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Autore: Harriet    12/05/2010    4 recensioni
Chi parte per un viaggio si prepara a vivere avventure meravigliose. A volte vale la pena di raccontare anche cosa succede a chi resta a casa.
Genere: Malinconico, Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve! Questa storia è stata scritta per il contest di Eylis L'Inizio e la Fine. Le consegne del contest richiedevano di usare alcuni elementi a scelta tra quelli proposti nei vecchi contest di Eylis (io ho usato Sfera, Caverna, Matto e Coniglio), e di iniziare e finire la storia con la stessa frase.
La storia si è classificata prima, e io ringrazio Eylis con tutto il cuore!
La citazione iniziale proviene da “Amaranth” dei Nightwish. Grazie a Leryu per avermi suggerito la parola “Ciudak” (“strampalato”, “fuori di testa” in russo.)
(Se qualcuno per caso volesse saperne di più su questa gente, qui, nella pagina delle storie originali trovate una raccolta che si chiama Crossworlds: si parla anche di loro.)
Grazie di essere qui. Grazie davvero.






L'altro viaggio


Reaching, searching for something untouched
Hearing voices of the Never-Fading calling



- Questo mi basta. Viaggerò leggero. Non sarà una cosa facile, e voglio...
- Ehi, aspetta, fermati. Vuoi fare il viaggio della tua vita prendendo con te qualche provvista, una lanterna e forse una coperta e un temperino?
- Potrei portare con me una mappa. Oh, e poi ovviamente ho la bussola infallibile che mi ha lasciato Yoen. Non hai niente da temere, me la caverò alla grande.
Sorrise, mentre diceva “alla grande”. Quello era il sorriso con cui Jamil Rahal metteva a posto ogni cosa, si faceva perdonare situazioni imbarazzanti e lunghe assenze, garantiva cose che poi non era in grado di realizzare. Eccolo lì, con una sacca di cuoio sulle spalle e un coniglio che spuntava da una delle tasche dell'impermeabile verde, in mezzo al tranquillo salotto di un tranquillo professore di musica, pronto a ripartire per uno dei suoi viaggi senza certezze.
Il tranquillo professore di musica, tra l'altro, era anche seccato per la quantità di fango che Jamil era riuscito a spargere dappertutto.
- Davvero, Galahad, non hai motivo di preoccuparti!- Insisté Jamil.
- Invece ho un ottimo motivo di preoccuparmi.
- Sarebbe?
- Il fatto che tu sia tu.
Il tranquillo professore di musica era bravo a spegnere la baldanza altrui, questo lo sapeva. Vide il sorriso di Jamil che rimpiccioliva fin quasi a sparire. Sospirò, sprofondando in una delle sue poltrone, si tolse gli occhiali e li ripulì con un lembo del maglione, poi se li rimise con calma e osservò il viso serio di Jamil. La prima cosa che gli saltò all'occhio fu quanto sembrasse giovane. Jamil aveva tre anni più di lui, quindi avrebbe dovuto compierne quaranta a breve. Però era come se l'ultimo decennio non avesse lasciato alcuna traccia sul bel volto dai tratti delicati, la pelle scura, gli occhi e i capelli nerissimi, il fisico forte. Si domandò quale delle creature amate da Jamil gli avesse fatto quel dono di giovinezza.
- Non volevo dire che non mi fido di te.- Sospirò Galahad, seccato dal sorriso che tardava a riaccendersi negli occhi dell'altro. - E' che so quanto ami spingerti oltre i tuoi limiti. E ho il diritto di preoccuparmi per un amico.
- Guarda che lo so, a cosa pensi. Non sono più giovane come quando potevo permettermi di unirmi ai rivoluzionari di Enmyar o partecipare al grande torneo di Primavera del Nevan. Lo so benissimo anch'io. Però, Galahad, cerca di capire. Studio questi percorsi da quando ero un bambino. Te lo ricordi, no? Te ne ho parlato addirittura la prima volta in cui ci siamo incontrati! Non credevo che avrei mai avuto la possibilità di andarci davvero, e...
- Va bene, va bene. Lo so. Scusami. Non sto dicendo che sia un errore, questa partenza. Voglio solo che tu stia attento.
- Starò attentissimo.
- Quel coniglio vuoi lasciarlo a me?- Chiese Galahad, indicando l'animale bianco che lo guardava perplesso dalla tasca dell'impermeabile di Jamil.
- No, certo che no. E' la mia bussola infallibile.
- Scusa?
- Il coniglio. Si chiama Raymond. E' la mia bussola.
- Stai scherzando, spero.
Jamil scosse la testa, con l'aria quasi indignata per quell'incredulità. Galahad smise di insistere. Anni e anni di amicizia e ancora si stupiva per le cose che Jamil era in grado di fare?
Galahad ricordò in un istante i quasi trent'anni che aveva trascorso nella sua piccola casa, infestata dalla presenza sfaccettata e bellissima di Jamil, che tornava dai suoi viaggi portando meraviglie da tutti i mondi esistenti, e ogni tanto lo trascinava con sé, fuori dalla tranquillità e al centro di pericoli e storie impossibili, ma vere, che lasciavano segni veri e ricordi veri. Sorrise, allargando la braccia come per dire che andava bene, era perfettamente logico che un coniglio fosse una bussola infallibile.
- Lo so che ti sembra folle, ma devi credermi: Raymond funzionerà perfettamente! E poi, scusa, non puoi aspettarti altro da Ciudak.
- Solo tu puoi essere felice che da qualche parte ti abbiano affibbiato un soprannome come “Strampalato”.
- Per me è un onore. Mi piacciono, i matti.
In quel momento si udì il suono di chiavi che giravano nella porta d'ingresso e poi la porta che si apriva. Gli occhi di Jamil si accesero di un nuovo entusiasmo.
- Allora è riuscita a venire!
L'unica persona oltre Galahad ad avere le chiavi di casa si affacciò sulla porta del salotto: una donna esile e alta, con corti capelli scuri che si andavano ingrigendo, con uno scialle azzurro drappeggiato sulle spalle e orecchini a forma di mezzaluna argentata.
- Ce l'ho fatta per poco, eh?- Chiese, correndo nella stanza e abbracciando Jamil. - Temevo che fossi già partito.
- Ti avrei aspettata, Serian.
- Allora, porti con te addirittura una sacca intera? Di solito hai dei bagagli molto più essenziali.
- Ecco, vedi, Galahad? Lei almeno non è noiosa.
- E' solo quasi più infantile di te.- Borbottò Galahad, incrociando le braccia.
- Lascialo fare. Lo sai che gli piace giocare al vecchio barboso.- Rispose lei, ridendo. - In realtà lo fa solo perché sa che hai bisogno di una voce della coscienza. Quando sarai a metà strada, immerso nella neve o in qualche deserto, ti ricorderai delle sagge parole di Galahad e ti pentirai di non aver portato con te una stufa a metano, un forno a microonde e uno scaldabagno.
- Siete insopportabili, sapete?
Jamil e Serian risero, poi lui tirò fuori qualcosa dalla tasca e la distese sul pianoforte a coda che occupava un angolo del salotto. Invitò gli altri due a vedere: si trattava di una mappa. La carta su cui era disegnata era recente, ma il disegno sembrava molto antico. I caratteri erano insoliti, difficili da leggere, e c'era una simbologia non comune. Però Jamil aveva parlato così tante volte agli altri due del viaggio verso la Fortezza del Vento che ormai quei segni non erano più sconosciuti, per loro.
- Vi ricordate quando vi dicevo che era incredibile che l'unico ostacolo per raggiungere il colle dove si trova la Fortezza fosse una città super-tecnologizzata? - Lo ricordiamo.- Brontolò Galahad. - Una città con un governo tirannico, che impedisce l'accesso ai territori considerati pericolosi e sapete perché? Perché non sanno cosa potrebbe risvegliare nella gente il fatto di...
- Ehi, hai finito di farmi il verso?
- Scusa.
- Ecco, ho scoperto che c'è un tunnel sotterraneo, proprio qui, vicinissimo al confine con la zona delle colline.
Jamil passò la mano sul punto della carta dove doveva trovarsi il suo tunnel. Sulla mappa non c'era disegnato niente, se non l'indicazione di alcune capanne sparse. Quella cartina veniva da un'epoca in cui la sfavillante città di cui parlava Jamil non era stata neppure sognata.
- Sei sicuro che questo tunnel ti porterà proprio dove vuoi?- Chiese Serian.
- Non del tutto, ma quasi. Vedi, ne ho trovato notizia qui.- Jamil tirò fuori un logoro librettino dall'aria antica, protetto da un involucro di plastica trasparente e scotch che doveva aver costruito lui stesso. - Lo chiamano Khesa Anm, la Caverna del Passaggio. Ma passaggio verso cosa? Ovviamente verso le colline. Sono sempre state un terreno a parte, un posto a cui non ci si avvicina perché è sacro, o perché è minaccioso. Se davvero questo tunnel, questa Caverna del Passaggio esiste, allora per forza deve condurre alle colline. E quando le avrò raggiunte, troverò la strada che sale su fino alla cima del colle Yven.
C'era una domanda, nella mente di Galahad, ma decise che non l'avrebbe fatta. Riguardava il fatto che l'unico accesso alla meta di Jamil fosse una caverna. Ce l'aveva lì, sulle labbra, quella domanda, e la preoccupazione pressava contro il suo petto perché esprimesse il suo dubbio.
- Come raggiungerai la Fortezza?- Chiese Serian. - Hai sempre detto che è un posto che... insomma, non è realmente lì, anche se il colle Yven è l'unico luogo su cui ci sia un passaggio.
Galahad ingoiò la domanda, decidendo che doveva fidarsi di Jamil. Anche se era certo che quel dubbio sarebbe tornato presto a tormentarlo.
- Ho letto tutti i libri dei mondi sull'argomento. Ci sono decine e decine di teorie sul modo di aprire quel passaggio. Lo troverò ed entrerò nell'Osservatorio del Tempo, una delle più grandi biblioteche esistenti, dove non si consultano libri...
- ... ma ricordi, e dove ogni viaggiatore può lasciarvi alcune delle sue memorie, perché la biblioteca continui ad arricchirsi.- Concluse Serian. - E infine aprirai la porta che conduce alla Sfera dei Venti. Vero?
La Sfera dei Venti. La prima volta in cui Jamil aveva parlato a Galahad di quel posto misterioso erano bambini, e Galahad aveva seriamente sospettato che l'altro avesse qualcosa di poco funzionante in testa. Il tempo era passato, l'attrazione di Jamil per quel mistero era andata aumentando.
- E della Sfera non ne so più di voi.- Disse Jamil, trasognato, perso dietro qualche fantasia.
- Non è vero.- Ribatté Galahad. - Sei fissato con la Sfera da sempre.
- Ma non so cosa ci sia nella Sfera, e lo saprò solo dopo esserci stato.
- Sembri un bambino che deve aprire i regali di Natale.
- Oh, ma questo non è un regalo di Natale, Galahad! Questo è... E' come esserci per davvero, nel primo Natale. Come vedere la creazione del mondo, di tutti i mondi! Le cose che si dicono sulla Sfera sono...
- Basta così.- Galahad gli posò una mano sulla spalla. - Non eccitarti troppo adesso, altrimenti sarai agitato e ti porterai dietro quest'ansia per tutta la strada. Sii tranquillo e rilassato. Avrai tempo per l'entusiasmo, quando arriverai.
Jamil gli fece un sorriso grato e gli gettò le braccia al collo, trascinando anche Serian nell'abbraccio. I tratti del bambino dentro quell'avventuriero non si erano mai sopiti in lui, e in fondo c'era qualcosa di consolante nel constatarlo.
E poi Jamil raccolse la sua mappa e le sue cose, aprì la porta e mosse il primo passo del viaggio.

*

Ehi, gente!
Come state? Io sono in un posto in cui è pieno inverno e ci sono fiori ovunque. Fiori e neve. Serian, lo adoreresti. E' bellissimo ma non posso attardarmi qui, purtroppo. Tra due giorni riparto.
Vi terrò informati per quanto posso. La posta inter-mondo è abbastanza rapida, se si tratta di cartoline come questa, di solito.
Un abbraccio
J.

Jamil a rapporto!
Sono a Veisa, ci sono ottanta gradi sotto zero o qualcosa del genere e il mio impermeabile non ripara proprio niente. Mi sto già vedendo Galahad che dà in escandescenze e mi offende. Eh, vabbè.
Raymond è in perfetta salute, a differenza di me. Vi saluta. Oh, è infallibile davvero, credetemi!
Ciao, a presto.

Il viandante vi saluta da Khaita. Se non altro c'è un vago accenno di primavera, qui. E' un mese preciso che viaggio. Gli uffici postali mi garantiscono che le mie cartoline vi arriveranno nel giro di tre-quattro giorni dall'invio. Mi auguro sia così.
Raymond non sbaglia un colpo. Però mi costa uno sproposito, devo comprargli miele e biscotti: sembra che si nutra solo di questi. Non me l'avevano detto, quando me l'hanno prestato.
Alla prossima!
Jamil

Ciao ragazzi.
Se torno vivo (scherzo, Gala!) porto a Serian uno scialle come quelli che tessono le donne di Cven. Sono bellissimi. Anche le donne sono bellissime. Beh, sì, cercherò di non mettermi nei guai, d'accordo.
Vi penso spesso, anche se non ci credete.
Ray saluta.
Spero stiate bene.
J.

Ho trovato gente che mi conosce! Dicono che hanno letto uno dei miei libri. Insomma, non so come, ma mi hanno riconosciuto. E volete sapere la cosa più divertente? Mi conoscono come Ciudak. Mi hanno detto che me lo merito, questo nome, se davvero voglio fare questo percorso. E' uno dei complimenti migliori che abbia mai ricevuto.
Sono in un piccolo albergo a Treen. Nel giro di pochi giorni lascerò questa nazione così ospitale e mi troverò alle porte della città che tanto mi spaventa. Le sue luci si vedono fin da qui. Aggrediscono la notte, non mi piacciono. Temo che Raymond si troverà in difficoltà. Preferisce la campagna ai luoghi troppo affollati.
So che odiate quando faccio il melenso, ma vi voglio bene.
Jamil


*

- Nessuna novità?
Galahad offrì un piattino colmo di spicchi di limone all'amica e Serian ne prese tre e li ficcò tutti insieme nella tazza di tè.
- No. Ma penso sia troppo presto per preoccuparsi.
- Non è mai troppo presto per preoccuparsi di lui, Serian.
- Dai, non dire così. Ci ha lasciati senza notizie per ben più di un mese. Probabilmente in quella città non ci sono poste inter-mondo. Se davvero è un posto con un governo restrittivo che opera controlli sulle libertà dei cittadini, è normale che non vengano apprezzati gli scambi tra i mondi.
- Una delle doti principali di Jamil è quella di fare cose illegali e farla franca.
- Magari sa che tu odi questa cosa e non vuole farlo.
- Certo, come no: ti sembra da lui, non fare una cosa perché sa che a me non piace? E comunque mi chiedo con quali soldi riesca a sostentare se stesso e la bestia. Come minimo si è trovato senza nulla in tasca e sta facendo qualche infimo lavoro lì in città. Nascondendo il coniglio nelle tasche e rischiando di mettersi nei guai per tenerlo segreto.
- Ammetto che questo è probabile. Si sarà fatto assumere in una fabbrica di quelle più scadenti. In una coloreria, magari. O in una conceria. L'ha già fatto.
- Però stavolta rischia di mettere a repentaglio la salute del coniglio. Della sua ovviamente non si preoccupa. Secondo me fa il fattorino per la più squallida pizzeria della città.
- E va in giro su uno scooter volante, legandosi il coniglio sotto la giacca.- Immaginò Serian, con una risata.
- Mi auguro che Raymond non soffra la nausea.
- Considerato come Jamil guida qualsiasi mezzo a ruote, a motore o a propulsione... Sarà un'esperienza traumatica comunque.
Serian finì il suo tè e si servì da sola dalla teiera di metallo color argento brunito. Era un oggetto dalle forme allungate e appuntite, che richiamavano l'artigianato asiatico. Un dono di Jamil dall'Asia di una dimensione parallela alla loro.
- Comunque non abbiamo pensato all'altra ipotesi plausibile.- Riprese Serian. - Si è infilato in qualche biblioteca per avere nuove informazioni sul suo viaggio e ha trovato qualcosa. Si è accampato in un hotel da tre soldi, dove lo fanno dormire in un sottoscala o in un ripostiglio, e tutti i giorni va in biblioteca.
- Dimenticavo le biblioteche, il suo grande amore. Te lo figuri, vero? Arriva dal bibliotecario e gli dice...
- Mi scusi, ha qualcosa a proposito della Sfera del Vento?
- Ma di che cosa sta parlando?
- La Sfera del Vento. La stanza segreta all'interno della Fortezza, chiamata anche Osservatorio del Tempo, o Ylish Danemarill!
- Sì, sì, va bene, tagli corto. Vuole qualcosa sulla storia della città?
- No, le ho chiesto un libro sulla Sfera del Vento.
- Non c'è niente. E poi, è per caso un coniglio, quello che le spunta dalla tasca? E' matto, forse? Lo subito porti fuori da qui!
- E' meccanico. Non sporca, non mangia e non fa rumore. Per favore, mi aiuti a cercare un libro sulla Sfera!
- Sembra quasi una questione di vita o di morte.
- In un certo senso, lo è.

*

Nevicava, e Galahad si perse a osservare il bianco che pian piano prendeva il dominio del suo giardino. Si domandò se nella città piena di luci stava nevicando. Se Jamil era affacciato alla finestra del suo albergo, per guardare la danza dei fiocchi di neve, magari con il coniglio tra le braccia. Lo vedeva, a bocca aperta per raccogliere la neve al volo, come fanno i bambini, perché Jamil non aveva dignità e in fondo non aveva nemmeno età, ed era proprio quello che lo riportava sempre sano e salvo a casa alla fine di ogni viaggio, con un carico di ricordi meravigliosi e terribili, e la voglia di ricominciare a camminare ancora.

*

Non so se questo messaggio vi arriverà. Non sto usando vie legali, ma qui funziona così e non volevo farvi preoccupare.
Mi sono dovuto fermare in città: ero a corto di soldi e ho lavorato, mentre cercavo qualcosa di utile nell'unica biblioteca di questo posto, che è enorme e ricchissima, ma tenuta in maniera orribile. Comunque alla fine ho quel che mi serve e sono pronto a ripartire. Raymond odia questa città. Anch'io, a essere sinceri.
Ci aspetta la caverna. Speriamo bene.
J.


*

Come Galahad si aspettava, la domanda inespressa all'inizio del viaggio era tornata a fargli compagnia, sotto forma di immagini disturbanti.
L'ultimo ostacolo per Jamil, prima di raggiungere quella meta tanto sospirata, era una caverna da attraversare. Quando era più giovane Jamil non aveva paura di niente e aveva imboccato qualunque tunnel, incavo roccioso o grotta sconosciuta che gli si fosse presentata davanti. Un giorno era stato imprigionato e condotto insieme a molti altri nelle profondità di un monte, costretto a scavare nei cunicoli privi di luce e aria che costituivano il cuore malato di quella terra, in cerca di chissà quale potere senza nome. Le leggende sulla sua liberazione erano innumerevoli. La preferita di Galahad e Serian raccontava che l'avesse tratto in salvo una dama semi-divina a cui Jamil aveva promesso amore e fedeltà tempo prima.
Da quando era tornato a casa, dopo quell'esperienza, Jamil non aveva più rimesso piede in un luogo stretto e buio. Sembrava che il ricordo di giorni dolorosi l'avesse segnato per sempre.
Cos'era successo, allora, per spingerlo a partire senza ripensamenti? Si era liberato del peso delle memorie, oppure l'attrazione che la Sfera esercitava su di lui era tale da spingerlo a sfidare addirittura la peggiore delle sue paure?

*

Serian si trovò a riflettere su quanto fosse difficile preparare un minestrone con una piccola ferita alla mano. Una cosa da nulla, ma improvvisamente usare un coltello o un frullatore non era più la stessa cosa.
Finì per pensare a Jamil. Si portava sempre qualche cicatrice in ricordo dai suoi viaggi. A volte l'avevano raccolto esausto, malato e ferito. Se le ricordava bene, quelle occasioni, e quel viaggiatore smagrito e confuso con le vesti macchiate di sangue che giurava di essere il loro amico.
Jamil era sul punto di affrontare la caverna sotterranea che lo avrebbe oltre il confine cittadino, nel territorio libero su cui sorgevano le colline custodi della sua meta.
Se fosse stato ferito?
Sarebbe stata ancora più oscura e faticosa, quella strada. Anche se si è in possesso di un coniglio magico che ti fa da bussola, anche se si è coraggiosi e folli, non si possono ignorare stanchezza, dolore e sconforto. Non è la stessa cosa, inoltrarsi in un'oscurità sconosciuta in forze, e accedervi con una ferita, tracciando la propria strada con il sangue. Il buio dell'ignoto non è clemente con nessuno, meno che mai con un debole.
Forse prenderà tutto sul ridere, come sempre.
Serian finalmente sorrise, immaginando quella scena.
Canterà a mezza voce, racconterà storie sconclusionate al coniglio – frammenti di viaggi passati e racconti inventati, e andrà avanti, con lentezza e ostinazione, finché avrà raggiunto il Passaggio.

*

Galahad accennò una melodia conosciuta sul pianoforte e Serian cominciò a canticchiare. Si stupì di ricordare ancora tutte le parole.

Ho intrecciato di nuvole e stelle una veste,
ho tessuto un mantello di legno e di rocce,
ho raccolto i riflessi di luce sull'acqua,
ho fondato un palazzo di ghiaccio e di gocce.
Ho mutato in un velo i notturni bagliori,
ho inventato una terra di altri colori,
ho tracciato un cammino tra nevi e vulcani,
ho creato una porta: qui, nelle tue mani
c'è la chiave per te, perché tu possa entrare
in quel luogo che è fatto di cielo e di mare.
Non esiste per altri che per il viandante
bisognoso di sosta sulla via stancante.
Non esiste per altri che per te, amato,
che cammini e cammini, e mai hai iniziato
un viaggio tra i mondi, perché la tua via
è lontana da ogni mistero o follia.
E se vuoi rimanere qui nella tua stanza,
se tra te e l'avventura preferisci distanza,
io ti prego: accetta la chiave donata
e attraversa la porta dal sogno evocata.
Entra e guarda: i mondi temuti e fuggiti
sono lì, disegnati, perfetti, scolpiti
nella fragile terra della mia memoria,
ma per te li richiamo da questa mia storia
e per te si trasformano in canto ridente
e per te si trasformano in terra accogliente.
E così, anche se solo io avrò viaggiato
in quei mondi anche tu, insieme a me, sarai stato.


Quella canzone era un regalo di Jamil, donato a Galahad anni prima. Jamil sosteneva di averla imparata in un villaggio di adoratori del vento, abbarbicato sulla cima di una scogliera. Ma nessuno dei due ci aveva creduto davvero.

*

Nel sogno la caverna è scavata nella roccia, fredda e umida, solo che poi man mano che si avanza il soffitto si alza e le pareti si ricoprono di una sorta di materiale cristallino, qualcosa che brilla per i riflessi di una fonte di luce invisibile. Poi dal soffitto improvvisamente pendono luci al neon e ci sono degli strani congegni tubulari lungo le pareti – non sembrano più di cristallo, sono fatte di una miriade di piccoli pezzi di un minerale lucente, un puzzle tridimensionale perfetto.
Nel sogno l'aria che riempie la caverna è gelida – però non la sente, soltanto sa che è gelida, perché è così che funziona nei sogni. Lui non c'è: è quello sguardo esterno, il regista/spettatore che vede tutto e non può fare niente.
Nel sogno ci sono rumori e ronzii: i neon protestano tutti insieme, nei tubi scorre qualcosa che sembra avere una sorta di voce. A un certo punto, però, ci sono degli altoparlanti (o almeno è quel che sembrano) che diffondono canzoni al contrario. Spuntano dalle pareti o sono sospesi in aria. Le canzoni fanno fare balzi orribili allo stomaco, se le si ascoltano bene.
C'è una figura al centro dello stretto corridoio (quando si è fatto nuovamente stretto?) della caverna, c'è una figura strana e non sa chi sia: pensa che sia Jamil, ma non gli somiglia. Lo straniero che è Jamil avanza, piegato in avanti. Come se avesse un peso invisibile che gli grava sulla schiena. E' una visione che spezza il cuore.
Qualcuno dice qualcosa. Qualcuno che non c'è.
Non dovrebbe esserci il coniglio?
Le sagome in fondo al corridoio sembrano nate dalla roccia – perché laggiù la caverna è tornata com'era all'inizio, scavata nel cuore del suolo. Enormi uomini rocciosi si staccano dalle pareti e avanzano minacciosi verso il viandante curvo.
E' chiaro che non può passare.
Perché quello è il Passaggio, ma tutti sanno che è proibito, anche se nessuno ricorda il perché.
Uno degli uomini rocciosi solleva la sua lancia, che emette un getto di luce. Lo spettatore chiude gli occhi, ma vede lo stesso.
Jamil lancia un grido che la caverna rimanda, moltiplicato, allungato, distorto, spezzato. Brandelli di grido echeggiano da ogni nicchia, ogni incavo.
Tutti gli uomini rocciosi allora sono in cerchio intorno a Jamil, armati di lance lucenti e falci e strane armi dalle lame sinuose. Ma lui è il Matto, no? Saprà di sicuro come uscirne. Perché certe cose sono privilegio dei folli. Anche se è un'ombra in un sogno, lo spettatore lo sa. Lo sa, è una certezza assoluta, e quindi...
Jamil allora ride e poi fa qualcosa che non si vede, ma nella mente dello spettatore è chiaro: sta cantando una strana canzone. Canta, e in quel momento, come avesse operato una sorta di magia, ecco che dal luogo dove si trova si sprigiona una sorta di corolla traslucida che brilla di luci rosse e oro, e sale verso l'alto, si spalanca e si dissolve in una pioggia di scintille che turbinano sugli assalitori con una grazia che incanta.
Gli uomini di roccia urlano e colpiscono la piccola figura al centro del loro cerchio, la colpiscono con le spade che mutano forma mentre le scagliano giù, e con le luci gelide e crudeli emesse dalle lame. Gli uomini di roccia si stringono intorno alla figura e si aggregano, si compongono in un muro di massi che si attaccano e si solidificano insieme, e il viandante è prigioniero, ma all'improvviso qualcosa dall'interno si muove, scava un'apertura, crea una piccola porta: è il coniglio, solo che sotto le strane luci della caverna ha assunto colori da incubo, però è proprio lui e ha scavato nella roccia e ora c'è uno spazio attraverso il quale il viandante fugge, afferrando la bestia, e corre avanti, avanti verso il fondo inesistente di quel percorso, avanti verso un luogo ancora più oscuro e freddo, avanti dove il sogno si esaurisce e le cose perdono i contorni e la logica, avanti, avanti, avanti, e c'è luce, ci sono fiori, ci sono strisce di luce che galleggiano nell'aria, c'è una porta fatta di vetro e lui l'attraversa senza aprirla e una voce dice che
quello
è il
Passaggio


Galahad si svegliò piangendo.

*

Spero che uno di voi due abbia un letto per me, perché sto tornando.

*

Era meraviglioso contemplarlo lì, nel salotto di Galahad, vivo e pieno del suo solito entusiasmo immortale, intento a dipingere gli scenari del suo viaggio, mentre il coniglio brucava un vaso di primule. Serian respirava quel clima di confusione gioiosa, incredulità e gratitudine che riempiva l'aria ogni volta che Jamil riusciva a tornare da un viaggio.
Jamil era più magro e stanco, e anche più vecchio. La strana magia che lo manteneva giovane aveva preso a consumarsi, forse. Aveva una ferita superficiale che andava dalla spalla destra fino a metà schiena, e una rozza fasciatura attorno alla caviglia sinistra. Non aveva voluto chiarire i dettagli di quell'infortunio, cosa che faceva sospettare una certa gravità (e anche una certa stupidità nel modo in cui doveva esserselo procurato.)
- Non so come sono arrivato dall'altra parte della caverna.- Mormorò, e per un attimo era di nuovo lì, solo che non era capace di portarci anche loro con la forza delle parole. Prima o poi ci sarebbe riuscito. Non era ancora il momento.
- E alla fine?- Chiese Serian, indovinando il suo desiderio di raccontare.
- Sono arrivato. Sono arrivato davvero alla Fortezza! E' un posto oltre ogni immaginazione. Tutto quel che se ne dice è vero, ed è anche falso. Ci scriverò una storia per voi, e forse vi sarà tutto più chiaro, e capirete quel che ho visto. Per uno strano incrocio di incantesimi ancestrali e grazia del luogo, da lì puoi affacciarti per qualche momento su altri tempi, o vedere come sarebbero andate le cose se avessimo fatto scelte diverse. E' una biblioteca fatta di ricordi, un insieme di saggezza radunata dai viaggiatori per secoli. Ho trovato risposte. E, cosa ancora più importante, ho trovato domande.
- E la Sfera del Vento?- Domandò Galahad, con la voce che tremava un po'. Gli stava chiedendo del cuore del suo viaggio.
E Jamil non si vergognò di commuoversi davanti a loro.
- Ho trovato la porta e l'ho aperta. Ero lì e parlavo con voi, anche se non mi sentivate. Folle di gioia, stavo per entrare. Raymond si è fermato, e ho creduto che volesse lasciarmi passare. Una bestiola cortese, ho pensato. Il primo piede era oltre la soglia, quando lui si è voltato ed è andato dalla parte opposta, via dal passaggio. E allora mi sono chiesto perché non volesse entrare e mi sono fermato. Ho capito qualcosa. Sono tornato indietro e ho chiuso la porta.
- Mi stai dicendo che non sei entrato?
- No.
- Jamil, sono anni che parli della Sfera e di quel che...
- E' giusto così. Perché ci sarà sempre un mistero da immaginare, là dietro, per me. Sentirò la ferita di questo segreto, la brama di conoscerlo, e ogni ipotesi che farò sarà così meravigliosa che... Oh, lo so, è stupido, ma per me è completamente sensato.
- Non dico che non abbia un suo senso.- Disse Galahad, confuso. - E' solo che tu sei arrivato fin là per scoprire cosa c'è lì di tanto sacro da non poter essere riportato in nessun libro, e alla fine hai deciso di non saperlo.
- A volte le domande sono ciò che conta. Non ho trovato una soluzione, ma ho portato con me un mistero. Questo mi basta.

   
 
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