla testa, la morte è
un’ovvia conseguenza, visto che il
cervello non riuscirebbe più a impartire ordini al cuore.
» constatò lui, con
tono serio, convinto di ciò che diceva.
« Allora
si completano, non ti pare? Il cervello non può vivere senza
un cuore, e
viceversa. Ha un che di solenne, non lo pensi anche tu? »
Lui,
rimanendo sempre serio, rispose « No, perché ho
ragione io; è il cervello la
parte importante. senza di lui, il cuore è spazzatura.
»
Lei
sbuffò, quasi offesa. « Allora lo chiederemo ad
Aporro quando tutto sarà
finito! »
« Ti
sembra il momento di fare scommesse? »
« Io non
ho scommesso niente, ma visto che lo hai accennato accetto la sfida;
scommetto
che cuore e cervello sono importanti allo stesso modo! »
Ulquiorra
sospirò, esasperato; ma perché il discorso era
andato a parare su quello? E
perché si era impuntata così?
« E va
bene, lo chiederemo a lui. Ma adesso non scocciare più con
questa storia. »
Lei
esclamò un “evviva!” e non
accennò più nulla riguardo cuore e cervello. Quel
discorso innervosiva molto l’espada; non era solo un discorso
di scienza e
biologia, non si parlava solo di muscoli e di impulsi nervosi. Era come
se
Caliel gli stesse dicendo che anche lui aveva un cuore e che doveva
accettarlo;
e soprattutto, che doveva accettare il fatto che non si viveva di sola
ragione,
che non c’erano certezze assolute. Lui lo sapeva bene,
altroché! Lui negava
ogni certezza; lui non credeva a nulla, solo a sé stesso. Di
cose come la vita
dopo la morte, o quegli sciocchi sentimenti che facevano cambiare il
mondo, o
nel destino… Lui non credeva a queste cose. Solo ad Aizen.
Aizen era l’unica
certezza a cui poteva aggrapparsi. E il fatto che quella ragazza gli
avesse
messo in discussione quell’unica certezza, lo mandava in
tilt. E poi, era una
questione di principio; non era mica uno stupido. E doveva lasciare che
la
prima ragazzina che gli si presentava davanti ne sapesse più
di lui? Col
cavolo.
Appena
finirono di piazzare le mini bombe, si barricarono di nuovo al
laboratorio.
« Ma
funzionerà? » chiese ansiosa Caliel.
« Se
tutto va come previsto, sì. Ora siediti, donna, e aspetta in
silenzio. »
Di lì a
poco ci furono delle piccole esplosioni, e la ragazza
sobbalzò entusiasta.
Aveva funzionato davvero! Ora non dovevano fare altro che trovarli,
mandarli
via a sculacciate, e il gioco era fatto!
« Come
ci muoviamo adesso? »
«
Andremo da Kurosaki. »
« Eh? Da
lui? Non da quell’altro coi campanellini? »
« Ho
notato che lui è un po’ più distaccato
dagli altri. Ho ragione di pensare che
sia indifferente a tutto quello che sta succedendo, come se non gli
importasse
di Aizen. Sarebbe capace anche di mollare tutto e tornarsene a casa, se
si
stufa. Per questo andremo da Kurosaki; lui ce l’ha a morte
con me, e vuole
uccidere Aizen. »
Il piano
di Ulquiorra aveva funzionato solo in parte; Zaraki e Yachiru si erano
divisi
dal gruppo, mentre Ichigo, Orihime, Ishida e i due shinigami rimanenti,
Renji e
la ragazza che si chiamava Rukia, erano rimasti insieme. Storditi,
senza capire
dove erano. Soprattutto Orihime era quella che stava peggio; i gas che
erano
nascosti in quegli ordigni le avevano fatto venire la nausea e il
vomito, non
si reggeva in piedi. Renji se la caricò sulle spalle.
« Merda,
che facciamo ora? »
« E’
meglio nasconderci finché Orihime non si riprende.
» disse Rukia.
Ma
Orihime si oppose. « No… Dobbiamo
andare… A salvare Wendy… »
«
Salvare? Inoue, non hai visto come ti ha trattata? » fece
Ishida.
« Sono…
Sono sicura che lei non lo pensa davvero… »
Fu
allora che Ichigo azzardò un’ipotesi. « Inoue non ha
tutti i torti. Del resto, Ulquiorra è
il tipo da far passare facilmente le persone per traditrici. Non mi
stupirebbe
se avesse convinto con la forza quella ragazza a passare dalla sua
parte. »
Ma
Ishida sbuffò, sembrava l’unico a non nutrire
nessuna speranza per portare
quella ragazza sulla Terra.
Per un
po’ i due arrancar trovarono via libera, senza intoppi.
Chissà come se la
stavano cavando gli altri, si chiese Caliel. Ulquiorra continuava a
starsene
zitto, spada in mano e ben attento. A lungo andare, sentirono la voce
di una
bambina che piangeva. E quando la trovarono, appoggiata al muro,
constatarono
che era un arrancar dai capelli verdi e con un teschio
d’ariete frantumato
sulla testa. Aveva anche una striscia viola che passava sotto gli
occhi.
Continuava a piangere, disperata.
« Che ci
fa qui una bambina? »
La
piccola singhiozzava, e cercò di parlare. «
Chi… Chi sciete voi?
»
Caliel,
amorevole, si avvicinò a lei. « Stai tranquilla,
non ti farò del male.
Piuttosto, che ci fai qui? »
« Ho perscio i miei
amici… »
« E chi
sono i tuoi amici? »
Lei
ricominciò a singhiozzare. « Lo sciò
che
non va bene per un arrancar… Ma sciono
shinigami.
Uno sci chiama Itzigo…
»
Caliel
sussultò. Una compagna di Kurosaki? Anzi, un arrancar
compagna di Kurosaki?
Perché?
Comunque,
non poteva mica lasciarla lì. Era solo una bambina.
«
Calmati, dai… Ti aiutiamo noi a trovare i tuoi amici.
»
La
bambina sorrise, mentre Ulquiorra la guardò sorpreso, quasi
arrabbiato. Che
bisogno c’era di mostrarsi così gentile? Non era
altro che una scocciatura in
più.
« Stai
scherzando, vero, donna? »
« Ma
dai! Non possiamo lasciarla qua! E poi, non pensi che grazie a lei
arriveremo
prima a Ichigo? »
« Come
può aiutarci una spazzatura simile? »
Ma
Caliel lo guardò furibonda. Sembrava inutile discutere con
lei.
« Quando
tutto questo sarà finito… » disse lui
dandole le spalle. « Faremo i conti. »
Lei
sospirò, e tornò a sorridere alla bambina.
« Perdonalo, è così di natura; deve
ancora migliorare i rapporti sociali. Io mi chiamo Caliel e lui
è Ulquiorra. Tu
come ti chiami? »
« Nel. »
rispose la bambina, sorridendo a sua volta. « Mi chiamo Nel.
»